lunedì 24 luglio 2023

LA TRAVERSATA DA SAINT PIERRE ALLE AZZORRE


L’arcipelago di Saint Pierre e Miquelon è un territorio francese d’oltremare a sud della grande isola canadese di Terranova. È formato da 17 isole: Miquelon è la più grande ma la seconda, Saint Pierre, è la più popolata dal momento che vi abita circa l'85% della comunità. La moneta in uso è l'euro, la lingua (ovviamente) il francese. 

Il marina dove siamo ormeggiati ospita una scuola di vela molto attiva: tutti i giorni arrivano gruppi di ragazzini, accompagnati dalle maestre, che vengono a misurarsi con piccoli catamarani e piccoli monoscafi… è un piacere vederli!

Ci sono altre tre barche a vela. Una, americana, è diretta in Groenlandia; le altre due sono francesi: una è la nota Vagabond, impegnata in ricerche oceanografiche nel nord di Terranova, mentre l’altra, condotta da un velista di Saint Pierre, partirà per le Azzorre, probabilmente una settimana dopo di noi.

Abbiamo studiato la situazione meteo e individuato una buona finestra per il 5 o il 6 di luglio, che ci viene confermata dal giovane amico Andrea Giorgetti. Ok, il dado è tratto, si parte il 5!

Ci dedichiamo alle consuete operazioni preliminari: piccolo rabbocco alla cambusa, svuotamento delle taniche di carburante nel serbatoio e pieno al vicino distributore, prove di comunicazione con Iridium Go!.



Ed ecco il diario giornaliero della quinta traversata atlantica di
Refola.

Mercoledì 5 luglio, primo giorno:

Usciamo dal porto alle 10.30. Dopo tre giorni di nebbia, è la prima volta che vediamo il sole ma l’illusione dura poco: appena ci allontaniamo dall’isola veniamo avvolti da una densa foschia, che diventa nebbia verso sera riducendo la visibilità a circa 300-400 metri. Nelle prime ore un venticello da SW sui 12-13 nodi ci permette di andare a vela, ma verso le 16 cala a 5-7 nodi; ci aiutiamo col motore, che spegniamo verso mezzanotte quando torna un po’ di vento e proseguiamo a vela. Fino alle 12 abbiamo percorso 160 miglia.

Giovedì 6 luglio, secondo giorno:

A seguirci ed aiutarci con le previsioni meteo sarà d’ora in poi l’amico Michele Agosta, conosciuto l’anno scorso alla Martinica; ogni giorno su Iridium Go! arriverà una mail con le informazioni ed i suoi suggerimenti. Il cielo è coperto da nuvole e sul mare abbiamo una densa foschia, che ancora una volta verso le 16 diventa un nebbione che non ci fa vedere nulla oltre i 150 metri. Il vento va e viene, alterniamo tratti di solo vela con altri di rinforzo a motore. 156 miglia percorse nelle 24 ore (dalle 12 alle 12).

Venerdì 7 luglio, terzo giorno:

Il cielo è sempre coperto e la foschia densa: 400-500 metri di visibilità al mattino, 300-400 metri nel pomeriggio. Il vento cala a 5-7 nodi, continuiamo ad aiutarci con il motore a basso regime. 159 miglia percorse nelle 24 ore.

Sabato 8 luglio, quarto giorno:

La giornata inizia, finalmente, con un bel sole e un gagliardo vento da SW sui 18-20 nodi. 


Alle  12 le miglia percorse sono 162.  L’onda da sud aumenta, raggiungendo i 3 metri; con tutte le vele spiegate la velocità di Refola si attesta stabilmente sugli 8-9 nodi, facendoci macinare miglia su miglia.

