giovedì 30 agosto 2018

DA MAHAJANGA A BALY BAY, ADIOS MADAGASCAR

L'ancoraggio di Mahajanga è davvero particolare: l'escursione di marea arriva a 4 metri e genera correnti fino a 4 nodi; il fondale è basso in tutta la grande laguna ed anche all'interno del porto e lungo il molo, tanto che, al nostro arrivo con la bassa marea, vediamo decine di barche e piccole navi appoggiate sul fondo di fango argilloso; l'acqua è di un colore tra il caffelatte e la cioccolata; numerosissime piroghe a bilanciere con vele al terzo stracciate o rattoppate alla meglio sfrecciano a destra e a sinistra sfruttando le brezze e la corrente.
Il porto è pieno di grossi barconi in legno, tutti armati con vele al terzo; il lungo molo è invece occupato da piccole navi un po' sgangherate e da grandi chiatte, che vengono trainate dai rimorchiatori fino alle navi più grandi, che si fermano all'ancora in acque più profonde.
Mahajanga, purtroppo, ha una brutta fama in tema di sicurezza: sono stati segnalati molti furti, e due anni fa il nostro amico Gianni di Eutikia, ancorato proprio qui, è stato assalito di notte e minacciato con un coltello alla gola. Ne è uscito illeso, ma depredato di denaro, computer, macchine fotografiche, e tutto ciò che era asportabile dalla barca. Un'esperienza terrificante.
Con questi presupposti, il nostro piano per andare a terra è il seguente: Angelo e Cristina rimangono a bordo di guardia, Lilli Gianca ed io scendiamo, portando con noi 2 radio VHF; Gianca rimarrà di guardia al dinghy, mentre Lilli ed io andremo nei vari uffici per le pratiche di uscita; in caso di emergenza, ci sentiremo via VHF.
Per l'atterraggio col dinghy abbiamo un WP di Adina (15°43.565'S 046°18.385'E, confermato anche da Noonsite), ma quando ci avviciniamo ci rendiamo conto che nonostante manchino due ore alla minima di marea dovremmo trascinare il dinghy nel fango per un bel tratto. Inoltre c'è un po' di onda provocata dalla brezza da est e l'idea di rischiare un bagno in quest'acqua marrone non ci piace affatto.
Costeggiamo il molo, alto almeno 4 metri, cercando un approdo dotato di scala, quando da una barca ormeggiata in terza fila un giovane ci fa cenno di avvicinarci. Accostiamo. In un inglese un po' stentato si offre di aiutarci, ma Lilli insiste per avere informazioni su dove poter atterrare con il dinghy; lui ci risponde che dobbiamo proseguire fino alla fine del molo e poi girare a sinistra, ma torna a ripetere che può venire con noi. Il ragazzo coglie la nostra esitazione e per rassicurarci ci dice che lavora per l'organizzazione AIDA (recupero e sicurezza in mare), ma Lilli è diffidente e vorrebbe tentare l'atterraggio nel fango. Dopo un breve consulto lo accogliamo a bordo del dinghy: Stephan, questo il suo nome, ci chiede subito se c'è qualcuno di guardia sulla barca, segno che la zona è veramente rischiosa.
Stephan si è rivelato un vero angelo custode. Ci guida dietro al lungo molo, dove c'è uno scivolo in cemento riparato dall'onda. Essendo il nostro dinghy dotato di ruote, risulta facile trascinarlo all'asciutto. Cosa che comunque non facciamo da soli: non appena tocchiamo terra veniamo circondati da 4-5 giovani che si offrono di fare la guardia al tender. Stephan ne sceglie due, con cui concordiamo un compenso di 5000 Ari per due ore.
Con noi avevamo tre sacchi di spazzatura, che i giovani ci hanno detto di lasciare sul dinghy; appena ci siamo allontanati li abbiamo visti contendersi i sacchi per aprirli e vedere se c'era qualcosa di utile, impressionante!
Lilli Gianca ed io seguiamo Stephan che ci conduce verso l'ingresso dell'area portuale. Percorriamo a piedi strade sterrate e polverose, piene di buche, baracchini e costruzioni in muratura in cattivo stato, nell'insieme uno scenario abbastanza squallido. Facendoci superare facilmente il controllo di accesso, la nostra guida ci porta in primo luogo all'ufficio immigrazione: in 10 minuti e pagando 40.000 Ari (circa 10 euro, con regolare ricevuta) abbiamo i timbri sui passaporti. Poi Stephan ferma un tuk-tuk (gli Ape adibiti a micro-taxi) e dà istruzioni all'autista: dovrà portarci dall'Harbour Master, aspettarci e ricondurci lì, all'ingresso dell'area portuale.
Il breve tragitto costeggia il porto, pieno di attività: i grossi barconi in legno appoggiati sul fango caricano e scaricano merce da portare in giro per le isole e le zone sulla costa; ovviamente potranno salpare solo con l'alta marea.
