mercoledì 28 settembre 2016

FLORES, Labuan Bajo

Appena arrivati a Labuan Bajo, giovedì 22 settembre, per prima cosa verifico lo stato della batteria di avviamento. Misurando il voltaggio sembra carica, ma quando giro la chiavetta per la messa in moto i valori scendono drasticamente sotto i 12 volt. Anche la risposta dell'assistenza tecnica per i generatori Onan, cui avevo scritto da Ambon e che posso leggere solo ora, conferma che il problema sta lì.
Provvisoriamente sostituisco la batteria esausta con una dei servizi, ma è assolutamente necessario trovarne una nuova, di capacità adeguata. 
Nella mattinata, mentre sto facendo la mia sauna quotidiana nel vano batterie, riceviamo la visita della Custom, gli agenti di dogana. Salgono a bordo, controllano e fotografano i vari documenti; è tutto in ordine, siamo a posto. Chiediamo dove è possibile rifornirsi di carburante. "Andate con le taniche alla stazione di servizio Pantamina, sulla collina" ci dice il giovane ufficiale.
Poi arriva una barca con a bordo tre uomini di cui il più giovane, Yuri, parla un buon inglese. Si presentano con una "lettera di raccomandazione" scritta a mano da John e Jenny della barca Tramontana, che li descrive onesti e affidabili. Ci offrono oggetti di artigianato ed escursioni nelle isole del Komodo Park, famoso per la presenza dei varani, ma anche per numerosi siti diving. Ancora una volta il nostro cuore (troppo) tenero ci costringe a comprare qualcosa, mentre per l'escursione ci penseremo, intanto prendiamo il loro numero di telefono.
Nel pomeriggio scendiamo a terra col dinghy; c'è un pontile galleggiante nella parte nord del porto, in corrispondenza del mercato, dove è possibile lasciare il dinghy e lucchettarlo.
Il mercato è occupato per la maggior parte da banchi di pesce secco, mentre all'esterno e sulla strada ci sono molti ambulanti di frutta e verdura.