Domenica 9 luglio, quinto giorno:

Al mattino il vento gira a NW ma resta tra i 15 e 18 nodi, permettendoci di mantenere una media superiore ai 7 nodi. Alle 12 la percorrenza delle ultime 24 ore è 188 miglia. Michele ci comunica di non scendere più di latitudine altrimenti ci infiliamo in un campo di alta pressione senza vento, così alle 13.30 cambiamo rotta e mettiamo la prua su 90°. La situazione rimane buona e abbastanza stabile fino alle 24, quando il velo cala decisamente intorno ai 4-5 nodi ed anche l’onda si riduce progressivamente fino ad un metro.

Lunedì 10 luglio, sesto giorno:

Il vento è scarso e variabile: se non è proprio sul naso, teniamo aperte le vele e navighiamo a motore a basso regime di giri, massimo 1500 g/min. La velocità media è sui 5-6 nodi; rivolgiamo la prua a SE e seguiamo il vento avanzando di bolina; alle 12 abbiamo percorso 155 miglia.



Martedì 11 luglio, settimo giorno:

La pesca che finora non ha dato frutti in due grosse prese ci porta via lenza e filo. Alcuni tonni, forse per prendersi gioco di noi, ci accompagnano per ore e ore restando lungo la fiancata di Refola, come fossero delfini. 



Il vento comincia a farsi sentire intorno ai 14 nodi fin dalle 4 del mattino, ma la variabilità precedente fa sì che alle 12 la percorrenza delle 24 ore risulti bassa, 134 miglia. Nel pomeriggio il vento rafforza soffiando da NE fino a 25-30 nodi, ed anche l’onda, che prendiamo al traverso, ritorna sui 3 metri.

Mercoledì 12 luglio, ottavo giorno:

Le previsioni ci avevano avvertito che oggi sarebbe arrivata una perturbazione: il vento ci martella dai 18 ai 30 nodi, avanziamo di bolina e spesso Refola cade dall’onda con un forte tonfo. Impossibile non chiedersi: resisterà? 



Altra cosa impossibile è dormire a prua, così Gianca ed io nelle ore libere dal turno riposiamo in dinette. Durante la notte passiamo vicino a Flores, la più occidentale delle Azzorre; mancano solo 120 miglia per Horta, cominciamo a fare i conti per evitare un atterraggio notturno. Sarà difficile: a bordo abbiamo ancora l’ora di Saint Pierre, ma alle Azzorre il fuso orario è spostato di due ore in avanti, e saranno proprio due ore a tradirci. Le miglia nelle 24 ore sono 165.

Giovedì 13 luglio, nono ed ultimo giorno di navigazione:

Il vento diminuisce di intensità fino a 14-16 nodi e la navigazione diventa più agevole. Gianca ed io possiamo tornare nelle cuccette di prua. Alle 12 abbiamo percorso 171 miglia. Poco dopo le 19 avvistiamo Faial, ancora illuminata da un sole che ormai sta tramontando. 



Arriviamo ad Horta alle 20.20 orario di bordo, ma 22.20 in ora locale: è buio da più di un’ora, chiamiamo il marina e ci dicono di trovare un ancoraggio per la notte e di farci sentire l’indomani.

 

Così facciamo. Siamo stanchi, ma più che soddisfatti. Refola ancora una volta si è comportata egregiamente ed anche noi, senza falsa modestia, ce la siamo cavata mica male!

 

sabato 15 luglio 2023

CANADA, e arrivo a Saint Pierre

La traversata verso la Nova Scotia, provincia atlantica del Canada, inizia alle 16 del 14 giugno; la nostra rotta è ESE e nel primo tratto troviamo un bel venticello da SW sui 12-15 nodi, che ci permette di navigare a vela fino alle 22 circa, quando purtroppo il vento ci gira in prua costringendoci a motore fino all’arrivo. La mattina del 15 giugno, a circa 3 miglia dalla costa, veniamo avvolti da una fitta nebbia che ci accompagna per tutto il lungo canale di accesso a Yarmouth e fino al Killam Brothers Marina, dove avevamo prenotato un posto in banchina.


Alle 11.55 ormeggiamo all’inglese sul pontile esterno (43°50.194N 66°07.387W).

