lunedì 25 dicembre 2017

Buon Natale a tutti!

Ci siamo lasciati con l’ultimo blog del 12 agosto, quando abbiamo concluso la breve stagione di navigazione 2017, a Pangkor in Malesia. Alla fine di agosto, dopo una breve sosta turistica a Kuala Lumpur, siamo rientrati in Italia.
A casa, oltre a curare relazioni familiari e amicali, ci stiamo dedicando alla programmazione della prossima stagione nell’oceano Indiano, nonché alla stesura del secondo volume di “Refola, giro del mondo a tappe”, in cui descriviamo le nostre esperienze in Pacifico. Il libro non è ancora finito, ma speriamo possa essere pubblicato verso la fine del 2018.
Intanto, il conto alla rovescia per riprendere il nostro viaggio è già iniziato: partiremo il 10 febbraio per tornare in Malesia, dove ci aspetta Refola. Carena, cambusa, preparativi vari e poi … saremo di nuovo in mare!
Scriveremo di nuovo una volta a bordo, ma per adesso vogliamo inviare a tutti mille auguri di buone feste e di un felice 2018!

sabato 12 agosto 2017

Ritorno a Pangkor

Domenica 6 agosto salpiamo da Ko Lipe diretti a Langkawi. Il vento è praticamente assente, 5-7 nodi da sud, dritti sul naso: diamo motore, ma almeno l’apparente sui 10-12 nodi ci rinfresca. Alle 15.30 siamo al nostro marina preferito, il Langkawi Royal Yacht Club.
L’indomani, per prima cosa, espletiamo le pratiche d’ingresso in Malesia. Di nuovo ci rivolgiamo per affittare un’auto al nostro “amico” Stanley. “Potresti darcene una un po' meglio dell’ultima volta, ma allo stesso prezzo?” gli chiedo. “Ok, vi accontento” risponde Stanley sorridendo. In effetti all’apparenze la “nuova” macchina fa una migliore figura, i finestrini elettrici funzionano, il tachimetro pure e l’accelerazione è migliore, ma il cruscotto ha alcune spie accese, di cui ignoriamo il significato, speriamo in bene…
Questo ritorno a Langkawi è dovuto sostanzialmente alle formalità burocratiche. Ci siamo però ripromessi di approfittare del duty free che non chiede passaporto per iniziare la scorta di vino e birra per la prossima stagione, e anche di comprare un po’ di carne nel negozio Sailor’s Sausage, per tastare se sarà il caso, nel 2018, di rifornirci qui [ad assaggio avvenuto, confermiamo che carne e salsicce sono buonissime: http://www.sailorsupplies.com/].
Ci resta una mezza giornata da dedicare al turismo, e decidiamo di andare alla Langkawi Cable Car, un’impressionante cabinovia che sale sulla Machinchang mountain, a nord ovest di Telaga. La giornata che era iniziata nel sole e con un bel cielo sereno, nel primo pomeriggio purtroppo perde punti: il cielo si annuvola progressivamente sempre più, facendoci perdere buona parte delle vedute panoramiche.
La visita risulta comunque interessante perché col biglietto della cabinovia si può accedere ad altre attrazioni presenti alla base dell’impianto; viaggi virtuali in 3D (sulle montagne russe, nell’era preistorica) e quello che abbiamo apprezzato di più, il 3D Art Langkawi. Un grande padiglione con più di cento opere, con effetti tridimensionali, realizzate da diversi artisti internazionali. Il padiglione è organizzato per temi: Aquarium, Safari, Egypt, Optic Illusion… Nella sezione Classic painting, quadri famosi sono riproposti con varianti spesso di grande effetto e ben realizzati. I dipinti, spesso di colori brillanti, non si limitano alle pareti verticali ma si estendono al pavimento e al soffitto, creando illusioni ottiche di rilievo. Bravi!

Ovviamente tutto intorno è pieno di negozi di souvenir, ma il posto è talmente grande che non c’è troppa ressa. Abbiamo mangiato bene (indiano) e a prezzi modici.
Giovedì 10 agosto alle 9.00, dopo il rifornimento di gasolio effettuato questa volta comodamente in banchina, lasciamo Langkawi diretti all’isola di Bindan.
Navighiamo a motore, sempre per assenza di vento. Nel pomeriggio però, quando stiamo per arrivare all’ancoraggio prescelto, si alza un venticello da W, sui 10 nodi, che prendiamo al traverso. Sono le 15.30 e abbiamo anche la corrente a favore: decidiamo di saltare l’ancoraggio notturno e proseguire a vela fino a Penang, che dista 21 miglia.
Vi giungiamo alle 18.30 ed ancoriamo all’interno dell’area segnalata sul plotter, appena a sud del porto dei traghetti di Georgetown; fondale di sabbia-fango con ottima tenuta, 8-9 metri (5°24.457’N 100°20.546’E). Intorno a noi alcuni grossi pescherecci, ma c’è ampio spazio per stare alla ruota.
L’indomani appena fa luce ci prepariamo a salpare (abbiamo già avuto, non molto lontano da qui, l’esperienza di dover lavare la catena metro su metro) per una tappa discretamente lunga, sulle 65 miglia.
Fortunatamente la catena non richiede un lavaggio troppo impegnativo e salpiamo velocemente: alle 7.10 siamo già nel canale in direzione sud. Non c’è vento, avanziamo a motore, ma la corrente contraria non ci permette di superare i 5 nodi e mezzo di velocità, naturalmente al regime di risparmio di 1950 giri/min.
Finalmente verso mezzogiorno la corrente si inverte e diventa a favore, e vi si aggiunge anche una brezza da W-NW sui 10 nodi, che ci fa viaggiare a 7,5-8 nodi; alle 17 siamo all’altezza della piccola isola di Madang, la nostra meta odierna. Vista la levataccia del mattino, non mi azzardavo a proporre a Lilli un altro proseguimento. Rimango piacevolmente sorpreso quando è proprio lei, dopo aver consultato il plotter, a chiedermi: “Ma non ce la facciamo ad andare avanti fino a Pangkor?” Bravo il mio secondo! “Certamente -  le rispondo - mancano 16 miglia, in 2 ore siamo arrivati, ancoriamo fuori dal marina e sicuramente staremo meglio di qui, dove si rolla abbastanza”.
Così anche questa volta prolunghiamo la tappa giornaliera. D’altra parte, la nostra vacanza è praticamente finita a Ko Lipe, ora siamo in trasferimento e vogliamo arrivare in fretta per completare alcuni lavori, in primo luogo il motore del dissalatore da 220 V che dopo la partenza da Phuket a smesso di funzionare.
Alle 19.10 ancoriamo fuori dal Pangkor Island marina, giusto in tempo per non essere ricoperti d’acqua dal grosso temporale che ci seguiva da un po’. Dopo aver percorso 80 miglia in 12 ore, caliamo l’ancora su 3-4 metri, fondo sabbia-fango, ottima tenuta (4°12.803’N 100°35.549’E).
Siamo tornati alla base, la stagione di navigazione 2017 è finita. Un brindisi, una pasta e a nanna.

