lunedì 25 marzo 2019

TURISTI A CAPETOWN


Se raggiungerla ci ha fatto un po’ penare, dobbiamo dire che Città del Capo ci ha ripagato ampiamente la fatica. Siamo qui da due settimane, ormai in procinto di partire, ma potremmo restare altrettanto tempo senza temere di annoiarci: moltissime le cose da fare e da vedere.
Siamo entrati al Waterfront Marina, come detto, lunedì 11 marzo. Oltre ai nostri compagni di viaggio di Tala 2 ritroviamo altri amici conosciuti nell’Indiano la scorsa stagione: Karel e Phil di Tehanili, Paul di Newdawn, Dana e Jean Pierre di Vanille, il mitico Dustin che naviga in solitario nonostante abbia subito l’amputazione di gamba e braccio sinistri a causa di un incidente. Aperitivi, chiacchiere, scambi di informazioni…
Oltre che alle relazioni sociali, dedichiamo i primi giorni alla pulizia della barca e ad alcuni lavori di manutenzione. Finalmente riesco a far funzionare la pompa dell’autoclave: regolato il pressostato, non aspetta altro che essere attivata, ma attualmente al marina abbiamo il tubo di acqua dolce che entra in circuito senza passare dal serbatoio. Da un tecnico locale abbiamo rimediato una nuova scheda per il winch elettrico che funzionava solo manualmente: ho faticato non poco per il ricablaggio, ma alla fine è andata. Senza successo invece (da parte del tecnico) la ricerca del guasto alla scheda elettronica del secondo autopilota. Il tutto ci è costato circa 360 €.
A partire dal 13 marzo ci lanciamo alla scoperta della città. Iniziamo con un lungo giro a piedi: dopo aver attraversato l’area ipermoderna disseminata di grattacieli (sembra di essere a New York), gironzoliamo per il centro storico con i suoi palazzi in stile coloniale. 

In giro molta gente e moltissimi turisti, atmosfera piacevole, strade pulite, innumerevoli bancarelle che offrono coloratissimi souvenir. La nostra prima meta è il Museo del 6° Distretto, dove è stata ricostruita la storia dell’evacuazione forzata di 50.000 persone di diverse etnie, che furono costrette ad abbandonare le loro case ed attività negli anni ’60 e ’70 a seguito del progressivo inasprimento della segregazione razziale nota come apartheid. Piccolo ma toccante, il Museo è affidato alle cure degli ex residenti nella zona ed è ricco di fotografie del quartiere com’era, prima che i bianchi decidessero di appropriarsene, raderlo al suolo e ricostruirlo.

Cape Town è molto grande e visitarla a piedi richiederebbe tempo e fatica: senza pudore, calandoci del tutto nella parte dei turisti “normali”, decidiamo di affidarci ai servigi del CitySightSeeing (i famosi bus rossi a due piani che si vedono in tutto il mondo), che a Cape Town offrono diversi percorsi in città e fuori. Insieme a Sue e Wayne di Tala 2 ci rechiamo alla biglietteria, a due passi dal marina, dove ci attende una sgradita sorpresa: la cabinovia che porta alla Table Mountain, la grande rocca piatta che sovrasta Cape Town, è molto affollata e per accedervi bisogna fare una coda di almeno due ore e mezza! Vista la giornata calda e la nostra proverbiale pigrizia, non prendiamo minimamente in considerazione l’idea di salire a piedi (arrampicata di minimo 90 minuti!) e prontamente cambiamo programma: prenderemo la linea che circonda la penisola del Capo e faremo una deviazione per visitare i vigneti e le migliori aziende vinicole della zona chiamata Constantia. 
Muniti di cuffiette che in italiano ci forniscono informazioni su ciò che ci circonda, attraversiamo in bus la città per poi uscire in una campagna verde e curata, con altissimi eucalipti (qui considerati infestanti perché non endogeni e pericolosi per gli incendi). Godiamo appieno, sotto un cielo di un azzurro incredibilmente intenso, il breve tour tra le colline ricoperte di vigneti; ci fermiamo per pranzare nella più antica delle aziende vinicole, Groot Constantia, che ha iniziato la sua attività nel lontano 1685. Buon cibo, ottimo vino, il tutto a prezzi non risibili ma accettabili. La tenuta ha una fantastica veduta sull’oceano e la sua architettura, perfettamente restaurata, è nel tipico stile coloniale olandese.


Rientriamo in città seguendo la strada costiera che circonda la penisola; il vento fischia forte nelle nostre orecchie ma non è niente in confronto alla sera del nostro arrivo…
Siamo abbastanza provati dall’intensa giornata, ma non vogliamo rinunciare alla Table Mountain e così il mattino dopo Lilli Roberto ed io ripartiamo di buon mattino per evitare le code. E questa volta siamo fortunati: la coda non dura più di 15 minuti e la giornata è limpida e poco ventosa (con forte vento la funivia, ad unica campata, sospende il servizio!). Le due grandi cabine trasportano 65 persone alla volta ed il loro pavimento è rotante, in modo che tutti possano godere la vista a 360° sulla città, sull’oceano e sulla ripida parete rocciosa. Una volta in cima (1086 metri) si è liberi di esplorare il vasto, piatto e glabro pianoro su sentieri facilitati con magnifici panorami. Un leggero spuntino, una birra ghiacciata e di nuovo giù, dove troviamo centinaia di persone (meno previdenti di noi) che sotto un sole cocente fanno la fila per salire.