L’atterraggio a Yarmouth non era in realtà la nostra prima scelta: inizialmente avevamo previsto e prenotato un posto allo Shelburne Harbour Yacht Club & Marina, un’ottantina di miglia più avanti in direzione est. Ma è emerso poi che proprio la contea di Shelburne era tra le più colpite dai disastrosi incendi che stavano funestando la Nova Scotia, tanto che la segreteria del Marina ci ha avvisato che l’intera baia era stata chiusa alla navigazione per consentire ai Canadair (che curiosamente proprio in Canada sono chiamati “water bomber jets”) di rifornirsi d’acqua per combattere il fuoco. Da qui la ricerca di un nuovo posto in cui atterrare e fare anche le pratiche di ingresso, che ci ha portato a Yarmouth.

Il check-in con la dogana si rivela abbastanza semplice: prima una telefonata (la scheda americana della Verizon funziona anche in Canada) al numero 1 888 226 7277, in cui Lilli fornisce tutti i dati della barca e dell’equipaggio, poi la visita a bordo di due agenti, molto cordiali, che ci hanno pure timbrato i passaporti (cosa molto gradita per poter provare di aver lasciato gli Stati Uniti).

A Yarmouth ci sono circa 4 metri di marea e vedere Refola alzarsi ed abbassarsi ogni 6 ore fa un certo effetto. Per fortuna i pontili sono galleggianti e non dobbiamo preoccuparci delle cime di ormeggio.


Nei tre giorni di permanenza ci concediamo un’ottima cena al ristorante vicino al marina, dove spendendo relativamente poco gustiamo del pesce squisito, dall’aragosta all’halibut. Riusciamo fortunosamente anche a riparare lo scambiatore del generatore, cui si era rotta la chiusura posteriore: telefoniamo ad un meccanico indicatoci dal manager del marina; ci chiede di inviare una foto dello scambiatore; viene a bordo lo stesso pomeriggio (di sabato) portando con sé uno scambiatore uguale al nostro, ne smonta la chiusura e la reinstalla sul nostro pezzo. Veloce ed efficiente, in 5 minuti si è guadagnato 200 $ canadesi, compresivi anche del suo scambiatore, che ci lascia come ricambio.

Domenica 18 giugno ci svegliamo circondati dalla nebbia, che ormai abbiamo capito essere parte essenziale del menu meteorologico di queste zone. Alle 8.30 lasciamo Yarmouth con destinazione Barrington Passage, a 45 miglia; col passare delle ore la nebbia diventa sempre più fitta; ma fortunatamente si dirada al nostro arrivo, alle 16.30. Ancoriamo nella parte NW della grande baia, su 3-5 metri di fondale con fango duro, ottimo tenitore (43°29.756’N 65°38.545’W).

Il giorno seguente un’altra tappa di 46 miglia ci porta a Locke Island: sotto un cielo per lo più nuvoloso, con qualche squarcio di azzurro, navighiamo un po' a vela e un po' a motore fino all’arrivo; alle 16.20 caliamo l’ancora in acque tranquillissime, su un fondale fangoso di 4-5 metri (43°42.277’N 65°06.505’W).

Un ancoraggio splendido, ben riparato da tutti i quadranti, appena fuori dal porticciolo di Lockeport, piccola e tradizionale cittadina di pescatori della Nuova Scozia. In serata ci godiamo un tramonto mozzafiato; la costa intensamente frastagliata di questa parte del Canada, con le sue mille isole e le ampie baie, ci sta davvero affascinando. 


Saremmo tentati di fermarci, ma la nostra tabella di marcia ci impone di arrivare ad Halifax sabato 24 giugno, e pertanto martedì 20 alle 8.55 salpiamo con destinazione Liverpool, a 37 miglia. Finalmente un’alta pressione a 1023 mb ci regala un bel sole e un cielo pulito come non lo vedevamo da molto tempo. In compenso c’è poco vento e procediamo a motore: alle 15.25 raggiungiamo la grande baia a SE della cittadina, dove ancoriamo su fondale, sempre fangoso, di 5-6 metri (44°02.608’N 64°42.239’W). 