sabato 5 agosto 2017

Ko Lipe

Durante la notte che passiamo a Ko Butang siamo stati circondati da temporali, con tuoni e fulmini abbastanza vicini, qualche raffica di vento sui 20-25 nodi non ci ha impensierito più di tanto, le acque restano sempre calme e 70 metri di catena su un fondo di 20-22 ammortizzano bene il brandeggio.
Sabato 5 agosto la giornata si apre con il cielo sereno; decidiamo di spostarci di 8 miglia, a nord di Ko Lipe, nello stesso ancoraggio dove ci eravamo fermati quando eravamo diretti a Phuket. Abbiamo ancora credito internet thailandese, e vogliamo sfruttare le grosse antenne di Ko Lipe. Nel caso l’ancoraggio non fosse sufficientemente riparato, pensiamo, possiamo sempre tornare a Ko Butang.
In effetti il canale a nord di Ko Lipe è più esposto al SW, ma l’onda è calata di molto; solo nella mezz’ora di stanca Refola si traversa all’onda e rolla un po’, ma tutto sommato l’ancoraggio è accettabile (6°29.893’ N 99°18.067’E), su fondo sabbioso di 10-12 metri.
Siamo fortunati perché l’ultima sosta in terra Thailandese, in acque limpide, si svolge in una bella giornata di sole: facciamo snorkeling sui reef vicino alla costa, facciamo una passeggiata sulla spiaggia (come veri turisti).



In qualche modo abbiamo la sensazione che sia il nostro ultimo giorno di vacanza: quando saremo partiti da qui, infatti, i bagni nelle acque malesi non sono certo invitanti.
Ko Lipe è la più piccola del Butang Group ed è la più abitata o meglio occupata da numerosi resort; quelle che quando siamo passati all’andata pensavamo essere barche di pescatori sono in realtà taxi-boat locali, con il caratteristico lungo asse elica che fa da timone e da bilanciere al motore esterno.
Domenica 6 agosto salpiamo da Ko Lipe per una tappa di 38 miglia che ci riporterà a Langkawi, che avevamo lasciato il 22 luglio.
I 15 giorni passati in Thailandia ci hanno permesso di farci un’idea di questo paese, soprattutto sotto l’aspetto nautico.
Il golfo di Phuket offre numerosi ancoraggi riparati sia per la stagione invernale, più secca, con il monsone di NE, che la stagione estiva, più umida con il monsone di SW; le acque sono generalmente pulite ma più o meno intorbidite dalla sospensione; per i rifornimenti di articoli nautici si trova tutto in stock o con massimo 4 giorni di attesa (a prezzi un po' più cari ad esempio della Malesia); in città si trovano grandi supermercati, mentre piccoli negozi sono presenti un po’ ovunque; la cucina thailandese è varia e ricca, i prezzi economici.
Abbiamo trovato quasi sempre persone gentili e disponibili ma forse l’elemento che ci ha maggiormente colpito, e in un certo senso raffreddato, è il denso turismo. Sarà forse perché abbiamo visto solo Phuket e qualche isola minore, ma per qualche motivo il fenomeno ci è sembrato più evidente qui che altrove (pensiamo a Bali, per esempio). O forse il fatto è che abbiamo ancora nel cuore la vita semplice dei villaggi del sud pacifico…