La capitaneria si trova in un bel palazzo sulla punta De Sable; in 15 minuti completiamo le pratiche per la clearance pagando 35.000 Ari (circa 8,5 euro, anche qui con regolare ricevuta). Ritroviamo Stephan che ci accompagna anche nell'ultimo passaggio, la dogana, un piccolo ufficio a fianco all'ingresso carraio dove mettono alcuni timbri sulle carte già in nostro possesso, senza chiedere soldi. Siamo piacevolmente sorpresi: in poco più di un'ora abbiamo completato le pratiche di uscita, molto più veloci e chiare di quelle di ingresso a Nosy Be.
Stephan ci chiede se abbiamo bisogno di altro. "Sì: ora pane e supermercato, oggi pomeriggio gasolio" dico io. Detto fatto, Stephan ordina all'autista di portarci al supermercato "Leader Price", che troviamo fornitissimo. Fuori dall'area portuale, la città ha un altro aspetto: strade asfaltate, pulizia, bei negozi.
Pagati 30.000 Ari (circa 8 euro) al taxista che ci ha scarrozzato per due ore, presi accordi con Stephan per il rifornimento di gasolio, torniamo in barca alle 12.30 contenti e soddisfatti, con la cambusa rimpinguata.
Alle 14.30 Angelo ed io passiamo col dinghy a prendere Stephan e questa volta atterriamo vicino al porto; la marea è salita di circa un metro e siamo coperti dalla brezza pomeridiana, da ovest; il taxista è li ad aspettarci, saliamo su Ape in tre, con 5 taniche.
Fatto il rifornimento, riaccompagniamo Stephan alla barca di AIDA; chiedo cosa gli devo per il suo prezioso servizio. "Fai tu..." dice lui. Gli dò 30.000 Ari ed un paio di occhiali da sole, sembra felice, e mi chiede anche un biglietto da visita per restare in contatto. Anche noi siamo soddisfatti, ci ha fatto risparmiare un sacco di tempo. Grazie Stephan!
Prima del tramonto ci spostiamo a Katsepe, 4 miglia a SW sulla sponda opposta della laguna; la corrente è di almeno 3 nodi, a favore, ma dobbiamo tenere la prua a 270° per avere la rotta vera 230°.
Ancoriamo davanti al villaggio, su fondale fangoso di 5-8 metri (15°46.261'S46°14.734'E). Anche qui l'acqua è color cioccolata, però abbiamo protezione dal vento da ovest che soffia sui 15 nodi fino a sera.
Come da accordi presi a Nosi Be, è ancorata qui anche Island Pearl, l'Amel gemella di Refola incontrata al primo ancoraggio del Madagascar; concordiamo con Colin di attraversare insieme il canale di Mozambico partendo da Baly Bay, che loro raggiungeranno partendo in serata con una navigazione notturna, mentre noi faremo una tappa intermedia a Boina Bay.
Colin ci informa che da Katsepe c'è un servizio di taxi per Mahajanga a 150.000 Ari (circa 40€); c'è un grande viavai di barche locali, stipate di gente, che fanno spola da e verso la città.
Il giorno seguente salpiamo per Boina Bay, facendo un bordo su Mahajanga per sfruttare la conessione internet 4G; il vento apparente al giardinetto è debole perciò vela e motore, arriviamo a Boina Bay penetrando circa 5 miglia nella profonda laguna. Ancoriamo a sud di Nosi Boina, su un fondale fango/sabbia di 5-7 metri (15°50.333'S 45°39.499'E). Il posto è ben riparato e scenografico: sul basso e piccolo isolotto, disabitato, si stagliano tre grandi baobab.
Mercoledi 29 agosto salpiamo all'alba, con la corrente a favore. 60 miglia per raggiungere la nostra ultima meta in Madagascar: vela e motore con il vento al lasco e poppa, poi con la brezza di mare da ovest solo vela fino a destinazione. Ancoriamo in fondo alla laguna, vicino a Island Pearl, su 4-7 metri di fango (16°05.488'S 45°17.740'E).
Baly Bay è una tappa obbligata per lasciare il Madagascar, è qui che le barche aspettano la finestra buona per partire. C'è la connessione internet, anche se debole, e si possono scaricare le previsioni meteo.
A terra c'è un villaggio, a circa 2 miglia, ma noi ormai abbiamo in testa la partenza... le ultime previsioni scaricate indicano una finestra dal 31 agosto fino al 7 settembre. 7 giorni dovrebbero essere sufficienti per raggiungere Bazaruto in Mozambico, il primo riparo sulla rotta del Sudafrica; anche Des ci ha scritto una mail, confermando questa situazione.
La decisione è presa: prima del tramonto solleviamo il dinghy in coperta e concordiamo con Colin di partire insieme domani 31 agosto alle 8.00. Adios Madagascar!