Per non farsi mancare nulla, Lilli e Roberto fanno anche la breve -30 minuti- crociera nei canali, a bordo della barchetta per turisti, immancabilmente rossa, del CitySightSeeing. Io desisto.
Ma il tour turistico prosegue il giorno dopo con la visita di Robben Island, piccola e piatta isoletta a 6 miglia da Cape Town. Usata fin dall’epoca coloniale come luogo di confino per i capi delle tribù in rivolta, ha mantenuto intatta nei secoli la sua funzione: vi fu insediato in seguito anche un lebbrosario, fino a diventare nel secolo scorso la prigione principale dove recludere i dissidenti politici. Nelson Mandela stesso vi trascorse 12 dei suoi 28 anni di carcere. Oggi il carcere è divenuto un museo: le visite sono guidate da ex prigionieri che, appositamente formati, raccontando anche le loro personali storie riescono a rendere perfettamente il senso di isolamento e la durezza delle misure di sicurezza adottate dal regime dell’apartheid. Purtroppo tutte le spiegazioni sono fornite esclusivamente in inglese, e nonostante gli sforzi di Lilli per tradurre sicuramente Roberto ed io non riusciamo a cogliere tutto, ma le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi sono comunque molto eloquenti.
Infine, proprio a due passi dal nostro marina, c’è il Waterfront, una specie di luna park permanente che rappresenta una delle attrazioni turistiche più gettonate. Un po’ come a Londra e a Sydney, le antiche costruzioni del porto sono state abilmente ristrutturate per ospitare innumerevoli negozi, bar, ristoranti. Quasi interamente pedonale e frequentatissimo, il Waterfront è anche una sorta di teatro di strada, con mimi, musicisti, cantanti. Camminando si è avvolti ora da frenetici ritmi di percussioni africane, ora da struggenti suoni di violino, ma abbiamo sentito anche le canzoni di Boccelli…



Il sabato e la domenica mattina, poco distante, viene allestito un bellissimo e variopinto mercato dove oltre a fiori, frutta e verdura vengono venduti dolci, salumi e leccornie di ogni genere. C’è poi un’area di ristorazione di diverse tradizioni culinarie. Noi gustiamo una paella davvero buona, per circa 6 €.


La temperatura è molto variabile: alcuni giorni fa caldo e si suda, in altri indossiamo maglioni di lana e calze di pile, ma il cielo è quasi sempre sereno, e nel complesso si sta bene.
I giorni passano veloci e le altre barche, ad una ad una, riprendono le loro rotte. Parte per prima Tehani-li, diretta come noi in Namibia, poi Sue e Wayne di Tala 2, che vanno diretti a Sant’Elena per proseguire poi verso il Mediterraneo, poi Paul di Newdawn, anche lui per la Namibia.
Il 19 marzo, per Roberto, arriva il momento di rientrare in Italia. Averlo a bordo è stato un piacere, e speriamo proprio che i tranquilli giorni di Cape Town gli abbiano fatto dimenticare la brutta avventura di Durban.
Il 22 marzo arriva Angelo, che purtroppo per lui giunge alla fine della fase “vacanziera” e si cucca invece tutti i preparativi della partenza: la “spesona” per rifornire degnamente la cambusa per i prossimi tre mesi fino a Trinidad, le pratiche di uscita dal Sudafrica, l’ultima messa a punto della barca.  
Domenica 24 mollano gli ormeggi anche gli amici canadesi di Vanille, diretti a Sant’Elena, e al marina rimaniamo solo noi, Dustin … e le foche (sembra di essere tornati alle Galapagos).


Oggi 26 marzo siamo pronti a partire: 480 miglia per raggiungere Luderitz, in Namibia. Le previsioni meteo ci danno il vento in calo rispetto a questa notte, da 15 a 25 nodi da sud ed anche l’onda in calo sui 3,5 metri. Buon vento Refola, fai la brava come al solito!

