martedì 31 maggio 2016

SOLOMON - SANTA CRUZ, Graziosa Bay

10°44.193'S 165°49.795'E
Alle 5 del mattino di mercoledì 25 maggio siamo già in piedi; dopo un buon caffè iniziamo a salpare, purtroppo il fango trattenuto dalla catena ci fa perdere un po' di tempo per il lavaggio e solo alle 5.45 possiamo mettere la prua verso il passaggio di uscita, Ringdove passage; la marea è calante ed 1 nodo di corrente a favore ci spinge fuori.
Poi il vento si fa debole in poppa e dobbiamo dare motore, seppur a basso regime, per tenere una velocità media di 6 nodi e percorrere le 70 miglia prima del tramonto.
Quando mancano 5 miglia alla nostra meta, Graziosa Bay, rimettiamo la traina per avere qualcosa da offrire ai locali all'arrivo, ma per la legge di compensazione la presa che arriva dopo pochi minuti ci strappa via la lenza (forse abbiamo fatto male a vantarci di tirar su pesci come fossimo in pescheria!).
Graziosa Bay è un'ampia e profonda baia, sulla parte NW di Ndendo (più conosciuta con il nome di Santa Cruz), a cui si accede attraverso un'ampia imboccatura a nord oppure dallo stretto West Passage, che permette di risparmiare 10 miglia a chi come noi proviene da sud.
Alle 15.30 imbocchiamo il West Passage: il sole è ancora alto, ma coperto da nuvole, la visibilità del fondo è quindi scarsa, nonostante le acque calme; la cartografia elettronica di Navionics e le C-Map sono discretamente dettagliate, mentre non abbiamo purtroppo immagini satellitari decenti. Nel punto più stretto un paletto indica il passaggio, ma non si capisce se va lasciato a sinistra oppure a destra: apparentemente, dalla nostra posizione, sembra in mezzo al canale.
Lilli a prua controlla il fondo, riduco la velocità a 4 nodi e istintivamente quando mancano circa 200 metri accosto per lasciare il paletto a dritta, quand'ecco che da una barchina a motore che stiamo incrociando vediamo persone sbracciarsi per segnalarci che stiamo andando nella direzione sbagliata, giusto in tempo per vedere nell'ecoscandaglio solo 1 metro di acqua sotto la chiglia! Ora anche Lilli a prua vede i coralli, prontamente giro di 90° per lasciare il paletto a sinistra, aspettando da un momento all'altro il botto... siamo tutti in silenzio, col fiato sospeso, poi finalmente, piano piano, il fondale aumenta... il pericolo di incaglio, di rado avvertito così nettamente, è scampato. A prua Lilli ringrazia vistosamente l'equipaggio della provvidenziale barca a motore, senza la quale non avremmo avuto scampo. Quando l'adrenalina scende mi rendo conto che forse non ci saremmo fatti troppo male (la nostra velocità era bassa e la marea crescente), ma questi incidenti lasciano sempre un brutto segno, siamo stati fortunati!
Sono quasi le 16 quando passiamo davanti alla "città" di Lata ed al piccolo molo dove, accanto ad un relitto, è ormeggiato il traghetto che fa servizio fra le isole; noi tiriamo dritto all'ancoraggio sulla sponda est della baia, in località Shaw Point.
A dispetto del suo nome Graziosa Bay, larga 1,6 miglia e lunga circa 6, ha ben poco di grazioso almeno per quanto riguarda gli ancoraggi: acque profonde ovunque, dai 175 metri nella parte centrale si arriva ai 25 metri in prossimità del reef costiero.
Il piccolo ridosso offerto da Shaw Point, di cui abbiamo trovato segnalazione sulla pagina web "Good Anchorage" (www.goodanchorage.com) è una minuscola baietta a circa 1 miglio e mezzo dall'estremità sud di Graziosa Bay, e c'è posto alla ruota per una barca al massimo.
Alle 16.45 caliamo l'ancora al centro della baietta, su un fondo di bassi coralli sui 13-14 metri; con 50 metri di calumo, l'ancora tiene alla marcia indietro a 2000 giri/min. Con l'ultima luce del tramonto, dopo che un locale in canoa mi ha assicurato che non ci sono coccodrilli, faccio a tempo a scendere in acqua per controllare l'ancora, che trovo con la marra incastrata nel corallo (10°44.193'S 165°49.795'E).
Il giorno seguente, giovedì 26 maggio di buon mattino, Lilli ed io col dinghy attraversiamo la grande baia per recarci a Lata ed espletare le pratiche di ingresso alle Solomon.
Allo sgangherato moletto, come detto parzialmente occupato da un relitto, il traghetto visto il giorno prima sta ancora scaricando merci. Sulla riva notiamo un giovane che ci fa segno di atterrare a nord del molo, dove ci viene incontro sulla spiaggia e ci aiuta a tirare in secco il dinghy.
Si presenta con il nome di Paul e ci annuncia che la sua attività ("my business") è aiutare gli Yachtmen che devono fare le pratiche di ingresso o uscita.
"Seguitemi, dice, andiamo alla custom, poi alla quarantena, da questa parte!". Superiamo un breve momento di incertezza ed accettiamo che ci faccia da guida. Percorriamo un centinaio di metri nella zona portuale della "town" (quattro case fatiscenti), poi Paul infila un sentiero in salita, nel bosco. Forse intuendo le nostre perplessità, ci tranquillizza dicendoci che è una scorciatoia per arrivare nella parte alta della città.
Lata è il capoluogo di Santa Cruz, anche se i paesi da Far West dei film western in confronto sono metropoli: c'è un aeroporto con due voli settimanali per Honiara, un vero penitenziario (!) recintato con filo spinato, una stazione di polizia con una numerosa guarnigione (abbiamo visto una ventina di agenti all'alzabandiera), un piccolo mercato ortofrutticolo.
Molte fra le persone che incontriamo ci salutano con il "Good Morning"; quasi tutti, anche molte donne, sorridendo mostrano denti e gengive di un rosso vivo, non belli da vedere ai nostri occhi. Sembrano tutti feriti alla bocca, ma non è sangue: è l'effetto della continua masticazione di "bethel nut", una sorta di noce fresca che viene venduta per strada, ovunque, su consunte cassette di legno. A giudicare dalla quantità dei venditori e delle "bocche rosse" incontrate, è qui decisamente un prodotto di largo consumo.
Paul ci conduce all'abitazione della "Lady Custom" (così l'abbiamo battezzata noi), che si affaccia al balcone in abiti civili: è una ragazzotta piuttosto tracagnotta, e senza tanti preamboli ci dice che deve fare una "quick ispection" (veloce ispezione) a bordo, quindi o portiamo la barca davanti al porto oppure portiamo lei con il dinghy alla barca. In un primo momento optiamo per questa seconda ipotesi. "Ok, dice, aspettatemi al mercato che arrivo".