martedì 28 agosto 2018

MADAGASCAR COSTA NORD-OVEST, DA BARAMAHAMAY A MAHAJANGA



Ad Helville passiamo quattro giorni tranquilli, che ci sono utili per fare i rabbocchi di cambusa e gasolio, visto che a sud di Nosy Be, se si esclude Mahajanga, non ci saranno altre possibilità di rifornimento.
Gianca, Angelo e Cristina si organizzano per un giro dell'isola col taxi (200.000 Ari -circa 52€- per l'intera giornata), ma al ritorno ci raccontano che non sono troppo entusiasti dell'escursione: viaggio lento e un po' disagevole a causa del cattivo stato delle strade, ristorante scadente e più caro rispetto a quelli che avevamo provato ad Helville, ma soprattutto i siti visitati non avevano attrattive particolari.
Nella baia di Helville ritroviamo Anthem, la barca di Adrian e Marianna che avevamo conosciuto alle Chagos il giorno prima della nostra partenza; Marianna ora è sola a bordo, Adrien ha dovuto partire improvvisamente per l'Australia.
Con Marianna c'è subito feeling. Originaria della provincia di Vicenza, da un sacco di tempo non incontra italiani con cui poter chiacchierare parlando la propria lingua. Ci racconta le sue esperienze come fotografa imbarcata sulle navi di Sea Sheperd, una delle organizzazioni internazionali che si occupa della salvaguardia della fauna ittica e degli ambienti marini. Con Sea Sheperd ha passato lunghi periodi in Antartide, in spedizioni il cui scopo era contrastare, o quanto meno documentare, le attività illegali delle navi baleniere. Poi, piuttosto casualmente, è passata alla vela. Con il suo compagno Adrian, australiano e abilissimo tecnico, hanno messo a punto con grandi lavori di manutenzione Anthem, bellissima barca di 19 metri in alluminio con deck salon, che veniamo invitati a visitare e che ci lascia davvero incantati
Martedì 21 agosto invitiamo a cena Marianna e Fabio & Lisa di Amandla. Questi ultimi sono in partenza per Mayotte, distante da Nosy Be circa 180 miglia: il loro visto di 3 mesi sta scadendo, quindi per rinnovarlo devono uscire dal Madagascar per poi subito rientrare.
Il giorno dopo facciamo un ultimo giro in città: grande spesa al mercato ortofrutticolo, scorta di pane e pranzo al ristorante Oasi, secondo noi il migliore di Helville.
Salpiamo giovedì 23 agosto: dopo l'ennesimo mezzora impiegata per il lavaggio manuale della catena intrisa di fango (qui in Madagascar sta diventando un'abitudine), mettiamo la prua su Baramahamay a 36 miglia.
In assenza di vento avanziamo a motore e dopo circa un'ora noto che la spia della pompa automatica di sentina è accesa, ma non ne verifico lo spegnimento. 5 minuti dopo Angelo mi fa notare che la spia è ancora accesa, e nessuno sta usando i rubinetti dei bagni e della cucina! A questo punto scendo nella sala motore e trovo un tubo dell'acqua dolce staccato, si era allentata la fascetta; la pompa di sentina a fatica riusciva a scaricare l'acqua che fuoriusciva dal serbatoio: in pochi minuti abbiamo buttato a mare 300 litri d'acqua dolce! Risolvere l'inconveniente non è difficile, ricollego il tubo e stringo la fascetta, ma ora ci vorrà del tempo per riprodurre l'acqua con il nostro dissalatore a 60 litri/ora.
Baramahamay è una stretta e profonda insenatura che penetra nella mainland per circa 3 miglia, ed è sostanzialmente l'estuario del fiume omonimo, che i navigatori chiamano “Honey River”, perchè qui viene artigianalmente prodotto un miele che i locali vendono alle barche di passaggio.
Ci addentriamo per circa 1,5 miglia, le acque sono torbide e non si distinguono le profondità, proviamo prima l'ancoraggio segnalato da Des, davanti al villaggio, ma in un brusco cambio di profondità andiamo a toccare con la chiglia il fondo fangoso, metto prontamente la retro e ci spostiamo al centro del canale su 8-9 metri (13°42.837'S 47°54.056'E).
Dopo l'ancoraggio un ragazzo ci raggiunge con una piroga per offrirci un grosso granchio, che rifiutiamo, poi arriva un giovane a proporci il miele, in una bottiglia di plastica da acqua minerale di un litro e mezzo, per 20.000 Ari, circa 5,2 €: piccola trattativa e concordiamo per 17.000 Ari.



Salpiamo il giorno successivo per Nosi Kalakajoro, a 18 miglia; brezza leggera, navighiamo con vela e motore, anche per poter far funzionare il dissalatore. Arriviamo alle 11.00 quando inizia la brezza da ovest, ancoriamo davanti ad una bella spiaggia, fondo sabbioso sui 12 metri (13°57.029'S 47°46.627'E).


L'acqua è pulita e trasparente, così approfittiamo per fare un po' di pulizia alla carena: a terra vediamo un resort senza clienti, forse abbandonato.
Il posto è splendido, e del tutto godibile con la brezza di mare, che rinforza nel pomeriggio. Diventa invece poco piacevole di sera quando arriva la brezza di terra, che proprio da Kalakajoro verso sud, rinforzata dal vento di sud-est, porta raffiche catabatiche che giungono facilmente a 25-30 nodi. Ci si può trovare con più di un metro di onda e la costa sottovento. Alla luce di queste considerazioni, dopo il pranzo salpiamo per Berangomaina, un'altra insenatura della mainland profonda circa 1,5 miglia, 16 miglia più a sud.
Con 11-12 nodi al traverso, Refola colma facilmente la distanza e alle 16 siamo già a destinazione. Incontriamo qualche difficoltà nell'atterraggio: siamo in alta marea (+ 3 metri), l'acque torbida e fangosa impedisce di distinguere le differenze di profondità, la cartografia Navionics e C-Map è molto approssimativa. Berangomaina ha estesi bassi fondali da entrambi i lati e verso l'uscita, abbiamo però il wp dell'ancoraggio di Adina.
Procediamo con cautela, controllando continuamente l'ecoscandaglio; al primo tentativo di avvicinamento mi rendo conto che ci stiamo infilando nel percorso sbagliato, torniamo indietro alcune centinaia di metri e ci spostiamo più a sud, la profondità è più stabile, ancoriamo in fondo all'insenatura su 8-10 mt. di fondale fangoso (14°05.843'S 47°54.413'E).
Dopo l'ancoraggio ci viene a trovare un simpatico giovane un po' sdentato, che parla un francese strano e colorito, ma facilmente comprensibile. Ci propone delle aragoste, che sarebbe andato a pescare durante la notte, per 50.000 Ari (circa 13 €). “Troppo care”, gli diciamo declinando l'offerta. Ci chiede se abbiamo una maglietta da regalargli, lo accontentiamo e lui se ne va felice.


