lunedì 29 aprile 2019

DALLA NAMIBIA A SANT'ELENA

Partiamo da Walvis Bay il 16 aprile alle 9. Il cielo come al solito è grigio, non c'è vento e la nebbia comincia pian piano a diradarsi.
Credevamo di trovare il vento appena fuori dalla baia, invece dobbiamo fare circa 25 miglia prima di avere un leggero SW al traverso, che via via rinforza fino a 15-18 nodi.
Il mare è formato con un'onda da sud sui 3 metri, con periodo 7-8 secondi. Si rolla molto.
Uscendo dalla baia atttraversiamo un banco di meduse (rosse e brufolose, le più brutte mai viste) e quando spengo il motore, controllando il filtro dell'acqua di mare, ne trovo un bel po' imprigionate nel filtro e nel tubo di aspirazione. Devo faticare un bel po' per liberare completamente il condotto ed il filtro da questa massa gelatinosa.
Poco dopo, un altro problema: quando ho acceso il dissalatore, probabilmente per eccesso di pressione, è andato in allarme. Anche spegnendo e riaccendendo, resta in posizione di allarme. Provo a scollegare il pressostato e il dissalatore riprende a funzionare, senza il controllo sulla pressione, però; quando arriverò a Sant'Elena dovrò nuovamente sentire al telefono il dealer Philippe per chiedere lumi.
La tegola più grossa arriva con il buio: le batterie non tengono la carica, dopo circa 2 ore dall'ultima ricarica sono sotto i 25 V, la soglia che mi ero ripromesso di mantenere prima di ricaricarle. È un grosso problema.
Controllo la tensione delle batterie ad una ad una: ne trovo una molto più scarica delle altre. La ricarico  singolarmente con il motore, ma una volta ricollegata al circuito torna ad abbassarsi velocemente. A questo punto provvedo ad isolare la coppia. In successivi controlli rilevo altre due coppie un po' sbilanciate; le ricarico anch'esse nello stesso modo e modifico la loro posizione.
Di giorno i pannelli solari aiutano a stabilizzare lo stato di carica delle batterie, ma dopo il tramonto, con tutti i carichi collegati, le batterie vanno a terra in un'ora. La cosa è preoccupante: decido di ridurre al minimo i consumi.  Appena spento il generatore escludiamo due frigoriferi, il radar-plotter ed il VHF. In questo modo otteniamo che la carica duri almeno 2 ore, dopodiché è necessario riaccendere il generatore.
Oltre a preoccuparmi, questo inconveniente sulle batterie mi innervosisce alquanto: hanno meno di due anni vita, sono sempre stato attento a farle lavorare ben cariche, non hanno preso surriscaldamenti e tutto ad un tratto... si rifiutano di lavorare come si deve. Forse le ho abituate troppo bene?
Scherzi a parte, il viaggio davanti a noi è ancora lungo: per raggiungere Sant'Elena e poi il Brasile abbiamo da navigare circa 3.000 miglia, senza possibilità di aiuti esterni!
La navigazione nel frattempo prosegue, sempre col vento in poppa: per i primi due giorni sui 12-15 nodi, e poi sui 16-20. Giocoforza ci siamo abituati al rollio e riusciamo a riposare abbastanza. Tra sabato 20 e domenica 21 il vento rinforza a 20-25 nodi, e di conseguenza anche il mare si alza, con un'onda incrociata da SE a sud.
L'ultimo giorno di navigazione, martedì 23 aprile, il vento cala e gira ad ESE, in fil di ruota; tangoniamo il genoa e procediamo a farfalla, con un'onda che ci fa planare a 9-10 nodi.
Finalmente avvistiamo Sant'Elena, un grosso scoglio in mezzo all'oceano con coste alte e ripide, quasi verticali sul mare: imposibile non pensare a Napoleone e a cosa abbia potuto provare scorgendo da lontano quella che doveva essere l'ultima destinazione della sua vita.

A una quindicina di miglia dall'isola contattiamo via VHF canale 16 Sant'Elena Radio; una voce molto formale, dopo averci chiesto le informazioni di rito, ci fa da tramite con il Port Control, che dovremo chiamare un miglio prima dell'arrivo a James Bay, dove potremo ormeggiare nel campo boe.
Nell'ultimo  tratto, costeggiando il lato NE di Sant'Elena, siamo circondati da grossi delfini che si esibiscono in spettacolari capriole.
Alle 19.15, ora di Namibia e di bordo, 17.15 ora locale, prendiamo una delle 5 boe rosse di James Bay, tutte libere (15°55.485 S 5°43.494'W). Altre 6-7 barche sono ormeggiate alle boe gialle.