mercoledì 13 marzo 2019

DA KNYSNA A CAPO AGULHAS, AL CAPO DI BUONA SPERANZA E POI…LA DIFFICILE CONQUISTA DI CAPE TOWN


Knysna è una località turistica del Sudafrica, ostica da raggiungere via mare ma attraente e godibile, con la sua laguna calma e protetta, per i visitatori che la raggiungono via terra.
La prima serata la passiamo allo Yacht Club, approfittando prima dell’happy hour e poi cenando con gli amici di Tala 2. 
Ci salutiamo sul loro pontile verso le 22.30, saliamo sul dinghy per rientrare in barca ed ecco in agguato l’avventura che non ti aspetti: nel buio becchiamo una zona di basso fondale, il dinghy tocca la sabbia e si ferma, dobbiamo scendere in acqua e spingerlo per fortuna solo una ventina di metri; risaliti e quasi arrivati alla barca, il motore si spegne. Una forte corrente, almeno 2-3 nodi, ci trascina velocemente indietro e la direzione della corrente, purtroppo, è verso l’uscita in oceano. Roberto e Lilli cercano di contrastarla pagaiando con le braccia, mentre io tento vanamente di rimettere in moto. Veniamo trasportati impotenti per circa 500 metri, quando fortunatamente riusciamo a fermarci attaccandoci ad un catamarano ancorato sul nostro percorso. Sul dinghy non abbiamo i remi, dimenticati su Refola, fa freddo e siamo poco vestiti, che fare? Falliti gli ulteriori tentativi di riaccendere il motore, chiamiamo al telefono Wayne di Tala 2, che per fortuna risponde subito, ci viene in soccorso con il suo dinghy e ci porta in salvo. Poteva andare molto peggio!
Il giorno successivo, mentre Lilli e Roberto vanno a terra per pagare la sosta in laguna (tariffa per un mese 515 rand - 33 € - non esiste tariffa giornaliera), mi dedico al ripristino dell’autoclave, perché ci hanno lasciato a piedi entrambe le pompe: quella elettronica continua a pompare anche quando i rubinetti sono chiusi mentre il motore della seconda, quella col vaso di espansione, non gira anche se c’è tensione ai morsetti.
Riesco a far funzionare quella elettronica, che aspirava aria dal filtro. Nella seconda, dopo aver aperto la calotta del motore, trovo intorno al collettore una quantità incredibile di fuliggine delle spazzole, nonché una spazzola con la molla rotta e snervata. Pulisco tutto, sostituisco la molla della spazzola e rimonto il motore; risultato: funziona, ma la pressione non è sufficiente per attivare l’intervento del pressostato, dovrò continuare la ricerca…


Facciamo una passeggiata a terra. Il marina è molto piccolo per quanto riguarda i posti barca, ma in compenso è pieno di negozi, per lo più di abbigliamento e souvenirs, nonché di cafè, ristoranti e ristorantini. Un porticciolo turistico molto curato e grazioso, arricchito anche da numerosi atelier di pittura e scultura. 
L’atmosfera tranquilla ci invoglia a fermarci per mangiare qualcosa: manco a dirlo la nostra scelta ricade sul cafè “Da Mario”, che esibisce in prima fila grandi latte di “Fiamma Vesuviana, pomodori pelati in succo di pomodoro”, dove mangiamo una pizza discreta.
Fuori dal marina la cittadina è altrettanto pulita e ordinata; non ci sono palazzi, quasi tutte le costruzioni ad uso sia abitativo che commerciale sono su un unico livello. Troviamo un ottimo supermercato dal nome evocativo, Food lovers (amanti del cibo), dove ci riforniamo di frutta, verdura e piccoli generi di conforto (cioccolata, patatine, mandorle etc) di una qualità che non vedevamo da tempo.
Nonostante siamo appena arrivati, sia noi che Tala 2 non facciamo che studiare le previsioni meteo per capire quando potremo ripartire. Ai soliti problemi di navigazione del Sudafrica (brevi finestre tra lunghi periodi di vento avverso da SW) qui si aggiunge il problema di uscire dalla laguna, cosa che va fatta con l’alta marea e possibilmente senza trovare onde gigantesche e frangenti aldilà del passaggio. Con Wayne concordiamo che si potrebbe partire sabato 9 per passare i due Capi, Agulhas e Buona Speranza, ed arrivare a Cape Town in circa 48 ore. Altrimenti di partire non se ne potrà parlare fino a giovedì 14, tra una settimana, e tutto da verificare. Le condizioni del 9, abbastanza ventose, non sono proprio le migliori sperabili sia per l’uscita da Knysna (20-22 nodi) che per il passaggio dei due capi (25-30 nodi con raffiche a 35 al Capo di Buona Speranza).
Lilli e Sue preferirebbero aspettare una previsione migliore, ma le incertezze sull’evoluzione meteo sono troppe per restare in attesa. Inoltre Roberto deve prendere l’aereo a Cape Town il 19 e non possiamo correre il rischio di farglielo perdere… per cui si va.
Resta da decidere l’orario preciso di partenza: Wayne è per la partenza con la marea delle 5.30 del mattino, io invece per quella delle 17 pomeridiane; sottoponiamo a Des il quesito: lui non si schiera, ma pone in risalto vantaggi e svantaggi di entrambe le opzioni. Decidiamo quindi di tentare l’uscita del mattino: se troviamo condizioni favorevoli proseguiamo, altrimenti torniamo ad ancorare in laguna e rimandiamo al pomeriggio.