Da Paul nel frattempo cerchiamo di acquisire altre informazioni: la banca con sportello Atm (in fondo al paese, uscendo dal porto a destra verso l'aeroporto), la sim locale per i collegamenti Internet (gli uffici di Telekom sono a due passi vicino alla stazione di polizia). Gli diciamo che vorremmo comprare del pane ma siamo senza valuta locale, così si fa prestare 15 $ Solomon (circa 2 ?) da una sua paesana che ha un banco al mercato ortofrutticolo, compra per noi una pagnotta e ce la porge dicendo: "Meglio comprarla ora, perché ce ne sono solo quattro, quando avrete cambiato restituite i soldi alla mia amica".
Il tempo passa, ma Lady Custom non si fa vedere: torniamo alla sua abitazione, lei non è ancora pronta; il marito, un giovanotto robusto, è in cortile a spaccare legna, e comprendiamo dal suo atteggiamento un certo disagio per la nostra prolungata attesa.
Finalmente la "Lady" arriva, in divisa, si annoda i capelli dietro la testa e si presenta; chiedo quante persone devono venire a bordo, lei ci pensa un momento poi dice "Almeno tre". "Allora è meglio che veniamo noi di qua con la barca - dico - anche se l'ancoraggio è difficile è sempre meglio che attraversare la baia in 5 con il gommone". "Ok - dice lei - ci vediamo al porto".
Torniamo alla barca, interrompiamo il bagnetto che stava facendo Luciano e su Refola, col gommone al traino, riattraversiamo la baia. Gettiamo l'ancora circa 100 metri a nord del moletto, su un fondale di 5-6 metri misto di macchie di sabbia e grosse teste di corallo; lasciando qualcuno a bordo, può essere un ancoraggio temporaneo. Il cielo è coperto e sale un vento rafficoso sui 15-20 nodi, che rende l'ancoraggio ancora più precario.
Di nuovo con Lilli andiamo a terra con il dinghy a prelevare il nostro comitato per le pratiche: Lady Custom, il responsabile della quarantena e lo stesso Paul in veste di accompagnatore.
Saliti a bordo, la Lady ci consegna due moduli da compilare, e subito dopo: "Voglio bere" dice senza mezzi termini. "Cosa desidera, acqua, coca cola, tonic water, vino, birra?" Coca cola per la Lady e Paul, vino per il collega della quarantena.
Sui moduli, come sempre, va indicata anche quantità di vino, birra, alcool e sigarette a bordo; non avevamo trovato su internet alcuna limitazione sulle quantità consentite, tuttavia dichiariamo molto meno di quanto abbiamo a bordo realmente.
Firmate le carte, quando sembrava tutto finito, la Lady dice soave: "Ora facciamo la quick ispection". Una volta sottocoperta, guarda con estremo interesse, conta e riconta, le bottiglie di alcolici. Poi ci chiede se abbiamo una lista di "effetti personali". Restiamo perplessi, nessuno ci ha mai chiesto niente di simile, Lilli chiede se ha un modulo da compilare. "No - ci dice - ma per esempio, quanti cellulari avete?" Siamo sempre più sorpresi e sospettosi. A questo punto, con fare risoluto, la Lady comincia ad aprire gli armadietti, a guardare il contenuto di alcune scatole, sembra mossa più da morbosa curiosità che da dovere professionale.
Quando vede le sigarette, 4 stecche più 2 pacchetti dice: "Hai scritto 40 pacchetti, invece sono 42!". Fa finta di pensare a lungo sul da farsi, poi seraficamente se ne intasca uno, dicendo a Lilli: "Detto tra me e te, voglio un cellulare ed una bottiglia di alcool ".
Lilli torna dalla cabina di poppa e sconcertata mi informa delle richieste, vedo cosa posso fare mentre si ritorna tutti in pozzetto.
Vado a cercare la bottiglia di whisky più a buon mercato, acquistata per gli scambi, e gliela consegno, lei la guarda con sospetto, la rigira, il collega della quarantena la rassicura, "è buono, fa 36° di alcool". "Ma ho visto una bottiglia di gin!" A questo punto assumo anch'io un atteggiamento fermo: "No, quello è per noi, preferisci una bottiglia di vino?". "Quella dalla a me" dice prontamente il collega della quarantena. Così, esauditi quasi tutti i loro desideri, terminano le formalità. Mai vista tanta sfacciataggine! Per non dar loro il tempo di avere altri ripensamenti, con fermezza dichiaro: "Se siete pronti vi riaccompagno a terra". Finalmente la comitiva si alza e risale sul gommone.
Alla Telekom acquistiamo la sim per 20 $ e 200 $ di credito (100 $ 1 Giga-settimana, complessivamente circa 25 ?); alla "banca" (che in realtà è un negozio con il pos) preleviamo 400 $, tutto il contante che avevano a disposizione; saldiamo il nostro debito al mercato; Paul ci chiede 100 $ per i suoi servigi, ma ci accordiamo per 50, verrà a farci visita in canoa per proporci alcuni souvenir.
Quando ritorniamo con Refola al nostro tranquillo ancoraggio, i locali vedono la bandiera di cortesia sulla crocetta di dritta, e ci chiedono: "Avete fatto le pratiche? Allora avete conosciuto 'Lady alcool' !"
A Graziosa Bay, in attesa che arrivi un po' di vento, rimaniamo 3 giorni, durante i quali è un continuo avvicinarsi di canoe con gente che ci propone scambi di frutta con articoli vari, i più richiesti sono vestiti e maschere subacquee.
Come promesso Paul arriva con la sua povera mercanzia: in cambio di un paio di bermuda, due T-shirt, un rocchetto di nailon, una bustina di ami da pesca, un costume da donna, un braccialettino di gomma e una bottiglia di vino, abbiamo preso due sculture in legno, due stuoie disegnate su stoffa ottenuta battendo foglie di palma e il "mattarello" di legno usato allo scopo, due ventagli fatti di foglie di palma intrecciata, due conchiglie. Sembrava molto soddisfatto!
Un altro dei nostri visitatori si chiama Titus, che si presenta come il "ranger" della zona, mostrandoci tanto di certificato; ci racconta di uno dei suoi progetti, condiviso da una associazione neozelandese, riguardante la costruzione di uno Yacht Club, proprio in prossimità del nostro ancoraggio, con la posa di boe per le barche di passaggio. "Mancano i finanziamenti, ma ho già l'autorizzazione del governo!".
A parte le formalità di ingresso che ci hanno lasciato un po' stupefatti, a parte le comunicazioni praticamente impossibili (il credito Telekom si è volatilizzato in pochi minuti dandoci la possibilità di vedere la posta solo una volta), la sosta è stata piacevole, la baia si è rivelata tranquilla e penso che anche in caso di vento dominante sostenuto, una volta assicurata la presa sul fondo, dia un buon riparo.
La prossima destinazione è Santa Ana, piccola isola ad est della più grande di San Cristobal.