Le boe vengono assegnate dal Port Control: quelle gialle sono per barche fino a 50 piedi e 20 tonnellate, quelle rosse per barche più grandi; sono piatte e basse sull'acqua (una ventina di centimetri dalla superficie), di forma cilindrica, diametro circa 1 metro, con un grosso anello a cui fissare le cime. Il problema è che l'anello è appoggiato sulla boa, già bassa, ed è pertanto alquanto difficile da prendere dalla prua della barca. Per fortuna c'è poco vento, o meglio solo qualche raffica che scende dalla ripida parete rocciosa che ci sovrasta, e riusciamo da poppa ad agganciarci all'anello e a portare la boa a prua. Poco più tardi arriva James, il gestore del locale “Yacht Club”, che ci passa le cime a doppino e rimuove il gancio che avevamo usato inizialmente, evitandoci di calare in acqua il dinghy. Una procedura un po' indaginosa, ma alla fine conclusa con successo.
Il giorno seguente andiamo a terra per fare le pratiche di ingresso; su Noonsite abbiamo letto che è sconsigliabile usare il dinghy a causa della forte risacca: c'è infatti un servizio di taxi-boat, che una volta all'ora e su richiesta via VHF (canale 16) preleva gli equipaggi dalle barche. 2 sterline a testa A/R, che non si pagano subito: il tassista prende nota delle corse effettuate per ogni barca e ciascuna paga il suo conto alla fine, prima di partire.
Le pratiche sono semplici e veloci: per primo il Port Control, poi la Dogana (uno accanto all'altra in un edificio bianco, molto inglese, a pochi passi dal molo), e per ultima l'Immigrazione, che invece è verso l'interno dell'isola, quasi alla fine del paese. Tasse di ingresso e stazionamento: 20 sterline a testa per l'immigrazione (sarebbe gratuito solo restando non più di 72 ore), a cui andranno aggiunti il costo della boa (2 £ al giorno), altre 43 £ di tasse portuali, e ovviamenti il servizio di taxi-boat. N.B.: all'ufficio immigrazione ci è stato richiesto di mostrare la nostra polizza assicurativa sanitaria, necessaria per registrare l'ingresso.
A Sant'Elena non ci sono ATM, ma nell'unica banca presente, con carta di credito e documento d'identità si possono prelevare a scelta sterline inglesi o sterline locali (questo scoglio emette una propria valuta, utilizzabile solo qui e nella ancora più piccola isola di Ascension), con una commissione del 5%.
Jamestown, la “capitale”, è in realtà un villaggio in tipico stile inglese che si affaccia sul mare per un paio di centinaia di metri per estendersi verso l'interno lungo una strettissima valle sormontata da rilievi rocciosi.
In tutta l'isola abitano 4.600 persone, in giro molte automobili dall'aspetto un po' antico, molti anziani, pochi giovani. 