Il mattino successivo poco dopo le 6, quando il sole è appena spuntato, si presenta nuovamente con la sua piroga: “Alessandro, guarda cosa ho!” 2 aragoste, una più grande, l'altra piccolina. “Troppo care – torno a dirgli - ti do 20.000 Ari (circa 5 €)”. “Ok” dice lui, sempre sorridente; poi ci chiede se abbiamo del paracetamolo, la moglie ha la febbre da due giorni e mangia solo the zuccherato, dovrà andare dal dottore, ma intanto vorrebbe abbassarle la temperatura. Gli diamo il paracetamolo e anche due paia di calzoncini che non mettevo più ed il giovane se ne va, ancora una volta felice come una pasqua!
Tiriamo su l'ancora, faticando per pulire la catena dal fango; l'uscita, seguendo la traccia precedente, risulta molto più facile.
La nostra meta è Nosi Saba, a 24 miglia, un altro bellissimo ancoraggio diurno. Ancoriamo a SE dell'isola su 20-22 metri di sabbia, il fondo sale rapidamente vicino a terra (14°21.924'S 47°38.663'E).



Anche qui c'è un resort, sulla parte nord; sulla spiaggia davanti a noi vediamo alcune persone intente a lavare in mare grandi foglie di palma, segno che c'è un minimo di attività, probabilmente senza clienti. Bagno ristoratore, forse l'ultimo in acque Malgasce, pranzo e poi si salpa per passare la notte sulla costa della mainland.
Abbiamo un wp di Adina in località Bisakondri, ma prima passiamo da Nosy Lava, un'altra isola 10 miglia a sud, ex sede del carcere nazionale; essendo l'ancoraggio protetto da ovest e anche da sud, vogliamo verificare se può essere adatto ad una sosta notturna. Quando vi arriviamo, però, il vento è girato a NNW e c'è quasi un metro di onda. Non è proprio il caso di fermarsi .
Proseguiamo quindi per Bisakondri, dove arriviamo alle 17.00; mettiamo ancora su fango argilloso, profondità 5-8 metri (14°32.517'S 47°43.401'E). Il vento è ancora sui 15 nodi da NW e si balla, ma come nei giorni precedenti alle 19 cala e dopo altre due ore cessa anche l'onda. Riposiamo tutta la notte tranquilli, con una leggera brezza di terra.
Il 26 agosto salpiamo da Bisakondri, la catena è intrisa di argilla e impieghiamo una buona mezz'ora per lavarla, lavorando di spazzola quasi anello per anello. Quando finalmente possiamo partire, mettiamo la prua su Moramba Bay, a 44 miglia.
Il vento è da est sui 10-12 nodi, ma al giardinetto l'apparente non supera i 6 nodi, perciò navighiamo con vela e motore; dopo un paio d'ore con rotta SSW, il vento apparente arriva al traverso e ci consente di proseguire solo a vela fino a destinazione.
Moramba Bay è un'ampia e profonda baia della mainland, navigabile solo per metà a causa dei bassi fondali sabbiosi. Ancoriamo tra grossi isolotti rocciosi che si innalzano dall'acqua come funghi, su fondale sabbia-fango di 5-8 metri (14°53.621'S 47°19.821'E).
Il posto è veramente bello e scenografico, pur senza i colori del Pacifico ricorda un po' Fulanga, uno dei posti che abbiamo amato di più alle FiJI. Solo per un paio d'ore subiamo un po' di rollio, che cessa quando si inverte la corrente di marea (qui, con la luna piena, la alta marea arriva a +3.40 metri).


Dopo diversi giorni ritroviamo finalmente la connessione ad internet; anche se debole, ci permette di scaricare le previsioni meteo e la posta. È ormai tempo di programmare l'uscita dal Madagscar e di affrontare il complicato tratto di navigazione che ci porterà in Sud Africa. Dovremo attraversare il canale di Mozambico e per farlo in sicurezza occorre sfruttare una buona “finestra” meteo, che di solito non dura più di 4-5-6 giorni, ed è seguita da forti venti meridionali.
Il nostro meteorologo-velista Des ci comunica che una finestra utile è verso la fine del mese: abbiamo solo tre giorni di tempo per beccarla, e mancano 80 miglia a Mahajanga, dove dobbiamo fare le pratiche di uscita. Per tenere aperte tutte le possibilità decidiamo di partire la sera stessa e navigare tutta la notte per arrivare al mattino a Mahajanga. Salpiamo prima del tramonto, vediamo sorgere la luna piena, alle 22 il vento da est si stabilizza sui 10-15 nodi e ci accompagna dolcemente fino a destinazione.
Alle 7.45 del 28 agosto ancoriamo davanti alla città di Mahajanga, su un fondale fangoso di 4-8 metri (15°43.872'S 46°18.499'E). Non c'è tempo di riposare, dobbiamo affrettarci e scendere a terra, per il nostro secondo randez-vous con la burocrazia Malgascia...