sabato 28 maggio 2016

SOLOMON, ARCIPELAGO S.CRUZ: VANIKOLO e UTUPUA

11°15.365'S 166°31.171'E
Alle 19.40 di domenica 22 maggio lasciamo il rollante ancoraggio di Hiu per un'altra tappa notturna di circa 100 miglia, fino all'isola Vanikolo, la più a sud delle S. Cruz Islands.
A malincuore diciamo addio (o arrivederci?) alle Vanuatu, ma d'altra parte siamo anche curiosi di vedere il nuovo grande arcipelago che ci aspetta, quello delle Solomon Islands, sul quale non abbiamo moltissime informazioni, perché poco frequentato dai velisti.
La luna piena facilita le manovre e rischiara la nostra navigazione; la rotta sui 20° ci consente di andare a vela con il vento al traverso fino a destinazione.
Vanikolo è circondata da una barriera corallina navigabile, come alcune isole della Società in Polinesia; l'ancoraggio prescelto, Manieve Bay, ci è suggerito dal blog di Bosum Bird, una barca passata di qui due anni fa: viene riportato un fondale di 22 metri, che ritengo un po' elevato per noi, ma temo che questa sarà una situazione ricorrente alle Salomon.
La cartografia elettronica (C-Map e Navionics) ci mostra due possibili accessi. Il percorso più breve, visto sul plotter, desta qualche preoccupazione: una pass stretta e poco profonda, esposta ad est, e quindi all'onda dominante; in alternativa, un ampio giro da nord, di 17 miglia più lungo.
Poiché è mattina presto e abbiamo il tempo per valutare la situazione in loco, opto per esplorare il percorso più breve. Verso le 9.30 siamo alla pass: la bassa marea ed il sole alto ci fanno vedere con chiarezza le acque sicure, non c'è onda e la corrente è minima. Il passaggio risulta quindi facile, e in breve tempo arriviamo all'ancoraggio, che si trova quasi al centro dell'isola, navigando un po' a zig zag tra i bassi fondali, in acque totalmente piatte.
Alle 10.20 caliamo l'ancora poco più avanti del wp segnalato da Bosum Bird, su un fondo di fango duro di 13-14 metri; la tenuta è eccezionale, e non ci ci sembra vero di essere in acque così calme, come raramente si trovano (11°40.268'S 166°55.866'E).
Poco dopo l'ancoraggio arriva una barca a motore con a bordo un giovane di nome Benjamin, che ci porge il benvenuto alle Solomon. Si definisce melanesiano, ci dice che la gente del posto è amichevole e possiamo restare quanto vogliamo, ci informa che verranno a farci visita gli abitanti dei villaggi sulla baia, per proporci i prodotti dei loro garden.
Chiediamo spiegazioni sui tronchi accatastati su una spiaggia vicina, che avevamo visto arrivando: ci spiega che c'è un commercio di legname pregiato, il kauri. Una società malesiana, per la quale lavora lui stesso, ha il contratto per tagliare gli alberi che vengono caricati su navi, la prossima dovrebbe arrivare a giorni. È un buon business per l'isola, dice, ma non per l'ambiente, visto che ii kauri sono alberi preziosi e secolari, che ci impiegano moltissimo tempo a ricrescere.
Chiediamo se ci sono coccodrilli, Benjamin ci dice di sì, ma sono "friendly", amichevoli e non aggressivi, temono l'uomo e si rifugiano tra le mangrovie quando ne avvertono la presenza. Nella successiva isola, Utupua, sono invece più pericolosi: ci racconta che nel 2009 un velista che si è tuffato per andare a vedere l'ancora, è stato aggredito da 3 grossi coccodrilli ed è morto sbranato.
Dentro di me penso: speriamo che non ci capiti un incaglio dell'ancora!
Si avvicina una lunga canoa in legno, con locali che ci propongono verdure, piccoli pomodori verdi, banane, in cambio di una maglietta, qualche batteria; ci chiedono alcune cose, chiedendocene il costo: evidentemente è uso che i velisti vendano prodotti a questa gente, speriamo a prezzi ragionevoli! A bordo sono in quattro: Alfred il papà, Lilian la mamma, sui 35 anni, Alien la bambina di 3 anni , ed Agnes la cognata di circa 40 anni, ci chiedono se possiamo controllare la carica delle batterie che usano per l'illuminazione perché si scaricano in fretta, così concordiamo che ritornino nel pomeriggio.
Le batterie che portano sono del tipo ermetico che da noi si usano per gli impianti di antifurto, la loro capacità è limitata, e non possiamo caricarle con il nostro impianto, ma la simpatica famigliola rimane volentieri seduta nel pozzetto all'ombra a chiacchierare, fino a quando con buone maniere dico loro che dobbiamo prepararci per la partenza dell'indomani.
"Un ultimo desiderio - dice Alfred - se mi dai dell'alcool da portare a casa, questa sera vado a cacciare le aragoste e te le porto". "Ok - gli dico - non ho alcool, ma ti do una bottiglia di vino australiano". "D'accordo, tra le 21 e le 22 arrivo".... forse bevendo qualche bicchiere, si è dimenticato di quale giorno, forse avrei dovuto dargli il vino dopo la consegna!
Il giorno successivo, martedì 24 maggio, lasciamo il tranquillo ancoraggio di Manieve Bay alle 7.20, e uscendo attraverso il passaggio a nord facciamo rotta su Utupua, a 40 miglia: vento sui 12-14 nodi in poppa, ci mettiamo a farfalla con il genoa tangonato e la ritenuta sulla randa e mezzana, alle 14.30 arriviamo al Rindove Passage.
Anche Utupua ha una barriera corallina che la circonda completamente e come a Vanikolo l'ancoraggio si trova praticamente al centro dell'isola, che si raggiunge percorrendo circa 4 miglia lungo un ampio canale in cui occorre prestare attenzione ai bassi fondali che si estendono anche molto lontano dalla costa.
Alle 15.10 ancoriamo a Sabben Bay, su un fondale fangoso di 7-8 metri, un altro ancoraggio solitario in acque calme.
Qualche canoa si avvicina, ma solo per salutare ed osservare Refola da vicino; notiamo che alcune sono attrezzate per andare a vela, con una rudimentale randa fissata ad un bastone che funge da albero. Osserviamo i locali armare queste piccole tele con molta dimestichezza e filare veloci, risparmiando le fatiche della pagaia; raramente abbiamo incontrato canoe invelate, e ne rimaniamo affascinati: hanno forse conservato memoria delle imprese degli antichi navigatori melanesiani?
La nostra sosta a Utupua è breve, è in arrivo una perturbazione che porterà venti contrari, perciò lasceremo l'ancoraggio domani mattina 25 maggio molto presto, per poter raggiungere la nostra prossima meta, Ndendo a 70 miglia, prima del buio.
Siamo sempre senza connessione, quindi trasmettiamo via radio, senza foto!

