sabato 29 settembre 2018

SUDATO SUDAFRICA: CANALE DI MOZAMBICO – BAZARUTO – RICHARD BAY


La navigazione da Mayotte al Sudafrica, nel canale di Mozambico, è stata tra le più tribolate di tutto il nostro giro. Non tanto per la lunghezza (1321 miglia), e nemmeno per le condizioni meteo marine, ma per le molte incertezze che l'hanno contraddistinta, dall'inizio alla fine.
La prima, ancor prima della partenza da Mayotte, riguardava la rotta da seguire. Tre le possibili alternative: puntare subito ad ovest, verso il Mozambico, per costeggiarlo tentando di sfruttare la corrente in direzione sud; dirigerci a sud est verso il Madagascar e tornare a Cap St. Andrè, dove è successo l'inconveniente dello scambiatore, per attraversare il canale nel punto più stretto; impostare una rotta più diretta, scendendo al centro del canale.
Lilli ed io abbiamo letto molto sulle particolari difficoltà di navigazione nel canale di Mozambico. Nella sua parte settentrionale il problema principale è rappresentato dalle correnti, che disponendosi in grandi vortici (chiaramente visibili sul sito meteo Windy.com) rendono difficile trovare il flusso favorevole. Nella parte meridionale del canale, invece, le criticità sono dettate dalla processione di fronti freddi che sopraggiungono dal Capo di Buona Speranza. Tali fronti producono brevi periodi di venti settentrionali seguiti da forti venti da SW, che spesso raggiungono la forza di burrasca e sono accompagnati da intensi fenomeni temporaleschi; gli effetti di questi sistemi si estendono lungo tutta la costa orientale del Sudafrica e più oltre, fino a metà Mozambico. La terza difficoltà nasce dall'intreccio dei due fattori in campo, corrente e vento: quando i forti venti da SW si scontrano con la forte corrente meridionale il mare si alza in modo abnorme.
In un quadro così complesso, ci consideriamo fortunati per aver trovato Des Cason, il navigatore e meteorologo che vive a Durban ed ha una grande esperienza di navigazione nel canale; ormai sono mesi che siamo in contatto via mail, e il suo consiglio per questo tratto, che lui considera il più difficile del mondo, è di scegliere all'inizio la rotta verso il Madagascar, l'unica che assicura in caso di maltempo di trovare un riparo sicuro (Baly Bay, da dove eravamo partiti il 31 agosto!); una volta scesi più a sud nulla vieta, se le condizioni lo permettono, di deviare anticipatamente su Bazaruto, in Mozambico. Ovviamente decidiamo di seguire queste indicazioni, e concordiamo con Des di inviargli ogni giorno la nostra posizione alle 0900 UTC, per ricevere gli aggiornamenti sulla situazione meteorologica.
Venerdì 14 settembre alle 9.45 salpiamo l'ancora. Navighiamo per 24 ore a motore, senza vento, in un mare liscio come l'olio. Poi Des ci conferma che la finestra è buona per accostare a sud ovest verso Bazaruto: avanziamo quindi circa al centro del canale, dove però continuiamo ad avere 1-2 nodi di corrente contraria. La nostra velocità si attesta su una media di 4 nodi.