mercoledì 22 agosto 2018

MADAGASCAR: NOSY KOMBA - NOSY MUNOKO - RUSSIAN BAY - NOSY IRANJA - NOSY ATSOHA



Proseguiamo il nostro giro per le isole vicine a Nosy Be, tutte raggiungibili con piccole tappe: la distanza massima è di una ventina di miglia.
Nosy Komba è la più vicina. Vi arriviamo sabato 11 agosto provenienti da Tani Keli, ed ancoriamo in prossimità della punta nord, vicino al villaggio Anpangorionuna, località turistica dell'isola (13°26.514'S 48°21.169'E fondo 12-14 metri di fango/sabbia).
Tramite Fabio di Amandla, che è qui da oltre due mesi, abbiamo conosciuto Stefano Palazzi, un italiano che vive da 17 anni nel villaggio di Antintorona, un miglio a SE del nostro ancoraggio.
Stefano Palazzi, romano, è approdato qui poco più che trentenne. Trovando in atto un'emergenza sanitaria che aggravava una situazione preesistente di estrema povertà e abbandono, si è dato da fare per aiutare le persone in difficoltà e per bonificare la piccola baia coperta di mangrovie. In questo modo è entrato nelle grazie dell'autorità più riconosciuta nella tradizione del villaggio (la chiamano "Regina"), e questo ha fatto sì che conquistasse anche un certo ascendente sui locali.
Pochi anni dopo la “Regina” è morta e lui si è ritrovato ad essere considerato un personaggio di grande rilievo, perché l'aveva curata ed assistita negli ultimi mesi di vita. Anche queste particolari circostanze hanno dato impulso ai suoi progetti. Piano piano, coinvolgendo i locali, ha costruito una grande scuola (dalla materna alle superiori); molte case in paglia sono diventate solide costruzioni in muratura, i sentieri strade lastricate di granito.
Sfruttando l'acqua che scende dalla montagna, ha realizzato una piccola centralina idroelettrica che produce elettricità; tutto il villaggio usufruisce gratuitamente sia dell'acqua che della luce.
Per finanziare tutto questo nel 2010 Stefano ha costituito un'associazione no profit, autofinanziata dai soci e in parte da contributi istituzionali italiani e non. Stefano oggi riesce a pagare lo stipendio a 12 insegnanti e ad assicurare vitto e alloggio ai giovani studenti provenienti dalle isole vicine; ogni anno i 5 migliori vengono premiati con una borsa di studio per proseguire il loro percorso di formazione fino all'università.
Attualmente sono in corso due ulteriori progetti. Uno riguarda la produzione agricola, per rendere autosufficiente il villaggio. L'altro promuove l'igiene alimentare: stanno costruendo una cucina comune, per abituare la gente a mangiare in maniera corretta ed equilibrata. Come se non bastasse, quando c'è necessità fa anche il cavadenti e il dispensatore di farmaci basici.
La figura di Stefano ci ha molto colpiti: è un "grande", ha fatto del volontariato una missione, coinvolgendo gli adulti, ma iniziando con la scuola e i bambini, gli adulti di domani; sta dimostrando che il suo progetto pilota è esportabile per migliorare la vita di tutti. Sul suo sito internet si possono trovare i dettagli www.weworkitworks.org/stefano-project/



Nell'altro villaggio di Komba, Anpangorionuna, ci sono molti ristoranti e negozi che espongono lavori di artigianato, soprattutto sculture in legno e tovaglie ricamate a mano. Sul blog di Adina avevamo letto che per i navigatori un punto di riferimento è il ristorante Chez Jolande, gestito da una coppia: lui francese e lei malgascia, dove lei è una ex navigatrice, perciò particolarmente vicina e sensibile ai naviganti. Naturalmente ci andiamo per pranzo, ed effettivamente Jolande si dimostra subito gentile, prolungando l'apertura della cucina appositamente per noi che eravamo in forte ritardo rispetto agli orari consueti.




 La nostra isola successiva è la piccola Nosy Munoko, 20 miglia a sud di Helville. Poco distante dalla terraferma, a NE di Punta D'Ampasimena, è un posto tranquillo e ben riparato dalle brezze. Ancoriamo nel suo versante SW, davanti al piccolo villaggio, dando fondo su 14-16 metri di fango/sabbia (13°43.366'S 48°11.217'E).
Anche qui, ci è stato detto, vive una “Regina”, e per rispetto delle tradizioni locali è preferibile recarsi da lei con qualche omaggio prima di visitare l'isola. Ci atteniamo al protocollo e andando a terra portiamo con noi un pacco di riso e un paio di occhiali da sole per la “Regina”, ed una certa quantità di banane per i lemuri. Sapevamo infatti che qui è possibile vedere questi primati dall'aspetto curioso, a metà strada fra le scimmie e gli scoiattoli, che vivono esclusivamente in Madagascar, pare in 60 specie diverse, e purtroppo sono oggi a rischio di estinzione.
I locali che ci vengono incontro parlano pochissimo il francese (come noi, del resto), ma capiamo che la "Regina" non è sull'isola al momento. Così regaliamo il pacco di riso ad un pescatore intento a riparare la sua rete, e gli occhiali ad un giovane incontrato sulla spiaggia, che sembrano entrambi gradire l'omaggio.
Se la “Regina” non c'è, speriamo almeno di vedere i lemuri. E di lì a pochi minuti veniamo accontentati. Lo stuolo di ragazzini che si è raccolto intorno a noi lancia infatti in coro il richiamo di rito: "maki, maki, maki" … ed ecco che in breve tempo veniamo presi d'assalto da una quindicina di questi piccoli animali agili e ghiotti di banane, che sono velocissimi a strapparci di mano.



L'anziano pescatore ci guida poi nella foresta per mostrarci due grosse tartarughe di terra, che fanno parte della comunità da circa un secolo.



Il villaggio è povero, con case di paglia e legno, ma vediamo molti giovani; facciamo un po' di foto ai ragazzini giocosi e rientriamo in barca.


Mercoledì 15 agosto torniamo a Nosy Be, ma questa volta ci fermiamo a Crater Bay, la baia alternativa ad Helville, dove sono ancorate la maggior parte delle barche; ci sono molti gavitelli gestiti dal locale Yacht Club, ma noi diamo ancora su un fondale fangoso di 12-14 metri (13°23.964'S 48°13.176'E).