Labuan Bajo è una città con una intensa attività turistica, lo si capisce anche dalle numerosissime agenzie che propongono escursioni nel Komodo Park. Per le strade incontriamo molti turisti, per lo più giovani australiani ed americani, come non vedevamo da lungo tempo.
Diamo un'occhiata al ristorante italiano Mediterraneo, che di italiano ha ben poco a parte il nome e la pizza nel menù; pranziamo invece dal "Pirata", simpatico locale che offre anche camere e piscina, dove mangiamo un tradizionale (!!!) hamburger con patate fritte.
Troviamo anche un negozio che vende batterie, ma rimandiamo l'acquisto per verificare se ci sono altre offerte migliori.
Per muoversi ci sono i classici pulmini collettivi, ma anche auto private che si propongono come taxi. Una di queste ci accosta e così conosciamo Alfrit, un giovane ventenne che lavora in una agenzia turistica, ma per arrotondare nel tempo libero si fa prestare l'auto da un amico e si trasforma in tassista. È spigliato, allegro, e parla un buon inglese. Familiarizziamo subito, racconta a Lilli di esser diventato papà 24 giorni fa e di esserne felice. Ci porta al distributore della Pantamina, dove chiediamo se fanno consegne al porto; la risposta è negativa, bisogna venire qui con le taniche. Proponiamo ad Alfrit di accompagnarci nel giro di rifornimento e di venire con noi a bordo per prendere le taniche. È entusiasta all'idea si vedere com'è Refola, la nostra casa, e comincia a chiamarci "mamma e papà". Completato il giro (pago il gasolio al normale prezzo di vendita di 5.150 rupie/litro + 100.000 per Alfrit) ci diamo un appuntamento telefonico per il mattino successivo, per vedere di organizzare compatibilmente coi suoi impegni di lavoro un secondo giro. 
La sera riceviamo la visita del "proprietario" - forse - della boa, con cui concordiamo di pagare la sosta per due notti al prezzo di 100.000 rupie (circa 7 €). Non contento, si propone per venderci il carburante. "Se mi fai lo stesso prezzo che ho pagato oggi, 6.230 rupie/litro compreso il trasporto, va bene" gli dico. "6500, andiamo con la mia barca" rilancia lui. "Ok, ci vediamo domattina alle 8".
Il mattino seguente ritorna Yuri, che si offre per pulire la carena; è un lavoro che non avevo completato, così accetto la proposta e combiniamo per 600.000 rupie (circa 42€).
Nel frattempo arriva puntuale anche il "proprietario" della boa, che fa lo skipper sulle barche dei diving, ma anche trasferimenti di barche a vela, ci racconta infatti che il catamarano ormeggiato poco distante lo ha portato qui lui, in solitario dall'Australia.
Carichiamo le taniche che avevo provveduto a travasare la sera precedente e andiamo al porto. Faccio il prelievo di contante al bancomat e mi rendo conto che lui mi vuole scaricare per andare da solo a riempire le taniche. Con il mio maccheronico inglese gli dico che il carburante lo compro solo se lo vedo coi miei occhi entrare nelle taniche dalla pompa del distributore, ma non ci capiamo o forse fa finta di non capire. Torniamo su Refola con le taniche vuote; con Lilli ribadiamo le mie condizioni, lui dice  che è un rischio, la polizia... alla fine rinuncia e rompe anche l'accordo che avevamo sulla boa, dobbiamo lasciarla libera oggi stesso perché ci deve mettere la sua barca.
Yuri, presente, ascoltava in silenzio la conversazione; alla fine, quando il tizio se n'è andato, ci suggerisce di spostarci all'ancora in un buon posto lì vicino, meno esposto alla corrente, dove avrebbe completato più facilmente la pulizia della carena. "Per il carburante - aggiunge - non preoccuparti, se vuoi quando ho finito ti accompagno io al distributore".
Yuri è stato onesto e di parola: nonostante si fosse già offerto di venderci il gasolio a 10.000 rupie/litro con consegna in barca, mi ha accompagnato gratuitamente solo per aiutarmi a risolvere il problema.
Nel frattempo, Lilli cercava di comunicare con Alfrit, ma cadeva continuamente la linea; alla fine è riuscita a organizzare un incontro nel pomeriggio, per salutarlo. Non aveva la macchina e ci ha accompagnato a piedi a fare la spesa, senza volere nulla in cambio, dicendosi dispiaciuto della nostra sosta così breve e di non averci potuto aiutare per il secondo giro di carburante.
All'ancoraggio facciamo conoscenza con la barca dei vicini, Tramontana, quella della lettera di raccomandazione di Yuri. John e Jenny sono australiani, simpatici e spiritosi; beviamo insieme una birra, in un bel clima di intesa. Anche i nomi delle nostre barche, Tramontana e Refola, hanno una certa assonanza. Due venti che il destino ha fatto incontrare, ma dopo una bella chiacchierata le nostre rotte si dividono: loro ad est, diretti al Raja Ampat, e noi a ovest, verso Bali.



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martedì 27 settembre 2016

VERSO FLORES

Sabato 17 settembre alle 9.45 salpiamo da Ambon diretti Labuan Bajo, sulla estremità ovest dell'isola di Flores. È una tappa di circa 600 miglia; inizialmente, per spezzare il percorso, avevo previsto due soste intermedie, ma visto che la previsione meteo non ci dà speranza di fare un po' di vela decidiamo di puntare direttamente sulla destinazione finale. Procedendo col motore al minimo di giri, velocità media 5 nodi, fileremo 120 miglia al giorno; saranno 5 giorni di navigazione, presumibilmente con il mare piatto.
Poco dopo la partenza, siamo ancora nel golfo di Ambon, mi tocca fare un bagno fuori programma: incrociando una scia di corrente piena di rifiuti e detriti galleggianti, sentiamo variare bruscamente il rumore dell'elica. Immediatamente spengo il motore e scendo in acqua per vedere cosa è successo. Un grosso sacco di plastica a rete, tipo quelli delle patate, si è attorcigliato intorno all'elica; in due immersioni in apnea riesco a liberarla con il coltello e possiamo riprendere la rotta. Insegnamento tratto da questa esperienza: navigando a motore, se si incontra una scia di rifiuti (cosa molto frequente da queste parti), mettere subito in folle.
Dopo questo piccolo incidente iniziale, la navigazione prosegue tranquilla. Ci abituiamo facilmente al ritmo dei turni, e lentamente le miglia scorrono.

