lunedì 25 aprile 2022

Bahamas: Exuma Cays Land and Sea Park

Dall’ancoraggio di Big Galliot Cay visitiamo con il dinghy l’isola vicina, Cave Cay, un’isola privata dotata di pista d’atterraggio per piccoli aerei e di un vero marina super protetto, a cui possono accedere però solo barche con pescaggio ridotto, max 1 metro e mezzo. Al ritorno da questa escursione (circa 3 miglia tra andata e ritorno) troviamo un po’ d’onda e grazie al vento al traverso rientriamo su Refola bagnati come pulcini.


Venerdì 15 aprile salpiamo alle 8.10 in marea crescente, sulla pass troviamo piccole e aguzze onde stazionarie; appena fuori ci mettiamo in rotta 325° e spieghiamo le vele.

Il vento sui 15-17 nodi al gran lasco ci consente una velocità di 6-7 nodi, alle 11.20 entriamo nella pass di Staniel Cay e attraverso un tortuoso percorso irto di scogli e bassi fondali, che affrontiamo con estrema cautela, giungiamo ad un ampio spazio senza onda ma con un forte giro di corrente dove sono posizionate 4 boe di ormeggio. Ne prendiamo una: cime e redance sembrano in ottimo stato (24°10.808’N 76°26.761’W). Siamo di fronte ad un’alta antenna per le comunicazioni, quindi segnale forte assicurato, e molto vicini alla principale attrazione del luogo: la grotta marina dove furono girato parecchie scene famose del film “007 Thunderball”. 

Staniel Cay ha una forte vocazione turistica: c’è uno Yacht Club molto frequentato, un piccolo marina che offre anche bungalows e camere, una pista di atterraggio per piccoli aerei, con parecchi voli giornalieri. Non ci sono automobili, ma solo (poche) mini-car elettriche. Nel complesso tutto gradevole, anche grazie alle piccole dimensioni.

A differenza di Lilli ed Angelo, Cristina ed io non ci facciamo mancare la nuotata nella grotta di Thunderball, che qui chiamiano “il grotto”. Nella bassa marea, quando la corrente è più debole, l’isolotto del “grotto” può essere attraversato a nuoto iniziando dall’accesso sul lato ovest fino ad uscire sul lato est: bei coralli e tripudio di pesci coloratissimi.




Confortati da una connessione eccellente, passiamo a Staniel Cay tre giorni; ci concediamo un aperitivo serale al bar dello Yacht Club ed ammiriamo una quantità di grossi squali aggirarsi tra le barche.



Il mattino del 18 aprile (lunedì di Pasqua), quando eravamo pronti a mollare gli ormeggi, puntuale come una cambiale arriva un giovane dal volto sorridente: deve riscuotere la tariffa della boa, 20 US$/notte. Dopo un primo moto di delusione (ci eravamo illusi che fosse gratuita), volentieri versiamo l’obolo dei 60 US$, dal momento che nel frattempo avevamo appreso che le boe gestite dal Marina costano 50 US$ a notte; ma poi, vedendo il ragazzotto allontanarsi velocemente senza accostare le altre barche sulle boe vicine, pensiamo: “Però, che tempismo… se veniva due minuti dopo eravamo già liberi!” e a seguire: “ma sarà stato veramente l’omino delle boe? Era così sorridente, neanche una ricevuta…”.

Vabbè, lasciamo perdere. Partiamo alle 9.20 diretti a O’Briens Cay, a 13 miglia, primo sito che fa parte del parco naturale delle isole Exuma – Exuma Cays Land and Sea Park; alle 11.35 prendiamo una boa libera su un fondo sabbioso di 4-5 metri (24°19.378’N 76°33.447’W).

Nel pomeriggio col dinghy visitiamo il vicino “Coral Garden”, di cui ci aveva parlato l’amico Luciano Raspolini: bel corallo e pesci colorati. A poca distanza andiamo a vedere pure il sito di un relitto, segnalato con una boa, di un piccolo aereo caduto.




Il giorno seguente, martedì 19 aprile, ci spostiamo di circa 11 miglia fino a Warderick Wells Cay, quartier generale dell’Exuma Park. Prima di arrivare prenotiamo via VHF una boa, visto nel canale non è possibile ancorare e secondo le previsioni nei prossimi giorni ci sarà vento forte.

