lunedì 20 giugno 2022

CAMBIO DI PROGRAMMA

 C’è una cosa importante di cui non abbiamo finora parlato.

Dall’inizio del nostro giro del mondo, nell’estate del 2012 a Port Napoleon in Francia, i programmi di navigazione preparati a casa tra una stagione degli uragani e l’altra sono sempre stati realizzati con precisione quasi millimetrica. Molti amici velisti ci prendevano in giro per questo, ironizzando bonariamente sul nostro bisogno di rispettare scrupolosamente (da bravi ferrovieri…) la tabella di marcia. Ma noi non abbiamo mai vissuto il programma come una limitazione al nostro muoverci e navigare in libertà. Al contrario: definire in anticipo rotte, destinazioni ed ancoraggi ha sempre significato per noi non solo prepararci alle future destinazioni studiandone le caratteristiche e le possibili difficoltà, ma anche pregustare da casa le nuove avventure che ci attendevano.

Per la prima volta quest’anno, 2022, le cose vanno diversamente. Fin dall’inizio della stagione Lilli comincia a mostrarsi inusualmente apprensiva: dice di aver paura di tutto, si agita per qualunque cosa. Un’insicurezza che aumenta notevolmente quando Angelo e Cristina rientrano in Italia dalle Bahamas e noi torniamo ad essere soli a bordo. Per andare incontro alle sue ansie rivedo totalmente il programma di navigazione lungo la East Coast americana: individuo nuove possibili soste, in modo da spezzare le tappe più lunghe ed evitare le navigazioni notturne. Solo quando Lilli realizza che entrare e uscire da canali e fiumi le crea più stress del mare aperto, cancelliamo alcune soste e ripristiniamo tratti di navigazione notturna in oceano.

Tutto questo, unitamente ad una situazione meteo piuttosto instabile, rallenta di molto il nostro procedere verso nord. All’inizio di giugno mi è chiaro che, vista la situazione, devo abbandonare il progetto di raggiungere il Canada, chiudere anticipatamente la stagione, e tornare a casa. Inizio a cercare una sistemazione dove lasciare Refola, e dopo alcune verifiche la scelta ricade sul cantiere Stingray Point Boat Works, a Deltaville in Virginia.

La Chesapeake Bay su cui il cantiere si affaccia sarà la nostra ultima destinazione per quest’anno. Non ne sono felice, ma non sempre le cose vanno come vorremmo… 

mercoledì 15 giugno 2022

Savannah, Georgia e Charleston, South Carolina

La mattina di martedì 7 giugno, alle 9.25, lasciamo St. Augustine con destinazione Savannah, a 153 miglia. Una volta usciti in oceano la rotta è una linea retta per 12°-14°. Ventiquattro ore di piacevole navigazione con venti leggeri da NE ed E, che ad intervalli aiutiamo con un po’ di motore. Alle 8 del mattino successivo siamo all’inizio del canale di ingresso, ben segnalato da grosse boe rosse e verdi (rosso a destra, verde a sinistra). Ci sono numerose navi all’ancora, in attesa di entrare: nella foschia mattutina intravvediamo le più vicine, ma il sistema AIS ne rileva almeno una trentina, che aspettano il loro turno ed il pilota. Appena immessi incrociamo quattro grosse navi da pesca con reti a strascico sostenute da imponenti gru i cui bracci si aprono lateralmente, triplicando così il baglio delle imbarcazioni; ci sfilano accanto con grande indifferenza, del tutto incuranti della preoccupazione che sono riuscite a suscitare in Lilli, che mi avrà chiesto almeno dieci volte “ma ci stiamo?”.


Alla fine del canale iniziamo a risalire il fiume Savannah; la corrente ci è contro, ma non è troppo forte. 20 miglia di navigazione fluviale prima di raggiungere Savannah, principale porto commerciale della Georgia. A poche miglia dall’arrivo, un altro incontro ravvicinato: in un tratto in cui il fiume diventa particolarmente stretto e sinuoso (e quindi la corrente più forte) ci ritroviamo alle spalle un’enorme nave cargo che naviga con rotta raggiungente a 11 nodi (il doppio della nostra velocità). E come se non bastasse, nel punto più stretto ci sono ad attenderla tre rimorchiatori, chiamati evidentemente per assistere e tenere la nave in rotta. In cinque (la navona, i 3 rimorchiatori e Refola) proprio non ci stiamo! Riduco la velocità, accosto lateralmente affiancandomi a dritta ad un segnale rosso e lascio passare il condominio di container.

Alle 12.45 siamo finalmente a destino. La cosa incredibile di Savannah è che offre alle barche di passaggio un ormeggio completamente gratuito sul lungofiume più bello e più storico della città, in pieno centro: è chiamato City Dock, un lungo pontile galleggiante con colonnine per l’elettricità (anch’essa gratuita), in cui si ormeggia comodamente all’inglese. Quando si telefona per avvisare dell’arrivo dicono che non si può stare più di due giorni, noi ci siamo fermati tre notti e nessuno ha avuto da ridire. Una pacchia! (32°04.884’N 81°05.335’W).