venerdì 4 agosto 2017

Ko Rok Nai e Ko Butang

Giovedì 3 agosto lasciamo Phi Phi Don diretti a Ko Rock Nai, il parco dove abbiamo già ormeggiato prima di arrivare a Phuket, con una variante: sul percorso, con una piccola deviazione verso sud, c’è un gruppetto di isole, le Ko Ha Yai, denominato “le 5 isole”. Il portolano South East Asia Pilot ne parla come di un eccellente sito per il diving e comunque come un’irrinunciabile sosta, anche se di poche ore visto che offre una scarsa protezione; è un ancoraggio diurno, da bel tempo.
Col vento da SW sui 15-18 nodi, viaggiamo spediti e alle 11.30 siamo già alle 5 isole; purtroppo tutti gli ancoraggi segnalati sul portolano sono esposti, peccato perché il posto è veramente suggestivo.
Scattate un paio di foto, riprendiamo la nostra rotta.
Alle 13.45 siamo a destinazione; nella baia hanno trovato riparo molte barche da pesca, oltre ad un catamarano arrivato poco prima di noi ed un’altra barca a vela che sopraggiunge poco dopo. Prendiamo la stessa boa gialla di 10 giorni fa e dopo aver pranzato ci concediamo un meritato riposo. Riposo si fa per dire, perché il rollio è molto più forte della volta precedente; rimandiamo all’indomani un’eventuale escursione a terra ed il bagno sul reef, sperando che le condizioni meteo migliorino.
Abbiamo conservato un po' di valuta thailandese per eventualmente pagare la tassa del parco, ma anche questa volta nessuno viene a riscuotere; meglio così, i bath andranno a incrementare la raccolta di banconote e monete straniere del papà di Lilli.
Passiamo la notte in “lavatrice” per il continuo rollio. Il mattino il cielo è coperto ed il vento è aumentato, sui 20 nodi; non ci sembra proprio il caso di restare qui a sorbirci altre 24 ore di sballottamento, quindi alle 8.25 salpiamo con destinazione Butang Group, circa 45 miglia a ESE.
Una tappa non troppo lunga, ma che ricorderemo: appena siamo fuori dalla copertura dell’isola il vento aumenta a 25 nodi da SW. “Bene - ci diciamo - arriveremo in un baleno!” Avanziamo infatti veloci, di bolina larga, per circa un’ora, quando la situazione diventa un po’ meno divertente. Il cielo è sempre più scuro, il vento rinforza a 30 nodi con raffiche a 35, ma soprattutto gira verso sud!
Riduciamo le vele e teniamo duro, sperando che passi in fretta (anche se nel cielo non appare alcuno spiraglio, nemmeno in lontananza); nel frattempo comincio a pensare ad un atterraggio alternativo. Tenere la nostra rotta di 120° è impossibile, continuamente costretti a poggiare siamo ormai di bolina e 30° fuori rotta. Per non farci mancare niente, comincia una pioggia fitta ed incessante come non avevamo visto finora ed anche il mare si alza velocemente con onde che ci prendono al traverso, le più toste sui 4 metri. “Ecco - mi son detto - questo è il monsone di SW, non sono molto lieto di conoscerti, ma prima o poi doveva succedere”. Dopo un paio di straorzate dovute ad onde particolarmente poco gentili, disattivo il pilota automatico e mi metto al timone.
Lilli che sta cercando di farsi piacere questo oceano Indiano (che in realtà la terrorizza) si rilassa un pochino e mi dice: “Tu sei più bravo del pilota!”. “No - le rispondo - è che lui non vede le onde e non può anticiparle…”
Dopo circa un’ora in queste condizioni il vento cala sui 20 nodi. Ancora una volta proviamo quella strana e piacevole sensazione di aver superato un momento impegnativo. È strana, perché gli stessi 20 nodi che ti mettono in allarme quando ti colgono all’improvviso, costringendoti a ridurre un po’ le vele, sembrano proprio niente quando invece ritornano dopo aver superato i 30 e magari i 40. Sono sempre 20 nodi, ma li si vive in modo del tutto diverso! Questo è un aspetto della vela che lascia Lilli ogni volta incantata.
Non facciamo in tempo a rilassarci del tutto (il pilota automatico è tornato al lavoro, lascio Lilli di guardia e comincio ad imbastire il pranzo) quando vediamo un altro, nero ed estesissimo, fronte in arrivo. Questa volta però viene da NW e il vento non va oltre i 25 nodi: ci carica di pioggia, ma in compenso ci permette di correggere la rotta riportando la prua sul nostro obiettivo.
Verso mezzogiorno il vento è ormai calato sui 7-8 nodi, ma l’onda è rimasta; diamo motore con la randa aperta, per limitare il rollio.
Alle 15.30 imbocchiamo lo stretto passaggio tra Ko Rawi e Ko Butang.
Ancoriamo in acque ferme e trasparenti su un fondale sabbioso sui 22 metri (6°31.719’N 99°10.561’E). Nell’ansa che abbiamo scelto, a nord di Ko Butang, ci sono altre tre piccole barche a vela, mentre numerosi pescherecci sono ancorati in mezzo al canale.

Finalmente, terminate le manovre e rimessa in ordine la barca, la tensione si allenta, l’adrenalina torna a livelli normali e resta la soddisfazione di aver raggiunto un riparo sicuro, dopo una giornata impegnativa ed incerta. Ci premiamo con un bagno ristoratore ed un gin tonic, brindando a questo primo assaggio dell’oceano Indiano.

giovedì 3 agosto 2017

Phi Phi Don

Dopo esserci fatti cullare per due giorni da un dolce brandeggio nella tranquilla rada di Ao Yon, martedì 1 agosto di buon mattino torniamo ad ancorare nella caotica baia Chalong, per fare le pratiche di uscita.
Poiché siamo in lieve anticipo, facciamo un salto in "città" per comprare il pane; restiamo nuovamente colpiti dall'incredibile via vai di turisti: molti, diretti alle spiagge con le "speedy taxi boat" escono già dall'albergo indossando il giubbetto salvagente rosa shocking; altri lo possono prendere (gratis?) all'inizio del molo, prima di imbarcarsi. C'è bassa marea e vediamo divertiti decine e decine di formichine rosa (i giubbetti) salire sulle barche dalla spiaggia, senza neanche bagnarsi i piedi.