Il vento latita. Navighiamo per quattro giorni consecutivi a motore, con l'eccezione di poche ore a vela che ci sono miracolosamente concesse nella notte tra il 15 e il 16. Si apre un nuovo ambito di incertezza: la riserva di gasolio. Siamo partiti col serbatoio pieno (600 litri) e 8 taniche da 20. Poiché escludiamo di entrare ufficialmente in Mozambico (corruzione, furti, sequestri di passaporto) non abbiamo possibilità di rifornimento fino a Richards Bay. Ogni giorno registriamo i consumi sul libro di bordo: 160 litri il 16 settembre, 220 litri il 17, 270 litri il 18.... Teniamo il numero di giri motore al minimo possibile, cercando comunque di conciliare il risparmio di carburante con una velocità accettabile. La domanda è: ce la faremo a non rimanere a secco?
Dalle 18.30 di lunedì 17 settembre iniziamo ad avere la corrente a favore ed arriva anche il vento. Ci troviamo in posizione 15°48'S 41°46'E e siamo a 65 miglia dalla costa del Mozambico: avanziamo con rotta vera 235°, risultante dall'orientamento della nostra prua (260°) e la forte corrente che ci spinge in direzione 200°.
Per un breve lasso di tempo, ora che navighiamo piuttosto veloci e confortevolmente, accarezziamo l'idea di poter saltare la sosta a Bazaruto e procedere diretti a Richards Bay. Lilli soprattutto ne sarebbe felice, visto che la sua riserva di sigarette comincia a scarseggiare (a Mayotte costavano una fortuna e lei si è rifiutata di pagare un pacchetto 8 euro).
Le previsioni meteo azzerano presto le nostre speranze. È in arrivo un vento da sud sui 20-25 nodi: se non vogliamo prenderlo giusto sul naso dobbiamo per forza entrare a Bazaruto ed aspettare che passi. La nostra idea è di fermarci una notte e ripartire subito, anche se sui grib files vediamo che procedendo incontreremo un'importante onda da sud, di altezza fra i 4 e 5 metri a margine del canale, dai 6 agli 8 metri più al largo. È un'onda lunga, provocata da una grossa perturbazione passata molto più a sud, ma ne ignoriamo il periodo e quindi ci suscita qualche preoccupazione. Vedremo...
Bazaruto è una piccola isola poco distante dalla costa del Mozambico; ci sono diverse zone di ancoraggio dove si può trovare protezione da tutti i quadranti. Il problema è che l'accesso si fa attraverso un percorso obbligato tra bassi fondali sabbiosi; impossibile percorrerlo di notte, consigliabile farlo con la marea crescente, in modo da potersi liberare velocemente in caso di incaglio.
Consultiamo la tavola delle maree e non ci sono dubbi: dobbiamo entrare la mattina del 20 settembre e per stare tranquilli non prima delle 08.30 (local time), quando la marea comincia ad aumentare. È un peccato, proprio ora che abbiamo vento e corrente con noi siamo costretti a tirare il freno a mano e rallentare la nostra corsa!
Rispettiamo al millisecondo la nuova tabella di marcia e la mattina del 20, seguendo sulle immagini satellitari di SasPlanet i way-point indicati da Des, raggiungiamo la zona di ancoraggio. Come Des ci aveva preannunciato vi troviamo Axiom, la barca condotta da Sebastian e Jacqueline (conosciuti alle Chagos e poi ritrovati in Madagascar), anche loro diretti in Sudafrica ed anche loro, come noi, clandestini in Mozambico. Alle 10.20 diamo ancora a 200 metri da Axiom, su fondale sabbioso di 10-12 metri (21°38.737'S 35°26.220'E).

Il posto è molto bello e selvaggio; l'isola presenta numerose colline, nella parte settentrionale ricoperte di vegetazione, mentre nel versante sud, più esposto, completamente spoglie. Grandi dune di sabbia, un pezzo di deserto affacciato sul mare. Peccato solo che tutto lo scenario sia avvolto da una persistente foschia, che attutisce i contrasti di colore. A terra facciamo fatica a vedere villaggi, ma notiamo sulla spiaggia molti uomini impegnati a tirare in secca, a mano, enormi reti da pesca.



Il previsto vento da sud arriva puntuale e soffia a 20-25 nodi, ma noi siamo tranquilli: l'ancora tiene perfettamente e abbiamo un sacco di spazio intorno a noi per il brandeggio.
Con sei giorni di navigazione sulle spalle siamo un po' stanchi, ma il desiderio di arrivare in Sudfrica è più grande. La nostra posizione di “clandestinità” è un altro fattore di incertezza. Ci hanno detto che alcuni locali qui vicino, per ricevere qualche mancia dalla polizia, fanno la spia sulla presenza di barche a vela, e che sfortunati navigatori si sono visti appioppare salatissime multe, o addirittura il ritiro dei passaporti. Senza contare che proprio qui a Bazaruto il nostro amico Gianni di Eutikia ha subito il furto del motore fuoribordo! Quando potremo ripartire?
Via mail interroghiamo Des in proposito. Ci risponde che dall'indomani, 21 settembre, il vento da sud ci darà tregua fino al 25, e che se la successiva perturbazione non accelera il suo percorso dovremmo avere tempo sufficiente per raggiungere Richards Bay. Ci sconsiglia però di partire il 21 stesso, perchè incontreremmo il 23 un'onda da sud di 4-5 metri con periodo 19 secondi, che potrebbe essere pericolosa. Che fare?
Il 21 settembre alle 7 del mattino controllo la posta. Des ci conferma che la finestra è buona fino al 25. Era la molla che aspettavo. Per la nostra esperienza, con Refola possiamo benissimo affrontare un'onda di 4-5 metri con periodo 19 secondi. “Partiamo subito”, dico all'equipaggio. Lilli comunica via VHF la nostra decisione a Sebastian di Axiom, ma la loro barca è più piccola, forse hanno meno fretta, e decidono di aspettare.
Alle 9 salpiamo l'ancora. La giornata è luminosa e le dune di sabbia risplendono contro il cielo di un azzurro intenso.