Il canale ha una forma quasi circolare, vi si accede attraverso una coppia di boe rosso-verde, 3 boe sono all’esterno, mentre una ventina sono dopo il “cancello”; sono tutte dotate di galleggianti e grossi cavi, in ottimo stato di manutenzione. A terra una spiaggetta con lettini in plastica a disposizione dei visitatori e due grandi costruzioni in legno: una, sovrastante il pontile per i dinghy, ospita l’ufficio del Park (che vende anche alcuni articoli da regalo estremamente costosi) e un magazzino attrezzato per la manutenzione delle boe; l’altra, distante circa 100 metri, è riservata all’alloggio del personale del parco.



Anche qui passiamo 3 giorni. La boa ci costa 50 US$/notte, non c’è traccia di segnale telefonico. Solo in cambio di 6 birre otteniamo da un guardiano la password di una rete locale, che però è disponibile solo in prossimità dell’ufficio e non dalla barca… comunque sempre meglio di niente.

Venerdì 22, alle 9.35, lasciamo Warderick Wells Cay per raggiungere Shroud Cay, a 18 miglia, ultima tappa dell’Exuma Park; questa volta però invece che uscire in oceano navighiamo nel percorso interno alla barriera, praticamente senza onda, con un vento fresco sui 20-25 nodi che prendiamo al traverso e ci fa volare alla meta. Alle 12.20 diamo ancora ad ovest dell’isola, su un fondale di sabbia di 4-5 metri (24°31.433’N 76°48.106’W).

Ci sono molte barche. C’è anche un campo boe con alcuni posti liberi, ma vediamo sulla carta che per raggiungerle bisogna superare alcuni fondali limitati, tra 1,8 e 2,0 metri: noi preferiamo andare sul sicuro e ci fermiamo prima.

Il giorno seguente con il dinghy facciamo un’escursione in una sorta di palude interna, dove si può entrare solo con l’alta marea. “Palude” non rende la bellezza del luogo, ricco di mangrovie e con acqua super trasparente; più volte dobbiamo sollevare il motore, scendere dal gommone e trainarlo nell’acqua bassa. Un paesaggio straordinario ed immobile, a pochi metri dall’oceano ruggente.

sabato 16 aprile 2022

Dalle Isole Vergini Britanniche alle Bahamas

 La navigazione dalle Vergini Britanniche, Jost Van Dyke, fino alla Repubblica Dominicana è molto piacevole: vento al gran lasco, all’inizio con raffiche a 20 nodi, che poi il giorno seguente cala mediamente tra 8 e 14 nodi. Navigando sempre a vela arriviamo al Marina di Puerto Bahia alle 11.30 di domenica 27 marzo (19°11.678’N 69°21.339’W).

Il Marina di Puerto Bahia è una struttura moderna che integra un grande resort, due piscine e due ristoranti, oltre a un piccolo supermarket. Per la comodità dei naviganti (al momento non ci sono più di 10 barche) ospita pure gli uffici di immigrazione, custom e capitaneria. I prezzi, naturalmente, sono adeguati a tanto lusso...

Un gentile signore che lavora al Marina ci noleggia la sua auto per 65 US$; ne approfittiamo per fare un giro turistico nella penisola di Samanà, estremità nord orientale della Repubblica Dominicana. Il traffico è abbastanza caotico e le strade non sono in ottime condizioni, con un sacco di buche e lunghi tratti non asfaltati, senza contare i numerosi dossi finalizzati a ridurre la velocità dei numerosi veicoli in circolazione. Visitiamo un paio di lunghe spiagge affacciate sull’Atlantico.

Pranziamo in un bellissimo ristorante stile “open space”: senza pareti verticali, con un altissimo tetto di legno sorretto da possenti colonne intarsiate, a due passi dall’oceano. Cibo buono, prezzo super accettabile. 


Non perdiamo l’occasione per un rabbocco alla cambusa e completiamo il giro a Sanchez, centro famoso per i camarones (gamberi). Ne acquistiamo 1 chilo per la cena e rientriamo in barca prima del buio.

Mercoledì 30 marzo alle 12.00 lasciamo Puerto Bahia per una tappa di 120 miglia fino all’Ocean World Marina, sulla costa settentrionale della Repubblica Dominicana. Dobbiamo aggirare in senso antiorario la penisola di Samanà: un lungo tratto che siamo costretti a percorrere a motore, con il vento da E-NE dritto sul naso. Quando modifichiamo la rotta per NW, con il vento che rimane costante da E-NE, possiamo procedere a vela, un po’ disturbati per tutta la notte dall’onda di 2-3 metri al giardinetto.

Alle 11 del mattino di giovedì 31, con il vento per l’occasione aumentato a 18-22 nodi, imbocchiamo il canale di accesso all’Ocean World Marina, segnalato da boe rosse e verdi (le rosse da lasciare a dritta), che presenta alla fine una stretta curva a gomito a sinistra. Una volta dentro, si è riparati dall’onda che frange incessante sull’alta muraglia del frangiflutti. Anche qui pochissime barche, meno ancora che a Puerto Bahia, e anche qui siamo all’interno di un ampio complesso turistico con alberghi, parco acquatico, piscine e ristoranti.