giovedì 26 maggio 2016

ADDIO ALLE VANUATU: Vanua Lava e Torres

13°06.647'S 166°33.297'E
Mercoledì 18 maggio alle 19.10, dopo aver cenato, salpiamo da Lelevela diretti all'isola di Vanua Lava, e precisamente a Sola, capoluogo della provincia di TORBA, acronimo di Torres-Banks, i due arcipelaghi più settentrionali delle Vanuatu.
Il vento è debole, dal lasco a poppa, tuttavia riusciamo a fare lunghi tratti a vela e la notte passa tranquilla.
Dopo l'alba, quando mancano circa 4 miglia all'arrivo, caliamo la traina per testare la lenza girata sul mulinello. Passano solo pochi minuti prima che il cicalino dia l'allarme: Francesco corre a chiudere la frizione mentre io avvolgo il genoa, per rallentare la barca. Vista l'esperienza delle ultime due prede perse, non vogliamo rischiare, così recuperiamo la lenza metro su metro, pazientemente, senza forzare. E siamo premiati: riusciamo a tirare sotto bordo un enorme pesce vela! Proprio quando stiamo per agganciarlo con il raffio, si rifugia sotto la barca: sono gli ultimi concitati momenti, poi finalmente riusciamo a bloccarlo con due raffi e a fargli trangugiare una boccetta di aceto, per tramortirlo. A questo segue la bella impresa di tirarlo su in coperta, una faticaccia che solo l'entusiasmo ci fa superare. La nostra preda pesa almeno 50 kg, la lunghezza l'abbiamo misurata, 2 metri e 30: è il pesce più grosso mai pescato su Refola fino ad ora!
Ora il problema è: che farne? Il nostro freezer trabocca di cibo e pesce pescato! la decisione è presto presa, lo regaliamo a Robert, il simpatico gestore dello "Yacht Club" di Sola, che avevamo conosciuto l'anno scorso.
Poco dopo le 8.30 di giovedì 19 maggio ancoriamo nella baia di Sola, su fondale sabbioso di 5-6 metri (13°52.406'S 167°33.222'E). Ancoraggio è un po' rollante, che tentiamo di mitigare con una seconda ancora (Fortless inalluminio da 10 kg) a poppa.
Messa in ordine la barca, scattiamo le foto di rito con la nostra prestigiosa cattura e ci rechiamo a terra per parlare con Robert. Non lo troviamo allo "Yacht Club", ma un suo collaboratore ci accompagna a cercarlo nei "garden" a est della baia; con il passaparola e dopo una bella camminata lo incontriamo, si ricorda di noi. "Hallo Robert, how are you? Ho un grosso pesce per te, ma mi devi aiutare a trasportarlo al tuo Yacht Club, magari ne cucini un pezzetto per noi" "Volentieri, sarà un piacere" dice lui.
Così torniamo alla barca, carichiamo il pesce sul dinghy, che lo occupa per tutta la lunghezza e torniamo alla spiaggia, in un punto di atterraggio più facile, circa 150 mt ad est dell'insegna in legno dello "Yacht Club".
In quattro lo trasportiamo attirando l'attenzione di alcuni locali; in breve tempo intorno a noi si forma un capannello di curiosi, sono tutti colpiti dalla bella preda, scattano foto con i cellulari, ci chiedono dove lo abbiamo preso... alla soddisfazione della pesca si aggiunge anche la gioia di fare un regalo tanto apprezzato.
Concordiamo con Robert di tornare alle 18.30 per la cena.
Ci rechiamo per le pratiche di uscita all'ufficio della dogana, dove il sig. Tamata ci aspetta, dopo le telefonate fatte a lui e all'ufficio Custom di Luganville per assicurarci della sua presenza. Tutto avviene velocemente, senza alcun sopralluogo in barca; compiliamo la lista di equipaggio ed il documento di uscita (la "clearance") è pronto; poi un salto alla polizia locale che assolve anche i compiti di ufficio immigrazione, altro modulo e timbro sul passaporto.
All'ora convenuta, siamo allo "Yacht Club". Robert, il nostro ospite, è un giovane sui 40-45 anni, ben in carne e dai modi gentili. Ci invita a sedere qualche minuto nel chioschetto di foglie di palma intrecciate, dopodiché . "Ladies and gentlemen, dinner is ready!" Ci tiene a fare bella figura, ha preparato con cura (tovaglia bianca e pulita!) l'unica tavola nel capanno vicino alla cucina.
Il profumo del pesce alla brace sovrasta su tutto, ma sul tavolo ci sono molte altre portate, frutto dell'albero del pane, banane arrostite, polpette di lap-lap (sorta di tubero), kasava (simile alle nostre patate), oltre ad una squisita salsa a base di curry locale.
Ci siamo portati dalla barca birre e vino (lui non ha la licenza per gli alcolici) ed abbiamo mangiato fino ad essere sazi, senza tuttavia riuscire a finire tutto.
Alla fine Robert si è unito a noi per bere un bicchiere e fare un po' di conversazione. Ci ringrazia ancora per il pesce che gli abbiamo regalato, che ha diviso con altri amici e per questo ci porta anche i ringraziamenti delle altre famiglie.
Ci salutiamo con l'impegno di fargli visitare l'indomani la barca, prima della nostra partenza.
Il giorno seguente tutto il villaggio è radunato intorno al campo da calcio, si gioca una sorta di campionato tra alcuni villaggi dell'isola, ci sono 4 squadre di giovani sui 18-20 anni, ma giocano un bel calcio al livello delle nostre categorie dilettanti-semiprofessionisti. Andiamo a prendere Robert nel primo pomeriggio, è emozionato e felice perché - ci confessa - è la prima volta che sale su uno yacht!
Alle 19.10 di venerdì 20 maggio salpiamo da Sola per una notturna di circa 80 miglia fino a Tegua, la terza delle isole Torres.
Il vento è sempre debole, ma con l'apparente al traverso-lasco, riusciamo ancora ad avanzare a vela, solo quando la rotta ci obbliga ad avere vento apparente sui 5 nodi e onda in poppa, dobbiamo dare motore per evitare troppe sollecitazioni all'albero.
L'arcipelago delle Torres è formato da 4 isole: da sud a nord Toga, Loh, Tegua e Hiu. Le prime due sono poco frequentate dagli yacht, perché non offrono riparo adeguato dall'onda.
Alle 8.30 di sabato 21 maggio arriviamo a Hayter Bay sull'isola di Tegua. Seguiamo la traccia di Zoomax importata su Sasplanet: la baia sembra ben riparata dall'onda prevalente, ma i fondali più o meno omogenei, con qualche grossa patata, sono solo sui 25 metri (13°14.684'S 166°35.570'E), mentre più vicino a terra, dove la profondità scende a 10-15 metri, vediamo pochi tratti sabbiosi e grandi avvallamenti rocciosi. L'acqua è meravigliosamente chiara e trasparente, ma decidiamo di proseguire qualche miglio fino ad Entreux Bay, sul lato NW di Tegua.
Anche in questa baia la protezione dal rollio è buona, ma i fondali con profondità variabili tra i 12 e 18 metri sono principalmente corallini e rocciosi. Visto che è ancora presto, proseguiamo fino alla successiva isola, Hiu, la più a nord delle Torres, a sole 7 miglia.
Nel tragitto incontriamo 3 piccole barche a motore dirette a sud, ma a terra non vediamo traccia di villaggi. Siamo convinti di trovare qualcuno sull'ultima isola, così decido di mettere la traina per pescare un pesce da regalare all'arrivo.
Detto fatto! ormai è come essere in pescheria: questa volta non tarda ad abboccare un bel tonno pinna gialla sui 15 kg, molto combattivo, che viene sedato con la sua buona dose di aceto.
Purtroppo, quando alle 10.30 arriviamo a Metenia Bay, ci rendiamo conto che anche qui è un deserto, probabilmente i villaggi sono all'interno o sul versante est!
Il posto è molto bello, un fondale uniforme di sabbia sui 13-14 metri ed un'acqua talmente limpida che sembra di toccare il fondo con le mani. L'ancoraggio però si è rivelato fastidiosamente rollante, specialmente quando la prua è orientata perpendicolarmente a terra (13°06.647'S 166°33.297'E).
Francesco si dedica alla pulizia del tonno, ricavando altri 8 kg di filetto che imbustiamo sotto vuoto e a fatica facciamo entrare nel freezer; ormai abbiamo scorta di pesce fino all'Indonesia!
Andiamo a terra con il dinghy infilandoci negli stretti passaggi tra i coralli, ma tenendo d'occhio la bassa marea per non rimanere intrappolati; solo alcuni cocchi tagliati, sulla spiaggia, stanno ad indicare che qualcuno deve essere già passato di qui.
Domenica 22 maggio, alle 19.40 lasciamo definitivamente Torres e con esse il mondo delle Vanuatu. Nostra prossima destinazione, le isole Solomon.
Le foto le invieremo con la prossima connessione internet.

