sabato 26 maggio 2018

GUADAGNARSI LE CHAGOS

Gli ultimi giorni a Gan, Maldive, sono dedicati allo studio della situazione meteo. La navigazione che ci aspetta non è lunghissima, 290 miglia per raggiungere il primo atollo dell'arcipelago Ghagos (British Indian Ocean Territory - BIOT). C'è un'importante decisione da prendere: tenendo conto che è imperativo arrivare di giorno, con il sole alto, è meglio partire la sera, prima del buio, oppure alle prime luci dell'alba?
Nel primo caso: tre notti in mare, con arrivo a metà mattina, a condizione di tenere una velocità media inferiore a 4 nodi e mezzo (altrimenti si arriva con il sole ancora basso). Nel secondo caso: due notti in mare, arrivo nel primo pomeriggio, a condizione di tenere una velocità media di almeno 5 nodi (altrimenti si arriva con il sole già calante). La rotta è 192° e tutto dipende dalle condizioni: la corrente contraria è assicurata, la variabile è la direzione del vento.
Le barche partite qualche giorno prima di noi hanno scelto di salpare al mattino presto; il vento era da est, ed avrei fatto anch'io la stessa scelta. Nel nostro caso le previsioni danno il vento da sud, che solo nelle ultime 100 miglia dovrebbe girare a SE.
Un altro dubbio è se portare il gommone in coperta o lasciarlo a poppa appeso alle gruette. Ma l'ultimo giorno riceviamo una mail di Paul, armatore dell'Halberg Russy New Dawn, che insieme alla sua posizione riferisce lo stato del mare: big swell, mare formato. Il dubbio si scioglie: gommone in coperta!
Anche il dilemma sull'orario di partenza viene risolto, optando per la partenza serale: lasciamo Gan e le Maldive alle 17,45 di venerdì 18 maggio.
Entrambe le scelte si rivelano azzeccate. La prima notte con il vento da sud sui 18 nodi, più forte del previsto, fatichiamo a mantenere i 4 nodi di velocità, pur col motore a 1800 g/min. Abbiamo evitato l'ansia di vedere il gommone sballonzolato continuamente a destra e a sinistra dall'onda corta, di circa 1 metro e mezzo.
Passata la prima notte, la mattina di sabato 19 un vento da SSE sui 14-18 nodi ci consente una bella veleggiata che dura tutta la giornata, anche se ci porta 30° fuori rotta. Dovendo caricare le batterie, accendiamo il motore all'imbrunire, in modo da riavvicinarci alla rotta.
Dopo cena mi sembra di sentire uno strano rumore, proveniente dal vano motore. Scendo con la torcia, nessun rumore anomalo, ma la sentina è piena di un liquido oleoso. Sento la mia pressione sanguigna salire velocemente: da dove viene tutto quest'olio? Controllo minuziosamente motore e generatore, e tutta l'area intorno: nessuna traccia. Il liquido è chiaro, color caffè-latte, tipico di quando l'olio si mescola con l'acqua. Non senza apprensione continuo a ispezionare fino a quando trovo la spiegazione: una tanichetta di olio di scorta stipata alla base del generatore si è tagliata. La trovo quasi vuota, saranno usciti almeno 3-4 litri di olio. Fiuuu, che sollievo! è tutto da ripulire, sentina e pavimento, ma non è successo nulla di grave.
Dopo queste emozioni (di cui si farebbe volentieri a meno) continuiamo a motore per tutta la seconda notte; il vento è girato a sud, ma è calato sugli 8 nodi; anche il mare è diminuito, un'onda lunga da SE di circa 1 metro e mezzo si sovrappone ad un'onda corta da sud di circa mezzo metro; caliamo il numero di giri a 1600 e la velocità si mantiene mediamente sui 4,5 nodi.
Stimiamo una corrente est di circa 2 nodi, che combinata sulla nostra rotta si traduce in una riduzione di velocità tra 0,5 e 1 nodo.
La mattina di domenica 20 il vento ritorna da SE e riprendiamo a vela, l'angolo è migliore e il fuori rotta è solo di 15-20°. Calo la traina e nel tardo pomeriggio arriva la presa: un bel pesce che resiste alla cattura facendo capriole fuori dall'acqua, nel tentativo di liberarsi. Afferro la canna, dò un paio di strattoni perché l'amo affondi meglio ed inizio il recupero, ma …. il mulinello si stacca dalla canna, e per poco non cade in acqua. Impreco come si deve ma non desisto, metto il mulinello nel secchio e recupero la lenza a mano, facendola passare dalla bitta, pronto a dare volta quando tira. Recupero un centinaio di metri ammucchiando il filo in coperta. Quando arriva a 10 metri, quel figlio di p…esce riesce a liberarsi, lasciandomi non solo a bocca asciutta, ma con 120 metri di filo tutto aggrovigliato da districare!
Proseguiamo a vela fino alle 3 del mattino di lunedì 21 (è la terza notte), quando riaccendo il motore. Mancano 20 miglia alla pass di ingresso nell'atollo, ma siamo controvento, verso SE, e ora il vento è sui 12 nodi, giusto sul nostro naso; l'effetto della corrente est è cessato. Con il motore a 1600 giri non superiamo i 3,5 - 4 nodi di velocità, ma la cosa non ci preoccupa, perché abbiamo tutto il tempo che ci occorre. In teoria si sarebbe potuto fare un bordo a perdere di 20 miglia, ma preferiamo non rischiare di arrivare tardi.
Verso le 10 siamo sulla pass dell'atollo denominato Salomon Islands, completamente disabitato come gran parte dell'arcipelago.
Abbiamo i WP del passaggio, segnalati da Adina, la barca che come abbiamo già detto è passata di qui lo scorso anno; questi punti non corrispondono a quello che la cartografia mostra come possibile varco, ma li seguiamo pedissequamente, passando sopra i coralli, su profondità mai inferiori a 7 metri.
Alle 11.15 siamo davanti all'isola Fouquet, dove sono già ancorate ben 12 barche. Dopo un giro di perlustrazione caliamo l'ancora su un fondale di 22 metri (5°19.920'S 72°15.780'E). Il fondo non è visibile; dalla presa dell'ancora sembra sabbioso, ma ci sono anche ampie zone di corallo basso; comunque la prova di tenuta con 70 metri di catena è positiva. Siamo arrivati, anche questa è fatta!
Finita la manovra vediamo avvicinarsi un gommone con a bordo una coppia. Sono venuti a dirci: "Benvenuti alle Chagos, benvenuti in paradiso!".
È vero, siamo proprio in un paradiso selvaggio: a parte una ventina di navigatori, per tre settimane avremo intorno a noi solo gli uccelli marini, i pesci, e i granchi del cocco. Inutile dire che non ci sono connessioni, quindi… niente foto per ora!