Ci avviamo nel percorso di uscita, anche questo tortuoso tra bassi fondali sabbiosi; come per l'ingresso, seguiamo sulle immagini satellitari di SasPlanet i way-point indicati da Des. Imbocchiamo il canale di uscita, dove si naviga per circa 100 metri su 3 metri di profondità, che poi si alzano a 9. La marea è entrante ed abbiamo 2-3 nodi di corrente contraria, quindi procediamo molto lentamente. Il che è un bene, perchè proprio alla fine mi distraggo un attimo e passo il terzultimo way-point circa 100 metri più a nord: per qualche minuto abbiamo pochi centimetri sotto la chiglia, poi l'ecoscandaglio segna zero... ma il fondo è sabbioso e non succede nulla di grave. La morale è: i way-point vanno rispettati al millimetro!
Alle 12.00 siamo fuori. Il vento è debole, da SSE, avanziamo a motore con rotta 120°, in cerca della corrente del Mozambico. La troviamo dopo circa tre ore, insieme al vento girato a E. Spegniamo il motore e procediamo a vela verso sud: con la corrente che ci regala 2-2,5 nodi, la nostra velocità si stabilizza sui 9 nodi. Alle 12 del 22 settembre, la percorrenza nelle 24 ore è di 181 miglia.
Alle 8.00 del 23 il vento gira a N e NW. Avvolgiamo la randa e procediamo con genoa e mezzana; con la corrente a favore otteniamo medie da primato per Refola, superiori a 8 nodi.
L'ultima notte è stata memorabile: nonostante la luna quasi piena verso le 22 il cielo diventa nero, illuminato da fulmini potenti che vediamo in alto tra le nuvole o cadere in acqua in lontananza. Il vento, 25-30 nodi da NNE, ci spinge verso la bassa pressione. Poi iniziano grandi ed improvvisi salti di vento: in intensità, da 25 nodi a 4, e in direzione da NE a SE, ma Refola imperterrita prosegue la sua marcia.
Nelle ultime 30 miglia il vento gira a SW, 15-20 nodi, l'effetto della corrente si riduce, e proseguiamo a motore fino a destinazione.
A circa 4 miglia dall'ingresso a Richards Bay, proprio mentre Lilli si accingeva a chiamare il Port Control via VHF, ci chiamano loro: “Refola, dove andate? Dovevate chiamare a 6 miglia dall'ingresso del canale...” Lilli si profonde in scuse, che vengono accettate con riluttanza. “State interferendo con le manovre delle navi. Rallentate ed aspettate. Vi chiamiamo noi sul canale 12”. Lilli non può che rispondere compita “Roger that, attendiamo la vostra chiamata”. Quando ci richiama il Port Control richiede alcuni dati (bandiera, call sign, provenienza, quante persone a bordo, misure della barca) e ci autorizza a proseguire navigando sul lato destro del canale.

Sono le 10.00 di lunedì 24 settembre quando ormeggiamo all'International Wall, piccola darsena ultraprotetta (28°47.684'S 32°04.722'E). La bassa marea non ci facilita l'ormeggio all'inglese, il molo è molto alto, ma alla fine ce la facciamo.


Ce la siamo sudata, ma siamo in Sudafrica!

giovedì 13 settembre 2018

MAYOTTE: informazioni e note pratiche


Nonostante la nostra sosta a Mayotte sia stata sostanzialmente dedicata alla manutenzione ed alla burocrazia (molto più facile l'uscita dell'ingresso, come vedremo), ciò non ci ha impedito di prendere un po' di confidenza con l'isola, dove bene o male siamo fermi da 12 giorni.
Culturalmente e geograficamente, Mayotte è parte dell'arcipelago delle Comore, su cui la Francia governava dal 1843. Quando le altre isole Comore dichiararono la loro indipendenza Mayotte fu l'unica che scelse, con i referendum del 1974 e del 1976, di mantenere i propri legami con la Francia. Cosa tuttora non gradita al governo delle Comore, che continua a rivendicare diritti sull'isola. Ma la volontà degli abitanti è chiara: nel 2001 e nel 2009 votano in stragrande maggioranza (95% nel 2009) per diventare dipartimento francese. La formalizzazione di Mayotte come 101° dipartimento francese è avvenuta nel 2011: lingua ufficiale il francese, valuta l'euro.
Gran parte degli abitanti è di etnia mahoriana, popolo di origine mista africana, araba, malgascia ed indiana; la religione musulmana è praticata dalla quasi totalità della popolazione, mentre il 2% è cattolico.
Una grande barriera corallina racchiude con brevi interruzioni le due isole principali, Grande Terre e Petite Terre, oltre ad una serie di isolotti più piccoli. A sua volta Petite Terre è formata da due isole unite da uno stretto istmo: Pamandzi, dove c'è l'aeroporto, e la piccolissima Dzaoudzi, dove si concentrano le attività militari. Un pontile è riservato infatti alle numerose imbarcazioni della Gendarmerie Maritime, che escono quasi ogni giorno per esercitazioni, e durante il nostro soggiorno abbiamo osservato un notevole via vai di navi militari francesi, che sostavano brevemente in rada per poi ripartire.
Dal 2 settembre ad oggi (13 settembre) Refola è stata all'ancora a Dzaoudzi (12°46.788'S 45°15.608'E fondale sabbia/fango 17-19 metri), ai margini di un vasto parco boe con gavitelli per il diporto, privati e per lo più tutti occupati. Poco più a N sono posizionate numerose grosse boe utilizzate da imbarcazioni più grandi, traghetti e rimorchiatori. Nonostante siamo vicini alle altre barche al gavitello e non troppo distanti dall'area di manovra dei traghetti, il nostro ancoraggio si rivela azzeccato: ben riparato, tranquillo, con acqua pulita.
Anche l'atterraggio col dinghy è molto facile: dietro il pontile della gendarmeria ce n'è un altro utilizzato da piccole barche locali, con uno spazio alla radice riservato ai dinghy.