Andiamo a terra con il dinghy, percorrendo il canale segnalato a nord dell’ancoraggio, navigabile fino al ponte, dove una piccola struttura può ospitare 2-3 barche. Noi proseguiamo sotto il ponte e ormeggiamo al dinghy dock comunale. C’è una grande piazza con un ufficio turistico; vista la scarsa recettività per le barche, sarà probabilmente dedicato ad escursionisti in bicicletta!

Facciamo un po' di spesa al vicino supermercato e rientriamo in barca. Lilli ci spetta per l’aperitivo!

Il 21 giugno, dopo una notte tranquillissima senza il minimo rumore o disturbo, salpiamo diretti a Lunenburg, distante 35 miglia. All’inizio il vento è pochissimo e andiamo a motore, consolati da uno splendido sole, ma all’ora di pranzo arriva finalmente un po’ di vento e riusciamo a spiegare le vele. Alle 14.50 siamo a destino; caliamo l’ancora davanti al paese, appena fuori dal campo boe, sul “solito” fondale fangoso di 4-5 metri (44°22.358’N 64°18.457’W).

Eravamo al corrente che Lunenburg fosse una famosa attrazione turistica, patrimonio dell’Unesco, ma pur preparati restiamo ugualmente colpiti dallo scenario che ci circonda: a terra piccole costruzioni in legno, colorate a tinte forti rese ancor più vivaci dalla vivida luce del sole, e intorno a noi molte barche all’ancora ed ormeggiate ai pontili. È fantastico!


Scendiamo a terra e questa volta, armata del bastone acquistato a New York, anche Lilli si unisce a noi. C’è un sacco di gente in giro, per le strade e nei numerosi negozi, bar e ristoranti.

 




Visitiamo il museo del mare, dove sono esposti strumenti e attrezzatura di pesca, prototipi in scala di barche d’altri tempi, insomma un complesso espositivo su tre piani che impieghiamo due giorni a vedere interamente.

 

 





Venerdì 23 giugno partiamo per l’ultima breve tappa di avvicinamento ad Halifax: 26 miglia fino a Church Point. C’è poco vento ma riusciamo ad andare a vela, seppur lentamente; arriviamo alle 15.25 in una piccola baia tranquilla. Ci sono zone con scogli semi-affioranti e fondo roccioso, ma riusciamo a trovare uno spazio sabbioso in cui caliamo l’ancora su 5-6 metri (44°28.372’N 63°46.816’W). Ancora una volta il panorama è molto suggestivo: una piccola chiesa, poche case, un’isoletta che diventa tale solo con l’alta marea.



Verso il tramonto veniamo avvolti da una nebbia fittissima; trascorriamo la notte immobili sull’acqua scura e super piatta.

Il giorno seguente, perfettamente allineati alla tabella di marcia, partiamo per Halifax. Sono altre 26 miglia che però questa volta navighiamo con un bel SW sui 12-16 nodi; procediamo a vela fino a metà del profondo fiordo, sormontato da bellissime ville, che conduce al marina Armdale. 



A
rriviamo alle 13.30 e ormeggiamo all’inglese al pontile del carburante (44°38.159’N 63°36.855’W).

L’Armdale è un piccolo Yacht Club molto attivo (durante la nostra permanenza ha organizzato due regate molto partecipate). Non ha posti in banchina per barche superiori a 40 piedi, e per questo ci hanno fatto ormeggiare nel lungo pontile del distributore. C’è un ristorante carino ed abbastanza economico, ma i servizi sono invece piuttosto carenti: una sola doccia per maschi e femmine, solo due WC, niente lavanderia.