Qui ritroviamo Pino, partito una settimana prima di noi dalle Seychelles. Lo invitiamo a cena: ci racconta che ha avuto nuovi problemi al motore, causati dall'alta temperatura dell'acqua, e che durante la traversata ha trovato vento forte che lo ha costretto a ripiegare verso le isole Comore. Ha impiegato 13 giorni per raggiungere Nosy Be, contro i nostri 5.
Lo Yacht Club di Crater Bay è gestito da un austriaco, Roland, che ha anche un negozio di ricambi nautici; uno dei motivi per cui siamo venuti qui, infatti, è cercare le fascette stringitubo in acciaio inox, introvabili ad Helville. Ma il 15 agosto è festa anche in Madagascar ed il negozio è chiuso. Decidiamo di fare comunque un giro al villaggio di Daresalama, che si trova a circa 2 chilometri. Contrattiamo con l'autista del tuk tuk la tariffa di 3000 ari per tratta; la strada è sterrata e disastrata, con grosse buche e profondi avvallamenti, il percorso è quasi a rischio di rovesciamento per il piccolo Ape Piaggio, ma tutto fila liscio. Troviamo il supermercato aperto e ne approfittiamo per comprare baguette fresche.
Il giorno seguente, di buon mattino, lo stesso Roland accompagna me e il Gianca al negozio con il suo gippone, e poi ci riporta indietro. Gentilissimo, ma le fascette le abbiamo pagate circa 10 € l'una!
Appena risaliti in barca salpiamo. Da Crater Bay a Russian Bay, la nostra nuova meta, sono solo 16 miglia con rotta 240°. Partiamo con una leggera brezza da NE, quasi in poppa, che diventa dopo un po' brezza da ovest, cioè quasi in prua. Non c'è che da rassegnarsi e procedere a motore, come sta succedendo nella maggior parte degli spostamenti di questi giorni. Giungiamo a destino alle 12.30 ed ancoriamo su un fondale di sabbia/fango, sui 14-15 metri (13°32.217'S 47°59.835'E). Ritroviamo tra le barche presenti vecchie conoscenze delle Chagos, tra cui Vakanui e Grasshopper.

Russian Bay è una grande baia, molto gettonata per le sue acque calme, infatti diventa il rifugio ideale d'inverno quando arrivano le burrasche da sud. In questo periodo è la base ideale per recarsi con escursioni giornaliere a Nosy Atsoha e Nosy Iranja, che sono posti belli ma con ancoraggi piuttosto rollanti, non idonei per passarvi la notte.
Venerdì 17 salpiamo per Nosy Iranja, distante 14 miglia. Il consiglio per godere appieno del sito è arrivarvi con la bassa marea, quando emerge un lunga striscia di sabbia bianchissima che solo per poche ore congiunge Iranja ad un piccolo isolotto distante poco meno di un miglio.


Noi arriviamo alle 11.45; la bassa marea è alle 14, ma la striscia di sabbia è quasi tutta fuori dall'acqua: vi vediamo infatti decine di gitanti, giunti con piccole barche per turisti, che vi passeggiano avanti e indietro. Ancoriamo su 10 metri di fondale sabbioso (13°36.432'S 47°49.747'E); l'acqua è limpidissima, lo scenario da cartolina. Ci godiamo un bel bagno, accompagnato da un po' di pulizia della carena. Purtroppo, come previsto, non c'è alcuna protezione dall'onda, quindi dopo aver pranzato rollando alla grande salpiamo l'ancora e partiamo per tornare a Russian Bay.
L'altra isoletta che vogliamo vedere, Nosy Atsoha, è sulla nostra rotta. Andiamo a dare un'occhiata per capire se è il caso di fermarci, ma l'ancoraggio risulta esposto alla brezza di ovest e si balla un bel po'. Molto meglio fare le ultime 6 miglia e tornare alle acque piatte di Russian Bay, che assicurano un riposo tranquillo.
A Nosy Atsoha torniamo il giorno dopo, sabato 18 agosto: sarà la nostra ultima tappa nei dintorni di Nosy Be. Atsoha è una piccola isola, separata dalla costa da uno stretto canale con profondità inferiori ai 2 metri in bassa marea; ancoriamo nel suo versante meridionale, su fondale sabbioso di 11 metri (13°30.914'S 47°17.048'E).
L'intera isola, disabitata, è un parco naturale. Vi si accede solo pagando la (modica) tariffa di ingresso: 15.000 Ari a persona (circa 4 €), che comprende la visita guidata. Un sentiero attrezzato con liane e gradoni di granito sale sulla sommità della collina, a circa 100 metri, dove sono allestite due piazzole belvedere. C'è anche un sito di allevamento e protezione delle piccole tartarughe: i guardiani del parco le raccolgono sulla grande spiaggia in terraferma, appena nate, cioè dopo la schiusa delle uova; vengono tenute in piccole vasche per circa tre mesi, fino a quando raggiungono grandezza e robustezza adeguate per difendersi dai predatori. Ma l'attrattiva principale, ancora una volta, sono i lemuri: qui ne sono presenti quattro specie distinte. Richiamati dalla guida con versi gutturali, ben diversi dai "maki, maki, maki" dei bambini di Munoko, arrivano a frotte per papparsi qualche buon boccone di banana. Sono molto carini e forse meno intraprendenti di quelli visti a Munoko.








Dopo una bella mattinata nel parco, completata da un bagno ristoratore nell'acqua limpida, pranziamo e subito dopo salpiamo, mettendo la prua su Helville. Si torna a Nosy Be.


mercoledì 15 agosto 2018

MADAGASCAR: Cathedral - Nosy Mitsio - Nosy Be e dintorni



Dopo la traversata Seychelles-Madagascar che a detta di tutti è stata davvero fortunata, ci godiamo appieno lo splendido ancoraggio denominato “Cathedral”. Si tratta di una specie di anfiteatro naturale composto da quattro isolette, distanti meno di un miglio l’una dall’altra; Anjombavola è la più grande e la più alta; nessuna è abitata stabilmente, le uniche presenze umane sono a bordo di povere barche locali, che portano qui per qualche ora piccoli gruppi di turisti/gitanti.