martedì 17 maggio 2016

AMBRYM, PENTECOSTE, MAEWO

14°58.691'S 168°03.437'E
Salpiamo da Port Vila giovedì 12 maggio alle 15.30, dopo aver fatto il pieno  di carburante al pontile del marina, approfittando del prezzo duty free per le barche in uscita; è la prima ed unica occasione alle Vanuatu per rifornirsi con la pompa in barca, altrimenti si lavora di taniche.
In dogana ci hanno rilasciato il permesso di navigazione fino a Sola, nell'isola Vanua Lava (Banks), dove formalizzeremo l'uscita dalle Vanuatu.
Appena fuori da Mele Bay, quando mettiamo la prua verso nord, abbiamo un bel vento al traverso: spegniamo il motore e proseguiamo a vela per un centinaio di miglia fino alla punta ovest di Ambrym. La notte passa tranquilla; solo nelle ultime 13 miglia diamo nuovamente motore, fino all'ancoraggio sul lato NW dell'isola, di fronte al villaggio Renon.
Alle 10.30 di venerdì 13 maggio, dopo aver percorso 117 miglia, ancoriamo su fondale di 5-6 metri, di sabbia nera (16°08.576'S 168°06.944'E).
Nel pomeriggio scendiamo a terra col dinghy. Notiamo che la spiaggia si anima di gente: no, non sono venuti ad accogliere noi, semplicemente aspettano il ferry-boat che sta arrivando e che si vede ancora piccolo all'orizzonte.
Chiediamo di Geoffrey, che abbiamo conosciuto lo scorso anno: ci dicono che è a Port Vila con la famiglia, perché la moglie deve partorire il loro terzo piccolino. Ci dispiace non poterlo reincontrare, questa sosta era stata programmata proprio per salutarlo e lasciargli qualche piccolo dono che non avevamo con noi l'anno scorso (30 metri di cima, un paio di occhialini da sole per la sua bambina).
Ci fermiamo sulla spiaggia, mescolati fra la gente del posto, ad osservare l'attracco della nave, lunga circa 50 metri, che approda direttamente sul bagnasciuga appoggiandovi il grande portellone da sbarco.
Scendono alcuni passeggeri e poi è la volta delle merci: pacchi, sacchi di riso, bidoni di carburante, materiale da costruzione (ferro, cemento, tavole di legno). Tutto viene portato sulla spiaggia, passando di mano in mano da una piccola catena formata da una decina di ragazzotti, alcuni che fanno servizio sulla nave, alcuni locali e alcuni passeggeri. Finite le operazioni di scarico, si occupano delle ben più magre spedizioni: qualche pacco, qualche oggetto avvolto in foglie di palma intrecciate.
Un signore che sembra coordinare tutte le operazioni di carico – scarico ha in mano un pacco di foglietti (ricevute di spedizione? bolle di trasporto?) e controlla con i destinatari il corretto arrivo della merce, incassa il denaro, che infila nella capiente tasca dei pantaloni ... i conti li farà forse a bordo, dopo la partenza.

Dopo circa un'ora, il ferry boat lascia la spiaggia e noi facciamo ritorno in barca.
Ripartiamo il mattino seguente, sabato 14 maggio: la nostra destinazione è la baia di  Loltong nell'isola di Pentecoste, a 38 miglia. La navigazione è piacevole, vento sui 12-14 nodi al traverso, niente onda; durante il percorso una presa alla traina riaccende in noi l'istinto di predatori, ma dopo i primi metri di recupero la lenza da 80 libbre (36 kg!) si strappa … siamo amareggiati, delusi e frustrati, anche perché non c'è cosa più bella che donare alla gente del villaggio un gran bel pesce appena pescato.
Alle 14.30 entriamo nella tranquilla baia di Loltong: c'è un allineamento per 90° su due triangoli bianchi, non grandi ma ben visibili, posti al centro della spiaggia, che indica il passaggio sicuro tra due reef e fino alla zona di ancoraggio, su sabbia con fondale di 4-5 metri, dove caliamo l'ancora facendo attenzione a lasciare libera la visuale dell'allineamento per eventuali altre imbarcazioni in arrivo.
Quando scendiamo a terra troviamo ad accoglierci Matthew, che gestisce il locale “Vatulo Yacht Club”.
Ci accompagna per un giro nel villaggio, presentandoci alle persone che incontriamo: tra queste Vittoria, proprietaria di una caratteristica “Guest House” (piccole capanne, molto curate, incassate tra massi sormontati da alberi e palme) ci propone alcuni pompelmi in cambio di qualche oggetto. Prendiamo accordi per tornare la mattina seguente.
Di buonora torniamo al villaggio; è domenica, molta gente è in chiesa, soprattutto le donne. Preleviamo i pompelmi da Victoria, lasciandole in cambio una torcia da testa, uno zaino ed elastici per capelli. Salutiamo Matthew, al quale doniamo una maglietta “da velista” e le bandiere consumate di Refola, da appendere nello Yacht Club.
La mattina stessa riprendiamo la navigazione verso nord, per una breve tappa di 12 miglia fino ad Ansawari Bay, nell'attigua isola di Maewo.
A circa metà percorso, un'altra funesta presa alla traina ci rovina la giornata: nonostante avessimo prontamente avvolto il genoa, per ridurre la velocità della barca, dopo i primi metri di recupero il filo si spezza nuovamente... Grande dilemma: pesce troppo grosso o filo marcio? Inizialmente preferiamo pensare che sia vera la prima delle ipotesi, e amareggiati riponiamo la canna.
Entriamo nella baia di Asanvari alle 13.00; nel primo tentativo di ancoraggio l'ancora finisce in mezzo ai coralli, ma il secondo tentativo va a buon fine, su 11-12 metri di sabbia (15°22.583'S 168°07.966'E).
Lo scenario che ci circonda è incantevole: la bianchissima spiaggia del villaggio, la cascata in fondo alla baia, la fitta vegetazione, il tutto reso splendente da una bella giornata di sole. Anche Francesco e Luciano rimangono colpiti dalla bellezza del posto e quando un giovane di nome Carl, gestore del ristorantino della cascata, ci propone per l'indomani un piatto di gamberi di acqua dolce con verdure decidiamo di passare qui anche una seconda notte.
Il giorno dopo, lunedì 16 maggio, ci godiamo una mattinata di sole circondati dalle acque calme e trasparenti della baia.  Ma il dubbio sugli incidenti di pesca, troppo frequenti, continua a ronzare e così decidiamo di girare la lenza sul mulinello: la parte terminale andrà all'inizio della bobina e alla parte opposta, che non ha mai toccato l'acqua, attacchiamo l'esca.
A ora di pranzo siamo nel ristorantino di Carl, a due passi dalla cascata. Ha preparato con cura il nostro tavolo (siamo gli unici clienti) ed i gamberi con le verdure sono eccellenti. Paghiamo in tutto 6.000 vatu, più o meno 48 euro, che non comprendono però le birre che ci siamo dovuti portare dalla barca.