Ripercorriamo poi la trafila burocratica: registrazione online della nostra partenza, Harbour Master, Immigrazione, Dogana. Tutto semplice e professionale come all'arrivo: in mezz'ora abbiamo la  "Clearance" (foglio di via). Abbiamo pagato 90 bath di fotocopie, 100 bath per Harbour Master, 200 bath per l'immigrazione e 200 bath per la Dogana, in totale 15,38 €; Lilli è convinta dice che i 200 bath dell'immigrazione non erano dovuti (in effetti a differenza degli altri il poco affabile addetto non ci ha rilasciato ricevuta), ma non mi sembra il caso di recriminare...
Alle 10.30 salpiamo con destinazione Phraya a 26 miglia, vento da SW sui 15-17 nodi, al gran lasco per la nostra rotta; teniamo randa e genoa pieni, il mare è discretamente formato con un'onda tra 1,5 e 2,5 mt.
Verso le 13.30 siamo già a destinazione; la baia ad ovest di Phraya è però impraticabile, il mare vi entra diretto e non offre alcun riparo. Non a caso è completamente deserta. Fabio doveva averla visitata in condizioni molto diverse, visto che il suo consiglio era: "Bisogna arrivare tardi, quando le barche turistiche se ne sono andate, per trovare una boa libera".
Proseguiamo per 3 miglia a nord verso Phi Phi Don. Il mare nel canale tra Phraya e Phi Phi Don è incrociato con onde corte e ripide, probabilmente per effetto della corrente di marea contraria all'onda. Siamo sballottati ben bene, ma dura poco: una volta entrati nella baia sud di Phi Phi Don, Ton Sai Bay, il mare si placa. Voltandoci indietro osserviamo che anche il lato est di Phraya è calmo ma Lilli, chissà perché, trova più invitante Phi Phi.
Ton Sai Bay è più profonda nella parte occidentale, dove il "Marine Dipartiment" ha posizionato, ad intervalli regolari, numerose grosse boe gialle ad uso degli yachts; la parte orientale della baia è bassa, con un esteso fondale ridotto; la parte centrale, vicino al molo dei traghetti, è invece occupata da boe private, taxi boat e barche del turismo locale.

Piuttosto che ancorare più vicino a terra ma esposti al gran traffico di barche e traghetti, prendiamo una boa gialla che all'ispezione risulta ampiamente affidabile: la cima è in buono stato e di diametro adeguato, il fondale è 13 metri (7°43.699'N 98°46.197'E).
Siamo ben riparati: nonostante fuori il vento sia da SW, sempre sui 15-20 nodi, al nostro ormeggio arrivano 10 nodi da nord, giusto per arieggiare le cabine e stare al fresco; solo qualche isolata raffica arriva sui 18 nodi, accompagnata da uno scroscio di pioggia che dura pochi secondi.
Viste le condizioni tranquille, decidiamo di fermarci per una giornata. Il mattino seguente andiamo a terra, lasciando il dinghy sulla spiaggia vicino al molo, naturalmente lucchettato; c'è anche qui un gran via vai di barche da turismo e dato che c'è un solo piccolo punto di imbarco, le barche si avvicendano velocemente nelle operazioni di carico/scarico clienti.
La piccola cittadina, che vive di solo turismo, è interamente pedonale: nelle strette e caratteristiche viuzze si susseguono uno dietro l'altro negozi di souvenir, bar, ristoranti, agenzie di diving, hotel. All'apparenza, sembra un turismo però più di élite rispetto quello visto a Chalong.

Capitati inconsapevolmente nella Capri thailandese ci cucchiamo questo "bagno di folla", acquistiamo pane e frutta, un po' di credito per internet, pranziamo ad un ristorante (turistico) sulla spiaggia nord ed un po' stressati ritorniamo in barca.
Ancora una volta ci ritroviamo ad osservare come i posti molto frequentati ci incuriosiscano per un momento, per poi stancarci velocemente … e ci rendiamo sempre più conto di quanto siamo fortunati ad essere liberi di girovagare a piacimento, vincolati solo dal tempo, e dal mare.