giovedì 17 maggio 2018

Maldive: THINADHOO - GAN



Alle 17.20 di lunedì 7 maggio salpiamo da Veymandhoo per la prima navigazione notturna alle Maldive, dopo 40 giorni di tappe giornaliere. La nostra destinazione è Thinadhoo, a poco più di 100 miglia, che si trova nell’atollo Gaaf, circa al centro del suo versante occidentale.
Per raggiungerla ci si presentano, ancora una volta, due alternative. La prima è effettuare un’unica tappa, entrando nell’atollo Gaaf attraverso la pass Meradhoo, distante circa 6 miglia dalla nostra meta. La seconda prevede invece 75 miglia per arrivare all’ingresso settentrionale dell’atollo, in corrispondenza di Kolamaafushi, un ancoraggio per la notte e il proseguimento all’interno dell’atollo per le ultime 30 miglia. Prenderemo la decisione lungo il percorso, a seconda delle condizioni che troveremo.
Nelle prime 40 miglia, lasciata Veymandhoo, abbiamo vento contrario da SW, per quanto leggero, a cui si aggiunge una discreta corrente, anch’essa contraria. Non superiamo i 4 nodi di velocità e tutto fa pensare che adotteremo la seconda ipotesi, cioè fermarci vicino a Kolamaafushi e riprendere la navigazione il giorno dopo.
Ma verso mattina il vento gira a NW e la nostra velocità aumenta a 5-6 nodi: possiamo farcela ad arrivare a Thinadhoo ad un’ora accettabile! Verso le 13 entriamo infatti nell’atollo dalla pass Meradhoo e riusciamo (addirittura!) a navigare a vela per le ultime 6 miglia.
Le cose si complicano un pochino quando arriviamo davanti a Thinadhoo: la zona di ancoraggio si trova nella sua piccola laguna che ospita anche il local harbour ed è chiusa per ¾ dall’isola e per ¼ dal reef. L’immagine satellitare non è sufficientemente chiara e la cartografia non ha dettagli; a 500 metri di distanza, ancora non riusciamo a distinguere l’accesso. Per fortuna vediamo arrivare alle nostre spalle un peschereccio: furbescamente rallentiamo, in modo da lasciarlo passare … di sicuro lui sa da dove si entra! Con un apripista davanti, tutto diventa più semplice. 

La pass artificiale, segnalata da due paletti, è abbastanza larga, sui 30-40 metri; registriamo un fondale minimo 3,60 metri. Ancoriamo su fondale sabbioso, senza coralli, di circa 7 metri (0°32.006’N 73°00.213’E).
Da molto tempo non facevamo un ancoraggio tanto tranquillo: dalla tenuta dell’ancora, all’isola che quasi ti avvolge completamente, si ha la rassicurante sensazione di aver trovato un grande riparo, a prova di brutto tempo.

Thinadhoo è quasi una città: con i suoi 9.000 abitanti si colloca al quinto posto nella classifica nazionale. Strade asfaltate, strisce pedonali, molti negozi, numerosissimi piccoli supermercati (ogni strada ne ha almeno un paio). Si può fare rifornimento di gasolio in banchina, senza pratiche o autorizzazioni speciali. Facciamo un po' di spesa, trovando delle belle patate e coca-cola in lattina, solitamente difficili da reperire. 




Giovedì 10 maggio riprendiamo la navigazione verso sud. La partenza è programmata per le 17.00: faremo un’altra notturna per raggiungere l’atollo più meridionale delle Maldive, Addu. In tarda mattinata entra nella laguna di Thinadhoo Amandla di Fabio, con a bordo Liza e Lucio; abbiamo giusto il tempo di salutarci e raccontarci le ultime novità, poi dobbiamo prepararci a salpare. Sto impastando il pane quando Lilli mi chiama in pozzetto: il cielo è diventato nero e la pioggia si vede avvicinarsi rapidamente. 
Per non manovrare sotto l’acqua, anticipiamo di 15 minuti la partenza. Una volta usciti dalla laguna, dobbiamo affrontare la pass per uscire dall’atollo: dalle immagini satellitari, su cui prendiamo le misure, sembra larga e non troppo lunga. La visibilità non è delle migliori, la pass è rivolta ad ovest: si vede il reef a sinistra, ma non quello a destra. Il fondale si mantiene sui 10-12 metri per un lungo tratto, che non sembra finire mai. La corrente, di circa 2 nodi, è entrante, quindi contraria per noi; impieghiamo più di mezz’ora per raggiungere le acque profonde e poter mettere la prua verso sud, salutati da un grande doppio arcobaleno che sale alto nel cielo sovrastando tutto l’atollo.