Quando siamo a circa metà percorso, ci rendiamo conto di essere in anticipo: la corrente a favore ci ha fatto guadagnare un po' di miglia, e il plotter calcola l'ETA (ora presunta di arrivo) verso il tardo pomeriggio. Questo è un problema. Se dovessimo per qualche motivo rallentare, magari incontrando corrente contraria, rischieremmo di dover affrontare un atterraggio notturno, sempre poco raccomandabile. In alternativa, dovremmo incrementare la velocità alzando il numero di giri/motore, con conseguente aumento di consumo di carburante.
Riflettendo sul tema e studiando la cartografia, vediamo sul nostro percorso un atollo costituito da solo reef, senza terre emerse, dove potremmo fermarci qualche ora per assicurarci un arrivo diurno; c'è una pass ed abbiamo anche una buona immagine satellitare, che c'è di meglio di mezza giornata di relax, un bel bagno e un po' di snorkelling?
Detto fatto, alle 10.30 di lunedì 19 settembre entriamo nell'atollo Karang Koka attraverso la pass di nord est, che ha fondale minimo sui 6-7 metri. Poiché all'interno ci sono profondità elevate, gettiamo l'ancora appena dentro, vicino al reef, su 20-22 metri di sabbia con qualche macchia di corallo (6°03.291'S 124°23.405'E).
L'acqua è limpidissima e invoglia a un bel bagno, ma c'è una forte corrente, di almeno 2 nodi, e non è prudente scendere in acqua dalla barca. Caliamo il dinghy e andiamo più vicino al reef, dove la corrente è più debole; i coralli sono discreti, ma comunque una nuotata nell'acqua cristallina è sempre piacevole e tonificante.
Ci sono un paio di pescatori in zona, con le tipiche barchette a bilanciere e motore da falciatrice; siamo ben lontani da terre abitate, l'isola più vicina si trova infatti a circa 20 miglia.
Alle 16 facciamo il consueto collegamento via radio SSB con gli amici navigatori italiani che si trovano tra il Pacifico e l'Indonesia; dopo i saluti ci prepariamo per la partenza: alaggio del dinghy, accensione degli strumenti, accensione del motore...che però non si accende!  Qui inizia il panico: la batteria dello starter non ha carica sufficiente. Per prima cosa metto in parallelo con i morsetti volanti un'altra batteria scollegata dai servizi, ma ancora l'avviamento non riesce. Il problema si era già presentato l'ultimo giorno ad Ambon, con difficoltà nell'accensione del generatore, ma poiché per risolverlo era bastato avviare il motore, avevo attribuito l'inconveniente al generatore stesso e non alla batteria dello starter. E ora? Siamo senza motore e senza generatore!
Richiamo l'attenzione di un pescatore, pensando che possa avere a bordo una batteria. Cortesemente il giovane si avvicina sorridente, ma non ci può aiutare: il suo motore, come quello di tutte barche usate qui dai pescatori, ha l'accensione a manovella. Chiedo se nell'isola vicina si può trovare una batteria, ma la sua faccia è abbastanza eloquente.
Il sole sta tramontando e nemmeno i pannelli solari ci possono aiutare, il generatore eolico ha quasi le ragnatele per il lungo disuso …  Lilli è muta ed immobile, seduta in pozzetto; affranta sta pensando a quanti giorni dovremo restare fermi in quest'atollo invisibile, nel mezzo del nulla.
Ma io non mi arrendo, spengo tutti gli apparecchi di bordo, scollego buona parte del cablaggio delle batterie e utilizzo i cavi per mettere in parallelo a quella d'accensione una terza batteria. Incrocio le dita, giro la chiavetta e … bruuum, il motore parte! Sono in un bagno di sudore, con l'adrenalina a mille, ma anche questa volta il pericolo è scampato. Lilli ha gli occhi lucidi per la felicità.
Ripartiamo per Flores. Fino all'arrivo, anche se arrivasse il vento, non possiamo spegnere il motore!
L'avventurosa sosta nell'atollo, a parte l'ansia che ci ha provocato, ha raggiunto lo scopo di assicurarci un atterraggio diurno. Giungiamo infatti a Labuan Bajo alle 8.10 di giovedì 22 settembre. Di fronte alla città c’è un gruppetto di piccole isole, separato da uno stretto canale,  in cui si forma una bella corrente di marea che arriva a 3 nodi.
Nel canale sono posizionate numerose boe, per la maggior parte occupate dalle barche per escursioni nel parco marino di Komodo; ne prendiamo una libera davanti al porto (8°29.518'S 119°52.359'E) e finalmente possiamo spegnere il motore!