domenica 30 luglio 2017

Phuket e Boat Lagoon marina

Il 25 luglio alle 9 in punto torniamo col dinghy al lungo molo di Chalong Bay per le pratiche di ingresso, che si rivelano semplici e veloci. Eravamo preparati al peggio, per quanto letto qui e là, molti parlavano di corruzione e di richieste di denaro da parte di qualche funzionario, invece tutto si svolge con una professionalità ed una gentilezza esemplari.
Primo step: si passa in un ufficio per la registrazione on line, dove una gentile signorina ti aiuta a digitare sul pc il modulo con le informazioni di base della barca e dell'equipaggio. Qui si possono far fotocopiare (10 bath la copia = 0,26 €) i passaporti e i documenti della barca, perché occorre triplice copia di tutto. Poi, secondo step, si va al piano di sopra dall'Harbour Master, cui va mostrata la clearance del porto precedente; terzo step l'immigrazione (dove ti fotografano, come all'aeroporto) ed infine la dogana. Non abbiamo pagato nulla tranne le fotocopie e dopo circa 30 minuti era tutto finito. Bravi!
La nostra breve puntata in Thailandia ha tre scopi principali: vedere negozi di articoli nautici un po' più forniti di quelli malesi, cercare di caricare le bombole del gas per la cucina, poter rientrare in Malesia con un nuovo visto turistico da 90 giorni (il vecchio ci sarebbe scaduto il 23 agosto). 
A questi si è aggiunta anche una commissione affidataci da Ruz, la segretaria del marina di Pangkor: trasportare delle grosse taniche di vernice e consegnarle ad un certo Pierre, navigatore francese partito da poco per Phuket. Naturalmente ci siamo resi disponibili e abbiamo preso accordi con Pierre di raggiungerlo al marina di Boat Lagoon.
Il Boat Lagoon è circa 15 miglia a nord di Chalong: vi si accede attraverso un tortuoso canale dragato, lungo circa 2-3 miglia, utilizzabile di fatto esclusivamente nelle 2 ore di alta marea, anche per il nostro relativamente basso pescaggio.
Dopo le pratiche torniamo a bordo, salpiamo e in breve tempo, anzi con una mezz'ora in anticipo rispetto all'alta marea, siamo all'imbocco del canale del Boat Lagoon. Vediamo un'unica fila di pali, tutti uguali, non si sa se passare a destra e sinistra (apprenderemo poi che vanno lasciati a sinistra, entrando). In più, il percorso che intravediamo non corrisponde affatto a quello indicato sulla cartografia Navionics (peraltro del tutto assente su C-Map). Poiché abbiamo saputo da Fabio e Leopoldo che il marina fornisce un servizio di pilotaggio, per precauzione chiamiamo il marina al VHF canale 69. Nessuna risposta. Chiamiamo al telefono ma riusciamo ad ottenere solo le coordinate del punto di accesso. Grazie signorina, qui ci siamo, ma "per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare?" Lilli chiude la telefonata un po' (molto) contrariata, anche perché nel frattempo il cielo è diventato nero e minaccioso. Fortunatamente dopo un po' riusciamo a metterci in contatto con il marina via VHF, la comunicazione è frammentata e poco chiara, speriamo che abbiano capito… Arriva il temporale, la pioggia riduce sensibilmente la visibilità, il vento è a 30 nodi con raffiche a 35, e io e Lilli con la giacca della cerata a scrutare la costa … finalmente arriva una barca a motore con due marinai: uno sale a bordo, con non poca difficoltà a causa del vento che rende difficile l'accosto.
Seguiamo la barca tenendo i pali a circa 10 metri sulla sinistra, tutto procede bene anche se con la l'alta marea di 3.4 metri abbiamo trovato profondità inferiori: 2.95, 2.75 e nell'ultima curva poco prima del marina 2.35 metri.
Boat Lagoon è un posto lussuoso, con annesso hotel, piscina, alloggi e negozi vari, però gli spazi di manovra sono abbastanza stretti e le acque ferme e sporche, mosse solo dai 2 metri di marea.

In compenso ci sono numerosi negozi di articoli nautici, ben forniti anche se un po' più cari rispetto alla Malesia, e un supermercato alimentare con prodotti europei, naturalmente a prezzi d'importazione.
Nel pomeriggio incontriamo Pierre: è giovane, meno di 50 anni, simpatico e molto premuroso nei nostri confronti. Lo credevamo un velista e invece scopriamo con grande sorpresa che la sua barca è una piccola nave tipo rompighiaccio, e l'area delle sue navigazioni è l'oceano artico!
Il mattino del 26 luglio, con l'auto a noleggio gentilmente messaci a disposizione da Pierre, risolviamo il problema delle bombole di gas. Poco distante dal marina c'è la stazione del gas, dove facciamo caricare le nostre 5 camping gas da 3 kg e ne acquistiamo una nuova da 7, con il proprio regolatore: complessivamente 76 € (prezzi decisamente bassi). Molto bene, perché eravamo proprio agli sgoccioli!
A mezzogiorno, con Pierre e sua moglie Mor (sulla quarantina, originaria di Hong Kong), andiamo in città per fare spese ad un grosso supermercato. In realtà la maggior parte del tempo la passiamo in un ristorante "sushi": un'esperienza per noi del tutto nuova. Tutta la sala è percorsa da una sorta di mini tapis roulant su cui scorrono piattini con pietanze di ogni tipo (carne, pesce, verdure). Su ogni tavolo c'è una piastra a induzione con una pentola di acqua portata a ebollizione. Ognuno, senza alzarsi dalla propria sedia, prende dal nastro il cibo che gli aggrada e lo cuoce per il tempo che ritiene. Poi se lo mette sul piatto, lo condisce con salsine varie, e se lo mangia. Il prezzo è fisso (circa 10 € a testa) ,si mangia e si beve (no alcool) a sazietà. Divertente, buono e non troppo caro!
Pierre ci racconta un po' della sua vita. Originario di La Rochelle (Francia) è emigrato molto giovane in Canada, dove ha intrapreso poi la sua attività nell'oceano Artico: avendo base in Groenlandia, porta esploratori e studiosi, meno spesso semplici turisti, in zone impervie dove è possibile navigare solo alcuni mesi all'anno. Ci mostra foto mozzafiato di ghiacciai, con luci e colori incredibili. "Dovresti pubblicarle" gli diciamo, ma Pierre alza le spalle, per lui è la normalità.
Venerdì 28 salutiamo Pierre e Mor e lasciamo il marina con l'alta marea delle 13. Una scelta un po' obbligata, perché domani la marea è al limite per passare senza toccare, e poi per circa 10 giorni a venire resteremmo imprigionati qui, a prezzi non certo economici (circa 53€/notte) rispetto alle nostre abitudini.
Una volta fuori dal canale, navighiamo per poco più di 3 miglia ed ancoriamo ad est di due isolette, Ko Rang Noi e Ko Rang Yai, separate da uno stretto passaggio. Un ancoraggio tranquillo anche se leggermente rollante, su un fondale sabbioso di 7-8 metri (7°57.731'N 98°27.305'E).
Il giorno seguente salpiamo in tarda mattinata, riprendendo la rotta a sud verso Chalong. Il vento è sui 15 nodi, con frequenti raffiche che arrivano a 25. Possiamo ora testare le nuove vele con una robusta bolina e in condizioni molto variabili di intensità e direzione del vento: più leggere delle precedenti, ho l'impressione che, essendo nuove, siano ben più sensibili ai minimi cambi di vento. Dovrò studiarne bene la regolazione.
Con una serie di bordi raggiungiamo Ao Yon, una baia a sud-est di Chalong, e alle 16.10 gettiamo l'ancora su un fondale di sabbia-fango sui 4-5 metri (7°48.560'N 98°23.735'E).
La baia è tranquilla, riparata, anche se parzialmente occupata da una coltivazione di ostriche; ha due piccole spiagge scarsamente frequentate e sulle verdi colline che la circondano vediamo numerose abitazioni, a terrazza. In lontananza, spicca l'imponente statua del "Big Buddha", alta 45 metri, talmente grande da essere visibile da ogni punto del sud dell'isola.