Savannah ci è davvero molto piaciuta: un centro storico tranquillo nonostante il gran numero di turisti, una particolare struttura urbanistica ricca di parchi, piazze e viali alberati. Rari i palazzi, le costruzioni sono principalmente villette in stile inglese, nei tipici mattoni rossi oppure in legno, con gli abbaini e i serramenti rigorosamente bianchi, e le staccionate dei giardini, poste ad uso esclusivamente decorativo ed ovviamente bianche.

Anche qui come a St. Augustine c’è un eccellente servizio di autobus, molto economico che abbiamo sfruttato per girare a destra e a manca, fare la spesa e recarci alla West Marine, una delle principali catene di negozi di nautica negli USA. Visitiamo il museo navale, dove accuratissimi modelli in miniatura ricostruiscono la storia della navigazione negli States, a partire dall’epoca coloniale.




Dopo tre giorni di sosta che abbiamo particolarmente gradito, sabato 11 giugno alle 15.30 molliamo gli ormeggi e ripercorriamo le 20 miglia del Savannah River fino all’oceano. Una volta in mare, un’ottantina di miglia ci separano dalla nuova destinazione: Charleston, in South Carolina.

La notte trascorre tranquilla con venti da SE-SSE da 10 a 15 nodi, che ci permettono una velocità media sui 6 nodi; i turni di guardia ogni 3 ore continuano a funzionare bene.

Alle 11,10 di domenica 12 giugno ancoriamo di fronte al Charleston City Marina, su fondale fangoso di 5-6 metri (32°46.502’N 79°57.080’W).

Il Marina è un po’ decentrato rispetto al centro città; la prima volta facciamo una bella camminata di mezz’ora, poi familiarizziamo con gli autobus e riusciamo a muoverci velocemente: la città non ha più segreti per noi.


Con queste soste negli stati del Sud stiamo di fatto ripercorrendo i cinque secoli di storia americana; restiamo colpiti dall’attenzione con cui queste città, definite “storiche”, salvaguardano e valorizzano il loro patrimonio culturale e le tormentate origini.
 

Charleston, fondata nel 1670 dagli inglesi, divenne ben presto molto popolata e centro nevralgico del commercio di schiavi. Anche qui molti turisti, a beneficio dei quali l’antico mercato degli schiavi è stato trasformato in una sorta di piccolo centro commerciale, con bancarelle piene di souvenir e di prodotti dell’artigianato locale. Pranziamo in un simpatico Oyster Bar poco distante: cibo buono, prezzo ragionevole.





Ma oltre a gironzolare abbiamo due cose importanti da fare: comunicare il nostro arrivo alla Custom (Lilli ha esaurito i codici di accesso alla app CBP Roam e non riesce ad averne di nuovi) e recarci in un negozio Metro T-Mobile per pagare i 60 $ dell’abbonamento telefonico (che non possiamo rinnovare on line perché – come sembra avvenire su molti siti web americani – vengono accettate solo carte di credito USA). Riusciamo a completare con successo entrambe le operazioni.

Il 15 giugno è l’ultimo giorno di permanenza a Charleston. Purtroppo l’effetto combinato di vento e corrente rende il nostro ancoraggio poco confortevole: ogni barca si muove in direzione e con tempi diversi, così ogni tanto ci troviamo davvero troppo vicini a quella alla nostra sinistra. Per un po’ Lilli ed io restiamo di guardia in pozzetto, accendendo il motore per ristabilire una distanza di sicurezza. Ma il giochino non mi diverte affatto e così a metà pomeriggio decido di accostare al lunghissimo pontile esterno del marina, che presenta distributori di carburante ogni 50 metri. L’idea è di fare rifornimento di gasolio e chiedere se è possibile restare per la notte, in modo da dormire tranquilli e ripartire presto la mattina dopo.

Le cose, ahimè, vanno un po’ diversamente. Lo spazio libero sul pontile è per noi appena sufficiente; come d’abitudine affronto la manovra in retromarcia, ma vengo tradito dalla corrente di marea, di circa 1,5-2 nodi; dopo due tentativi falliti cambio modalità e provo l’approccio in marcia avanti contro la corrente, ma a causa dello spazio ridotto con il rollbar della mia poppa sfioro la prua di un megayacht a vela, Christopher, che da giorni ammiravamo essendo ancorati poco distante. Gli abbiamo fatto un graffio di una cinquantina di centimetri sotto la falchetta del lato sinistro della prua; su Refola invece il danno riguarda l’antenna stilo della radio SSB, che non si spezza in due parti ma poco ci manca. Vabbè, poteva andare peggio. Lo skipper di Christopher si mostra educato e composto, ci scambiamo biglietti da visita e riferimenti telefonici, ci farà sapere l’importo della spesa per i ritocchi a nostro carico.