Ci sono ovviamente pochi negozi; i prezzi sono in genere molto alti, spesso il doppio rispetto all'Italia. D'altra parte, quasi tutto proviene dall'estero: una volta ogni 4-6 settimane arriva una nave ed al molo c'è un gran movimento per scaricare i container, sdoganare la merce e rifornire i vari negozi.
Come sempre, dopo le pratiche burocratiche, la nostra priorità è connetterci a internet. E qui sono dolori: le connessioni sono complicate e costose; per qualche motivo solo i residenti possono acquistare SIM card locali con traffico dati, come eravamo abituati a fare negli altri paesi. Per gli stranieri sono disponibili solo  connessioni WIFI in alcuni bar/alberghi che ne dispongono: 6,60 £/ora, utilizzabili solo nel locale dove l'hai acquistata. Impossibile telefonare via WhatsApp, Messanger et similia.
Come gli altri navigatori scegliamo come base il ristorante Anne's Place, carino e vicino al molo; si mangia davvero male, ma per bere una birra e per connetterci ad internet è accettabile.
Giovedi 25 facciamo rifornimento di gasolio: la ditta Solomon, che ha un uffico sul molo, lo consegna a bordo con una barca dotata di pompa, al prezzo di 1,38 £/litro (al distributore costa 1,41).
Ritroviamo a James Bay equipaggi già conosciuti: i giovani Max e Tania di Reunion, che avevamo conosciuto l'anno scorso alle Seychelles, il mitico Dustin, navigatore solitario senza un braccio e una gamba incontrato alle Chagos, due coppie una francese e una tedesca che erano con noi a Luderitz. Per soli due giorni manchiamo di ritrovare Annie ed Alan di Kiwi Dream, e ne siamo molto dispiaciuti.
Per sabato 27 avevamo prenotato alla pensione Blue Lantern il noleggio di un'auto (20 sterline), per fare il giro dell'isola e visitare le cose più interessanti. Scesi a terra di buon'ora scopriamo che l'auto non c'è, doveva essere riconsegnata venerdì sera ma non è rientrata; il gestore si limita a qualche parola di circostanza e ci liquida frettolosamente rinviandoci all'ufficio turistico, dove forse possono procurarci qualcosa.
Leggermente contrariati ci rechiamo all'ufficio turistico, che troviamo chiuso; siamo vicini all'incazzatura quando arriva una gentile signorina che fa per noi 5 o 6 telefonate: niente da fare, non si trovano né auto da noleggiare, né taxi. Ci propone di tornare l'indomani, tenterà nuovamente di aiutarci.
Sconsolati ci sediamo su una panchina davanti all'ufficio turistico meditando sul da farsi.
Si avvicina un  anziano e distinto signore: “Siete voi che cercate un taxi per girare l'isola? Io vi posso accompagnare oggi”. Paese piccolo, tutti sanno tutto. Increduli chiediamo la tariffa. “60 sterline, per 3-4 ore”. Combiniamo per 50 e saliamo su una vecchia Rover anni '60, tipo coupè.
La nostra guida è un simpatico 75/80enne, nato a Sant'Elena da famiglia inglese trapiantata qui; persona colta e riservata, ci porta a vedere la tomba e la casa di Napoleone, entrambe chiuse al pubblico nel fine settimana, poi la residenza del governatore inglese, nel cui giardino abitano tre tartarughe di terra secolari, la foresta Millennium con la vista dell'aeroporto ed infine la sommità di Jacob's Ladder, la lunga e ripidissima scalinata (699 gradini, troppi per noi ma non per Dustin che li ha fatti tutti con la sua gamba artificiale!) che da Jamestown porta sulla collina rocciosa, e da cui si gode una bella vista sul  villaggio, e su Refola.





Alle 12.00 siamo già di ritorno; certamente muovendoci autonomamente avremo fatto di più e con più calma, ma non c'è stata scelta.
Determinati a non mangiare nuovamente schifezze da Anne's Place, rientriamo in barca e pranziamo come Dio e il nostro fine palato italiano comandano.
Dedico il pomeriggio a testare le batterie: collegando ai morsetti una lampada da 25 W, corrente assorbita 2 A, misuro a ciascuna delle 12 il tempo di scarica. Ebbene, in 10 minuti la tensione scende di 0,2-0,4 V; tutte le batterie presentano questo andamento, e ciò mi conferma che con tutti i carichi inseriti in navigazione notturna l'assorbimento medio è sugli 8-9 A e la durata della carica di circa 60 minuti; dimezzando l'assorbimento, come stiamo facendo, la carica dura circa 2 ore.
Nei giorni precedenti avevamo chiesto in giro per Jamestown se vendevano batterie per servizi, più per curiosità che per reale volontà di acquistarle, ma nessuno ha questo tipo di batterie. Abbiamo inviato mail  ad esperti, chiedendo se sono da buttare o sono recuperabili, e quanto possono durare in questo stato, ma nessuno ci dà certezze; ora stiamo aspettando una risposta anche da chi ce le ha vendute.
Impossibilitati a fare/trovare altro, non ci resta che partire. Viste le condizioni, abbandoniamo l'idea originaria di fare tappa ad Ascension; metteremo la prua direttamente su Cabedelo, in Brasile: circa 1.800 miglia, 14 giorni di navigazione. La speranza è di arrivarvi almeno in queste condizioni, senza ulteriori peggioramenti.
Dunque tutto è deciso: lunedì 29 faremo le pratiche di uscita e martedì 30 aprile molleremo l'ormeggio. Good luck, Refola, fai la brava come sempre.