Nel pomeriggio, visita al villaggio: ci viene incontro Erica, la signora che lo scorso anno ci aveva accompagnato alla sorgente della cascata. Si ricorda di noi, ci porge il benvenuto appostando a ciascuno un bel fiore rosso sull'orecchio.
Con un po' di rammarico ci chiede se siamo stati a pranzo da Carl (villaggio piccolo, le notizie volano!). Per consolarla le regaliamo una lampada solare che si illumina con colori diversi e un paio di occhialini da sole per la sua bambina, Serena. Sembra contenta e in cambio ci offre un sacchetto di verdure del suo orto.
Martedi 17 maggio salpiamo da Asanvari alle 7.10: vogliamo fare una sosta all'isola di Ambae a 12 miglia, dove potremo trovare una banca ed un supermercato per fare provviste di pane, e poi proseguire in giornata fino a Lelevela, sulla parte terminale di Maewo.
Un bel vento sui 15-18 nodi agevola il nostro piano di navigazione ed alle 9.00 ancoriamo a Vanihe Bay (la per noi famosa baia dei pipistrelli, descritta nel blog 2015), su 7-8 metri di sabbia nera (15°16.583'S 167°58.463'E).
Lilli rimane in barca, mentre Francesco, Luciano ed io con il dinghy ci rechiamo nella attigua Lolowai Bay, a circa 0,6 miglia.
Vicino all'atterraggio purtroppo non c’è uno sportello ATM e la banca, ci dicono, è a 2 km nel vicino paese di Saratamatra; noi abbiamo bisogno di moneta locale e ci incamminiamo sotto il sole nella strada polverosa, sperando di trovare un passaggio, purtroppo senza successo.
Facciamo il cambio alla banca, con la solita lentezza già riscontrata lo scorso anno negli sportelli bancari decentrati, acquistiamo il pane e torniamo al dinghy, questa volta trovando un passaggio su un pick-up.
Alle 11.15 ripartiamo da Vanihe Bay, con un bel vento al traverso sui 16-18 nodi e in 2 ore e mezzo percorriamo le 21 miglia fino a Lelevela, a circa 5 miglia dall’estremità nord di Mewo.
A Lelevela siamo ritornati per salutare David, che lo scorso anno ci aveva letteralmente riempiti di frutta e verdura del suo fornitissimo garden; senza darci il tempo di scendere a terra, ci viene a trovare con la sua canoa a bilanciere.
Lo accogliamo a bordo, anche lui si ricorda di noi; per non smentirsi, subito impartisce ordini al ragazzino che lo accompagnava a cavalcioni di una scassata tavola da surf, di andare a prendere per noi frutta e verdura.
Mentre chiacchieriamo e guardiamo le foto dello scorso anno, gli offriamo i nostri doni: 30 metri di cima da 10 mm, una torcia da testa, una serie di ami da pesca, un paio di occhiali da sole, un piccolo mappamondo; nel frattempo arrivano con i suoi figli papaie giganti, pompelmi, noci di cocco.
Prima del tramonto andiamo a terra dove vivono quattro famiglie oltre alla sua, molti sono i ragazzini, più numerosi degli adulti. Il nostro arrivo è salutato con grande entusiasmo,  dal momento che Lelevela non è una località conosciuta e poche barche fanno sosta  qui.
Stamattina, 18 maggio, David ritorna su Refola con una borsa di limoni e mandorle locali; nel primo pomeriggio andiamo a visitare il suo garden, come sempre molto curato, e verso sera ci salutiamo, noi siamo in partenza per la notturna che ci condurrà a Sola. 