Noleggiamo un’auto per fare la spesa in città a Puerto Plata e per ricaricare la bombola del gas, operazione questa che si rivela alquanto complicata: dobbiamo cambiare l’attacco della bombola e sostituire il riduttore di pressione. In un negozio che vende ogni genere di merce troviamo modo di fare tutto e ce la caviamo con una spesa complessiva di 36 US$. Visitiamo il centro storico di Puerto Plata, carino ed accogliente, con case coloniali e piccole viuzze. Pranziamo a Casa 40, un bistrò gestito da giovani professionali e preparati e paghiamo 12 € a testa per 4 piatti originali comprese le bevande.


Fissiamo la partenza per sabato 2 aprile: la destinazione è Grand Turk, capoluogo dell’arcipelago Turk appartenente alla nazione insulare di Turks & Caicos. Il personale dell’Ocean World Marina ci avvisa della necessità di fare un tampone, senza aggiungere altre incombenze. Noi eseguiamo (65 US$ a testa) ed alle 15.00 molliamo gli ormeggi.

Navighiamo veloci con vento al traverso e onda sui 2-3 metri; riduciamo la velatura per non arrivare di notte. Alle 9.00 del mattino di domenica 3 aprile caliamo l’ancora davanti al vecchio molo di Gran Turk (21°26.085N 71°09.066’W).

Messo in acqua il dinghy, Lilli ed io ci rechiamo a terra per le consuete pratiche d’ingresso, ma ci attende un’amara sorpresa. L’addetto della dogana ci chiede come prima cosa se abbiamo fatto la pratica on-line per il permesso sanitario. “No – rispondiamo – ma abbiamo fatto il test ed è negativo!”. “Mi dispiace – dice lui – tornate in barca e richiedete il permesso on-line. Quando lo otterrete, e potrebbero volerci due giorni, tornate qui. Nel frattempo, non potete scendere a terra.” Siamo avviliti e frustrati: siamo senza connessione perché non abbiamo una sim card locale, e non possiamo procurarcela perché ci è proibito muoverci a terra. Rientriamo in barca e a malincuore prendiamo la decisione: rinunciamo alla sosta nelle Turks & Caicos e ci dirigiamo immediatamente al più vicino porto d’ingresso delle Bahamas, Mayaguana, dove speriamo di arrivare prima che scada la validità del tampone fatto in Repubblica Dominicana.

Una notte di riposo e lunedì 4 aprile alle 13.30 ripartiamo per la nuova tappa di 126 miglia. Arriviamo dopo 24 ore, il 5 aprile, ad Abraham’s Bay, sul versante meridionale di Mayaguana. È una vasta area (4,5 x 1,6 miglia) che di “baia” ha solo di nome, visto che è delimitata su due lati da una lunga barriera corallina. Entriamo dalla pass di SW, che offre fondali più generosi, navighiamo a vista su profondità ridotte per circa 1 miglio ed ancoriamo su un fondale sabbioso di circa 4 metri (22°19.913’N 73°01.551W).

È già ora di pranzo ma non possiamo rimandare le pratiche di ingresso perché la scadenza del nostro tampone è proprio il 5 aprile. Lilli ed io ci armiamo di coraggio e ci rechiamo a terra col dinghy. Il motore fuoribordo, nominalmente di 9,8 CV, per problemi di carburazione ne produce realmente solo 2. Impieghiamo un’ora per percorrere le 3,5 miglia e raggiungere l’agognato molo, cui si accede attraverso un angusto passaggio malamente segnalato da minuscoli paletti (che infatti noi manchiamo di scorgere). A seguire, una bella camminata di 20 minuti per trovare gli uffici governativi. Arriviamo che è quasi orario di chiusura, l’ufficio è pieno di persone che sono qui dal mattino; dopo qualche quarto d’ora d’attesa ci viene detto di tornare il mattino successivo alle ore 9. Rassegnati, ci avviamo verso il dinghy subendo un’ulteriore delusione: il negozietto che dovrebbe vendere le sim card, in contrasto con gli orari di apertura indicati, è superchiuso. Quando riusciamo a tornare in barca Lilli per la gioia bacia la tuga di Refola.