Le raffiche fanno brandeggiare dolcemente Refola, in più non c'è il via vai di Chalong. Qui ozieremo un paio di giorni, in attesa di fare le pratiche di uscita il primo agosto.

lunedì 24 luglio 2017

Arrivo a Phuket e prime impressioni

Sono le 12.05 di sabato 22 luglio quando, recuperato il nostro coprigommone ed i nuovi copri-oblò, salpiamo dalla baia di Telaga: abbiamo 26 miglia da percorrere, manco a dirlo ancora a motore. Alle 16.15 arriviamo a Ko Lipe, l'isoletta più meridionale del Butang Group; ancoriamo nella parte nord, nel canale che la separa dalla maggiore isola di Adang, su un fondale sabbioso di 9-10 metri (6°29.872'N 99°18.030'E) .
In avvicinamento notiamo sulla spiaggia centinaia di piccole imbarcazioni, probabilmente di pescatori che solo verso sera iniziano la loro attività, ma quello che ci colpisce maggiormente sono i colori dell'acqua, dall'azzurro chiaro al blu, trasparente da vedere il fondo.
Ci eravamo ormai dimenticati che l'acqua può essere anche trasparente: se escludiamo qualche punto dalle parti dell'isola di Komodo, per riacciuffare un ricordo di acqua pulita dobbiamo tornare indietro a settembre 2016, quando eravamo nel parco di Raja Ampat a nord della Papua.
Finalmente facciamo il primo bagno della stagione, dopo due mesi! Con l'occasione ho voluto fare un controllo della chiglia. Un piccolo tarlo mi infastidiva da quando abbiamo lasciato Pangkor: al primo ancoraggio all'isola di Madang, durante la solita perlustrazione della piccola baia, ho sentito la barca toccare il fondo. Eravamo praticamente fermi, solo un po' di scarroccio per la corrente, lo scandaglio segnava 4-5 metri di fondo ma la visibilità era zero. Ebbene, dobbiamo aver urtato contro uno scoglio coperto da appena un metro e mezzo d'acqua e purtroppo non con la chiglia, ma con la punta del timone, che è strutturalmente più debole. Ecco la foto del danno, non gravissimo ma sempre sgradito. 
A parte questa amara constatazione, cui porremo rimedio tra un mesetto quando Refola uscirà nuovamente dall'acqua, il nostro ancoraggio si è rivelato piacevole e discretamente protetto dalla risacca.
Il giorno seguente riprendiamo la navigazione verso Phuket, per un'altra tappa giornaliera fino all'isola Ko Rok Nok, a 46 miglia; le autorità thailandesi permettono alcune soste nel loro territorio prima di formalizzare l'ingresso, ma non troppe e soprattutto entro 7 giorni dalla partenza da Langkawi bisogna registrare ufficialmente l'entrata.
Alle 15.30 arriviamo a destinazione. Ko Rok Nok è un parco naturale, il paesaggio suggestivo e l'acqua limpida.
Per evitare che le barche danneggino i coralli con l'ancora, nella baia sono posizionate diverse boe; ne prendiamo una di quelle più esterne, fondale di 33 metri, con un cimone molto robusto e soprattutto di recente installazione (7°12.847'N 99°04.374'E).
Poco dopo di noi arriva un catamarano, proveniente da nord, e prende una boa nelle acque più basse.
Naturalmente non rinunciamo ad un bel bagno ristoratore (anche se la temperatura dell'acqua è sui 27-28°) e ceniamo in pozzetto nella quiete più assoluta.
Sul portolano avevamo letto che essendo l'isola parco naturale viene richiesto il pagamento di una tassa di 500 bath (circa 13 €). Sarà forse perché è domenica, ma nel nostro caso nessuno è venuto a riscuotere, e per fortuna, visto che siamo totalmente sprovvisti di valuta locale.
Lunedì 24 luglio alle 8.20 molliamo l'ormeggio. Nel programma avevamo previsto prima di Phuket un'altra tappa intermedia, di 37 miglia; ma leggendo su www.noonsite.com gli orari di apertura degli uffici per il check-in abbiamo realizzato che in nessun caso saremmo riusciti a registrare il nostro ingresso nello stesso pomeriggio dell'arrivo. Gli orari sono infatti 9.00-12.00 e 13.00-15.00. Avremmo aggiunto un giorno ai 7 che siamo obbligati a passare fuori dalla Malesia, e visto che (tanto per cambiare) siamo di corsa optiamo per un tappone unico da 59 miglia che ci porta direttamente alla baia di Chalong, sul versante meridionale di Phuket, dove è previsto fare le pratiche per l'ingresso in Thailandia.
In avvicinamento arriva anche un po' di vento, prima sugli 8-10 nodi e quasi all'arrivo sui 15, ma ce l'abbiamo proprio sul naso, peccato, è troppo tardi per tirare qualche bordo.
Per entrare a Chalong, provenendo da sud, lasciamo a sinistra l'isola Ko Hi, dove c'è il mondo: paracaduti ed enormi bruchi gonfiabili trainati da potenti motoscafi, una spiaggia che sembra un formicaio, centinaia di turisti e numerosissime barche che fanno la spola per riportarli all'isola principale.
Imbocchiamo il canale tra Phuket e l'isola Ko Lon e alle 16.40 siamo a Chalong Bay: una baia immensa, piena di imbarcazioni di ogni genere e dimensione, diporto, pescherecci, turismo, navi cargo. Più che in mare ci sembra di essere su una pista di autoscontro.
La maggior parte delle barche sono alla boa, e molte boe sono in effetti libere, ma non si sa fino a quando, c'è il rischio che il legittimo titolare venga prima o poi a reclamarla.
Decidiamo quindi di ancorare in uno spazio libero dietro ad un grosso motoscafo, ma ci rendiamo presto conto che lo spazio è libero perché è il tratto delimitato dai segnali di accesso, infatti quando inizia il rientro delle orde turistiche vediamo barche sfrecciarci sia a destra che a sinistra, anche a notevole velocità. Ci spostiamo allora fuori dalla prima coppia di segnali, costituiti da 2 alti piloni in cemento, su un fondale di 5-6 metri (7°48.839'N 98°21.468'E).
Abbiamo ancora un po' di tempo prima del buio, così mettiamo in acqua il nostro dinghy e scendiamo a terra giusto per dare un'occhiata in giro ed agli uffici dove andremo domani, ma soprattutto per prelevare ad un ATM e acquistare una sim locale per la connessione internet.
Lasciamo il dinghy all'estremità esterna del lungo pontile in cemento lungo (circa un chilometro) che collega la terraferma ai diversi punti di attracco dei traghetti turistici, su cui trova posto anche una grande costruzione moderna, col tetto blu, che ospita gli uffici di dogana, immigrazione e Harbour Master. Restiamo nuovamente basiti dall'intensità del traffico turistico: una fila di spartani camioncini fa la spola per riportare ai loro pullman centinaia e centinaia di persone. Noi invece preferiamo andare a piedi (non solo non abbiamo i soldi per pagare il biglietto, ma nemmeno avremmo voglia di essere stipati come sardine insieme a tutta quella gente). Lilli dice: "Per farmi fare la turista in quel modo dovrebbero pagarmi, e tanto!". Ancora una volta ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati, ad essere qui per conto nostro, su una barca-casa tutta nostra, che ci porta dove vogliamo!