mercoledì 11 maggio 2016

TANNA, ERROMANGO, EFATE

17°44.623'S 168°18.775'E
Il mattino del 4 maggio lasciamo le tranquille acque di Aneytium. Il vento è calato rispetto ai giorni scorsi e siamo rassegnati a sorbirci 50 miglia a motore; con grande gioia neanche un'ora dopo, appena doppiata la punta ovest dell'isola, troviamo una leggera brezza sui 10-14 nodi, che ci consente di arrivare a vela fino a Tanna.
Alle 16.00 entriamo nella baia di Port Resolution (che non è un porto ma solo una baia) ed ancoriamo seguendo la traccia dello scorso anno, su un fondale di sabbia di circa 5 metri (19°31.545'S 169°29.717'E).
Poco dopo si avvicinano un paio di barchini locali, le loro tipiche canoe scavate su un tronco di albero, con un bilanciere: soliti timidi convenevoli di benvenuto, siamo la prima barca che arriva alla baia in questa stagione.
Lo scorso anno Lilli ed io abbiamo passato circa tre mesi alle Vanuatu e ci sono piaciute molto:  gente sorridente e disponibile, povera ma fiera, acque limpide e calde; quest'anno abbiamo deciso di ritornarci, anche se per un veloce passaggio, per andare a trovare le persone che più di altre in qualche modo ci avevano colpito, alle quali avevamo promesso di tornare.
Qui a Port Resolution avevamo trovato uno "Yacht Club" distrutto dal ciclone Pam del 13 marzo 2015; i locali lo stavano faticosamente ricostruendo, e noi avevamo lasciato le nostre bandiere da appendere in segno di ricordo. Va precisato che loro chiamano "Yacht Club" una o più capanne destinate ad offrire un punto di ristoro e di ritrovo agli equipaggi delle barche in transito: arredamento nullo o estremamente spartano, compensato però da pulizia e dall'attenta cura della vegetazione.
Siamo curiosi di vedere l'avanzamento dei lavori di ricostruzione e così prima del buio andiamo a terra con il dinghy. Ce l'hanno fatta: lo Yacht Club, in posizione strategica che domina la baia, è nuovamente attivo e in questo momento ospita un gruppo di giovani provenienti dalla Nuova Caledonia, accampati in tende ed in piccole capanne di legno e paglia; tutto è curato e pulito, erba rasata, sembra di entrare in un piccolo parco tropicale gestito da giardinieri inglesi.
Rivediamo con piacere le nostre bandiere (quella italiana e il guidone del Paterazzo), appese bene in evidenza all'ingresso.
A seguire lo Yacht Club c'è solo la moglie di Werry, che ha in braccio un bimbo di appena 2 mesi; gli uomini sono da 7 mesi in Australia a lavorare nella raccolta delle mele, torneranno il mese prossimo. Le porgiamo in regalo dei bei piatti di porcellana e posate di acciaio, ci sembra felice, si ricorda di noi e ci abbraccia in segno di ringraziamento.
Ci congediamo subito dopo il tramonto; un addio? un arrivederci?  chissà … mai dire mai.
Il mattino seguente poco dopo l'alba salpiamo diretti ad Erromango, a 55 miglia: questa volta il vento apparente non arriva a 4 nodi, costringendoci a motore fino quasi all'arrivo; solo nell'ultimo tratto, facendo rotta su Dillon's Bay, la bolina larga ci permette di percorrere le ultime 5 miglia a vela.
Alle 16.00 ancoriamo ad est della foce del fiume, su un fondale sabbioso di 8 metri (18°49.257'S 169°00.802'E).
Questo trasferimento ci rimarrà impresso per la pesca ed i suoi "effetti collaterali": verso mezzogiorno abbocca un dorado di circa 3-4 kg, non offre molta resistenza e con facilità lo tiriamo in coperta.
Poco più tardi Francesco lo pulisce e ricaviamo tre tranci per la cena ed un po' di polpa per il pesce crudo alla Polinesiana, con olio, limone e verdure fresche.
Ci riteniamo, per oggi, già soddisfatti. Ma proprio quando inizia il percorso a vela, un'altra preda abbocca al nostro polipetto artificiale: capiamo subito, da come tira, che è qualcosa di grosso ed infatti, quando con fatica riusciamo a trascinarlo sotto bordo, vediamo che si tratta di un bel tonno pinna gialla, tra i 20 e 30 kg.
Lo recuperiamo con il raffio e lo leghiamo al tientibene di poppa, ma il tonno è molto combattivo e continua a dimenarsi: riesce a rompere l'attacco del porta canna, che finisce in acqua insieme a canna e mulinello! Per fortuna l'amo era ancora impigliato nella bocca del pesce e così possiamo ritrascinare sotto bordo e recuperare la canna con il mezzo marinaio.
Con il senno di poi, avremmo dovuto tramortire il tonno, come già avevamo fatto in altre occasioni, facendogli trangugiare una massiccia dose di aceto, ma questa volta non ci ho pensato.
Dopo l'ancoraggio molti ragazzini, a bordo di canoe, sono venuti a salutarci e ad ammirare la nostra preda appesa come un trofeo. Dopo le solite foto di rito, Francesco si dedica alla pulizia e alla sfilettatura: il bilancino dinamometro segna 25 kg!

Il pesce è veramente grosso, per cui ne regaliamo un terzo ad una barca di giovani ragazzotti, un altro terzo all'amico David, conosciuto lo scorso anno, che ha in corso la costruzione di uno Yacht Club ed infine con il rimanente terzo tagliamo tranci di filetti che mettiamo sotto vuoto in freezer. Ne avremo per un bel po'.
L'epilogo della serata arriva nella notte: dopo la cena a base di dorado, mangiato in parte crudo e in parte al forno, all'acqua pazza, tutti e tre  (Lilli, Francesco ed io) soffriamo di disturbi di stomaco, nausea,  vomito e dissenteria. Niente di grave ma sufficiente a debilitarci e disidratarci.
Il giorno seguente siamo invitati da David al suo Yacht Club, che al dire il vero dallo scorso anno non ha fatto molti progressi. "Poco denaro " ci dice. Anche a lui portiamo in omaggio dei piatti di porcellana, posate in acciaio e due vecchie padelle che non utilizziamo più, "ti serviranno quando avrai terminato i lavori" gli dico. Anche lui si mostra molto felice, ci ringrazia e per sdebitarsi ci accompagna in una lunga passeggiata che risale il fiume, fino ad un'ansa che loro consideravano una sorta di piscina di acqua dolce. Un'ora di cammino, nella foresta, non era esattamente ciò che desideravamo dopo una notte piuttosto turbolenta, ma stoicamente abbiamo fatto buon viso; al ritorno la moglie di David ci ha fatto trovare uno spuntino con involtini tipo torta salata e banana fritta ed una fresca bevanda di acqua e limone.
  
A mezzogiorno salutiamo David e la sua famiglia, rientriamo in barca per riposare un po': alle 17.00 abbiamo fissato la partenza per Efate, circa 80 miglia di notturna, per arrivare all'alba a Port Vila.
All'inizio abbiamo cielo coperto, pioggia e visibilità zero, poi lasciata a poppa Erromango, il cielo si rischiara ed  il vento apparente sui 7-8 nodi ci permette di tenere aperte le vele con il motore a 1500 g/min, il mare è piatto, il cielo senza luna ma pieno di stelle, navigazione non entusiasmante ma confortevole.
Alle 7.15 prendiamo una boa libera davanti al molo dello Yachting Word Marina (17°44.623'S 168°18.775'E)
Uno dei problemi che ci aveva assillato negli ultimi giorni era riuscire a ottenere dall'ufficio immigrazione, per Luciano, l'autorizzazione ad entrare alle Vanuatu senza un biglietto aereo di ritorno, visto che avrebbe lasciato il paese a bordo di Refola. Con fatica avevamo inviato la richiesta da Aneytium, ma il tempo era davvero contato e non eravamo certi che Luciano riuscisse a ricevere in tempo il documento... sembrava un'impresa immane, considerando le difficoltà di comunicazione e la lentezza della burocrazia Vanuatu.
Ma il miracolo si è compiuto. La mattina stessa del nostro arrivo a Port Vila, quando Luciano era già in volo per Singapore, andiamo all'ufficio immigrazione: in soli 40 minuti e pagando una tassa di 6000 vatu (circa 50,00 €) riusciamo ad ottenere l'agognato documento! Di corsa rientriamo in barca, lo scansioniamo ed inviamo a Luciano via mail. Ci racconterà poi che sicuramente, senza questo, a Brisbane lo avrebbero costretto a comprare un biglietto per l'uscita!
Durante la sosta a Port Vila provvediamo a rimpinguare la cambusa e a fare scorta di vino, alcolici e sigarette al duty free.
L'11 sera festeggiamo il compleanno di Lilli al simpatico ristorante del marina, con musica dal vivo.
Giovedì 12 si parte per il nord, la prossima meta è Ambrym. 

domenica 8 maggio 2016

Foto traversata ed arrivo ad Aneytium

17°44,623’ S 168°18,775’ E
Arrivati a Port Vila, possiamo finalmente mostrarvi qualche foto.