venerdì 23 settembre 2016

AMBON e i suoi angeli

L'ancoraggio di Ambon non è entusiasmante: siamo nell'ansa del porto davanti al Christian Center, una costruzione che richiama - con un po' di fantasia - l'Opera House di Sydney.
L'acqua è torbida e vi galleggia ogni genere di immondizia.
Siamo alla ruota in mezzo a tre navi.
A terra di fronte a noi un quartiere fitto di case e baracche. Solo la vista della chiesa, e le numerose moschee di cui si intravedono le cupole e i minareti colorati risollevano lo scenario un po' deprimente. In compenso è il posto più comodo e vicino al centro città, ed è anche sicuro (come ci confermerà l'Harbour Master, cui avevamo detto di volerci spostare più a nord, oltre il grande ponte che collega i due lati dell'insenatura).
Così alla fine non ci muoviamo, facciamo l'abitudine al sudiciume galleggiante e alle navi, stabilendo rapporti di buon vicinato con gli equipaggi a bordo. Anche a terra, in tre giorni, ci conoscono tutti, e ogni volta la gente delle case affacciate sul mare si precipita per aiutarci a scendere o risalire sul dinghy.
Abbiamo una lunga lista di cose da fare: pratiche di navigazione, rifornimento di carburante e gas, supermercato, farmacia. Iniziamo come sempre dall'Harbour Master; gli impiegati masticano poco inglese ma ci fanno parlare col capo, una persona estremamente gentile e disponibile. Quando chiediamo dove fare gasolio e dove acquistare una bombola di gas, lui stesso fa qualche telefonata ai fornitori di carburante, senza ottenere nulla perché i 200 litri che ci occorrono sono troppo pochi per far muovere i distributori; per risolvere il problema, decide allora di affidarci ad uno dei suoi collaboratori.
E qui comincia l'avventura: la nostra guida non sa una parola di inglese e come la maggior parte degli indonesiani possiede una motocicletta e non un'automobile. Mi consegna un casco, mi fa cenno di salire; "E mia moglie?" chiedo a gesti, indicando Lilli. Impassibile, lui parla in bahasa con un suo collega, gli dà (a quel che capiamo) disposizione di seguirci con Lilli in sella, e parte sparato. Peccato che dopo qualche minuto il secondo "tassista" se ne andrà per i fatti suoi, lasciando  Lilli basita nel parcheggio... Torniamo dopo circa mezz'ora con il bombolone di gas da 12 litri, che l'agente regge tra le gambe; trovo Lilli, sempre in piedi nel parcheggio, che sta facendo conversazione e fotografie con un altro giovane in divisa, collaboratore dell'Harbour Master, che parla un buon inglese. La lascio di nuovo ad aspettarmi e proseguo con la mia guida alla ricerca del carburante; dopo un paio di tentativi senza esito, troviamo al terminal dei traghetti un deposito che è disponibile a venderci 200 litri con un piccolo sovrapprezzo, 7500 rupie/litro anziché 5500 che è il prezzo al distributore (0,5 €/lt anziché 0,35 €/lt).
In Indonesia gli stranieri non possono acquistare il carburante al distributore, ma devono fare una trafila burocratica e pagarlo con un sovrapprezzo del 100%; lo scoglio si aggira con il mercato nero: è illegale, ma è un affare sia per chi vende che per chi acquista. Il prezzo naturalmente varia in base alla richiesta del fornitore.
Mentre il deposito riempie le taniche, la mia guida mi accompagna a recuperare il dinghy, con cui le porterò a bordo di Refola. Nel frattempo scoppia un fortissimo temporale, che ci costringe ad  aspettare un bel pezzo prima di iniziare il trasbordo. Sono un po' preoccupato per Lilli, che ormai è sola al porto da tre ore; ogni tanto dico alla mia guida "My wife?...", ma non capisce e invariabilmente mi risponde: "Yes, my wife!".
Terminate le operazioni, ritorno con il dinghy carico di taniche di gasolio verso il molo dell'Harbour Master, dove finalmente ritrovo Lilli. La vedo un po' sconvolta, mi dice che mi racconterà solo davanti a una birra. Carichiamo taniche e bombola del gas su Refola, poi mi dirà che proprio sotto il gran temporale un ragazzetto con cui si era riparata sotto una tettoia le ha fatto delle proposte oscene. Ce l'ha a morte col maschilismo che è uguale in tutto il mondo, è molto arrabbiata e non posso darle torto. Dopo lo sfogo, ci rimettiamo al lavoro: travasiamo tutto il gasolio e andiamo a restituire le taniche vuote. Non ci pare vero, alle 15 del primo giorno, di aver già risolto i due principali problemi: gas e gasolio.
Pensando che le avventure della giornata siano finite, decidiamo di fare un salto al supermercato. In Indonesia esiste una catena di supermercati, "Saga", che vende anche prodotti d'importazione. Ne avevamo chiesto notizie ad un impiegato dell'Harbour Master, che ci ha risposto che lo avremmo trovato in località Wayame, raggiungibile con due minibus. Saliamo sul primo diretti al "terminal" (capolinea di tutti i minibus) e facciamo conoscenza con alcune ragazze velate, studentesse di lingue al primo anno di università. Sono entusiaste di parlare con degli stranieri, di praticare la lingua che stanno studiando, coi cellulari scattano innumerevoli foto che ci ritraggono insieme.

