giovedì 7 luglio 2016

PNG: DEBOYNE ISLANDS, CONFLICT GROUP, HEMOE BAY

10°35.691'S 150°59.946'E
Domenica 3 luglio, alle 8.15, salpiamo da Bagaman Island; la giornata è grigia con continui leggeri piovaschi, il vento sui 20-22 nodi.
Per proseguire dobbiamo superare la grande barriera che racchiude tutte le isole fin qui visitate (Nimoa, Gigila, Bagaman e altre che non abbiamo toccato). Usciamo da una pass a NW, che si trova 1,4 miglia a SW dell'isolotto Pana Sagu Sagu, su cui registriamo come fondale minimo 8 metri. Al nostro passaggio, 2 nodi di corrente uscente creano appena fuori piccole onde stazionarie spumeggianti, che improvvisamente azzerano il rilevamento del fondale: un istante di panico, ma subito mi torna in mente di aver già provato questa esperienza nelle pass delle Tuamotu.
La nostra destinazione sono le Deboyne Islands, altro gruppo di isole racchiuse da un'unica barriera. Accediamo alla laguna attraverso il South Passage, ampio e profondo; il nostro ancoraggio, riportato nelle Guida della PNG di Alan Lucas come il migliore di questa area, si trova a NW dell'isolotto Nivani. La cartografia Navionics e C-Map è povera di dettagli, non c'è una buona luce, perciò seguiamo la striscia scura dell'immagine satellitare, indicante le acque più profonde;  alle 13.10 ancoriamo su un fondale di 9-10 metri di sabbia e coralli (10°47.185'S 152°23.255'E).
L'ancoraggio è un po' rollante, con il vento che soffia sempre a 20-22 nodi, ma l'ancora è ben affondata nella sabbia e la catena è libera nel brandeggio, possiamo stare tranquilli.
Poco dopo di noi, arrivano nella baia 7-8 canoe a vela, che ammainano sotto costa dell'isola vicina, Panapompom. Gli equipaggi, di 6-7 persone per ciascuna canoa, scendono a terra dove sembrano essere attesi dalla gente del piccolo villaggio; prima del tramonto ripartono tutti, in gruppo, nella direzione opposta a quella da cui sono venuti. Era forse una regata? In ogni caso,  questi marinai sono straordinari: su gusci così fragili, affrontano navigazioni impegnative, anche notturne, senza alcuno strumento elettronico, orientandosi con il vento, con il sole e con le stelle.
Il giorno seguente, 4 luglio, salpiamo alle 7.15: ci aspettano 41 miglia per arrivare al successivo gruppo di isole denominato Conflict Group. In questo percorso incrociamo la rotta, intensamente trafficata, delle grandi navi cargo e petroliere dirette da Singapore all'Australia e viceversa: con l'AIS è tutto sotto controllo, ma per non saper né leggere né scrivere chiamiamo al VHF una nave che si sta avvicinando alla nostra sinistra, in un incrocio potenzialmente pericoloso. “Sì, Refola, vi abbiamo visto” ci rispondono “proseguite sulla vostra rotta”; accostano di alcuni gradi e passano dietro la nostra poppa.
Le isole del Conflict Group compongono un unico atollo, disabitato e scarsamente cartografato: la guida di Alan Lucas suggerisce un unico ancoraggio adatto ad una sosta notturna, sulla barriera esterna di NW a ridosso dell'isolotto Gabugabutau. E questa infatti è la nostra meta, che ci lascia all'arrivo piacevolmente sorpresi: il sole, latitante per quasi tutta la mattinata, è tornato a splendere facendo risaltare i brillanti colori dell'acqua, dal blu intenso, all'azzurro al turchese sui fondali di sabbia e  corallo. L'acqua è limpidissima. Caliamo l'ancora sulla sabbia, su un fondo di 10 metri che scende abbastanza ripido: dando 60 metri di catena ci ritroviamo ad avere 25 metri d'acqua sotto la barca; con il vento che soffia a 18-20 nodi il ridosso è buono, solo con l'alta marea diventa leggermente rollante (10°43.784'S 151°44.307'E).

Alan Lucas racconta che negli anni 70 un gruppo americano ha qui iniziato i lavori per costruire un grande resort, ma dopo aver realizzato una pista di atterraggio nella Panasesa Island e qualche bungalow, il progetto fu abbandonato.
Il giorno dopo, martedì 5 luglio, facciamo rotta su Basilaki Island: una tappa di 47 miglia giusto per avvicinarci ad Alotau, dove faremo le pratiche di ingresso in PNG. Lasciato l'ancoraggio di Gabugabutau, costeggiamo il lato ovest di Panasesa e vediamo infatti  la striscia disboscata della ex pista di atterraggio (ora ricoperta da cespugli incolti); proseguendo, notiamo sulla spiaggia bianchissima una barca a motore, piuttosto moderna, ancorata con cime a terra, qualche costruzione in legno e un ombrellone di paglia. Forse qualche attività turistica è ancora in corso, in queste isolette remote, ma di persone... neanche l'ombra.
Proseguendo ad ovest del Conflict Group, per circa 20 miglia, c'è una vasta area che la cartografia elettronica definisce “not surveyed” (non rilevata), con numerosi bassi fondali e senza terre emerse. L'affrontiamo con cautela: Navionics e C-Map riportano profondità di 6-7-8 metri, ma in realtà nella rotta che teniamo fino alle acque sicure (245°) il nostro ecoscandaglio misura sempre dai 300 ai 400 metri. Dopo un'ora passata a strabuzzare gli occhi, con Lilli a prua ed il binocolo sempre a portata di mano, possiamo abbassare la guardia: siamo usciti dalle Luisiadi.
Il vento è calato sui 14 nodi, ma è comunque sufficiente per andare a vela.
Alle 14.30 entriamo nella profonda Hemoe Bay, dove ancoriamo su un fondale di fango duro, su 10-11 metri (10°35.691'S 150°59.946'E).
Finita la manovra di ancoraggio, comincia la processione delle canoe: prima arrivano giovani e ragazzini, curiosi di vedere la barca da vicino; poi è la volta di donne e ragazze, che vengono a proporre frutta ed ortaggi. Con tre di queste, molto chiacchierine (tra le altre cose le due più giovani ci confessano che il loro sogno è sposare un uomo bianco ed andarsene lontano), scambiamo qualche maglietta e un pacco di farina per verdura, papaia e due granchi (mud grabs) che, una volta salite a bordo, ci aiutano a pulire e a preparare per la cottura.
La baia è tranquilla e ben protetta, e meriterebbe una sosta più lunga; vi sfocia anche un piccolo fiume, che in alta marea si può risalire con il dinghy.
Le intraprendenti ragazze si erano offerte per accompagnarci alle cascate nella foresta, ma noi siamo anche desiderosi di arrivare in fretta ad Alotau, dove potremo ritrovare una connessione internet (ci manca da 15 giorni), fare dogana e metterci in regola, rimpinguare la cambusa...  così, seppure un po' a malincuore, mercoledì 6 alle 8.00 salpiamo per Alotau.