lunedì 15 aprile 2019

WALVIS BAY


La navigazione da Luderitz a Walvis Bay, per la prima volta in questa stagione, si svolge tranquilla: venti al massimo sui 18 nodi, ma mediamente sui 12-14 nodi, onda massima da 2 a 2,5 metri. Unico neo: pesca fallimentare, una grossa preda ha abboccato all’amo, ma in breve si è portata via l’esca e una buona dose di filo. Peccato!
Al mattino la visibilità si riduce di molto, non più di 400-500 metri, per poi migliorare verso mezzogiorno a 2-3 miglia, quando il sole è alto. Fa sempre freddo; dormiamo sotto 3 coperte ed escluse le ore centrali della giornata, dalle 11 alle 15, teniamo chiuso il pozzetto con la capottina verticale.
I delfini ci accompagnano per lunghi tratti. La seconda ed ultima serata, nel buio pesto, sono di turno dalle 21 alle 23: le onde sono fluorescenti per effetto del plancton; per un po’ mi godo lo spettacolo ma poi la fluorescenza dell’acqua comincia a sembrarmi un po' eccessiva, “ci sono al massimo 18 nodi di vento, come possono essere le onde così grosse e veloci?” Guardo con più attenzione e vedo che le striature bianche tutt’intorno alla barca, non sono onde bensì delfini! Ad ogni loro respiro, a pelo d’acqua si forma una scia luminosa che riflette la luce delle stelle. È incredibile, rimango per minuti incantato, incapace di distogliere lo sguardo!
Per il resto dobbiamo annotare un problema al dissalatore, che non tiene costante la pressione e di conseguenza produce non più di 10-20 litri/ora di acqua dolce. Mentre ancora stavamo navigando, controllo se ci sono perdite a valle delle membrane, dietro il pannellino dove ci sono i comandi; è un’operazione complicata perché per arrivare all’impianto bisogna prima svuotare mezzo gavone in pozzetto, poi infilarsi nel gavone, e in quella “comoda” posizione smontare un pannello fissato con viti… comunque perdite non ce ne sono; approfitto dell’occasione per sostituire il pressostato di cui avevo il ricambio, ma purtroppo l’anomalia si verifica ancora. All’arrivo a Walvis Bay chiamerò il nostro dealer Philppe per chiedere lumi.
Alle 11.45 di martedì 9 aprile, dopo aver chiesto l’autorizzazione al Port Control, entriamo a Walvis Bay e ci dirigiamo alla baia ad ovest del porto, davanti allo Yacht Club. Ci sono molte boe, per lo più occupate da catamarani usati per le gite dei turisti. Quelle che troviamo libere non ci danno molto affidamento. Dopo un paio di giri esplorativi ne troviamo una che sembra fare al caso nostro: ne controlliamo l’attacco alla catena, è a posto, ormeggiamo. Ovviamente ignoriamo chi ne sia il proprietario, ma al volo chiediamo ad una delle barche turistiche se possiamo restare a questo ormeggio e il comandante, con il pollice in su, ci dà l’OK.
Chiamo Philippe per il dissalatore; mi risponde subito, gli espongo il problema e i tentativi che ho effettuato, lui mi dice che arriva poca acqua alle membrane: potrebbe essere il filtro sporco o la pompa di alta pressione.
Apro il filtro da 5 micron e lo trovo molto sporco con una patina oleosa; lo sostituisco, faccio una prova e sembra che la pressione rimanga stabile… speriamo, sarebbe un bel problema partire senza dissalatore!
Il giorno seguente facciamo un giro a terra; ci sono alcuni ristorantini che si affacciano sulla baia e molte agenzie che organizzano per i turisti escursioni con catamarani a motore sui 10-12 metri. Sulla sinistra della baia ci sono grandi lavori per costruire un marina ed il nuovo terminal passeggeri. 



Andiamo all’ufficio dello Yacht Club dove ci accoglie una simpatica grossa signora; le chiediamo se la boa che abbiamo preso è del club, lei ci dice che è privata e che il proprietario dovrebbe arrivare domani da Cape Town, perciò è meglio che la lasciamo libera e ne prendiamo una del club. Sono distinguibili dalle altre perché hanno l’anello della boa blu. Le promettiamo di spostarci appena rientreremo in barca.