Il pontile è attiguo alla Gare Maritime, la stazione dei traghetti, dove sono sempre presenti numerosi taxi (collettivi): la tariffa è di 1,40 € a persona, indipendentemente dalla lunghezza del percorso.
I traghetti che fanno continuamente spola tra Grand e Petite Terre (circa 2 miglia, 15 minuti) collegano Dzaoudzi a Mamoudzou, il principale centro abitato di Mayotte. Sono mezzi bidirezionali piuttosto nuovi e ben tenuti, che calano i portelloni-rampa (presenti sia a poppa che a prua) su ampi scivoli in cemento, permettendo a passeggeri ed automezzi di scendere e salire velocemente. Né cavi di ormeggio, né manovre! L'andata è gratuita da Dzaoudzi, il biglietto di ritorno costa invece ben 0,75 €.




Mamoudzou è una cittadina abbastanza trafficata. Il supermercato a nostro giudizio migliore è Sodifram, a Kaweni; c'è anche una zona industriale “Nel” dove si trova SV Nautic, un negozio di attrezzature nautiche ben rifornito.
In uno dei lunghi giorni trascorsi in attesa del nuovo scambiatore, Angelo, Cristina e Gianca decidono di fare un giretto turistico-esplorativo a Gran Terre: traghetto, auto a noleggio e via! L'isola non li lascia particolarmente entusiasti: le spiagge sul versante NE e NW, anche quelle più decantate dai depliant turistici, sono di terra rossa, l'acqua è torbida. Ciò che li ha colpiti maggiormente, nei villaggi visitati, è lo spropositato numero di bambini, mentre la parte più povera di Mamoudzou ha richiamato loro le favelas brasiliane: povere case in lamiera, e tanta miseria.

Molto più emozionante è stato invece assistere ad una tradizionale cerimonia di matrimonio a Petite Terre. Tutto il paese, in un'atmosfera festosa, sembrava partecipare all'evento: abiti di colori sgargianti, musica, cibo, doni.








Come abbiamo già detto martedì 11 settembre riceviamo il pezzo di ricambio e ripristiniamo il corretto funzionamento di invertitore e scambiatore. Possiamo finalmente pensare di ripartire.
Oggi giovedì 13, di buon mattino, iniziamo le pratiche di uscita. Per fortuna la procedura non ha più segreti per noi.

Compiliamo il modulo (che ci eravamo già procurati al piccolo Yacht Club di Dzaoudzi), ci rechiamo tutti e 5 all'aeroporto, chiamata col telefono nero all'Immigrazione, che appone timbro e firma. Decidiamo di evitare il passaggio dall'ufficio della Dogana, visto che non siamo sicuri che abbiano registrato il nostro ingresso. Rientriamo in barca, salpiamo e ci spostiamo ad una boa dello Yacht Club di Mamoudzou, dove il manager/harbour master Fred apporrà il suo timbro sulla clearance di uscita.
Ora è pomeriggio, potremmo dire di essere pronti a partire domani se non fosse che il nostro terzo frigo ha deciso di non funzionare, probabilmente a causa di un difetto di ventilazione. La dinette si è trasformata in un'officina, ma confidiamo di riuscire a mettere tutto a posto, compreso il frigo, entro sera.
La finestra meteo pare buona. Domani venerdì 14 riprenderemo il mare verso sud, sperando, questa volta, di riuscire a raggiungere il Sudafrica...