Il 27 giugno c’è un altro cambio di equipaggio, un po’ diverso dai precedenti: per la prima volta Lilli lascia
Refola (e me) e rientra a casa da sola. Non ha voglia di affrontare la quinta traversata atlantica e in più il dolore al ginocchio, così persistente, merita approfondimenti. Nello stesso giorno arrivano il veterano Gianca, compagno di molteplici avventure su Refola fin dall’acquisto nel 2004, e Giovanna, amica dal Paterazzo.

Per facilitare gli spostamenti per/da l’aeroporto, rimpinguare la cambusa, e portare il bucato alla lavanderia automatica decidiamo di noleggiare un’auto per due giorni.

Fra tutte le cose da fare la sosta viene prolungata a sei giorni: il 30 giugno siamo finalmente pronti a riprendere il mare.

Alle 9,45 circondati da una spessa coltre di nebbia molliamo gli ormeggi e seguiamo la traccia dell’arrivo fino a raggiunger il mare aperto, o meglio l’Atlantico. Inizialmente avevo previsto un paio di tappe intermedie prima dell’arcipelago Saint Pierre e Miquelon, che sarà la base di partenza per la traversata verso le Azzorre. Ma dopo aver navigato nella densa foschia per un centinaio di miglia, quando è il momento di intraprendere l’ultimo bordo che doveva condurci a Tor Bay, la prima sosta, con una breve consultazione dell’equipaggio decido di proseguire per altre 240 miglia fino alla destinazione finale, Saint Pierre.

La nebbia non ci abbandona, ma il vento stabilizzato da SE sui 10- 16 nodi ci permette velocità medie di 7-8 nodi, al punto che arriviamo alle 20.30 del 2 luglio: è ancora chiaro ma un dispettoso nebbione riduce la visibilità meno di 50 metri. Aguzzando la vista riusciamo ad avvicinarci e ad ormeggiare all’unico grande pontile davanti al marina della scuola di vela.

Siamo un po’ provati ma soddisfatti: Angelo prepara un bel Negroni per festeggiare l’arrivo, poi una ciotola di minestrone caldo e infine … tutti a nanna!

 

 

 

 

domenica 2 luglio 2023

DAL MASSACHUSSETTS AL MAINE

 

A Boston, con l'equipaggio modificato dall'arrivo di Angelo e Cristina, rimaniamo cinque giorni: il tempo non è dei migliori, piove spesso e fa freddo, ma questo non ci impedisce (con la solita eccezione di Lilli) di andare in città per fare acquisti e visitare il centro.

Boston è una città molto bella, ricca di storia, tra le più “antiche” degli USA; c’è una grossa comunità di italiani discendenti dai primi migranti, molti dei quali originari di Napoli.


Tra le altre cose, ho una missione importante da compiere: spostare la SIM card americana (che finora avevamo potuto installare solo sul telefono di Lilli) sul nuovo cellulare che ho ordinato in Italia e che Angelo e Cristina ci hanno cortesemente portato a bordo. Trattandosi di operazione delicata, ci rechiamo nel negozio della Verizon dove l’attivazione viene eseguita in pochi minuti.

Lunedì 5 giugno alle 10.30, dopo aver fatto il pieno di gasolio e riempito per scorta 8 taniche da 20 litri, lasciamo Boston con destinazione Gloucester, a 26 miglia, per noi ultima tappa del Massachussetts.

Abbiamo un vento da nord sui 12-14 nodi, e la nostra rotta è tra i 20° e i 30°; navighiamo a vela e motore fino all’arrivo. Alle 15.25 ancoriamo su un fondale fangoso di 6-7 metri (42°36.439’N 70°40.414’W).