La città è a circa 2,5 km, 20-30 minuti a piedi, ma mentre stiamo discutendo se sgranchirci o no le gambe, arriva un taxi che scarica alcune persone perciò saliamo al volo utilizzando la sua corsa di ritorno per il centro. La tariffa dallo Yacht Club è di 10 N$ a persona, mentre per tornare è di 20 N$ (circa 0,6€ e 1,2€ rispettivamente).
La città non è particolarmente attraente: case recenti in muratura, strade ampie che formano un reticolo squadrato, una via principale dove ci sono tutti i negozi, due supermercati (SPAR e OK food), tre banche; ricarichiamo la nostra SIM di cui avevamo esaurito il credito, acquistiamo pane e frutta al supermercato e rientriamo in barca.

Con il dinghy facciamo nuovamente il giro delle boe per trovarne una dello Yacht Club, ma sono tutte occupate, così decidiamo di stare sulla boa che abbiamo preso, in attesa che torni il suo proprietario.
Il mattino seguente un ragazzo di colore con il suo dinghy si avvicina; non si piega bene, sembra che il proprietario sia tornato, ma possiamo utilizzare la boa fino alla prossima settimana. Poco dopo però torna nuovamente per dirci che il proprietario è allo Yacht Club e dobbiamo andare a terra con lui per parlargli, poi cambia idea e dice che andrà a prenderlo per portarlo qui su Refola.
Per farla breve, dopo qualche minuto il proprietario arriva incazzato come una bestia perché abbiamo utilizzato la sua boa, e ci intima tra un impropero e l’altra di lasciarla libera subito. A nulla servono le nostre scuse e i tentativi di sapere se possiamo restare, visto che lui non sembra doverla utilizzare. “Se mi aveste telefonato, vi avrei autorizzato senza alcun problema, ma ora è troppo tardi, ve ne dovete andare”. Sempre incazzato, ci indica un’altra boa libera lì vicino e se ne va.
Anche noi un po’ contrariati per l’intrattabilità dell’individuo, molliamo la sua boa per prendere quella vicina; ha l’anello blu e sembra sicura: l’attacco della catena è robusto con due anelli in acciaio inox da 10 mm. Speriamo di trovare pace!
In baia ritroviamo una coppia di giovani velisti francesi che avevamo conosciuto alla festa di Luderitz. Navigano su una piccola barca in alluminio, e sono in partenza per un’escursione a terra di 4 giorni. Ci offriamo di legare il loro dinghy al nostro durante la loro assenza (non crediamo saggio lasciarlo incustodito al moletto) e loro accettano ringraziando.
Purtroppo le previsioni meteo (venti forti sabato 13, domenica 14 e lunedì 15, con onda da sud sui 4 metri, in calo da martedì 16) ci impongono una sosta che avremmo preferito più breve. Qui vicino non c’è molto da vedere; sarebbe stato carino visitare la Sandwich Bay, una baia 40 km più a sud, dove le grandi dune del deserto arrivano a lambire l’oceano, ma abbiamo rinunciato una volta saputo che l’escursione, di sole 4 ore, costa 100 € a persona. Impensabile andarci in barca perché la baia non offre alcun riparo dall’onda.
Le giornate scorrono così pigramente, quasi tutte uguali; c’è nebbia la sera e al mattino fin quasi a mezzogiorno, il cielo è grigio (tranne dalle 12 alle 14) e fa freddo.