mercoledì 12 settembre 2018

MAYOTTE: lavori di alta ingegneria e stress da burocrazia


E così la mattina del 2 settembre ci troviamo a Mayotte, piccolo pezzo di Francia in mezzo al Canale di Mozambico, 200 miglia più a nord di dove eravamo quando lo scambiatore dell'invertitore ha deciso di lasciarci.
È domenica, quindi rimandiamo a domani le formalità di ingresso e, dopo un po' di riposo, nel pomeriggio cominciamo ad affrontare il guasto che ci ha impedito di seguire la nostra rotta verso il Sudafrica.
L'invertitore ZF 25 di Refola è dotato di uno scambiatore di calore (Bowman 3367) collegato al circuito di raffreddamento del motore.
Se lo scambiatore non è integro, si verificano due situazioni critiche:
- a motore acceso, l'olio in pressione che raggiunge lo scambiatore fuoriesce dal suo circuito e viene scaricato in mare, lasciando l'invertitore a secco di olio (come infatti lo abbiamo trovato);
- a motore spento, senza la pressione dell'olio, l'acqua salata entra nel circuito dell'olio dell'invertitore, dove si emulsiona annullandone le qualità lubrificanti.
Per capire cosa sia successo, non possiamo che smontare lo scambiatore. Più facile a dirsi che a farsi: la posizione in cui si trova rende molto scomodo lavorarci sopra, i dadi sono arrugginiti e la barca, ahimè, non sta mai ferma. Per fortuna, grazie all'aiuto del Gianca, riusciamo nell'impresa.

Una volta che lo abbiamo in mano, il danno dello scambiatore risulta evidente. Almeno uno dei canali in cui scorre l'acqua salata di raffreddamento è lesionato (bucato? corroso?): ne vediamo infatti fuoriuscire una specie di densa maionese rosa, frutto del mescolamento dell'olio idraulico (rosso) con l'acqua di mare.


Che fare adesso?
Siamo ancorati in mezzo a barche e piccole navi, tutte alla boa, e non distanti dall'area di manovra dei traghetti. Devo essere sicuro di poter, in caso di necessità, accendere seppur per poco tempo il motore. Quindi è prioritario ripristinare il circuito di raffreddamento, che abbiamo interrotto smontando lo scambiatore Bowman. Trovo a bordo un pezzo di tubo in gomma che fa al caso nostro, e lo montiamo come una sorta di by-pass. Occorre anche chiudere il circuito dell'olio dell'invertitore: risolviamo il problema usando uno degli originali tubi di raccordo, che facciamo uscire e poi rientrare direttamente nell'invertitore.
Dopo aver aggiunto la piccola quantità di olio avanzata, accendiamo il motore per qualche minuto e inseriamo la marcia indietro; nessun rumore strano, l'intervento di by-pass per l'emergenza è riuscito.
Sappiamo che in linea teorica, come ci aveva suggerito anche Colin di Island Pearl, l'invertitore può funzionare senza scambiatore, ma la domanda cruciale è: per quanto tempo, senza danni irreparabili?
Al momento non lo sappiamo, e possiamo solo procedere per gradi. Prepariamo il piano d'azione:
  • bisogna senz'altro ripulire l'invertitore da tutta la maionese rosa (olio emulsionato): dovremo procedere ad almeno 3-4 cambi d'olio idraulico, quindi occorre acquistarne una buona scorta;
  • dovrò verificare su internet se lo scambiatore Bowman 3367 è ancora in produzione (il nostro è nato con la barca, nel 2004), e se si può ordinarlo e farlo arrivare qui in tempi brevi;