Il vento è da SE, sui 15 nodi, la nostra rotta 171°: procediamo con randa e motore. Nel primo tratto l’atollo che abbiamo appena lasciato ci protegge un po’ dall’onda, ma in compenso risentiamo di una corrente contraria: la nostra velocità non si schioda dai 4 nodi.
Verso le 20.30 siamo a 0°17’ di latitudine N e lo scenario cambia radicalmente: il vento rinforza di poco portandosi a 18 nodi, l’onda diventa corta, in prua, la corrente aumenta notevolmente, almeno 2 nodi in direzione E-NE. La nostra velocità si riduce a 3 nodi.
Per mantenere la rotta su 165°-170°, il pilota deve correggere di 3-4 tacche il timone e la prua bussola è costantemente sui 195°200°. Dopo che per due-tre volte il pilota automatico entra in allarme per il fuori-rotta mi vedo costretto a metterlo in stand-by e a prendere in mano il timone. Nel frattempo il mare si alza e diventa incrociato.
Non è facile condurre la barca in queste condizioni: buio pesto, riferimento solo strumentale, una minima sollecitazione al timone provoca una deviazione di rotta di 30° di rotta. Tra breve Lilli, che sta riposando, dovrà darmi il cambio. Posso lasciarla al timone in queste condizioni? ce la farà?
Sento che ci vorrebbe un cambio di strategia, ma in che direzione? Meglio assecondare la corrente ed andare verso est o assecondare il vento ed andare verso ovest?
Mi dico che per il momento l’importante è uscire da questo mare incrociato: aumento il numero di giri a 1.800, aumento la sensibilità del pilota automatico in modo che il timone reagisca più velocemente alle variazioni. La velocità aumenta tra i 4 ed i 5 nodi, ed il pilota non va più in errore. Un gran sollievo!
Verso le 23 il vento cala sugli 8-9 nodi ed anche l’onda si riduce sensibilmente. Posso riprendere la rotta sulla nostra destinazione e ad aspettare tranquillo che Lilli venga a darmi il cambio. Le racconto com’è andata mentre lei dormiva beatamente, le faccio gli auguri per il suo compleanno e me ne vado in cuccetta, ne ho bisogno!
La notte passa senza altre brutte sorprese. Alle 0.50 Lilli segna sul libro di bordo il nostro ritorno nell’emisfero sud: abbiamo attraversato di nuovo l’equatore (per la quinta volta, ci pare). La mattina di venerdì 11 maggio entriamo nell’Addu Atoll da nord ed alle 9.30 siamo davanti all’isola di Gan. Ovunque profondità tra i 35 e i 40 metri; dopo un giro di perlustrazione ancoriamo, tenendoci a debita distanza, davanti alla pass per l’accesso alla piccola laguna, dove il fondale si alza un po', a 28 metri (0°40.991’S 73°08.732’E). 

Ci sono altre tre barche ancorate, tutte come noi qui per l’uscita dalle Maldive ed in attesa di partire per Chagos. 
Simpatizziamo subito con Paul, un danese con residenza a Lussemburgo armatore di un Halberg Rassy 53, New Dawn, che ha a bordo come equipaggio una coppia di giovani norvegesi; la loro rotta è Chagos, Rodriguez, Mauritius, Madagascar via nord e Sudafrica.
Paul ci informa che la nostra rotta verso le Seychelles ci fa passare in un’area monitorata per la pirateria, e che c’è una organizzazione che si occupa di tutelare le barche in transito in queste zone. Lui stesso si è iscritto per il tratto dalla Thailandia alle Maldive e ci mostra i vari documenti, come accreditarsi ecc.. L’iscrizione è gratuita, unico obbligo mandare ogni giorno una mail con la posizione, se questa non arriva scatta una segnalazione di attenzione. Ringraziamo Paul per questa dritta, la valuteremo prima di partire dalle Chagos, quando avremo anche verificato come funzionano le nostre comunicazioni con Winlink.
L’atollo Addu, a differenza di quelli visti in precedenza, non ha reef interni; la parte sud-occidentale è formata da 4 isolette, collegate da una strada che con molta fantasia è stata chiamata Link Road.
L’isola più a sud è Gan, dove c’è l’aeroporto, ma pochi negozi; poi viene Feydhoo, dove c’è un porto con distributore di carburante, molti negozi, ristoranti, più vita insomma. L’isola successiva, in direzione nord, è Maradhoo, altro centro abitato importante ed infine l’ultima, Hithadhoo, è il centro amministrativo dell’atollo, a circa 10 km da Gan.
I nostri spostamenti con il dinghy sono verso il porto di Feydhoo, a mezzo miglio, dove possiamo fare un po' di cambusa e incontrare il nostro agente per le pratiche di uscita, Massud, il quale ci informa che entrare nel local harbour con la barca è consentito solo per fare rifornimento ed occorre una autorizzazione della dogana, al costo di 250 rupie (13 €).

Il 12 maggio giunge all’ancoraggio anche Amandla. Fabio conosce già le barche ancorate, e ciò facilita le comunicazioni, così conosciamo il calendario delle partenze: la prima barca partirà lunedì 14 alle 5, poi Fabio ed un americano di nome Jeff partiranno martedì 15 alle 3 di notte, Paul giovedì 17, noi abbiamo programmato per venerdì 18.
Domenica sera andiamo a cena tutti insieme ad un ristorante indiano, per salutarci.

La nostra sosta si prolunga per una settimana, ma non è certo noiosa. Dopo un periodo di tregua, vari guasti sono tornati a farci compagnia. Il primo è stato il terzo frigorifero, che già ci aveva fatto penare da Pangkor a Langkawi: la piastra nuovamente non raffredda. Con non poche difficoltà riusciamo a portare a bordo un tecnico locale; in sua presenza riaccendiamo il frigo, che riprende istantaneamente a funzionare spontaneamente. Il tecnico sentenzia: “E’ il filtro! è sporco e andrebbe sostituito, ma noi qui non ne abbiamo. Bisognerebbe andare a Malè e diventerebbe una spesa molto cara. Meglio andare avanti così, di sicuro si fermerà nuovamente e potete solo sperare che dopo un po’ riparta, come ha fatto ora.” Non è molto consolante, ma non ci sono alternative. Lo paghiamo (25$) e incrociamo le dita…
Poi è la volta della pompa manuale di sentina, che non aspira più. La smonto e trovo la valvola di aspirazione bucata; dopo averla sostituita l’impresa più difficile è rimontare la pompa, come sanno tutti gli armatori di Amel SM cui è toccata l’esperienza.
Per terza, a guastarsi è la pompa elettrica di sentina. Smontata anche questa, dopo aver verificato il funzionamento della parte elettrica sostituisco entrambe le valvole, aspirazione e scarico, apparentemente non difettose, ma dopo la sostituzione la pompa riprende a funzionare regolarmente.
Nei ritagli di tempo mi dedico alla pulizia della carena; al mattino fino alle 10.30- 11.00 l’acqua è pulita, poi probabilmente a causa della corrente di marea diventa torbida e con molta sospensione.
Il tempo alle Maldive sta decisamente cambiando: la stagione delle piogge è arrivata e per noi è proprio tempo di lasciare queste isole che pure abbiamo trovato affascinanti.
Il nostro permesso di sosta alle Chagos, richiesto ed ottenuto in gennaio dall’Italia, decorre dal 25 maggio. Ne richiediamo per e-mail la correzione, anticipando la data di arrivo al 21 maggio; in meno di 6 ore ci arriva il nuovo permesso con la data corretta. La nostra partenza di conseguenza sarà venerdì 18 sera o sabato 19 mattina, aspettiamo le ultime previsioni meteo per la decisione finale.
Nel frattempo è cominciato il ramadan: tutti i ristoranti sono chiusi fino a sera, gli orari di negozi e uffici subiscono variazioni per consentire ai fedeli di pregare nelle ore stabilite. Tutto diventa un po’ complicato e Massud, il nostro agente, anticipa tutte le pratiche di uscita per essere sicuro di farcela a consegnarci in tempo i documenti.
Giovedì 17 maggio con l’autobus andiamo ad Hithadhoo, dove rimpinguiamo la cambusa di frutta e verdura nel ben fornito negozio che ci è stato raccomandato dagli altri velisti (“Daily fresh”) e rientriamo alla base con un taxi (130 rupie, 8€). Chiamiamo Massud che puntuale ci restituisce i passaporti timbrati e i documenti per l’uscita. Saldiamo il conto per il permesso di navigazione e le tasse Maldiviane: in totale 54 giorni di permanenza ammonta a 1195 $.
Non ci rimane che salpare l’ancora!