Qualche piccolo lavoro di manutenzione rompe la monotonia. Abbiamo sostituito il motore della pompa di sentina che faceva uno rumore nuovo; smontata la pompa, troviamo la ruota dentata del riduttore rotta. Per fortuna è venuto buono il ricambio che avevo a bordo.
Abbiamo notato che il winch di dritta non girava in modo fluido; lo puliamo, per accorgerci che a frenare la rotazione non era la sporcizia, bensì l’anello stacca cima che ad ogni giro si spostava leggermente dalla sua sede. L’origine di questo malfunzionamento stava nel peduncolo della piastra superiore in bronzo cromato, che si era leggermente deformato lo scorso anno quando lo stacca cima si era rotto e la cima si era incattivata riavvolgendosi sul winch. Con qualche moderata martellata e aiutandoci esercitando trazione mediante l’altro winch, il peduncolo è stato sistemato.
Domenica 14 Angelo ed io siamo andati in città per rimpinguare la cambusa, soprattutto di frutta e verdura.
Oggi, lunedì 15, saldiamo il conto per l’uso della boa dello Yacht Club (100N$ a notte, circa 6€); la signora gentilmente ci accompagna con la sua auto all’ufficio immigrazione, che si trova presso l’ingresso principale del porto commerciale. Vi troviamo un impiegato che ci fa un po' di storie per timbrare il passaporto con un giorno di anticipo rispetto alla nostra partenza. Dopo un po’ di manfrine abbassa la voce e dice: “Se metto il timbro oggi io corro dei rischi, però se pagate qualcosa…”. Lilli è disgustata e smette il suo servizio di interprete. Cedo: gli metto un biglietto da 200 N$ (circa 12 €) nel passaporto e lui timbra. Sempre a bassa voce ci fa capire che i soldi erano in uno solo dei 3 passaporti. A quel punto siamo stufi e gli diciamo che non di soldi non ne abbiamo più. Con Lilli nera di rabbia andiamo alla Dogana e alla Port Autority, che ci rilasciano ciascuna la sua clearance, velocemente e senza problemi.
Concludiamo i rifornimenti con tre taniche di gasolio, pane e sigarette per Lilli: un ultimo pranzetto allo Yacht Club e rientriamo in barca.
Domani si parte: è previsto vento sui 16-20 nodi, l’onda dovrebbe essere calata sui 2.7 metri. Rotta 286°, 1222 miglia; il 19 la luna sarà piena, speriamo illumini bene le nostre notti in mare fino a S.Elena.

domenica 7 aprile 2019

NAMIBIA, LUDERITZ ED IL DESERTO


Usciti dal marina W&A di Capetown la mattina di martedì 26 marzo, il vento ancora fresco sui 20-25 nodi ci spinge per qualche ora, per calare verso mezzogiorno sui 13-15 nodi; alle 16 accendiamo il motore a 1600 giri/min., con la randa aperta soprattutto per ridurre il rollio.
Alle 22 sono di guardia: è buio pesto, quando sento un colpo secco sotto la barca e avverto lo scafo sollevarsi un poco per poi proseguire normalmente. Anche Lilli lo ha sentito, si alza e mi chiede cosa è stato. “Qualcosa di semigalleggiante è passato sotto la barca” dico io. È meglio controllare, con la pila verifico prima la sala motore, poi sotto i paglioli, trovando solo un po' d’acqua, all’apparenza dolce, sotto il pagliolo dell’antibagno della cabina di poppa. Svuoto il vano che era pieno di teli grigliati per la copertura della barca e rimando all’indomani la verifica della provenienza.
Il giorno successivo scopriamo l’origine di quel botto: l’area in cui stiamo navigando è disseminata di tronchi con radici e rami, poco visibili, la parte di tronco con la radice si trova a 2-3 metri di profondità e solo qualche ramo appare a pelo d’acqua.
Nella mattinata di mercoledì centriamo in pieno un altro di questi grossi grovigli, metto subito il motore in folle, ma dobbiamo fare un po' di retromarcia per liberarci completamente. Angelo recupera la traina per evitare che si impigli nel groviglio, e con grande sorpresa vi trova attaccato un bel pesce, sui 3 chili!
Per evitare altri incontri indesiderati correggo la rotta di 10° portandomi più al largo, e per fortuna gli avvistamenti diminuiscono e non abbiamo più sorprese.
Nella giornata riusciamo a fare qualche ora di vela, ma soprattutto tanto motore, fino alle 12 di giovedì 28, quando finalmente torna il vento. Prima da SW, poi da SE, inizia con 12-14 nodi per arrivare a 22-27 poco dopo mezzanotte. Anche il mare si è alzato: si incrociano un’onda corta da SE ed una appena più lunga da SW, provocando un fastidioso rollio.
Alle 12.30 di venerdì 29, con il vento stabile sui 25-30 nodi, ci avviciniamo alla baia di Luderitz. Contattiamo sul VHF canale 12 il Port Control, che ci dà l’autorizzazione ad entrare e alcune istruzioni sulle formalità, mentre per l’ormeggio ci dice di contattare un certo Andy. Passati tra le due mede cardinali Nord e Sud entriamo nella Robert Harbour, dove c’è il porto e numerose boe per l’ormeggio.
Ci vengono incontro con il dinghy Sean e Christoph, i ragazzi dell’equipaggio di New Dawn, che ci avevano chiamato per radio mezz’ora prima. Sean sale a bordo e ci indica la boa che dobbiamo prendere, Andy è già lì col suo barchino per passarci la cima. 
Alle 13 siamo ben ormeggiati, attaccati ad un cimone da 40 mm. (26°38.437’S 15°09.394’E).
Sean e Cristoph ci raccontano di essere soli a bordo di New Dawn, perché Paul, l’armatore, con il 4° membro dell’equipaggio, Marion, è andato a fare una escursione nell’entroterra e tornerà domenica. Per ringraziarli dell’accoglienza li invitiamo a cena.
Nel pomeriggio andiamo a fare le pratiche di ingresso: prima immigrazione, poi dogana, e infine Port Control, tutti a breve distanza dal porto. 
Sbrigata velocemente la semplice burocrazia, abbiamo il tempo di acquistare la SIM-card presso l’unica compagnia che gestisce le comunicazioni telefoniche in Namibia. Luderitz ha un aspetto davvero particolare: le costruzioni più vecchie, risalenti all’inizio del secolo scorso, sono in puro stile tedesco e questo contrasta fortemente col panorama circostante, che è semplicemente… desertico!
Durante la cena a bordo di Refola Sean e Christoph, che avevamo conosciuto a Capetown senza aver avuto modo di familiarizzare, ci raccontano un po' della loro vita: Sean, inglese, 53 anni, separato ed in cerca di una donna e di un lavoro, ha lavorato come istruttore sub per 20 anni ed ora intende comprare una barca per fare un po' di charter e girare il mondo; Christoph invece, 25enne sudafricano proveniente dal nord, vicino al confine con il Mozambico, aveva un lavoro che ha lasciato per aiutare il padre ammalato nell’azienda di famiglia, ed ora che il padre sta meglio ha deciso di andare a Miami ed imbarcarsi su grandi yacht. Entrambi sono saliti a bordo di New Dawn a Durban. La serata passa allegramente, conversando in inglese, con Lilli impegnata come sempre a fare l’interprete.
Sabato il vento è forte, sui 25-30 nodi, quindi pensiamo di rimanere in barca, ma verso le 18 ci viene a chiamare Christoph per avvisarci che allo Yacht Club c’è una festa: l’attuale gestore lascia l’attività ed ha deciso nel suo ultimo giorno di offrire da bere e da mangiare ai suoi ospiti. Ci aggreghiamo: i residenti, tutti bianchi, sono tedeschi, russi, spagnoli; come velisti oltre a noi una coppia francese; non mancano i comandanti del porto e del Port Control, in tutto circa una ventina di persone.
Al nostro arrivo da mangiare è rimasto davvero poco, ma non manca da bere: dopo una birra si va sull’alcolico più pesante, arriva anche la musica ed in breve si diventa tutti amiconi, l’ebbrezza è diffusa… una serata decisamente “internazionale”, in atmosfera piacevole e allegra.