Sabato 9 marzo sveglia alle 4.15; alle 4.45 salpiamo. È ancora buio pesto, ma seguendo la traccia dell’ingresso arriviamo di fronte all’uscita alle 5.20 e ancoriamo in acque calme in attesa di un po’ di luce. Facciamo colazione; vediamo sull’AIS che Tala 2 non si è ancora mosso, li chiamiamo al telefono, ci dicono che stanno per salpare ora che comincia a fare chiaro.
Alle 6.15 c’è luce sufficiente, Tala 2 è in arrivo, tiriamo su l’ancora e inforchiamo l’uscita. Il mare sembra abbastanza spianato, do motore prima a 1600 giri, poi a 2200 e infine a 2500. La nostra velocità arriva a 7,5 nodi. Verso la metà del passaggio iniziano le onde, corte e profonde; le prime due le cavalchiamo, la terza, più alta, piega Refola di 45° e la solleva, per un attimo ho temuto che ci portasse sulle rocce, invece la barca cade nel cavo e prosegue la sua marcia senza danni, fondale minimo 7-8 metri. Lilli ha preso una grande paura, che si porterà dietro tutto il giorno. Io invece, che ho vissuto l’esperienza al timone, continuo a pensare “Ho sbagliato qualcosa? Non ho scelto il momento giusto? È solo questione di fortuna? Le onde non si vedono da lontano…”. Comunque in pochi minuti siamo fuori, tiriamo su le vele e facciamo rotta su Capo Agulhas, a 160 miglia. Anche Tala 2 è fuori e ci segue.

Il vento è sui 25 nodi da est, rispetto alla nostra rotta lo prendiamo da 120°; con genoa e randa filiamo 8-9 nodi. Verso le 12.00 gira a ENE e cala a 16-20, abbatto la randa mettendola a farfalla: la velocità resta buona, 7 nodi, le onde sui 3 metri arrivano da est.
Verso sera il vento rinforza a 22-25 nodi, sempre da est, 170° rispetto alla nostra rotta. Avvolgiamo la randa e proseguiamo con il solo genoa: la velocità media resta sui 7-8 nodi. Alle 5.00 Roberto mi dà il cambio: siamo a Capo Agulhas, abbattiamo nuovamente e impostiamo la rotta a 295°, sul Capo di Buona Speranza. Il vento ci segue da SE, in fil di ruota, sui 25-30 nodi, l’onda in poppa è aumentata a 3-3,5 metri e ci fa fare delle surfate a 11-12 nodi. 177 miglia percorse nelle 24 ore.
Passiamo il Capo di Buona Speranza alle 16.10, con il vento sempre in fil di ruota, cercando di guadagnare qualche grado verso il largo per rimanere sulla batimetrica dei 100 metri. Secondo le previsioni dovremmo trovare un aumento del vento, che invece rimane costante. Accostiamo per nord, l’angolo del vento si sposta a 160° dalla prua e ci possiamo rilassare, non c’è più pericolo di strambate involontarie.

Alle 20.00 mancano 11 miglia a Grager Bay, l’ansa un miglio ad ovest dell’ingresso al porto di Cape Town dove abbiamo deciso di ancorare per la notte. Navighiamo a 7-8 nodi di velocità ed il mare si è ridotto: “Ragazzi, questa sera si cena a tavola e si dorme in baia” comunico a Lilli e Roberto non senza una certa esultanza.
Di lì a poco una raffica a 35 nodi ci colpisce al traverso; riduco prontamente il genoa ma la randa, sventata, fatica ad avvolgersi, provocando lo scatto dell’interruttore termico. Altra raffica a 40 nodi. Riattivando più volte l’interruttore riusciamo a ridurre la velatura: abbiamo fuori due triangoli di circa 6 metri quadri ciascuno, Refola vola a 8 nodi con il vento al traverso sui 35-40-45 nodi. Questo è il vento che pensavamo di trovare al Capo di Buona Speranza e che credevamo di avere evitato, invece eccolo qui ad aspettarci al varco, poco prima che raggiungessimo la meta. Decisamente è stato un bene essere partiti al mattino!
Anche il mare si è ingrossato, treni di onde colpiscono la fiancata e sollevano la barca, all’interno Lilli continua a raccogliere le cose che volano da un lato all’altro della dinette mentre tutto scricchiola in modo impressionante. Per le ultime 5 miglia il vento si stringe fra i 30 ed i 60°, avvolgo il genoa e accendo il motore, ma il vento non ci dà tregua, continua a soffiare oltre i 35 nodi, con raffiche a 45. Le onde spazzano la coperta e la capottina; alle 22.30, facendo un largo giro per far portare la randa che seppure ridotta è indispensabile per avanzare, ancoriamo a Granger Bay su un fondale di 12 metri (33°53.84S 18°25.10E). Calo 75 metri di catena, che si tende come la corda di un violino, ma finalmente siamo fermi.
Ceniamo con una minestrina Knorr, zuppa di funghi; dopo circa 40’ arriva anche Tala 2, che ancora poco distante. Ci sentiamo via radio: il finale è stato tosto anche per loro, ovviamente, ma tutto è bene quel che finisce bene. Lilli e Roberto vanno a dormire, io invece rimango di guardia. Ho impostato l’allarme ancora sul GPS, ma vorrei vedere calare questo ventaccio, che invece all’1.30 soffia ancora a 30-35 nodi. “Se l’ancora ha tenuto fino ad ora, continuerà a farlo…”, penso alla fine, e mi butto in branda.
Nonostante il rumore del vento che ulula incessante riesco a dormire profondamente. Il mattino seguente il cielo è grigio e piove, il vento è calato ma non moltissimo, ci sono dai 20 ai 30 nodi. Chiamiamo al telefono Joshio, il direttore del marina, e concordiamo la tariffa di ormeggio per Refola. “Per la vostra barca sarebbero 480 Rand/giorno, ma visto che rimanete 2-3 settimane, facciamo 350” dice Joshio. “Ok, entriamo nel primo pomeriggio” dico io.