La mattina dopo, il 6 aprile alle 7.40, l’avventura ricomincia. Questa volta siamo attrezzati con borsa stagna e cerate antispruzzo, e ovviamente non sbagliamo l’imbocco del canale per il molo. Tutto bene quindi? No. Raggiunto l’ufficio governativo, un’altra doccia fredda: le pratiche sono ferme perché internet non funziona in tutta l’isola, non si sa quando verrà ripristinata la linea.

Attendiamo pazienti facendo nel frattempo amicizia con la gentile signora che ci segue, da noi soprannominata Yellow Lady. Mentre Lilli non molla la postazione io vado al negozio della compagnia telefonica BCT (aperto solo al mattino) e compro 2 sim card, una per noi e l’altra per Angelo e Cristina. In sole 5 ore riusciamo ad ottenere il permesso di navigazione ed i timbri di ingresso sui passaporti. Felici come pasque affrontiamo la “traversata” col nostro dinghy-tartaruga ed alle 15.15 siamo in barca, distrutti dalla fatica ma soddisfatti.

Finalmente ristabiliti i contatti col mondo, sentiamo Luciano Raspolini, un amico trentino che sta navigando alle Bahamas; concordiamo di incontrarci entro sabato a George Town sull’Exuma Sound, prima che arrivi il vento da nord.

Giovedì 7 aprile affrontiamo una tappa di 154 miglia fino a Conception Island: partiamo alle 9.50 con vento in poppa piena sui 15-20 nodi; un’altra navigazione notturna e arriviamo l’indomani, venerdì 8 aprile, alle 12.00.

Mettiamo l’ancora sulla baia ad W dell’isola, su un fondale di 8 metri di sabbia, acqua trasparente e pulita con una visibilità eccezionale (23°50.946’N 75°07.417’W).

Ci sono un’altra decina di barche, ma la baia è molto grande perciò c’è molto spazio; facciamo un bagno tonificante (l’acqua non è caldissima), vediamo un paio di razze sul fondo muoversi sospettose, ci gustiamo il tramonto a ovest con un corposo gin-tonic.

Sabato 9 aprile ci spostiamo di 42 miglia a SW; partiamo all’alba per arrivare con una buona luce; all’inizio il vento che prendiamo al traverso, ancorché debole, ci permette di procedere a vela con una buona media sui 6 nodi, poi verso metà percorso ci gira in prua e dobbiamo accendere il motore. Alle 13 affrontiamo la pass di ingresso all’Exuma Sound seguendo la rotta indicata dalla cartografia Navionics che vediamo sul plotter esterno. Proseguiamo fino alla zona di ancoraggio di cui Luciano ci ha inviato le coordinate; alle 14.10 caliamo l’ancora a fianco del Westerly Petrel Blue di Luciano, su un fondale di 4 metri di sabbia finissima, ottima tenitrice (23°30.801’N 75°44.998’W).

Nel frattempo il vento è rinforzato da NW a 20-25 nodi, ma l’ancoraggio con 40 metri di catena tiene bene. Luciano viene a trovarci e ci regala mille suggerimenti ed utili informazioni: avendo trascorso qui 3 stagioni, conosce le Bahamas come le sue tasche. Lo invitiamo a cena con il suo compagno di viaggio per il giorno successivo.  Una serata allegra e piacevole.

Lunedì salutiamo Petrel Blue: Luciano passerà da Cuba per poi terminare la stagione in Guatemala; noi invece ci tratteniamo ancora un paio di giorni in attesa che il vento cali e giri ad est.

Salpiamo mercoledì 13 aprile per una tappa di 40 miglia fino a Big Galliot Cay: sveglia prima dell’alba, consueta abbondante colazione, ed alle 7.00 tiriamo su l’ancora e percorriamo verso NW il lungo canale che ci porta in mare aperto, alle 8.00 siamo fuori e mettiamo vela.

Vento da est al giardinetto sui 15-20 nodi e mare sui 2-3 metri ci procurano un rollio rilevante e fastidioso, che l’equipaggio di Refola regge stoicamente. Alle 12.30 siamo davanti alla pass, che la cartografia Navionics indica soggetta a forti correnti; la affrontiamo con rotta 220° ed in effetti troviamo una corrente a favore di circa 2-3 nodi; aggiriamo, lasciandolo a dritta, un piccolo isolotto e dopo un’ampia perlustrazione del fondale ancoriamo su un fondo di sabbia dura sui 6-7 metri (23°55.317’N 76°17.326’W).


Il posto è suggestivo, i colori dell’acqua stupendi. Nei: 1) il vento non ci molla mai, mentre una volta ancorati si preferirebbe un po’ di quiete; 2) il mare sembra deserto: a parte una tartaruga gigante, non vediamo un pesce neanche col binocolo. Ma non ci lamentiamo…