Lunedì andiamo all’ufficio del turismo per prendere informazioni; tutti ci hanno parlato bene dell’interno della Namibia al punto che anche Lilli, ritrosa a lasciare Refola se non per escursioni giornaliere, si è fatta convincere. Combiniamo il noleggio di una 4x4 per quattro giorni; visiteremo le dune “più alte del mondo”, circa 600 km a nord, e poi il grande Fish River Canyon, a sud.
Martedì 2 aprile comincia la gita: alle 9.00 ci consegnano l’auto allo Yacht Club, si parte! Abbiamo studiato il percorso e contattato i posti per dormire, tralasciando sia gli economici campeggi (non abbiamo più l’età…) sia i lodge più cari.
Dopo circa 125 km sulla B4, asfaltata, iniziamo il percorso sulle strade in terra battuta: prima la C13 e poi la bellissima D707. La massima velocità consentita, di 120 km/ora sulle strade B, si riduce a 80 km sulle C ed a 60 km sulle D. Intorno a noi distese infinite di rilievi brulli e rocciosi. Siamo totalmente immersi in questa natura selvaggia e deserta: tutta la Namibia, grande tre volte l’Italia, ha meno abitanti del centro di Roma (poco più di 2 milioni di anime). Per km e km non vediamo case e incontriamo solo qualche sparuta auto di turisti; in compenso le strade sterrate sono recintate per impedire agli animali di attraversarle. Intorno vediamo numerosissime antilopi e alcuni struzzi, che a volte riescono ad oltrepassare le recinzioni. 