  • Gianca, che non si dà mai per vinto, proverà a studiare il modo di riparare lo scambiatore.
Lunedì 3 settembre, oltre a tentare di espletare le pratiche d'ingresso (piccola odissea su cui torneremo più avanti), andiamo in città dove riusciamo a trovare l'olio idraulico (Total fluid ATX, compatibile per l'invertitore ZF) e una sim card locale della compagnia Orange (4 giga alla settimana per 5€, da rinnovare via cellulare alla scadenza).
Si può ora lavorare sui due fronti: in sala motore e su internet.
Per prima cosa chiamo via Skype la ZF di Milano, produttrice dell'invertitore: il tecnico, Luca, si mostra subito disponibile e si impegna a ricercare per noi, nel suo giro di rivenditori, un nuovo scambiatore. Chiamo anche Paolo Salomoni, il rappresentante Amel in Italia, che gentilmente ci promette di cercare il pezzo presso i cantieri Amel. A entrambi pongo il quesito rispetto al tempo di esclusione dello scambiatore, ma nessuno si sbilancia in proposito. Dovremo verificarlo per conto nostro.
E infatti, per ripulire l'invertitore da tutto l'olio emulsionato, procediamo a 4 cambi d'olio consecutivi. È anche l'occasione per provare la nuova pompa manuale a depressione. Accendiamo il motore e inseriamo la marcia indietro a 1500 g/min (siamo sempre all'ancora, ma il fondo ha un'ottima tenuta): in circa 45 minuti la temperatura dell'invertitore, che possiamo rilevare grazie al termometro a infrarossi (Tack Life), arriva a 97°. Ora abbiamo la certezza di aver fatto bene a ripiegare su Mayotte: l'invertitore non può funzionare a lungo senza raffreddamento. Affrontare in queste condizioni una navigazione impegnativa come quella nel canale di Mozambico, in cui avremmo potuto dover smotorare per 24 o 36 ore di fila, sarebbe stato un drammatico errore.
Martedì 3 settembre comincia con brutte notizie: né Luca della ZF né Paolo Salomoni sono riusciti a trovare uno scambiatore per noi. Ci viene in soccorso l'amico Fabio di Amandla, che si trova in Madagascar; telefona direttamente alla Bowman, produttrice dello scambiatore, e tramite loro trova in Inghilterra un rivenditore che ce l'ha in magazzino.
Nel giro di 24 ore, ricevute le necessarie conferme sulla compatibilità del nuovo scambiatore col nostro vecchio invertitore, procediamo all'ordine pagando con carta di credito 65£ per lo scambiatore e 85£ (!) per la spedizione via DHL. Seguiamo su internet il viaggio del pacco agognato: il 6 di settembre era già a Parigi, ma la consegna è prevista per il 13 settembre.
Nel frattempo l'instancabile Gianca si ingegna per riparare lo scambiatore guasto, escludendo il canale danneggiato: dopo averlo riempito con silicone da alta temperatura, vi infila una barra filettata da 5 mm, lunga quanto lo scambiatore, fissa due dadi agli estremi della barra ed il gioco è fatto. Verifichiamo la tenuta dell'olio in pressione ricollegando lo scambiatore a secco, senza acqua di raffreddamento: funziona! Ovviamente non possiamo essere certi che non ci siano altri canali in procinto di bucarsi, per cui terremo il vecchio scambiatore come scorta da usare in caso di necessità, ma la soluzione trovata ha avuto successo e può essere un suggerimento a chi si trovasse in questa situazione.