Nel frattempo apprendiamo che il posto che occupiamo per il rifornimento è già prenotato per la notte. Dobbiamo lasciare il pontile e tornare all’ancora. Così facciamo: ci spostiamo di circa mezzo miglio in direzione sud, verso l’uscita; l’ancoraggio è molto più tranquillo del precedente.

Questo di Charleston è il primo sinistro di Refola, dalla sua nascita nel 2004; via mail avvisiamo il broker dell’accaduto, riservandoci di presentare denuncia formale una volta saputo l’importo da rimborsare. Staremo a vedere cosa ci sparano…

Inutile farsi prendere dallo sconforto. Meglio dormirci sopra e prepararci alla partenza di domani mattina per Wrightsville Beach, a 159 miglia.

 

lunedì 6 giugno 2022

St. Augustine, Florida

 Finalmente gli amici neozelandesi ci comunicano che Odette sta molto meglio, sono arrivati a St. Augustine e hanno verificato per noi le profondità del canale d’ingresso: in bassa marea non meno di 15 piedi (4,5 metri). Questa informazione ci fa decidere di saltare la sosta a Port Canaveral (dove dovremmo entrare attraverso un ponte mobile e una chiusa) e puntare direttamente su St. Augustine, a 175 miglia.

Mercoledì 25 maggio partiamo alle 8.00, in modo da arrivare a destino tra le 14 e le 15 del giorno dopo, con la marea crescente. Nel primo pomeriggio, mentre il vento da est al traverso ci regala 7 nodi di velocità, il contamiglia de plotter Raymarine (che noi chiamiamo ancora “nuovo” nonostante sia stato acquistato nel 2014 ad Opua Nuova Zelanda) ci segna un traguardo: 30.000 miglia solcate da novembre 2014 ad oggi!

Ovviamente Lilli la precisina è andata subito a controllare il file dove sono segnate le percorrenze stagione per stagione, da quando è nata Refola. Il vecchio plotter Furuno ha registrato, da dicembre 2004 a novembre 2014, 42.407 miglia. Totale ad oggi: 72.407 miglia, niente male!

Nella notte il vento gira a SE; avvolgo la randa, che tende a coprire il genoa, e spiego la mezzana: l’apparente è diminuito ma la velocità resta sui 5 nodi.

Alle 14.00 siamo nel canale d’ingresso di St. Augustine. La minima di marea è stata alle 12.32, e noi registriamo un fondale minimo di 5 metri; seguendo i segnali rossi (da lasciare a destra!) raggiungiamo l’area di ancoraggio dove individuiamo il piccolo White Cat: non c’è il gommone, Richard e Odette devono essere a terra. Girando intorno alla loro barca, tanto per non perdere l’abitudine, ci insabbiamo. Il fondale è morbido e non c’è stato alcun impatto: aspettiamo 10 minuti e la marea crescente ci libera, consentendoci di ancorare poco distante su un fondale sabbioso di 5-6 metri (29°53.916’N 81°18.483’W).

Gli amici neozelandesi sono completamente ristabiliti, quindi finalmente festeggiamo col prosecco ed una bella cena su Refola il superamento degli scogli burocratici dell’ingresso in USA. Conosciamo pure un’altra giovane coppia di canadesi, coi quali condividiamo un’allegra happy hour.



St. Augustine vanta il primato di essere negli Stati Uniti il più antico insediamento europeo ancora abitato, fondato dagli spagnoli nel 1565. Da questo la cittadina ha tratto una fortissima vocazione turistica: il suo centro storico, con una via pedonale piena di taverne e negozietti, assomiglia un po’ alle ricostruzioni che da noi si trovano nei parchi tematici, dove tutto è un po’ finto. 





Nella laguna e nei canali è un viavai di galeoni piccoli e grandi, con gli equipaggi rigorosamente vestiti coi costumi dei navigatori in epoca coloniale.




Passiamo un paio d’ore nel “Visitor Center”, dove su grandi pannelli ricchi di illustrazioni, mappe e vecchie foto è ricostruita a beneficio dei turisti la ricca e tormentata storia di St. Augustine: dall’arrivo degli Spagnoli (1565) al breve periodo di dominazione britannica (1763-1783); dalla guerra d’indipendenza delle colonie del nord, in cui St. Augustine si schierò coi lealisti, cioè con l’Inghilterra, al ritorno degli spagnoli (1784-1821); dall’annessione agli Stati Uniti (1821) fino alla guerra di secessione, in cui St. Augustine cadde da subito sotto il controllo degli stati federali (i nordisti).



Al di là dei percorsi turistici, con gli autobus visitiamo anche il resto della cittadina, verso l’entroterra ma anche fino alle sue lunghe spiagge sull’atlantico. Ci piace usare, quando possibile, i trasporti pubblici; qui sono economici e molto efficienti, e ci hanno permesso un approccio più “vero” con St. Augustine, che nel complesso abbiamo molto apprezzato.