L’aria è tersa e la visibilità, in quasi totale assenza di umidità, è impressionante: possiamo vedere oltre 5 km davanti a noi, con i tipici effetti di “miraggio” che si creano con le alte temperature.
Arriviamo a sera al Burgdorf Hotel, un po' distrutti nonostante il cambio di guida a circa metà strada con Angelo; il posto che abbiamo prenotato con Booking.com è veramente piacevole: tutte costruzioni in pietra con tetto di paglia, prati verdi all’inglese, una piccola piscina, un grande padiglione contornato da vetrate, anch’esso con il tetto in paglia, dove vengono servite cena e colazione.

La simpatica e giovane direttrice ci accoglie, ci mostra le camere, ci informa sugli orari di cena e colazione, poi ci invita ad assistere al pasto serale che viene dato agli animali. Oltre una recinzione ci sono infatti due ippopotami, uno struzzo e tre ghepardi, che sono ormai abituati a trovare da mangiare presso la struttura.


Il giorno seguente, dopo un’abbondante colazione, partiamo per la visita alle dune; arriviamo all’ingresso del parco alle 12. Pagati 250 N$ (Namibian dollar, circa 16€) percorriamo 65 km di strada asfaltata in mezzo alle dune, grandi montagne di sabbia con tutte le sfumature dorate dell’ocra e dell’arancio che si stagliano nel cielo azzurro. Uno spettacolo maestoso.



Torniamo a sera al Maltahohe Hotel, un piccolo centro abitato vicino al punto di partenza del mattino. Sistemazione meno attraente della precedente, ma comunque accettabile; cena, colazione e via verso sud per la C19 e la B1 (asfaltate) fino a Keetmanshop, dove pranziamo velocemente e riforniamo il serbatoio, per procedere poi verso il Gondwana Canyon Park dove arriviamo alle 15.30; paghiamo l’ingresso (altri 250 N$) e arriviamo dopo 13 km al Main View Point nella parte settentrionale del Fish River Canyon. Un punto elevato circa 550 metri da cui si domina gran parte del sinuoso percorso del fiume. Da qui, per persone decisamente più sportive di noi, parte un percorso di trekking che in soli 80 km (quattro giorni e tre notti) conduce alla fine del canyon. Avevamo programmato tutto per giungere in prossimità del tramonto, quando il gioco di ombre rende lo spettacolo più grandioso, ma siamo traditi da un cielo nuvoloso che ci nega gran parte della luminosità e dei colori. Il posto, comunque, merita la sua fama.



Per l’ultima notte ci concediamo un lusso: abbiamo prenotato al Gondwana Village, distante dal Main View Point solo 26 km. L’albergo si trova in una radura circondata da imponenti rocce rosse, tra cui si trovano disposte a raggiera piccole costruzioni in pietra con il tetto di paglia, a formare una sorta di anfiteatro con un raggio di circa 200 metri. Non manca una piccola piscina con frigo bar self service, mentre la costruzione principale, sempre in pietra con tetto in paglia, ospita la reception, la sala pranzo, un bar e un negozio di articoli da regalo. Il tramonto che abbiamo mancato al Canyon lo godiamo sorseggiando una birra sdraiati su comode chaise longue ai bordi della piscina.


Il giorno successivo, dopo la solita abbondante colazione, prendiamo la strada verso “casa”. Passiamo da Ai-Ais, il punto più a sud del canyon e costeggiando prima il Fish River poi l’Orange River risaliamo fino a Rosh Pinah. Un percorso bellissimo poco distante dal confine con il Sudafrica.
A Rosh Pinah arriviamo alle 13.40; durante il rifornimento di carburante notiamo una ruota posteriore quasi a terra, la facciamo gonfiare e andiamo a pranzo. Purtroppo, al ritorno, la gomma è di nuovo a terra, meno male che a 100 metri c’è un gommista che ce la ripara per 102 N$ (circa 7 €!!!). Nella sfortuna siamo stati più che fortunati!
Rientriamo a Luderitz alle 19.00, dopo aver percorso 1.940 km in 4 giorni. Abbiamo speso complessivamente 4800 N$ (circa 300  €) per il noleggio dell’auto,  2800 N$ (circa 180 €) per il carburante e 12.000  N$ (800 €) per i pasti e le dormite in tre persone. È stato un po' caro, ma ne valeva la pena.
Oggi, domenica 7 aprile, salpiamo per Walvis Bay, 252 miglia a nord. Ci aspettano due giorni di navigazione, che il meteo ci preannuncia con venti leggeri.