Poco dopo di noi arriva un’altra barca; è Island Pearl II, Amel Super Maramu gemella di Refola. Lo skipper armatore è Colin, un australiano di Sydney con 4 amici a bordo; anche lui è diretto in Sudafrica e prendiamo accordi per tenerci in contatto e navigare insieme.
Caliamo l’ancora inizialmente ad est di Ambatomarangitsi, ma durante la notte ci ritroviamo esposti al vento, con la costa sottovento ed un po' di onda in prua. Abbiamo così conferma di quanto ci era stato anticipato da altri navigatori: i venti principali sono in regime di brezza, ed hanno orari precisi. A mezzogiorno si alza una brezza di mare da ovest che dura fino alle 21, poi inizia la brezza di terra da est, fino a mezza mattina; notare che la brezza di terra può raggiungere i 20 nodi.  
Per stare più tranquilli, il mattino seguente ci spostiamo a sudovest di Anjombavola (12°15.791’S 48°58.365’E), fondo sabbioso sui 16 metri, dove troviamo riparo da entrambe le brezze.
Sabato 4 agosto salpiamo di buonora diretti a Nosy (che significa isola) Mitsio, distante circa 50 miglia. Partiamo con un leggero vento da est, sugli 8 nodi, ed avanziamo con vela e motore. Verso le 11, leggermente in anticipo, siamo investiti dalla brezza da ovest, che ci consente di proseguire a vela fino a destinazione. Island Pearl II è partita appena un po’ prima di noi, con la stessa meta: l’ingaggio è inevitabile. Una competizione senza storia, Refola li lascia indietro di misura, anche se onestamente va detto che avevano il dinghy al traino…
Alle 16 arriviamo a Nosy Mitsio e approdiamo a Maribe Bay, ampia e protetta da entrambe le brezze; caliamo l’ancora su un fondale sabbioso di 9-10 metri (12°54.403’S 48°34.719’E).
Tra le 4 barche alla ruota, ritroviamo il catamarano di tedeschi Moyo e l’Halberg Rassy 53 New Dawn di Paul, che erano insieme a noi alle Chagos.
Con Paul, incontrato per la prima volta in maggio alle Maldive, avevamo legato molto, perciò ritrovarsi è una grande festa. Quando era partito dalle Chagos, contemporaneamente a noi, aveva problemi di salute e aveva fatto rotta su Mayotte (un’isola territorio francese d’oltremare, ad ovest della punta settentrionale del Madagascar) per curarsi presso l’ospedale locale. Ci racconta che dopo una cura di alcuni giorni, sbarcata la coppia di giovani svedesi che aveva a bordo, ha ripreso la navigazione dando un passaggio ad una giovane velista diretta a Nosy Be.

A Maribe Bay c’è un piccolo villaggio. Gente povera che vive di pesca, usando piccole barche con bilanciere, armate con rudimentali vele a terzo. Un locale viene sottobordo chiedendo uno scambio di aragoste per delle magliette, lo invitiamo a portare il pescato per valutare lo scambio, ma le aragoste non arriveranno.


Lunedì 6 agosto partiamo da Nosy Mitsio alle 7.05, diretti a Nosy Be, a 44 miglia. Paul di New Dawn, con il suo nuovo marinaio Harry, salpa per primo, poi noi, e a seguire Island Pearl II. L’ingaggio questa volta è con Paul, ma non riusciamo a rosicchiare nulla; il vento è da est sui 19-20 nodi e procediamo di bolina larga, a 8,5 nodi. Solo quando il vento cala diventiamo più performanti di lui e guadagniamo circa un miglio, superandolo. Ma alle 10.30 il vento cala quasi completamente, e tutti siamo costretti a dare motore; ci consola il fatto che la navigazione sia stata allietata dalla pesca: un bel wahoo ed un tonno sui 4-5 kg.