Ci chiedono dove stiamo andando e quando glielo diciamo si mostrano sorprese: "Cosa ci andate a fare? è lontano..." Noi spieghiamo che vogliamo andare al supermercato Saga, perché lì possiamo trovare prodotti italiani e a nostra volta tentiamo di informarci: "Ma quanto lontano? quanti chilometri? quanto tempo?" La risposte non sono precise, restiamo un po' perplessi, ma l'allegra compagnia delle ragazze ci distrae e non diamo peso a nostri dubbi …
Una volta al terminal, le ragazze prendono a farci da guida ("follow me"); anche loro sono dirette a Wayame e ci conducono al secondo minibus. Saliamo e via di nuovo con chiacchiere e fotografie, anche se man mano che avanziamo in quartieri sempre più periferici comincia ad affiorarmi qualche timore. Dentro di me penso: "Sono quasi le 17 e siamo ancora nel viaggio di andata, questo vuol dire che al ritorno sarà buio ... ritroveremo il minibus giusto per tornare alla barca?". Ma di nuovo non presto la dovuta attenzione a questi saggi interrogativi, e mi do risposte tranquillizzanti: "Faremo in fretta, daremo solo una veloce occhiata e ritorneremo con calma per gli acquisti …  poi per l'indirizzo, siamo vicini a quella bella e particolare chiesa che richiama l'Opera House di Sydney, tutti sapranno dove si trova..."
E intanto il tempo passa, inesorabile.
Quando arriviamo a destinazione scoppia l'ennesimo temporalone, con pioggia torrenziale; le ragazze ci scortano al supermercato e ci salutano, mentre sta calando il buio. Tutt'a un tratto prendiamo atto della situazione: siamo in un sobborgo di periferia ad almeno 30 km dal centro di Ambon, il supermercato non è un Saga, ma un semplice supermercato di quartiere! Ovviamente non c'è niente di quello che cerchiamo, ma anche solo per dare un senso a questo lungo viaggio, compriamo il pane e un po' di birre.
Sempre sotto il diluvio, torniamo in città col minibus; le strade in alcuni tratti sono diventate torrenti, il traffico già di per sé caotico si fa ancora più lento. Arriviamo al terminal alle otto di sera passate, e qui viene il bello: come faremo a trovare il minibus giusto? Ci sembra di essere Totò in piazza Duomo a Milano, quando in un famoso film chiedeva al vigile: "Per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare?".
E qui incontriamo il primo angelo: una ragazza che era con noi sul minibus. Le chiediamo se capisce l'inglese. "Un po'", risponde. "Noi dobbiamo andare al porto, dove abbiamo la barca, siamo vicini a quella bella chiesa...". Lei capisce che ci siamo persi e che siamo in difficoltà, ma sul resto è un po' confusa. "Scrivi l'indirizzo dell'hotel", continua a dire, le faccio vedere il nostro biglietto da visita con la foto di Refola, ma non serve.
Invece di spazientirsi e abbandonarci al nostro destino, la ragazza-angelo ha un'idea brillante: "Il mio ragazzo parla bene inglese, adesso lo chiamo al telefono!". Detto fatto, lo chiama, gli espone il problema e passa il telefono a Lilli. Finalmente la comunicazione funziona! "Quella chiesa è il Catholic Centre" dice il fidanzato. Io non sono convinto, dico a Lilli che quando siamo arrivati in barca, la scritta "Catholic Centre" l'avevo notata in caratteri cubitali su una chiesa lungo la costa, molto prima di arrivare al porto. Lilli cerca di trasmettere qualche dubbio al suo interlocutore, ma quello insiste: "Quello che cercate è il Catholic Centre". Il telefono torna nelle mani dell'angelo, che riceve istruzioni e ci accompagna alla ricerca del minibus giusto. Ormai il terminal, che nel pomeriggio era gremito di gente e di bancarelle, è vuoto, spento e quasi deserto. L'angelo chiede ad alcuni autisti informazioni per il nostro itinerario e dopo quattro tentativi trova finalmente quello giusto. La salutiamo pieni di gratitudine, cosa avremmo fatto senza di lei?