Tala 2 entra alle 12.00. Alle 13.45 il vento è calato sui 16-22 nodi e comincia a farsi vedere il sole. Salpiamo, chiediamo al Port Control il permesso di entrare in porto, chiediamo al Bridge Control l’apertura dei due ponti pedonali e arriviamo nel lussuoso e iper protetto Waterfront Marina, ormeggio A8 (33°54.547’S 18°25.063E). Il cielo è azzurro, il vento quasi inesistente, rispetto a ieri sembra di essere in un altro mondo.


venerdì 8 marzo 2019

DA PORT ELISABETH A KNYSNA


Se all’arrivo a Port Elizabeth la sensazione prevalente era la contentezza di aver raggiunto un porto sicuro, la mattina dopo guardandoci intorno il primo pensiero è: andiamo via di qui al più presto! Siamo infatti in un porto commerciale con grossi depositi di gasolio, un importante centro di trasporto del carbone e numerosi pescherecci. Le barche da diporto sono per lo più molto vecchie e non sembrano usate di frequente. Il “marina” ha sgangherati pontili galleggianti, niente acqua né elettricità al nostro ormeggio.

Insieme all’equipaggio di Tala2 ci rechiamo alla “reception”, collocata in un container blu, dove veniamo accolti da due anziani signorotti, che ci invitano a compilare i moduli di arrivo. Paghiamo un deposito di 250 rand (circa 16 €), che sarà restituito alla partenza, per la chiave di accesso ai pontili; la tariffa di ormeggio per la nostra barca è 150 rand/notte. La buona notizia è che non è necessario recarsi in altri uffici.
La giornata è ventosa ma ben soleggiata; Lilli Roberto ed io decidiamo di fare un giretto in città. Il primo tratto di strada è all’interno della grande area portuale, dotata di parecchie infrastrutture legate alla pesca: produzione del ghiaccio, fabbrica di cassette, attrezzature e lavorazioni varie. Una volta usciti, il centro città è a cinque minuti di cammino. All’inizio siamo colpiti dai bei palazzi in stile coloniale, ma avanzando ci rendiamo presto conto che la zona, pur molto suggestiva, ha subito negli ultimi anni un notevole degrado. 