Preso un po' di denaro e la sim Thai, in tutta fretta ce ne torniamo su Refola per passare la prima notte all'ancora, nella baia di Chalong.

sabato 22 luglio 2017

Langkawi

Domenica 16 luglio lasciamo il nostro ancoraggio a sud di Georgetown diretti, con una sosta intermedia per la notte, a Langkawi. Di buonora iniziamo a salpare, già preparati a trovare la catena completamente infangata: armati di spazzole e canna di acqua dolce (la pompa dell'acqua salata per il lavaggio della catena ci dà poca pressione) impieghiamo un'ora di lavoro e quasi 150 litri per pulire e passare palmo a palmo 60 metri di catena. Alle 9 siamo liberi e riprendiamo il mare.
Per proseguire verso nord, a causa dei bassi fondali, dobbiamo tornare indietro sulla traccia già percorsa e aggirare a sud l'isoletta Jerojak. Passiamo sotto il secondo ponte che collega l'isola di Penang alla terraferma, anche questo con una luce libera di 28 metri, costeggiamo Georgtown e seguiamo il canale segnalato da coppie di boe (rosse a destra e verdi a sinistra) per circa 10 miglia.
In assenza di vento, navighiamo a motore fino a destinazione; approfittiamo del mare piatto per fare quattro giri di bussola e ricalibrare il pilota automatico; alle 15.45 diamo fondo su 8 metri, fondale di sabbia/fango, a nord-est dell'isola Bidan (5°45.018'N 100°17.375').
Sull'isola una piccola costruzione ci sembra inizialmente disabitata, ma la vediamo illuminarsi debolmente all'imbrunire. Ci abiterà qualcuno? Non vediamo anima viva…
Riprendiamo la navigazione l'indomani per le ultime 43 miglia che ci separano da Langkawi; come sempre vento scarso sui 5 nodi, ma verso mezzogiorno rinforza sugli 8-10; nonostante l'andatura al granlasco, con randa e genoa manteniamo una media di 6 nodi, grazie anche all'aiutino della corrente.
È la prima volta che proviamo le vele nuove della Lee Sail di Hong Kong: devo dire che sono fatte bene ed hanno un bel taglio, ancora un grazie a Davide Zerbinati, rappresentante in Italia di Lee Sail, che ci ha assistito nell'ordine e nella consegna.
Il vento si mantiene debole ma costante fino a 3 miglia dall'arrivo, quando imbocchiamo il canale sul versante sud-est di Langkawi, tra Pulau Tuba e gli isolotti Nyior Setali Laut e Nyior Setali Darat.
Alle 16.30 ormeggiamo al Royal Marina Yacht Club di Kuah, centro principale dell'isola.
Pensavamo ad un marina di serie C, perché sulla cartografia elettronica è segnalato male e senza dettagli, inoltre tutta la baia ha fondali bassi che si estendono molto al largo. Invece all'interno del marina i fondali sono circa 7-8 metri, c'è il distributore di carburante e perfino l'impianto per aspirare le acque nere, i pontili galleggianti sono di nuova fattura e molto robusti, circa 200 posti barca disponibili (con i finger, senza corpo morto). Anche i prezzi, come in tutta la Malesia, sono bassi: 150 RM (30 €) al giorno per un 53 piedi, compreso acqua ed elettricità.
Nella struttura a terra, oltre alla reception, c'è un hotel con piscina, alcuni bar-ristoranti e molti negozi.