Lunedì 10 settembre, una graditissima sorpresa: il nostro pacco è già arrivato a Mayotte, e possiamo ritirarlo martedì mattina. Ci precipitiamo alla DHL e già nel pomeriggio il nuovo scambiatore, smagliante nella sua cromatura, è montato, collaudato, perfettamente funzionante.

Passiamo ora all'altra piccola odissea. Le pratiche burocratiche di ingresso e uscita, a Mayotte, possono essere molto semplici, ma SOLO se si sa con esattezza cosa bisogna fare. Non è il nostro caso, purtroppo: venire a Mayotte non era in programma e Lilli pertanto non aveva acquisito in anticipo, come è solita fare, informazioni aggiornate. Su un portolano piuttosto datato troviamo informazioni generiche, “chiamare il Port Control, attendere la visita a bordo etc”. Lunedì 3 alle 8 del mattino cominciamo a chiamare via VHF: nessuna risposta. Dopo numerosi tentativi, Lilli ed io scendiamo a terra per recarci in Capitaneria. Altro buco nell'acqua. La sede, che raggiungiamo a piedi salendo la collina sulla destra della stazione dei traghetti, è deserta.
Prendiamo un taxi collettivo per andare in paese, a Labattoir, dove speriamo di poter comprare una sim card per il cellulare. Missione fallita: la compagnia SFR non vende sim prepagate, solo contratti con addebito sul conto corrente, presso l'altro gestore “Orange” c'è una fila infinita...
Ritorniamo in capitaneria: è aperta, ma c'è solo un signore che si occupa di sicurezza e non di pratiche di ingresso. Fa qualche telefonata e ci dice, alternando al francese qualche parola in inglese, che dobbiamo recarci prima all'ufficio Immigrazione presso l'aeroporto, poi da un certo Fred che si trova al piccolo marina sull'altra isola, Gran Terre, raggiungibile col traghetto.
Torniamo a bordo per prelevare Gianca, Angelo e Cristina e via con il taxi, tutti all'aereoporto.
Al banco delle informazioni ci dicono che per parlare con l'Immigrazione bisogna chiamare gli addetti con un telefono nero, che ci viene indicato. Chiamiamo e dopo pochi minuti un ufficiale, in divisa, viene a parlarci nella hall. Guarda i nostri passaporti e le altre carte, ma poi scuote la testa: “Mi spiace, non possiamo fare niente; non avete il modulo della Capitaneria.” “Ma come? – tentiamo di replicare – in Capitaneria ci hanno mandato qui e non ci hanno dato alcun modulo...” L'ufficiale è irremovibile: dobbiamo procurarci il modulo (di cui ci fornisce un fac-simile, usato da un'altra barca) e tornare. Alla nostra esplicita domanda, risponde che non occorre che andiamo tutti una seconda volta, è sufficiente portare il modulo e tutti i passaporti. Comincio ad essere un po' (tanto) nervoso: tre ore che giriamo, senza concludere nulla. A questo punto possiamo sperare solo di trovare il non meglio identificato Fred.
Ormai è ora di pranzo. Tornando verso la Gare Maritime di Dzaoudzi, ci fermiamo ad un piccolo ristorante, “La Pouz Noz”: buona carne, buon pesce e prezzi modici.
Proseguendo, a circa 300 metri dalla stazione dei traghetti, vediamo un piccolo Yacht Club, con qualche barca a terra, uno scivolo, alcune derive per i bambini. Entro per chiedere informazioni su dove acquistare l'olio idraulico, ma casualmente mi trovo a parlare anche del problema incontrato con le pratiche di ingresso. Il gestore del Club, Patrick, mi interrompe: “Ma ce l'ho io il documento da compilare! Lo fate timbrare dall'immigrazione, me lo riportate ed è tutto finito. L'Harbour Master viene qui ogni tanto a ritirare i documenti, non avete bisogno di andare voi a Gran Terre, se non quando farete l'uscita.” O cacchio, è davvero semplice, se lo sai!
Ormai è pomeriggio inoltrato, troppo tardi per tornare all'aeroporto. Decidiamo di prendere il traghetto per Gran Terre e tentare di recuperare la giornata acquistando almeno l'olio idraulico e la sim card. E finalmente ci riusciamo! E in più, visto che ci siamo, cerchiamo e troviamo anche il famigerato Fred: scopriamo che lui, oltre ad essere il gestore del locale Yacht Club, è anche l'Harbour Master che va a ritirare i documenti da Patrick. Si svela quindi l'arcano: il piccolo Yacht Club di Dzaoudzi (Patrick) fa le veci della Capitaneria, lo Yacht Club di Gran Terre, appena un po' più grande, (Fred) funge da Harbour Master. In quanto a dogana entrambi ci dicono “Potete fare a meno di andarci, tanto non ci sono mai!”.
Il giorno dopo, col prezioso modulo fornitoci da Patrick, Lilli Cristina ed Angelo tornano in aeroporto dall'ufficiale dell'immigrazione. Solita telefonata, solito colloquio nella hall, l'ufficiale prova a dire: “Ma siete in cinque a bordo, vi devo vedere tutti quanti!”. Lilli fra un po' se lo mangia, Cristina adotta un approccio più diplomatico, e comunque alla fine ottengono l'agognato timbro. Un veloce passaggio da Patrick (che nel frattempo è andato in vacanza, ma è sostituito da un altro cortese signore) per consegnare il modulo, e così, in "sole" 48 ore, il check-in è completato.
PS. A proposito della dogana abbiamo saputo da Leslie e Phil di Paseafique (che si sono fermati qui a Mayotte qualche giorno nella loro rotta dal Madagascar alla Tanzania) che in aeroporto hanno ottenuto anche il timbro della dogana. Vedremo di riuscirci anche noi, quando faremo l'uscita. 


sabato 8 settembre 2018

CAMBIO PROGRAMMA: ANDIAMO A MAYOTTE!