mercoledì 9 maggio 2018

Maldive: MAAFUSHI - VEYMANDHOO


Venerdì 4 maggio di buon mattino salpiamo dalla baia di Magoodhoo con destinazione Maafushi, nell’estremità SW dell’atollo Dhaalu.
Il vento è sugli 8-9 nodi da ovest, per cui decido di tentare la sorte costeggiando Dhaalu lungo il suo versante esterno orientale, con la speranza di riuscire a fare un po' di vela. La scelta ha anche un ulteriore duplice vantaggio: protezione dall’onda e maggior relax, lontani dai pericoli sempre in agguato nelle navigazioni interne agli atolli. Procediamo tranquillamente a vela fino a quando, verso mezzogiorno, il vento gira a SW e rinforza sui 15 nodi. Fine della festa!
Proseguiamo a motore e tutto va bene (si fa per dire) fino a quando giungiamo in prossimità dell’estremità SE di Dhaalu. La nostra rotta diventa ora 235° e purtroppo, finita la protezione dell’atollo, abbiamo 1 metro e mezzo di onda in prua. A fatica superiamo i 3 nodi di velocità.
Qui si impone un cambio di strategia: invece di entrare nell’atollo attraverso la pass più vicina alla nostra destinazione come programmato, imbocchiamo quella precedente, tra Maeboodhoo e Issari. Dovremo aguzzare la vista per evitare i grossi banchi di corallo sul percorso fino a Maafushi, ma almeno non avremo più onda contraria e potremo avanzare più spediti. Abbiamo infatti una certa premura di arrivare: il sole è quasi del tutto oscurato da grossi nuvoloni grigi che non promettono nulla di buono … quattro occhi che scrutano senza posa i fondali, ma almeno la velocità arriva oltre i 5 nodi.
Siamo ormai in avvicinamento a Maafushi, la cui laguna è aperta verso E-NE: vediamo nelle immagini satellitari che nell’ampio passaggio ci sono alcuni reef isolati, non ben definiti, non segnalati dalla cartografia elettronica. Anche qui, molta prudenza. Finalmente alle 15.40 arriviamo nella zona di ancoraggio, abbiamo il WP di Totem, una delle barche che seguiamo che è stata qui prima di noi.
Quando stiamo per mettere ancora il cielo diventa nero e improvvisamente il vento gira a nord, a 30 nodi. Facciamo appena in tempo a dare 65 metri di catena su un fondale sabbioso di 15 metri prima che scoppi il temporale, con pioggia torrenziale (2°53.162’N 73°02.975’E).


Con un fetch a nord di circa 20 miglia, in breve tempo si alza un’onda di oltre un metro. Che fare? Resistere, resistere, resistere. Come spesso succede, nel giro di un paio d’ore il temporale si dissolve, il vento torna da W-SW ed anche l’onda si placa; diciamo che abbiamo fatto un buon test per la tenuta dell’ancora!
Sulla stretta e lunga isola di Maafushi vediamo una intensa attività edilizia: scavatrici in movimento, grandi lavori di costruzione (otto case a due piani già edificate, tetto compreso), in fase di completamento un lungo pontile in cemento che porta all’isoletta 500 metri più a NW.

Rinunciamo ad andare a terra, ma il posto merita di essere segnalato per la protezione da W-SW. Noi vi trascorriamo solo la notte, per riprendere l’indomani la navigazione verso Veymandhoo, nell’atollo di Thaaa, a circa 35 miglia.
Per raggiungere questa meta abbiamo due alternative: navigare all’esterno dell’atollo di Thaa, lungo il versante occidentale, per entrarvi dalla pass di Hirlandhoo e navigare le ultime 10 miglia all’interno, oppure entrare nell’atollo da una pass a nord e fare tutto il percorso all’interno. La prima soluzione ci espone all’onda e, con il vento su 8-9 nodi da WSW, ci costringerebbe ad andare ancora a motore; la seconda invece assicura mare più calmo ma comporta un’attenta guardia a prua, visti i numerosi reef disseminati un po’ ovunque lungo il percorso. Poiché la visibilità, essenziale per la seconda ipotesi, non è prevedibile fin quando non si è sul posto, rimandiamo la decisione all’ultimo momento.
Quando usciamo dall’atollo Dhaalu il cielo è abbastanza sereno: scegliamo di entrare nell’atollo Thaa a nord, e navigare al suo interno fino a destino. Scelta fortunata! Per la prima volta riusciamo a fare tutto il percorso a vela, di bolina e con una buona media; con il sole bello alto i reef da evitare risultano ben visibili da lontano, ci permettiamo addirittura il lusso di orzare e poggiare in base alle piccole variazioni di direzione del vento.
Alle 14, in anticipo rispetto alle previsioni, siamo davanti alla piccola pass della laguna di Veymandhoo.
La pass (WP 2°11.499’N 73°05.444’E) è davvero stretta, circa 20 metri, adiacente ad un isolotto minuscolo e segnalata da 2 paletti. Noi siamo larghi 4,60! Lilli è molto pallida e dice che non ce la fa ad assistere al passaggio. Se non fosse che abbiamo tre WP di ancoraggio all’interno, di barche passate prima di noi, non mi azzarderei ad entrare.