Il minibus è quasi vuoto, ha smesso di piovere; nel tragitto continuiamo a guardarci intorno tentando di capire dove siamo, ma non è facile orientarsi, anche se il mare sulla nostra destra ci dice che almeno la direzione è quella giusta.
A un certo punto l'autista ferma il minibus e, usando come interprete una ragazza che stava scendendo, ci comunica che siamo arrivati. Scendiamo insieme alla ragazza ma non riconosciamo affatto né la "nostra" chiesa, né i dintorni. Come avevo previsto  siamo fuori città, molto oltre il porto. "Non è questo il posto", diciamo e spieghiamo alla ragazza della chiesa vicino al porto. "Ma allora quello che cercate voi è il Christian Center!"; la ragazza parla con l'autista, che aspettava di essere pagato, poi si rivolge a noi: "Venite, risaliamo, vi accompagno io". 
Ma come, pensiamo, non era arrivata? E ora torna indietro per aiutare noi? Non c'è dubbio: è il nostro secondo angelo!
Dopo aver scaricato l'ultimo viaggiatore un po' più oltre, l'autista torna verso la città e ci fa scendere tutti e tre davanti ad una stradina che dovrebbe portarci alla "nostra" chiesa. La ragazza si avvia spedita ma noi siamo ancora dubbiosi, il percorso è nuovo, all'andata eravamo passati in mezzo alle case del quartiere. All'inizio della strada c'è una sbarra, la ragazza parla con un giovane di guardia, che si unisce a noi; solo dopo 400-500 metri, quando ci appare la simil-Opera House, sciogliamo le riserve: ce l'abbiamo fatta, ecco Refola!
Le nostre guide ci scortano fino al dinghy, facendo luce con i cellulari (non abbiamo con noi nemmeno una torcia), ci assistono per salire a bordo (con la bassa marea il dinghy è un metro e mezzo più in basso), attendono che sgottiamo tutta l'acqua piovana caduta, che accendiamo il motore, e ci salutano come fossimo gli amici più  cari.
La gentilezza di queste persone rasenta l'incredibile: probabilmente senza i nostri angeli avremmo, nella migliore delle ipotesi, girovagato tutta la notte.
Quando finalmente saliamo in barca sono le nove e mezza. Tiriamo un sospiro di sollievo, è stata una giornata intensa, in cui abbiamo commesso un sacco di imprudenze. Essere in una città che non si conosce, abitata da gente con cui non ci si capisce, è come essere soli in montagna: per non perdersi bisogna adottare particolari precauzioni, e noi le abbiamo mancate tutte.
I due giorni successivi ci siamo attrezzati (con piantine e I-Pad con GPS), soprattutto siamo stati più attenti  e infatti non abbiamo incontrato alcuna difficoltà. Abbiamo completato le nostre provviste, siamo stati nel ricco e pittoresco mercato di frutta e spezie,
abbiamo ammirato le grandi moschee
abbiamo pranzato in una specie di "suk" brulicante di negozietti e ristorantini destinati solo a gente del posto (circa 8 € per un ottimo pesce alla brace 2 piatti di riso e 4-5 piattini di verdure), ci siamo addirittura concessi un breve tragitto in risciò.
Ambon ci rimarrà nel cuore: città caotica nel centro e con una periferia vastissima, forse con una impronta più mussulmana rispetto alle precedenti Sorong e Jayapura; soprattutto ci ricorderemo della gentilezza e disponibilità della gente, pronta a farsi in quattro per aiutarti, o comunque a salutarti … "Hello mister" è sulla bocca di tutti, anche di chi non sa una parola di inglese. 
    