Altro segno evidente della vocazione turistica e della ricchezza dell'isola è il grande terminal -nazionale e internazionale - dei traghetti, che oltre agli uffici di immigrazione, Custom ed Harbour Master, ospita un grande centro commerciale con negozi e ristoranti, aria condizionata a go-go dappertutto.
All'esterno un grande parcheggio, curati giardini, fontane con giochi d'acqua e un'imponente scultura raffigurante un'aquila, che nonostante l'aspetto piuttosto minaccioso sembra dare il benvenuto a chi proviene dal mare.

Grazie all'indicazione di Gerard di Cassiopee (chiamare Stanley al +60 17 578 8632) noleggiamo per 4 giorni una macchina, un po' scassata per la verità, ma con l'aria condizionata perfettamente funzionante, al costo di 40 RM al giorno (8 €).
Dopo aver completato le pratiche di arrivo, ci dedichiamo alla visita dei vari duty free. Essendo isola di frontiera verso la Thailandia, Langkawi è porto-franco: vino, birra, alcolici, tabacco sono esentasse ed a prezzi dimezzati rispetto al resto del paese. Ci sono comunque limitazioni sulle quantità (3 stecche di sigarette, 5 casse di birra, 5 litri di alcolici a persona per un mese), e da novembre 2016 è stato attivato un sistema di controllo on line, che obbliga i negozianti a registrare gli acquisti effettuati dai clienti stranieri, insieme alle loro generalità. Abbiamo però notato, da bravi italiani, che in alcuni negozi non viene nemmeno richiesto il passaporto e questo potrà tornare utile il prossimo anno, quando uscendo dalla Malesia per affrontare l'oceano Indiano avremo bisogno di scorte mooolto consistenti.
Quest'anno invece prendiamo nota dei prezzi e compriamo qualche bottiglia, giusto per assaggiare e valutare il miglior rapporto qualità/prezzo; come supermercato il nostro preferito è Teow Soon Huat Duty Free, dove abbiamo trovato addirittura vasetti di capperi, finora assolutamente introvabili in Malesia!
Oltre a quella delle batterie, per fortuna conclusa felicemente, su Refola c'è un'altra storia infinita: quella della capottina. A bordo abbiamo ancora quella originale, datata come la barca 2004. Ha svolto un lavoro egregio, ci ha protetto da pioggia, vento e spruzzi per oltre 50.000 miglia, ma ormai, poverina, mostra i segni del tempo. Da un paio di anni saremmo dell'idea di cambiarla, abbiamo studiato il progetto per rifarla con alcune migliorie, traendo spunto da quella che l'amico Umberto Milici ha fatto fare per Be Quiet 2, gemella di Refola. Abbiamo chiesto preventivi in Italia, in Nuova Zelanda, e anche in Malesia. Chiedevano o troppi soldi, o troppo tempo, o addirittura che portassimo la barca in Italia … insomma, nulla di fatto finora.
Uno dei nostri riferimenti è proprio qui a Langkawi, riferimento un po' vago visto che una nostra mail di oltre un anno fa è rimasta senza risposta. Ma ora che siamo qui decidiamo di tentare un contatto diretto. Più facile a dirsi che a farsi, ma dopo una giornata di ricerche riusciamo finalmente ad ottenere il numero di cellulare di Chris, titolare della Yacht Worx, e a fissare un appuntamento. Piuttosto sbrigativamente ci fa un preventivo per la nuova capottina, ancora troppo alto (8000 RM, pari a circa 1700 €). Per il momento ci limitiamo a richiedergli alcune riparazioni al tendalino da sole e alla copertura del gommone, oltre alla confezione di quattro nuovi copri-oblò.
Fortunatamente riusciamo a dedicare una mezza giornata ad un giro esplorativo: andiamo a vedere, nella zona settentrionale dell'isola, la bella spiaggia di Tanjung Rhu (area in cui sembrano esserci belle zone di ancoraggio), ed a ovest il marina di Telaga.

Molto più spartano del Royal Yacht Club, il marina di Telaga occupa quasi interamente una baia molto protetta, cui si accede attraverso un canale stretto e non molto profondo. Purtroppo all'interno le acque sono sporche e stagnanti; c'è un negozio di ricambi e servizi nautici, Blueshelter, gestito da un gentile ragazzotto francese, Manu.
Sulla via del ritorno verso Kuah, a circa 3 km da Telaga, mangiamo ottimi gamberi giganti in un originale ristorante costruito intorno ad una barca a vela in disarmo!


Per completare le informazioni nautiche su Langkawi, per mettere la barca a terra ci sono due cantieri: il primo circa 4 miglia ad ovest del Royal Yacht Club di Kuah, dotato di grande travellift, Northern Shipyard (6°18.45'N 99°48.09'E); il secondo nella piccola isola di Rebak a sud-ovest di Langkawi, presso l'omonimo marina (6°17.492'N 99°41.699'E).
Sabato 22 luglio, con i documenti in regola per l'uscita dalla Malesia, lasciamo il marina; ci fermiamo brevemente per ritirare le nostre coperture a Telaga (dove Chris e suo fratello John vivono in barca)  e proseguiamo la nostra navigazione verso Ko Lipe, prima tappa di avvicinamento a Phuket.