Per fortuna la pass è stretta ma anche corta, circa 80 metri, quindi il mal di pancia passa in fretta. La profondità minima registrata sotto la nostra chiglia è 2,10 metri; la profondità è quindi 4,15 metri a mezza marea crescente. Lilli riprende colore ed ancoriamo in 7 metri di fondale sabbioso, libero da coralli (2°11.349’N 73°05.436’E).

Andiamo in visita al villaggio; nell’estremità est della laguna c’è un pontile in cemento con gradini, dove si può ormeggiare il dinghy; per proteggere il tratto di costa sono stati posizionati grossi sacchi di sabbia. 
A nord dell’isola c’è un porticciolo, “local harbour”, un po' più grande di quelli visti finora. Molte costruzioni recenti, soprattutto pubbliche, indicano lo sviluppo e forse la considerazione di cui questo villaggio gode nelle sfere politiche: un ospedale in puro stile occidentale con ambulanze (auto e barche), la sede dell’alto segretariato dell’atollo (!), alcuni moderni edifici sedi di grosse società, una banca in costruzione, con sportello ATM già funzionante.


Visitiamo alcuni negozi: vendono un po' di tutto, alimentari, ferramenta, souvenir, abbigliamento e articoli per la casa. In uno di questi un signore sulla cinquantina si presenta e ci chiede da dove veniamo; mostra grande interesse per il nostro giro del mondo in barca. Anche lui ha avuto esperienze di navigazione e ci consiglia di controllare le previsioni perché il tempo sta cambiando. Prima di salutarci ha voluto che ci scambiassimo i numeri di telefono, raccomandandoci di non esitare a chiamarlo se avessimo bisogno di qualunque cosa, e addirittura offrirci una bibita fresca. Per l’ennesima volta rimaniamo affascinati da un’accoglienza tanto calda e generosa.
Davanti al porto c’è la rivendita di carburante, dove troviamo il miglior prezzo delle Maldive: 0,56 € al litro. Prendiamo accordi per tornare il giorno dopo con le taniche.
Carichiamo otto taniche da 20 litri sul dinghy; da vuote Lilli ed io ce la facciamo a portarle alla rivendita in un solo giro, da piene sarebbe stato un po’ più complicato … ma il giovane del negozio coglie subito il problema, carica le taniche sulla sua Ape elettrica e ci aiuta perfino nel trasbordo sul dinghy. Che dire? A parte “Thank you so much” siamo senza parole.
Chiediamo informazioni a due giovani, mollemente seduti all’ombra sulle solite panchine in rete, per un ristorante dove pranzare; la risposta è: “Salite in moto con noi, vi accompagniamo!”. Non era una grande distanza ma risparmiarci la camminata sotto la canicola è stato un bel regalo. Ci portano al Garden Restaurant, un bel locale immerso nel verde, con vasche di acqua in continuo movimento e pesci rossi; il menù qui si arricchisce della pizza, che non assaggiamo; prezzi sempre bassi: 90 rupie per due piatti di fried rice e acqua minerale (meno di 5 €).

Sulla via del ritorno passiamo dal porto e vediamo che una grande barca a motore sta facendo rifornimento: la rivendita è dotata di una lunga tubazione mobile per portare il gasolio in banchina. Poiché nel serbatoio mi mancano ancora un centinaio di litri, chiedo se è possibile anche per noi entrare nell’harbour con la barca per rifornirci direttamente. Il nostro amico gestore risponde: “Certo, nessun problema!”.
Così prendiamo due piccioni con una fava: rabbocchiamo il serbatoio risparmiandoci trasporto di taniche e travaso, e abbiamo un posto sicuro da cui partire nel tardo pomeriggio, senza affrontare la piccola pass con poca luce. Ne abbiamo bisogno perché il nostro programma prevede che lasciando Veymandhoo faremo la prima navigazione notturna alle Maldive: la prossima meta è nell’atollo Gaaf Alif, a 75 miglia, troppe per arrivare in buone condizioni di visibilità.  
Nel primo pomeriggio del 7 maggio usciamo quindi senza difficoltà dalla laguna (la pass sembra essersi allargata di qualche centimetro, ma è solo l’effetto dell’esperienza già fatta) ed entriamo nel “local harbour”. C’è molto spazio libero, ormeggiamo all’inglese davanti alla rivendita del carburante (profondità 3,3 mt.) e provvediamo al rabbocco. La nostra sosta dura poco più di un’ora. Mentre alcuni locali vengono a vedere Refola da vicino e Lilli intrattiene improbabili conversazioni inglese/maldiviano, io preparo il minestrone, nostro usuale menu per la prima serata delle navigazioni notturne.
Alle 17.20 molliamo gli ormeggi, ancora una volta si parte...