Alle 15.30 siamo nella baia di Helville, il principale centro abitato dell’isola di Nosy Be, dove ancoriamo su un fondale fangoso di 10-12 metri (13°24.500’S 48°17.077’E).
Nonostante sia un po’ tardi, Lilli ed io andiamo a terra per vedere se è possibile effettuare velocemente le pratiche di ingresso, per prelevare un po’ di soldi e comprare una SIM card locale. Gentilmente Paul si offre per accompagnarci e mostrarci dove trovare le cose essenziali che cerchiamo.
L’atterraggio col dinghy, all’interno dell’area portuale, si fa su un corto pontile galleggiante utilizzato dalle numerose piccole barche a motore che fanno la spola tra Nosy Be, le isole qui intorno e la terraferma (o più propriamente la main land, terra principale, come viene chiamato il Madagascar). Su questo pontile galleggiante staziona quasi stabilmente un giovanotto di nome Jimmy, che col suo aiutante Cool fa la guardia al gommone, prende in consegna le immondizie, presta assistenza per le pratiche di check-in e check -out, per il rifornimento di gasolio e per gli acquisti da fare in città. Le sue tariffe sono 10.000 Ari (2,6 €) per tenere il dinghy un giorno, 40.000 Ari (circa 10 €) per assistenza di una giornata nelle pratiche e negli acquisti.
Come arriviamo Jimmy prende in consegna il dinghy, ma ci dice che è troppo tardi per il check-in e ci rimanda all’indomani mattina.
La nostra posizione a terra è irregolare (nessun timbro sul passaporto, siamo per il momento clandestini!), ma Paul ci esorta a mostrare indifferenza davanti al gabbiotto della polizia e con lui varchiamo il cancello del porto, verso la città. Sentendoci un po’ dei fuorilegge camminiamo velocemente; Paul ci accompagna allo sportello ATM, alla compagnia dei telefoni (Telma) dove compriamo la SIM card (circa 30 euro per 6 giga di dati + 6 notturni + un po’ di credito voce), ci fa vedere il supermercato Shampion e la boulangerie per le baguette ed infine il mercato ortofrutticolo, che sta per chiudere, dove comunque riusciamo a comprare un po’ di verdura.
Il giorno seguente, insieme all’equipaggio di Island Pearl II e accompagnati da Jimmy, ci rechiamo al posto di polizia del porto, che fa le funzioni di ufficio immigrazione, per le pratiche di ingresso. In pochi minuti ci rendiamo conto che le regole non sono chiare, e soprattutto che comandano loro.
Preavvisati della corruzione dilagante, ci eravamo informati via internet sul costo dei visti; ma non si può discutere, ci impongono in malo modo il pagamento in euro, al cambio deciso da loro: 35 € a persona per il visto di un mese, 80.000 Ari (20 €) di tassa per la barca, 50.000 Ari (13 €) per timbrare i passaporti, 20.000 Ari (10 €) di mancia per ritirare i passaporti, infine 60.000 Ari (15€) per il permesso di navigazione. Siamo un po’ contrariati dall’atteggiamento arrogante, ma non possiamo che subire, ed in fondo non hanno rubato neanche tanto…
L’ufficiale che ci ha redatto il permesso di navigazione è una persona molto gentile e disponibile, completamente diversa dei poliziotti.
Esaurite le incombenze burocratiche (passaporti e permesso di navigazione saranno pronti nel pomeriggio), Jimmy si mette alla guida del gruppo di 10 persone formato dagli equipaggi di Island Pearl II e Refola e ci porta in giro per la cittadina, mostrandoci vari negozi ed ovviamente il mercato, che visto in pieno giorno ci appare più animato e colorato del pomeriggio precedente.


Helville è molto movimentata, i piccoli edifici sulla strada principale sono in stile coloniale, mentre le vie laterali appaiono molto più grezze e povere. Ha un aeroporto internazionale, molti ristoranti, e c’è un discreto giro di gente, soprattutto turisti, diretti qui ed alle isole vicine; i mezzi di “trasporto pubblico” sono i tuk-tuk: mini taxi ape Piaggio con 3 posti, 500 Ari a persona (0,13 €).

Alle 13 pranziamo tutti insieme al ristorante Oasis, io e Colin concordiamo di offrire il pranzo a Jimmy, che sembra gradire. Assaggiamo ed apprezziamo il filetto di zebu, tipica mucca locale con la gobba: circa 6 € a testa per un piattone gustoso, birra compresa.


Sappiamo che nei dintorni di Nosy Be ci sono molte delle barche con cui abbiamo passato le splendide tre settimane alle Chagos: Amandla con Fabio e Liza e Peacifique con Leslie e Phil, Grasshopper con Jeff e Chery, Muck con Rudy e Doris, Tehanili con Phil e Karel.
Prendiamo accordi con Fabio per vederci a Nosy Sakatia, una piccola isola ad ovest di Nosy Be.
Giovedì 9 agosto costeggiamo per 12 miglia il versante occidentale di Nosy Be ed ancoriamo a sud est di Sakatia, su un fondale sabbioso di 15-16 metri (13°18.960’S 48°09.779’E).
A terra c’è un bel resort con centro diving.

La particolarità del posto sono le grosse tartarughe marine che vanno a “brucare” le sottili alghe sul fondo; con la bassa marea riesci ad avvicinarle fino a toccarle, senza affatto intimidirle o impaurirle.
L’acqua a Sakatia è particolarmente trasparente: ne approfittiamo per pulire la carena.




Sabato 11 agosto salpiamo per Tani Keli, un piccolo isolotto a sud di Nosy Be, a circa 11 miglia da Sakatia; è un parco marino, dove non è permesso sostare per la notte.
Vi arriviamo alle 12.25: a sud dell’isola c’è una ampia zona sabbiosa con fondale 8-10 metri, che aumenta gradatamente fino a 24. Prendiamo un gavitello, perché voglio approfittare della sosta con l’ancora a bordo per tagliare le prime tre maglie della catena, che sono arrugginite.
L’acqua è di una trasparenza eccezionale. Con maschera e pinne vado a controllare il corpo morto, un bel plinto di cemento, che sembra conficcato nella sabbia; la cima è sana e robusta, per cui tutto OK. I guardiani del parco vengono a riscuotere la tassa: 20.000 Ari per persona (circa 5 €).
Dopo il taglio della catena, ci concediamo un bel bagno e un bel pranzo. Siamo un po' esposti alla brezza di mare da ovest e c’è un po' di onda, combinata con la marea che si sta alzando. Sto pensando di spostarci quando improvvisamente realizzo che ci stiamo già muovendo: abbiamo trascinato il corpo morto almeno 100 metri e abbiamo ormai una profondità di 26 metri sotto la chiglia! Questa volta non sono stato previdente: avrei dovuto attenuare la tensione esercitata sul corpo morto allungando di molto la cima con cui vi eravamo legati… Purtroppo non posso rimediare; non ci resta che mollare la cima dal gavitello, ormai sommerso, e andare via.
Mettiamo la prua su Nosy Komba, un’altra piccola isola un miglio a SSE di Nosy Be.