Un cambio di programma può essere positivo se motivato da nuove, impreviste e piacevoli opportunità. Al contrario, quando è dettato da cause di forza maggiore, è piuttosto difficile da digerire...
Dopo la partenza da Baly Bay abbiamo navigato a vela per qualche ora. Verso mezzogiorno il vento è calato ed abbiamo acceso il motore, a 1500 giri/minuto. Subito avvertiamo una strana vibrazione, che si annulla portando il regime di giri a 1600.
Ne cerchiamo la causa e scopriamo che l'invertitore è senza olio. Come è possibile? Credo di averlo controllato l'ultima volta due mesi fa.
Aggiugo circa 2 litri di olio idraulico ATF, tutto quello che ho di scorta. L'invertitore può contenerne al massimo 2,7; fatto il rabbocco, l'astina si posiziona sotto il minimo.
Già un po' preoccupati riprendiamo a motore. Dopo un'ora ricontrolliamo il livello: l'olio da rosso è diventato biancastro, segno che si è mescolato con l'acqua, ed il livello si è abbassato drasticamente. Oltre metà di quello introdotto appena un'ora prima si è ... volatilizzato!
Chiamo al VHF Island Pearl, barca gemella che naviga con noi verso il Sudafrica e che si trova circa 5 miglia più a sud. Spiego a Colin l'accaduto, gli chiedo se ha dell'olio idraulico. “Sì, dovrei averne, verifico subito e ti richiamo. Però, se il tuo inconveniente è uguale a quello che ho avuto io, cioè la foratura dello scambiatore, aggiungere olio non serve a niente: tu lo metti e quello se ne va in mare attraverso lo scarico del motore. Se fossi in te tornerei a Nosy Be per sostituire lo scambiatore”.
Non ci voglio credere, ma non posso che prendere atto della situazione: anche con una buona scorta d'olio, se metà di quello che introduco scompare in mezz'ora di motore non posso certo rischiare di proseguire. Il motore è indispensabile per manovrare tra le secche di Bazaruto, che dovrebbe essere il primo atterraggio dopo l'attraversamento del canale di Mozambico, per non parlare poi dei tempi stretti e contingentati delle tappe successive.
Studio velocemente sulle carte nautiche le possibili alternative: Nosy Be è a 270 miglia, con un bel tratto contro vento; Mayotte è 200 miglia a nord. Potendo contare solo sulle vele, la scelta ricade necessariamente su Mayotte, più facile da raggiungere, e forse anche più comoda per far arrivare ricambi dall'Europa, visto che è Territorio Francese d'Oltremare.
Colin richiama al VHF: ha a bordo tre litri scarsi di olio, che ci cede volentieri. Concordiamo di convergere le nostre rotte: alle 18 siamo vicini alla poppa di Island Pearl. C'è più di 1 metro di onda e accostare potrebbe essere pericoloso; Colin cala in acqua la tanichetta dell'olio legata ad un contenitore stagno, che funge da boetta galleggiante. La agguantiamo con il mezzo marinaio e il gioco è fatto.
Ringraziamenti e saluti da una barca all'altra, poi ognuna riprende la sua rotta: loro proseguono per ovest, mentre noi mettiamo la prua su Mayotte, 12°. Peccato, era una buona finestra per arrivare a Bazaruto....
Navighiamo per più di 24 ore con un bel vento prima da ovest, poi da est, che prendiamo al traverso.
Con Lilli studiamo sui portolani l'atterraggio di Mayotte: l'isola è contornata da un reef che la circonda quasi completamente, la laguna tra il reef e Gran Terre (così viene chiamata l'isola principale) è navigabile; ci sono due pass segnalate con beacon luminosi, una a SE, usata dalle imbarcazioni più piccole, l'altra a NE, usata dalle navi; dobbiamo tener conto della marea che provoca correnti di flusso e reflusso con intensità fino a 2-3 nodi.
Alle 20 di sabato 1° settembre mancano 30 miglia a Mayotte: il vento cala di brutto, abbiamo solo 3 nodi in poppa e viaggiamo a 1,5-2 nodi con il favore della corrente. Teniamo duro nonostante l'onda faccia schioccare le vele e vibrare l'attrezzatura, rendendo penosa l'attesa; finalmente, verso mezzanotte, il vento riprende da SE.
C'è da scegliere la via di accesso.
Ipotesi uno: pass di SE (Passe de Brandele), dove dovremmo arrivare verso le 4.00 del mattino; la minima di marea è alle 1.45, la massima alle 7.45; avremmo quindi corrente entrante, a favore, e poi 8 miglia da percorrere in laguna prima di arrivare all'ancoraggio. Il tutto nel buio, perchè la luna è solo mezza e il cielo un po' nuvoloso. Ipotesi due: pass di NE, che si trova 20 miglia più a nord; vi arriveremmo con la luce, ma con la marea calante e quindi con corrente uscente; inoltre dalla passe all'ancoraggio avremmo il vento contro per altre 15 miglia. Un'alternativa che, senza motore, è impraticabile.
Quindi la decisione è presa: pass di SE, atterraggio notturno.
Rallentiamo un po' avanzando con solo randa ridotta, ed arriviamo in prossimità della pass Brandele alle 5.00. Le luci sul reef, rosso a sinistra e verde a destra, si distinguono bene a 3 miglia; c'è una luce rossa di allineameno 292° sulla montagna. Entriamo nella pass con il vento in poppa, randa aperta, per sicurezza accendo il motore e metto in marcia a 1000 giri. In soli 10 minuti siamo dentro: spengo il motore e proseguiamo a vela fino all'ancoraggio a nord della piccola isola Dzaoudzi.
C'è un campo boe piuttosto esteso, ma i gavitelli sono tutti occupati dalle numerose barche presenti. Riaccendo il motore per altri 15 minuti, il tempo necessario per trovare un punto in cui essere liberi di stare alla ruota ed ancorare su 17-18 metri di sabbia/fango (12°46.788'S 45°15.603'E).
Sono le 7.00 di domenica 2 settembre quando spengo il motore e finalmente mi posso rilassare.
Siamo arrivati a destinazione facendo solo mezz'ora di motore e sopprattutto siamo riusciti a non provocare danni irreparabili all'invertitore. Nella sfiga, è andato tutto bene.