Gloucester è un importante centro per l'industria del pesce (allevamenti, pesca, conservazione), nonché una popolare località turistica nel periodo estivo, che al nostro passaggio sembra ancora ben di là da venire. Tra la gente di mare è famosa perché proprio da qui, nel film La tempesta perfetta, parte lo sfortunato peschereccio Andrea Gail capitanato da George Clooney. Il film è tratto dall’omonimo libro di Sebastian Junger, basato su una storia drammaticamente vera: nell’ottobre del 1991 una tempesta di eccezionale potenza e durata si abbatté su una vastissima area dell’Atlantico settentrionale, cogliendo di sorpresa numerose imbarcazioni da pesca. Alla fine della tempesta, dieci giorni di ricognizioni aeree per trovare superstiti non diedero alcun risultato: in totale persero la vita 13 uomini, di cui 6 appartenenti al peschereccio Andrea Gail. Anche la terraferma non fu risparmiata e Gloucester fu particolarmente colpita: molte case e attività distrutte dalla tempesta, strade e aeroporti chiusi, migliaia di persone senza corrente elettrica. 

Non certo per superstizione, ma per rispettare il nostro programma, il giorno seguente alle 8.30 lasciamo l’ancoraggio di Gloucester diretti a Portsmouth, distante 42 miglia. Con un vento rinforzato sui 16 nodi da WNW e rotta 344° procediamo a vela di bolina fino all’arrivo. Alle 15.30 ancoriamo sul limite di un campo boe su una profondità di 4,5-6 metri e fondale fangoso (43°04.765’N 70°42.474’W).

Convinti di essere entrati in un nuovo stato, il New Hampshire, comunichiamo il nostro arrivo alla dogana attraverso la app CBP Roam. Ci sfuggiva che la cittadina di Portsmouth appartiene sì allo stato del New Hampshire, ma il Piscataqua River su cui si affaccia segna il confine tra il New Hampshire ed il Maine. Poco dopo ci chiama un agente da Portsmouth, un po’ irritato, perché abbiamo ancorato nel Maine! Noi siamo già in apprensione perché la licenza di navigazione in acque USA scade l’8 giugno, tra 48 ore, e sicuramente non possiamo essere in Canada così presto. Ma l’addetto non fa alcun riferimento alla licenza e anche Lilli si guarda bene dal farlo. Chiede invece cosa dobbiamo fare per uscire dagli USA, visto che il Maine è l’ultimo stato della nostra rotta verso Nord: “Just leave!” (dovete solo andarvene) è la secca risposta. Restiamo un po' di stucco, ma prendiamo atto: non li chiameremo più e proseguiremo per la nostra strada.

Mercoledì 7 giugno alle 7.20 lasciamo Portsmouth diretti a Portland, a 49 miglia; il vento è leggero, circa 10 nodi da NW, ma riusciamo a navigare a vela fino a destino. Arriviamo alle 16.15 e questa volta, invece di ancorare, prendiamo una boa in prossimità del marina. Passano le ore e fino a sera nessuno viene a reclamare il pagamento.

Il giorno successivo scendiamo a terra per fare un po' di spesa al supermercato e per acquistare la bandiera di cortesia del Canada, di cui a breve avremo bisogno. Camminiamo per chilometri fino al negozio della West Marine: non ne sono forniti!


Rientriamo in barca e nel pomeriggio Fabrizio ed io facciamo un altro tentativo: con il dinghy ci spostiamo verso il lato NE della città, approdiamo in un marina con annesso un rimessaggio bello e ordinato per barche anche grandi, dotato di un grosso travel; chiediamo ed otteniamo il permesso di lasciare il dinghy, ci facciamo l’ultimo chilometro di camminata fino all’Hamilton Marine, dove finalmente troviamo la bandiera del Canada.

Il 9 giugno alle 8.30 lasciamo Portland per un’altra breve tappa di 34 miglia fino a Boothbay Harbor. Abbiamo poco vento da est, praticamente sul naso, procediamo a motore. La navigazione nel Maine richiede particolare attenzione a causa delle numerosissime, piccole boette che segnalano le gabbie per la cattura delle aragoste; sono migliaia, a grappoli, a volte talmente fitte da creare un vero labirinto. Decisamente sconsigliata la navigazione notturna in queste acque!