L’area pedonale che attraversiamo è molto animata, ma solo da gente di colore, i negozi sono molto poveri e in giro c’è molta sporcizia. “I bianchi, e con loro i negozi di maggior pregio, hanno abbandonato il centro cittadino per spostarsi nei quartieri sulle colline sovrastanti”, leggeremo una volta rientrati in barca sulla guida Lonely Planet. 
Infatti è stato impossibile trovare un negozio Vodacom per acquistare nuovo credito dati, e chiedendo informazioni ci è stato detto che l’area lì intorno è poco sicura, di stare attenti a zaini, borse e cellulari. Un po’ delusi ci affrettiamo a tornare al marina: la ricarica la faremo on line!
Studiamo la situazione meteo: c’è una breve finestra, poco più di 24 ore, che però sarebbero sufficienti per raggiungere Mossel Bay, a 190 miglia. Il problema è che su internet leggiamo che il marina è chiuso dalla fine di gennaio 2019. Sembra che l’autorità portuale abbia dato lo sfratto al locale Yacht Club, che si è opposto in tribunale; la causa è stata lunga, ma alla fine lo Yacht Club ha perso ed ora lo sfratto è diventato esecutivo. Giusto per non lasciare nulla di intentato proviamo a telefonare, ma non otteniamo risposta.
Che fare? Ci confrontiamo con Sue e Wayne di Tala2: alcuni loro amici si sono fermati a Knysna, circa 45 miglia prima di Mossel Bay, un posto molto bello dove si può ancorare in una laguna iper protetta. Fantastico! Il nostro entusiasmo cala un po’ quando apprendiamo che l’ingresso in laguna è molto stretto, le onde dell’oceano frangono sugli scogli e bisogna entrare solo con l’alta marea.
Sottoponiamo a Des, il “nostro” meteorologo, questa idea: fermarci a Knysna e da lì ripartire venerdì 8 o sabato 9, per le ultime 285 miglia che ci separano da Cape Town.  Ci risponde subito: “Knysna potrebbe essere una buona soluzione, ma troverete all’ingresso un’onda di 3.7 metri, e all’uscita un’onda di 5 metri! So della chiusura del marina di Mossel Bay, ma il comandante del porto è sempre stato molto sensibile e comprensivo con le barche di passaggio, e vi troverà una sistemazione”. Controllo i dati del fondale: la barra sabbiosa ha una profondità minima di 4-5 metri, per cui con onda come quelle previste da Des è facile toccare anche passando con l’alta marea! Questo complica le cose: c’è da dire che controllando su Windity le previsioni dell’onda troviamo dati che non corrispondono a quelli di Des. Chi avrà ragione?
Nel frattempo raccogliamo tutte le informazioni possibili su Knysna. È una località turistica, con il suo Yacht Club, il cui sito web fornisce istruzioni sull’ingresso in laguna, nonché numeri telefonici vari da chiamare; c’è anche una webcam posta sul passaggio: l’immagine si aggiorna ogni 5 minuti ed è visibile all’indirizzo http://www.theheads.co.za/. Facciamo un summit con Tala2: anche loro sono perplessi sui dati riferiti da Des, così alla fine decidiamo di partire l’indomani mattina alle 9. Una volta arrivati davanti all’ingresso di Knysna, verificheremo le condizioni e se proprio fossero proibitive proseguiremo per Mossel Bay, tentando di arrivare prima del buio.
Comunichiamo a Des la decisione e questi ci risponde che è un’ottima soluzione; prevede troveremo vento da E sui 10-15 nodi, che poi rinforza a 15-20 da NE.
Alle 9 di martedì 5 marzo molliamo gli ormeggi. Una volta aggirato Cape Recife, verso le 13 il vento si fa sentire, leggero, da ESE. Spegniamo il motore e proseguiamo a vela. Il vento rinforza gradatamente e verso sera arriva stabile sui 25 con raffiche a 30 nodi, mentre dopo mezzanotte cala nuovamente. Alle 2.30 Lilli, di turno, mi viene a svegliare perché non riesce a far andare la barca: il vento è calato sotto i 10 nodi ed il genoa con il rollio si sventa continuamente. Chiudo il genoa, apro randa e mezzana, accendo il motore e mi metto in rotta; la velocità si stabilizza sui 6 nodi, il vento è quasi in poppa piena, l’onda incrociata SE e SW ci fa rollare come nel cestello della lavatrice, ma l’attrezzatura non ne risente.
Alle 10 del mattino dopo siamo davanti all’ingresso di Knysna. Ancoriamo su un fondale di 15-17 metri e ballando sulle onde osserviamo il loro frangere sulle rocce ai lati del passaggio. Bisogna cogliere l’attimo, trovare il momento di calma fra un treno di onde ed il successivo.
Aspettiamo l’arrivo di Tala2, dietro di noi di qualche miglio. Siamo senza segnale telefonico e non possiamo contattare l’interno. Il vento è girato ad ovest sui 10-15 nodi: se non riuscissimo a entrare sarebbe problematico arrivare a Mossel Bay prima del buio.

Quando Tala2 ci raggiunge inizia una serie di conversazioni via VHF con navigatori ormeggiati all’interno, nonché con un catamarano che, proveniente dall’interno della laguna, si era avvicinato al passaggio: voleva uscire ma le condizioni non gli sono parse buone e riproverà verso le 14.30. Dal marina ci comunicano che l’orario migliore per entrare è alle 15.00, un’ora prima dell’alta marea, confermando che bisogna tenersi più a sinistra dell’allineamento, passando vicino alle rocce sul lato ovest.
Poco dopo le 14 esce un grosso gommone, che porta fuori i turisti per le escursioni; al timone c’è “Scafo”, che avevamo poco prima sentito alla radio. Ci accosta e ci dice che la sua escursione durerà circa 45 minuti, alle 15.00 sarà di ritorno e ci piloterà all’interno fino all’ancoraggio in acque sicure, mentre Tala2 andrà all’ormeggio al marina. Le condizioni del passaggio ci sembrano migliorate col trascorrere delle ore, il tempo di calma fra un treno di onde ed il successivo è più ampio e questo ci rassicura un po'.

Alle 14.45 salpiamo l’ancora. Pochi minuti dopo Tala2 si avvicina all’ingresso e mi sto apprestando a seguirli quando Lilli mi stoppa: “Dobbiamo aspettare Scafo, sarebbe una scortesia entrare per conto nostro quando lui è stato così gentile da offrirci assistenza.” Un po’ a malincuore devo ammettere che ha ragione, e faccio un altro giro fuori. 

Scafo arriva con qualche minuto di ritardo, si posiziona un po' più a sinistra dell’allineamento, indicato da una luce rossa lampeggiante sulla prima isoletta ed un’altra luce lampeggiante sulla collina. Mi dice di seguirlo standogli vicino, porto il motore a 2100 giri, la velocità della barca arriva a 7 nodi. 

A metà percorso, sempre via radio, Scafo ci invita ad aumentare la velocità. Porto il motore a 2500 giri e ormai siamo dentro. Nessuna onda ci ha fatto balzare in avanti, il fondale minimo è stato 7 metri.