sabato 5 maggio 2018

Maldive: MAGOODHOO e la Bicocca



Il primo maggio è la festa dei lavoratori, che forse non comprende i marinai. Di certo non è stata una festa per noi.
Già alla partenza la giornata si preannuncia difficile: per uscire dalla laguna di Maafussaru dobbiamo percorrere un primo tratto verso SE e poi un secondo verso est. Al mattino, in quella direzione, la visibilità non è affatto buona. “Nessun problema - ci diciamo Lilli ed io - seguiamo la traccia di ingresso fino a quando siamo in acque libere”. Ma accade che ci sfugge il momento di girare ad est, e in pochi secondi ci troviamo in un dedalo di banchi di corallo, uno dopo l’altro, uno a destra, uno a sinistra. A complicare la situazione già non piacevole, grossi nuvoloni passeggeri coprono a tratti il sole; proseguiamo a 2 nodi di velocità, come ciechi che tastano il terreno ad ogni passo. Mentre Lilli è a prua, scendo al carteggio per controllare sul computer l’immagine satellitare e mi rendo conto che invece di tagliare col percorso più breve il tratto pericoloso ci stiamo navigando sopra, per il lungo. La visibilità è scarsa e le teste di corallo si vedono a qualche decina di metri. Lilli mi dice che riesce a malapena a distinguere i fondali verso sud, ma non vede nulla verso est. “Dobbiamo andare ad est ad ogni costo!”, le dico. Finalmente, dopo qualche centinaio di metri fatti a zig zag e col fiato sospeso, siamo fuori dal labirinto e in acque profonde. Possiamo mettere la prua a sud, verso la pass di uscita dall’atollo, che risulta facile, ampia e profonda.
Il vento è sui 12-14 nodi, da ovest, la nostra rotta è 220°. Per una bolina accettabile dovremmo andare per 190°, allungando il percorso, ma qui non ci possiamo permettere ritardi: per ancorare è tassativo arrivare con una buona luce, o quanto meno con il sole ancora alto. Tento di ottenere da Refola l’angolo impossibile, ma poi mi rassegno e malvolentieri proseguiamo ancora una volta a motore, con la randa cazzata e il vento apparente a 30°.
Alle 14.15 entriamo nell’atollo Faafu tramite la larga pass in corrispondenza della sua punta più orientale. Ci restano ancora 10 miglia da percorrere in direzione SW: nel frattempo, ovviamente, il vento è girato proprio a SW ed abbiamo 1 nodo di corrente contro; per mantenere una velocità sui 5 nodi aumento il numero di giri motore a 1800, e proseguiamo con un’attenta guardia a prua.
Ma ecco che quando mancano circa 3 miglia all’arrivo arriva un’altra tegola. Scesa un attimo sottocoperta per controllare le immagini satellitari, Lilli mi avvisa che è in azione la pompa automatica di sentina. “Forse la sentina era al limite e un movimento della barca l’ha fatta partire” dico io. Ma Lilli, che quasi conta le gocce d’acqua che vanno in sentina e teme le avarie delle pompe, non è convinta e resta vigile. La pompa smette ma subito dopo riparte. “Sta pompando di nuovo!” urla Lilli. Mi affretto ad aprire il portellone della sala motore e vedo subito molta acqua sotto il motore. Cacchio! Spengo immediatamente il motore. L’acqua fuoriesce dal tubo di mandata della girante, e a prima vista ho l’impressione che il tubo in gomma sia tagliato. Cacchio cacchio!
Svolgo la randa e metto Lilli al timone: deve cercare di mantenere la barca il più possibile di bolina larga, per evitare lo scarroccio verso il reef che si trova sottovento, a circa mezzo miglio da noi. Abbiamo sotto la chiglia 45 metri di acqua e dare ancora non sarebbe consigliabile. Mentre Lilli lotta con lo scarroccio, a barca quasi ferma, scendo in sala motore con la torcia per controllare meglio l’accaduto. Sospiro di sollievo: il tubo è intatto, a rompersi è stata la fascetta! Inoltre, nella sfiga, siamo stati fortunati: pur essendosi sfilato, il tubo è rimasto vicino all’imboccatura della pompa quel tanto che bastava per riuscire a mandare in circolo un po' d’acqua. In pochi minuti sostituisco la fascetta, innesto il tubo e tutto ritorna a posto. Però poteva diventare un problema serio: senza il provvidenziale intuito di Lilli, l’assenza d’acqua nel circuito avrebbe fatto sì che i fumi di scarico arrivassero ad una temperatura troppo alta per la povera marmitta di Refola, che è in plastica. Quanto avremmo potuto andare avanti in quelle condizioni? 10 minuti, mezz’ora forse? Ho visto una volta la marmitta del nostro amico francese Gerard bucata in due minuti, a causa della girante rimasta senza palette! Ci è andata più che bene…
Riprendiamo la rotta ed alle 16.15 entriamo nella piccola laguna di Magoodhoo, la nostra meta: anche qui il passaggio per entrare è delicato, stretto fra due reef affioranti. Il sole viene a tratti coperto dalle nuvole e la visibilità è ridotta, ma con precauzione arriviamo a mettere l’ancora in uno spazio libero su fondale di 11 metri, sabbia e qualche corallo basso (3°04.863’N 72°57.482’E).
La giornata è stata abbastanza impegnativa: finalmente possiamo rilassarci e gustarci la fresca birra dell’ormeggio.
L’indomani andiamo a terra con il dinghy, superiamo facilmente la barriera con l’alta marea ed entriamo nel porticciolo, il cui accesso è a nord, dall’esterno della laguna.