Secondo problema: nebbie e foschie la fanno da padrone; nel nostro passaggio in certi tratti la visibilità si riduce a 200 metri. Una fitta nebbia ci accompagna fin dentro la baia di Boothbay, ma si dissolve proprio all’arrivo; non c’è spazio per ancorare, tutta l’area è disseminata di gavitelli: molti sono occupati (per lo più barche da pesca), ma ce n’è anche di liberi e quindi … alle 14.45 prendiamo una boa e stiamo a vedere che succede.

Scendiamo a terra (tutti tranne Lilli) per guardarci un po’ intorno. Boothbay Harbor è un simpatico posto che sembra vivere principalmente di turismo e di pesca. Nella cittadina negozi e negozietti di souvenir, abbigliamento, oggetti vari; nella baia osserviamo l’intensa attività dei pescatori che con barche medio-piccole portano a terra il pescato  a tutte le ore. 




Il giorno seguente si avvicina un giovane pescatore, proprietario della boa che occupiamo, che ci domanda per quanto tempo ne abbiamo bisogno; sussurriamo che vorremmo restare un’altra notte e lui risponde che non c’è problema, possiamo farlo gratuitamente. Il nostro stupore cresce ulteriormente quando ci chiede se gradiamo del pesce e soprattutto quando, poco dopo, torna ad affiancarsi per regalarci un chilo e mezzo di merluzzo freschissimo, già sfilettato e pronto per essere cucinato. Il Maine già ci piaceva, ma adesso lo adoriamo.

Domenica 11 giugno salpiamo alle 8.35 con destinazione North Haven, a 43 miglia. La giornata è grigia, con foschia e nebbia a banchi; il vento è da SW, 8-15 nodi; procediamo a vela aguzzando la vista per non incappare nelle boe. Alle 15.40 raggiungiamo la meta e caliamo l’ancora a SW del paese, su fondale fangoso di 5-6 metri (44°07.474’N 68°01.964’W).

Prima del tramonto riceviamo una visita della U.S. Custom and Border Protection: un grosso gommone di affianca, ci chiedono il permesso di salire a bordo. “Ovviamente, prego!” risponde prontamente Lilli, mentre il cuore (e non solo il suo) batte forte perché la nostra licenza di navigazione è scaduta da tre giorni e siamo ancora negli USA! Ma gli ufficiali sono cortesi e cordiali: controllano i passaporti e i documenti della barca, non fanno cenno alla licenza e poi… “tutto ok, buona navigazione!”. Una volta che si sono allontanati, Lilli chiede razione doppia di gin&tonic.



Lunedì 12 giugno alle 8.35, salpiamo per l’ultima destinazione statunitense: Bar Harbour, distante 47 miglia. Foschia e nebbia a banchi sono le protagoniste della giornata, il vento è leggero, sui 6-7 nodi da SW; procediamo a vela con l’ausilio del motore.


Arriviamo alle 15.25: faccio il solito giro di ricognizione per cercare un punto idoneo all’ancoraggio, quando da una chiatta che sta controllando i gavitelli ci urlano che è vietato dare ancora nel campo boe, e ci consigliano di prendere la boa n.2, sufficientemente robusta per la nostra barca. Accettiamo il consiglio e ci leghiamo al gavitello indicatoci, mentre un barchino ci raggiunge per comunicarci che la tariffa è 45 $/notte. Come a New York, ma va bene lo stesso!

Il giorno seguente scendiamo a terra; passiamo dall’Harbor Master e paghiamo la boa per 2 giorni in quanto il vento contrario sui 20 nodi ci induce a rimandare la partenza. Una puntata al supermercato per integrare la cambusa, e quando usciamo carichi di borse, realizziamo che non ci sono taxi, né altre soluzioni tipo Uber o Lyft. Risolviamo con l’antico sistema dell’autostop.

Mercoledì 14 giugno, alle 16.00, lasciamo definitivamente il Maine e tutti gli Stati Uniti: con una tappa di 101 miglia raggiungeremo il Canada, dove registreremo l’ingresso a Yarmouth, in Nova Scotia.