Seguiamo il gommone fino all’ancoraggio, percorrendo circa 2,5 miglia nelle acque piatte della laguna, il fondale minimo incontrato è 3,5 metri. Caliamo l’ancora esattamente nel posto indicatoci, su una profondità  da 4,5 a 5,5 metri, con bassi fondali sabbiosi sia a destra che a sinistra (34°02.723’S 23°02.432’E); intorno a noi una decina tra monoscafi e catamarani, nessuno con gente a bordo. Il sole splende e il posto è incantevole. Anche questa è fatta!

lunedì 4 marzo 2019

1° MARZO FINALMENTE SI PARTE! Da Durban a Port Elizabeth


I lavori sono quasi tutti completati, abbiamo rinviato a Capetown solo la sostituzione della puleggia del dissalatore; nel complesso i 14 giorni passati al marina sono trascorsi velocemente.
Durban è una città abbastanza caotica e con grosse contraddizioni: gente poverissima mescolata a ricchi benestanti, quartieri che è meglio evitare e modernissimi grattacieli. Il centro pulsante della città, poco distante dal porto e dal marina, è molto animato di giorno, ma preferibilmente da non frequentare di sera: meglio stare in barca o al massimo andare a cena al ristorante dello Yacht Club. 

Il 90% della popolazione è di colore, e non si può fare a meno di notare che la stragrande maggioranza delle donne ha dei culoni esagerati.




Le strade sono molto ampie, molte a senso unico con  6 corsie, il traffico intenso; abbiamo girato i primi giorni con un’auto a noleggio, poi a piedi brevi percorsi nella “City” per fare un po’ di spesa. Roberto invece, che ci ha raggiunto il 21 febbraio ed è un appassionato fondista, si è spinto fino alle spiagge (a circa 6 km) ed al ritorno ha avuto una brutta avventura.
Sentiamo da lui come è andata: “Stavo tornando, alle 17, su una strada molto ampia e piena di gente. Mi sono reso conto che appena lasciato il lussuoso quartiere delle spiagge il tratto che stavo attraversando era alquanto degradato, ma si trattava di poche centinaia di metri e così ho proseguito. A un tratto tre giovani di colore mi sono sopraggiunti alle spalle, ed uno di questi mi ha strappato la collanina d’oro che avevo al collo. Istintivamente ho reagito, la collanina è caduta per terra, ed io le ho messo un piede sopra. Ma in un istante sono intervenuti gli altri due, mi hanno dato una spinta facendomi cadere, hanno raccolto la refurtiva e sono scappati. Li ho rincorsi per un po', poi quando hanno lasciato la via principale per infilarsi in un vicoletto ho desistito. Risultato: un gomito sbucciato e una botta sulla mano che si è un po' gonfiata, ma poteva andare peggio!”
Mentre ci racconta il fatto, Roberto è comprensibilmente un po' scosso, e devo dire che la cosa lascia un gusto amaro anche a noi. Non è certo rassicurante sapere di poter essere aggrediti e derubati in pieno giorno, su una strada trafficata, nell’indifferenza generale.
Ovviamente ho cominciato a studiare la situazione meteo, in questo periodo molto variabile: le finestre per spostarci a sud sono brevi, massimo 30 ore, e non permettono nemmeno di fare le 270 miglia che ci separano da East London, primo rifugio utile verso Capetown. Monitorando più volte a giorno l’evoluzione, individuiamo in venerdì 1° marzo un indebolimento del vento da SW nella zona di Durban, di cui potremmo approfittare per portarci più a sud, ed essere pronti per dirigere a SW, con l’aiuto della corrente di Aghulas. Tutto da provare…
Ci confrontiamo in proposito con Des, il meteorologo velista che ci ha aiutato anche l’anno scorso. È deciso: si parte!
Refola è pronta con la sua capottina nuova di zecca.