Ormeggiamo il dinghy e vediamo nel grande piazzale in sabbia alcune persone intente a piantare decine di bandiere Maldiviane.
 “È una festa nazionale?” - ci chiediamo. Ci viene incontro un signore, tutto sorridente, che esprime nella lingua locale cose che interpretiamo come saluti di benvenuto. Lui continua a parlare la sua lingua, e quando, per giustificare le nostre difficoltà di comprensione, diciamo “Italy” lui si illumina, tira fuori qualche parola in inglese, di cui capiamo solo “Cocco university”, e fa cenno di seguirlo. È talmente cordiale che mai vorremmo deluderlo e così ci avviamo dietro a lui verso il villaggio. In pochi minuti ci troviamo davanti ad un elegante complesso contornato da coloratissime mura, di un arancione brillante, su cui spicca un telone: “MARHE - Marine Research and High Education Center - Università degli Studi di Milano Bicocca”. 
Non era l’università del cocco, ma la Bicocca! La nostra guida, sempre sorridente, ci indica la grande bandiera italiana che sventola insieme a quella delle Maldive davanti alle aule, in quel momento deserte perché gli studenti sono fuori con la barca. Ci invita ad entrare: un grande giardino fiorito, pieno di colori e denso di profumi, su cui si affacciamo i padiglioni senza pareti dove sono allestite le zone di lettura, di giochi, di dotazioni per la subacquea. 
Ci conduce infine al padiglione ristorante, dove come un perfetto padrone di casa ci fa accomodare offrendoci caffè con biscotti. Lui continua a parlare maldiviano con qualche parola di inglese, noi capiamo pochissimo, ma sorrisi e comportamento sono inequivocabili. Anche le quattro cuoche della struttura, rigorosamente velate, si uniscono alla stentata “conversazione” (sapremo poi che una di loro è la moglie della nostra guida).
Proseguiamo il nostro giro nel paese, curato e pulito come pochi visti qui alle Maldive. Troviamo un negozio di hardware, ben fornito, dove visto l’inconveniente del giorno precedente acquistiamo una scorta di fascette metalliche. Pranziamo in un piccolo ristorante con il classico menù: tuna rice e vegetable rice (con sopra un uovo all’occhio di bue), acqua minerale, il tutto per 160  rupie (circa 8 €).
Rientriamo in barca, senza essere riusciti a capire se e quando ci sarà una festa; quest’isola ci piace e ci incuriosisce, con la sua gente accogliente, con l’Università della Bicocca … decidiamo di prolungare la sosta e tornare a terra il giorno dopo, anche per incontrare gli universitari italiani.
E infatti il 3 maggio siamo di nuovo nel porticciolo con il dinghy: questa volta ad accoglierci è “il Capitano”, cioè il comandante della barca dell’Università. Parla un po' di inglese e si offre di farci da guida. Entriamo nel complesso della Bicocca e troviamo una ventina di giovani studenti: sono seduti intorno a un grande tavolo di lavoro, con alcuni computer. Ci presentiamo e chiediamo di scambiare due chiacchere. Accolgono volentieri la nostra richiesta, sono anche loro curiosi di sentire la nostra storia e ci pongono un sacco di domande. Studiano Scienze Marine e sono in vista della laurea magistrale; sono quasi tutti di Milano e dintorni, tranne un paio di stranieri; sono qui per un periodo di quattro settimane, tutto a carico della Bicocca, e torneranno in Italia tra pochi giorni. Descrivono positivamente la loro esperienza, anche se hanno nostalgia dei buoni cibi italiani, soprattutto la pizza, e sono delusi dal fatto di non aver potuto compiere immersioni, pur essendo tutti subacquei, perché escluse dall’assicurazione! Arriva una giovane ricercatrice tedesca, l’unica che risiede qui stabilmente, per annunciare che il pranzo è pronto. Prima di salutarci immortaliamo l’interessante incontro con una foto di gruppo.

Noi torniamo al “nostro” ristorante (solito menu) e poi gironzoliamo per il villaggio. Incontriamo di nuovo le nostre guide, il “Capitano” e il pescatore Nasser, l’uomo sorridente del giorno prima. Ci invitano a sederci sulle tipiche “panchine” maldiviane in rete, all’ombra di altissime palme. 
Poco dopo arriva la moglie del pescatore (cuoca alla Bicocca) che offre a tutti noce di cocco e uno squisito tonno seccato, dal gusto affumicato. Solo per noi, ospiti speciali, un cocco fresco da bere. Si unisce alla compagnia il direttore sanitario del centro medico, persona più istruita con la quale riusciamo a imbastire una conversazione in inglese. Con il pescatore Nasser è invece tutto un rimbalzo di sorrisi e parole incomprensibili; quando ha capito che abbiamo apprezzato molto il loro tonno, ci mostra i suoi “attrezzi” per la pesca alla traina, e in pochi minuti prepara due esche che ci offre in regalo. Questo davvero non ci era mai capitato!

Riprendiamo la nostra passeggiata scortati dal “Capitano”, che ci conduce prima ad un grande e rudimentale capannone dove stanno costruendo una barca per la pesca d’altura, poi la “Green House” dove una cooperativa di locali coltiva frutta e ortaggi, poi la “Chicken farm”, dove vengono allevate a terra circa 800 galline (gli abitanti sono meno numerosi), poi le due moschee, infine la “Power House”, con quattro generatori (due funzionano 24/24 h) che producono 180 Kw e consumano mediamente 400 litri al giorno di gasolio. 

Con orgoglio il “Capitano” ci mostrati anche la sua casa, a due piani, all’esterno tinteggiata di azzurro e di blu. Non avendoci finora fatto regali (a parte il suo tempo), non manca di donarci alcuni frutti dal nome impronunciabile che raccoglie direttamente da una pianta del suo giardino.
Non poteva mancare la visita al presidio sanitario: il direttore ci presenta l’unico medico (una dottoressa proveniente dal Bangladesh), il tecnico sanitario (una signora indiana) ed alcune infermiere (locali e velate). La struttura è aperta 16 ore al giorno dalla domenica al giovedì, mentre chiude il venerdì ed il sabato (il week end di preghiera musulmano), a meno che non ci siano pazienti ricoverati, cosa che non succede quasi mai!
Finalmente veniamo a sapere dal direttore sanitario il motivo delle bandiere: nel pomeriggio sono in arrivo per un meeting i rappresentanti degli altri villaggi. I bambini, in abiti tradizionali, offriranno fiori e bibite in segno di benvenuto. “Fermatevi anche voi, sarà bello!”, ci dice. Sempre in compagnia del “Capitano”, ci sediamo in attesa sulle panchine del porto. 
Ma si fanno le 4 e non arriva nessuno, quindi rinunciamo a vedere la cerimonia e rientriamo a bordo. Anche se non abbiamo visto la festa, siamo estasiati dalla generosità e gentilezza che tutti hanno mostrato nei nostri confronti, e un po' dispiaciuti per non aver potuto ricambiare.
L’occasione si presenta poco più tardi. Nasser il pescatore con quattro ragazzini, su 9-10 anni, si accosta a Refola con la sua barchetta, attrezzata con la vela al terzo. 
Salgono a bordo, i bambini sono come sempre curiosi delle attrezzature della barca. Offriamo loro coca-cola e biscotti, che dimostrano di apprezzare molto; due dei ragazzi sono nipoti di Nasser e parlano un po' inglese (lo studiano a scuola). 
Su indicazione del nonno ci invitano di andare a pranzo da loro il giorno seguente. “Purtroppo domani partiamo” rispondiamo. Regaliamo a Nasser un paio di occhiali da sole e una piccola cesoia per rami. Lui ci scrive il suo numero di telefono, e ci fa capire che desidera che lo chiamiamo per comunicargli dove siamo, anche se sarò impossibile parlarci… quest’uomo ci ha davvero conquistato!
Salutiamo il gruppetto, che riprende la navigazione a vela nelle acque basse della laguna.
I due giorni a Maagoodhoo sono stati davvero belli ed interessanti. Domani riprendiamo il mare, arricchiti da questa esperienza.