Questo è Francesco, come vedete stressato dai faticosi turni di guardia
Refola ora porta il suo bel nome anche sul boma di maestra
Dopo un groppo, ritorna sempre il sole
La postazione del comandante
La “sfortunata” pesca
Lilli in prua all’atterraggio ad Aneytium
La navona dei turisti
Mistery Island, la spiaggia
Come sto?
Il piccolo aeroplano per turisti facoltosi

mercoledì 4 maggio 2016

ARRIVATI AD ANEYTIUM

20°14.409' S 169°46.679' E
Per tutta la traversata il vento non ci è mai mancato; negli ultimi due giorni frequenti groppi, con rinforzi a 25-30 nodi, si alternano a periodi più calmi a 12-14 nodi; il mare è sempre abbastanza formato con onde di 3-4 metri al traverso-lasco. La media giornaliera si mantiene alta; il 4° giorno filiamo 175 miglia e per evitare l'atterraggio notturno riduciamo la velatura in modo da rallentare e ritardare di qualche ora l'arrivo; il 5° giorno percorriamo infatti 157 miglia, e all'alba del 6° giorno, cioè il 2 di maggio, entriamo nelle acque piatte della baia Anelghowhat di Aneytium.
Siamo soddisfatti e nemmeno troppo stanchi: 5 giorni e 20 ore per coprire una distanza di 959 miglia, alla media di 6,85 nodi. Sicuramente la traversata più veloce delle quattro fatte da e per la Nuova Zelanda.
L'emozione dell'arrivo, già di per sé entusiasmante, è ulteriormente arricchita dalla pesca. Caliamo la traina a 3 miglia dalla meta, e dopo pochi minuti il sibilo del mulinello richiama la nostra attenzione: 50 metri di lenza volano via prima che io riesca a bloccare la frizione; velocemente avvolgiamo il genoa e riduciamo la randa ad un fazzoletto; ciononostante Refola fila ancora a 4 nodi, a turno Francesco ed io fatichiamo non poco per portare la preda sotto la barca; è un bel tonno pinna gialla circa 15 chili.
Con il raffio Francesco porta il pesce in coperta, mentre io con un cordino faccio un parlato sulla coda per appenderlo fuori bordo; la doppia sfiga vuole che il nodo, malfatto, si sciolga e che mentre il tonno ricasca in acqua la lenza si strappi prima della girella, lasciandoci esterrefatti ed a bocca asciutta!! Siamo profondamente delusi, ma ci consoliamo pensando di aver contribuito a sfamare qualche pesce più grosso, visto che già infilzato dal raffio, quel povero tonno non ne avrebbe avuto per molto.
Contemporaneamente al nostro atterraggio arriva la nave da crociera che fa scalo ad Aneytium per concedere ai turisti una giornata nell'isoletta di Mistery Island, che racchiude la baia a sud-est. Ancoriamo davanti alle mede di allineamento della rotta di ingresso, su un fondale di sabbia di 10 metri (20°14.409'S 169°46.679'E).
Aliamo il dinghy e ci rechiamo a terra per le formalità. Via e-mail avevamo chiesto ed ottenuto dalla custom il permesso di atterrare ad Aneytium, che non è un vero e proprio porto di ingresso delle Vanuatu. Ma gli uffici sono chiusi perché gli agenti sono a bordo della nave da crociera, ed inoltre la banca è chiusa fino al 5 maggio per la festa di Pentecoste. Ciò significa che non abbiamo la possibilità di cambiare: come faremo a pagare dogana, immigrazione e biosecurity? Torniamo in barca senza aver combinato nulla.
Nel pomeriggio la piccola barca a motore delle "autorità" ci accosta e ci consegna alcuni moduli da compilare. Facciamo presente che siamo sprovvisti di valuta locale, ci dicono che la giovane e intraprendente gestora di un negozio, che tutti chiamano la "Lady" e che è a bordo con loro, può darci Vatu (la moneta locale) in cambio dei nostri euro e dollari neozelandesi. Un'altra nave arriverà domattina, loro saranno di nuovo impegnati tutto il giorno: concordiamo quindi di vederci a Mistery Island.
E così la mattina del 3 maggio, mescolati ai turisti della nave appena arrivata, ci rechiamo all'appuntamento col dinghy. Troviamo lo stand della "Lady" che, molto gentilmente, ci aiuta a ripristinare le comunicazioni (la nostra sim-card Digicel dell'anno scorso è ancora attiva, ma la connessione è limitata e lenta), però in compenso ci propone un cambio un po' strozzino, che cortesemente rifiutiamo. Riusciamo poi a convincere gli addetti di dogana, immigrazione e biosecurity che concluderemo le formalità e pagheremo tutto a Port Vila, la capitale. L'ufficiale della Custom ci consegna un permesso di navigazione provvisorio, raccomandandoci di tenere la bandiera gialla fino a che l'ingresso non sarà regolarizzato.
Il fatto di non avere Vatu comporta che non avremo la possibilità di visitare il vulcano di Tanna: ci dispiace soprattutto per Francesco, anche se noi pure l'avremmo rivisto volentieri.
Durante la sosta delle navi l'isoletta di Mistery Island, normalmente disabitata, diventa un parco divertimenti per i numerosissimi turisti che a centinaia la raggiungono a bordo delle lance. In pratica tutta la popolazione di Aneytium vi si trasferisce per un giorno, a lavorare in mille modi diversi: un mercatino con decine di stand di souvenir, articoli da regalo ed artigianato, escursioni con barche locali, noleggio di attrezzature per snorkelling, massaggi, acconciature e addobbi ai capelli, orchestrine e canti ... c'è perfino un piccolo aereo da turismo, che decollando dalla pista in erba sorvola l'isola a beneficio dei clienti più esigenti ed ovviamente più facoltosi.
Apprendiamo che quest'anno le soste delle navi da crociera sono molto frequenti: 11 nel mese di maggio, 7 nel mese di giugno, ma nei mesi da ottobre a gennaio vi è un traffico ancora più intenso. Ogni nave (mai più di una al giorno, Mistery Island è piccolissima!) arriva all'alba e riparte al tramonto. Certo è che gli abitanti di Aneytium sono tra i più fortunati delle Vanuatu, potendo gestire direttamente, senza intermediari, una presenza di turisti che assicura loro introiti in denaro che seppure modesti sono assolutamente impensabili in molte altre isole.
Da parte nostra, quando vediamo questi giganti del mare scaricare migliaia di turisti che assaltano come cavallette le strutture predisposte per il loro arrivo, ci sentiamo davvero privilegiati, perché navigando per conto nostro, a vela, possiamo scegliere liberamente dove andare, vedere i posti più belli in tutta quiete, quando non c'è ressa, senza orari prefissati...
Sempre il 3 maggio, a sera, arriva un'altra barca, un Benetau 393 con a bordo una coppia canadese: partiti come noi il 26 aprile dalla Nuova Zelanda, hanno avuto la rottura del pilota automatico e hanno tribolato non poco con i turni al timone.
Purtroppo la nostra sosta ad Aneytium è breve. Il 4 maggio, alle 7.15, salpiamo dalla baia che con le sue acque calme ci ha donato dopo sei giorni di navigazione un relax eccezionale. La prossima meta è Tanna.