Navigheremo insieme agli amici canadesi di Tala2, conosciuti l’anno scorso alle Maldive, poi ritrovati alle Chagos ed in Madagascar, che ospitano a bordo un giovane sudafricano di pelle bianca.
Alle 9.15 di venerdì 1° marzo molliamo gli ormeggi, dopo aver ottenuto il nulla osta da parte del Port Control di Durban; Refola scivola leggera a 6 nodi e mezzo nell’ampia baia, con il motore a 1.600 giri, si sente che la chiglia è pulita! Appena fuori dal porto però la velocità cala vistosamente a 5 nodi: è la controcorrente che si forma vicino alla costa o è colpa del debole SW, sugli 8 nodi, che abbiamo praticamente sul naso? Aumento i giri a 1.800 e portiamo la velocità a 5,5 nodi.
Des, nella sua mail, ci aveva raccomandato di stare a 5 miglia dalla costa, ma qui di corrente a favore non c’è neanche l’ombra … quindi metto la prua a sud e mi allontano, in cerca della famosa corrente.
Nel frattempo verso le 11.00 vediamo sull’AIS che anche gli amici di Tala2 sono usciti dal porto; ci sentiamo via VHF e proseguiamo continuando a cercare la corrente… finalmente alle 16.40 la velocità della barca aumenta gradatamente fino a stabilizzarsi sui 7-8 nodi, siamo alla batimetrica di 500-600 metri, a circa 10 miglia dalla costa. Trovata! Caliamo i giri del motore a 1.600. Il cielo è grigio, il vento scarso di 6-9 nodi da SSE contro la corrente alza un’onda corta e fastidiosa di 3-4 metri, con un periodo di 7-8 secondi. Avanziamo con randa cazzata e motore.
Tala2 ci invia un messaggio: ci chiedono se abbiamo trovato la corrente, perché loro sono a 5 miglia dalla costa e arrancano a 4,5-5 nodi. In effetti la distanza tra noi è diventata più di 20 miglia e non riusciamo più a vederli sull’AIS. Rispondiamo subito che se vogliono la corrente devono allontanarsi dalla costa di altre 5 miglia.
Sabato mattina arriva la mail di Des: “Il vento SE di 10-15 nodi gira domani ad E-ENE, poi a Port Elizabeth alle 0300 UTC diventa SW. Dovete prendere una decisione se fermarvi ad East London o proseguire su Port Elizabeth: in quest’ultimo caso il termine ultimo per arrivare è alle 0300 UTC (ore 5.00 locali) di lunedì 4 marzo”.
Faccio un po' di conti: l’arrivo a East London è di sicuro notturno; quello a Port Elizabeth, se la corrente ci aiuta, potrebbe essere nel tardo pomeriggio di domenica. Decido: andiamo a Port Elizabeth. Comunichiamo a Des e Tala2 che il dado è tratto e per avere maggiori chances di arrivare prima del buio porto i giri motore a 1.800.
Alle 12 di sabato 2 marzo abbiamo percorso 156 miglia nelle 24 ore. Verso sera il vento rinforza a 12-16 nodi da SSE. Si continua a ballare sul mare formato e confuso, ma la corrente a favore, aumentata, ci porta a 8-9-10 nodi di velocità.
Nella notte tra sabato e domenica il vento gira ad ESE, continuiamo a filare veloci con l’onda un po’ ammorbidita. Alle 9.40 accostiamo su rotta 282° per Port Elizabeth. Mancano 60 miglia, il vento arriva ora al giardinetto ed è rinforzato sui 20-22 nodi, circa 15 apparenti. Mettiamo tutta tela e finalmente spegniamo il motore. La velocità della barca si mantiene sui 9-10 nodi: è una goduria, il sole splende ed il plotter ci dà l’ETA a Port Elizabeth alle 17.
In tarda mattinata incrociamo una nave proveniente da dritta. Siamo in rotta di collisione, e la cosa strana è che non è visibile sull’AIS. Accendo il radar e non c’è dubbio: la nave è proprio in rotta di collisione. Quando siamo a circa 2 miglia e mezzo di distanza penso che sia meglio chiamarli via VHF. Vado a svegliare Lilli, che se la cava meglio con l’inglese: “Qui è Refola, chiamo la nave alla nostra dritta, che non vedo sull’AIS, ci avete visto? Ci passate a prua o a poppa?” Risponde prima il marconista e poi prende il microfono il comandante, che si scusa: hanno problemi con l’AIS, ma non dobbiamo preoccuparci, non ci faranno cambiare rotta. E così è, poco dopo la vediamo sfilare lentamente davanti a noi, a circa 1,5 miglia.
Alle 12 di domenica 3 marzo registriamo un record di percorrenza nelle 24 ore: 201 miglia!
Alle 16 i nostri cellulari ritrovano il segnale; chiamiamo il marina, che dalle notizie lette su internet risultava chiuso ed abbandonato ma utilizzabile. Ci risponde un certo John: “Sì il marina è aperto, chiamatami quando entrate che vi dò indicazioni per l’ormeggio”. Ottimo!
Riceviamo anche una mail da Tala2, anche loro hanno deciso di venire a Port Elizabeth, arriveranno verso mezzanotte, ci chiedono di trovare un posto anche per loro.
Dopo aver chiesto l’autorizzazione al Port Control, alle 17 entriamo in porto e alle 17.15 siamo al pontile galleggiante del marina, dove troviamo ad attenderci John con 3 ragazzi, pronti ad aiutarci nell’ormeggio all’inglese. 
Chiediamo a John un posto per Tala2; sapeva già del loro arrivo, previsto per le 22, e ci mostra il posto loro assegnato sul lato opposto del pontile, a circa 100 metri. “Se li assistete voi all’arrivo, io evito di tornare.” Potevamo rifiutare? Aperitivo, doccia, e cena con lasagne al forno (preparate a Durban e congelate). Cosa si può chiedere di meglio?
Puntuali, alle 22 arrivano gli amici di Tala2. Seguiamo sull’AIS le loro ultime 10 miglia, andiamo ad aiutarli per l’ormeggio. Il vento nel frattempo è calato a meno di 5 nodi e la loro manovra risulta facile. “Ciao ragazzi, come è andata?” “Come passare due giorni in lavatrice” dice Sue, “ma tutto OK!”.