mercoledì 2 maggio 2018

Maldive: GURAIDHOO - MAAFUSSARU KANDU


Domenica 29 aprile lasciamo la laguna di Himmafushi. Abbiamo trascorso tre giorni e mezzo ballando sull’onda fastidiosa provocata dal vento da NW e dalle barche superveloci, ed ora che ce ne andiamo, ironia della sorte, c’è calma piatta. Speravamo che il NW fosse generoso, che ci regalasse una giornata di vela, ma era un’illusione: di nuovo a motore.
Per uscire dall’atollo North Male imbocchiamo la prima pass a sud di Himmafushi, in modo da evitare l’intenso traffico da e per Malè. Una volta fuori mettiamo la prua a sud; rivediamo la capitale, questa volta nel suo versante est, e proseguiamo costeggiando per metà il lato orientale dell’atollo South Male, fino alla nostra destinazione, Makunufushi, a 27 miglia.
La pass di ingresso è larga e ben visibile, di quelle che affronti a cuor leggero. Già in avvicinamento avevamo osservato che una barca di appoggio per il diving era ferma al centro della pass. “C’è posto per tutti”, pensiamo, e la imbocchiamo tranquilli. Improvvisamente, una cinquantina di metri davanti alla nostra prua, vediamo emergere il siluro gonfiabile che le guide subacquee sparano per segnalare alla barca di appoggio il punto di recupero. Per evitare di passarci sopra accosto prontamente a dritta, per fortuna non c’è pericolo… la profondità minima registrata è di 14 metri, possiamo proseguire.
Aggirando il reef arriviamo alla nostra meta: l’isola di Makunufushi è occupata interamente da un resort; c’è un pontile e 4-5 boe, quasi tutte occupate. Il posto è molto bello ma il problema è che le acque sono profonde ovunque; si passa da 35-40 metri (acque blu) a 0,5-1 metro (acque turchese). Ancorare qui è impossibile. Proviamo a girare intorno all’isola vicina, ma la situazione non cambia, sempre da 40 metri a 0. In cerca di alternative, consultiamo il portolano Maldives Cruising Guide, dove troviamo indicata una zona di ancoraggio a SW di Guraidhoo, circa 2 miglia più a sud. Da quello che vediamo coi nostri occhi e sulla cartografia, per raggiungerlo bisogna fare una gimcana tra ampie lagune chiuse da reef, ma la visibilità è buona ed i colori dei fondali si distinguono nettamente, quindi procediamo.
Alle 14.40 arriviamo nella nuova destinazione: Guraidhoo ha un porticciolo protetto da un frangiflutti, all’esterno del quale c’è una zona di ancoraggio abbastanza ampia. Vi troviamo infatti tre grossi yacht a motore, che chiamano barche per sea-safari ed ospitano ciascuna una decina di turisti, per lo più amanti della subacquea. La profondità è superiore ai 20 metri e non si vede il fondo, ma dobbiamo accontentarci. Ancoriamo proprio davanti al frangiflutti, su 22 metri di acqua con sabbia e coralli (3°53.943’N 73°27.828’E).

Mentre completiamo la manovra veniamo salutati calorosamente da un gruppo di turisti italiani ospiti dello yacht più vicino. Hanno riconosciuto il nostro piccolo tricolore sulla crocetta di sinistra!


Il posto è abbastanza trafficato, l’acqua è un po' torbida e a parte la bellezza del reef circostante, con i suoi contrasti di colore, non abbiamo interesse a fermarci, così il giorno successivo salpiamo con destinazione Maafussaru Kandu, circa 30 miglia verso sud.
L’uscita dalla baia di Guraidhoo è meno difficile del previsto. Rinunciamo a tentare il percorso più breve, che presenta alcuni passaggi stretti e poco visibili, e facciamo un ampio giro intorno al reef; in mezz’ora siamo di nuovo fuori, in acque sicure.
Proseguiamo a motore, perché con il NW al giardinetto, l’apparente raramente supera i 5 nodi. Verso le 13.30 siamo in vista della nostra destinazione. O meglio, è la cartografia a dirci che siamo quasi arrivati, ma davanti ai nostri occhi c’è solo una ridottissima lingua di sabbia e coralli morti, con due pali! Maafussaru Kandu è infatti una piccola laguna adiacente alla barriera occidentale dell’atollo Vaavu; non ci sono terre emerse, solo reef.

Per entrare nell’atollo superiamo la barriera attraverso una pass ampia, con profondità tra i 16 ed i 20 metri. Poi aggiriamo completamente la laguna di Maafussaru per entrarvi da sud. E qui arriva il bello: l’accesso che sulla cartografia elettronica sembrava libero da ostacoli è invece pieno di grossi banchi di corallo isolati, semi-affioranti, estesi non più di 50 metri ma abbastanza ravvicinati l’uno all’altro. Come se non bastasse, proprio quando stiamo per entrare nella laguna il sole viene coperto da grossi nuvoloni grigi e non si vede più una mazza. Procediamo con cautela, molto lentamente, aguzzando la vista: circa 300 metri lunghi come 3 miglia… poi per fortuna il sole ricompare, i coralli si diradano ed abbiamo ampi spazi liberi. Con sollievo ancoriamo su un fondale di sabbia e coralli bassi, profondità 19-20 metri (3°29.427’N 73°17.286’E).
Nella notte il vento gira ad ovest e rinforza sui 12-14 nodi, ma noi, anche se nel bel mezzo del nulla, siamo protetti dal reef molto esteso che ci circonda, e dormiamo tranquilli cullati da una leggera maretta. Speriamo solo di trovare facilmente,domani, la strada per uscire di qui…