NOTE PRATICHE PER I NAVIGATORI
Nel golfo di Ambon, lungo circa 14 miglia, sono presenti moltissime zattere galleggianti fissate alle boe anche in acque profonde, dotate di una luce; l'atterraggio notturno comunque, soprattutto con scarsa visibilità, può essere ansiogeno.
L'ancoraggio vicino al Christian Centre, la costruzione che richiama l'Opera House di Sydney, è il più vicino alla città, fondo fangoso con buona tenuta sui 24 metri, che si riducono gradatamente verso terra  (3°42.093'S 128°10.203'E).
Per atterrare ci sono alcune scalette in legno a cui si può anche lucchettare il dinghy.
Altri ancoraggi segnalati si trovano nell'ansa terminale del golfo, oltre il ponte, che ha una luce libera di 40 metri.  Sulla parte NE, località Passo, c'è anche il dock della polizia, utile per atterrare col dinghy  (3°38.381'S 128°14.338'E).
L'Harbour Master si può raggiungere con il dinghy, costeggiando verso NE per circa mezzo miglio, all'inizio del secondo molo c'è ha anche una scaletta per risalire.
Ad Ambon non ci sono taxi, solo pulmini collettivi.

mercoledì 21 settembre 2016

KOFIAU - AMBON

Sabato 10 settembre salpiamo da Fam alle 7.25. Una partenza “grigia”, senza vento; per fortuna, nella mattinata, torna un po' di sole e arriva anche un leggero venticello, che ci consente di procedere a vela.
Alle 15.30 gettiamo l'ancora davanti al villaggio sull'isolotto Deer, su un fondale di sabbia e qualche corallo isolato sui 14 metri; un posto tranquillo e ben riparato (1°09.271'S 129°50.853'E).
C'è una nave ancorata a breve distanza, che fa servizio settimanale su Sorong e partirà verso sera.
Alcuni ragazzi vengono a trovarci con una tipica canoa indonesiana (che diversamente da quelle di PNG, Solomon, Vanuatu, ha bilancieri su entrambi i lati): uno di loro studia inglese a scuola e così intratteniamo una piccola elementare comunicazione. Veniamo a sapere che a Kofiau ci sono le scuole secondarie, proviamo a chiedere se al villaggio ci sono negozi e se è possibile comprare frutta e verdura, ma il tema è troppo difficile per il nostro giovane interlocutore e non otteniamo risposta.
Le acque sono calme e discretamente pulite, così completo la pulizia della carena dello scafo; ora mi restano chiglia e timone, da fare con le bombole.
Domenica 11 settembre, ben riposati e dopo la consueta lauta colazione, salpiamo per Ambon, a 225 miglia; un tappone con navigazione notturna che presenta un'insolita difficoltà: questo tratto di mare, specie in prossimità di Ambon, è disseminato di “casette”, piccole zattere galleggianti che servono da base per la pesca. Non sono cartografate, per lo più non portano luci, possono essere circondate da reti, insomma soprattutto di notte un vero rischio per la navigazione.
Alla partenza, tanto per cambiare, il cielo è grigio e coperto, senza un alito di vento. Procediamo a motore verso ovest, navigando nell'ampio canale che separa l'isola principale di Kofiau da numerosi più piccoli isolotti, ciascuno col suo villaggio.
Lasciamo a dritta un'altra grande isola, Torobi (dove c'è anche il segnale telefonico) e attraversiamo zigzagando un secondo fitto arcipelago di isolette a SW di Kofiau; una volta fuori, con la rotta libera, troviamo finalmente anche il vento, che ci fa proseguire spediti a vela per tutta la giornata.
La notte scorre tranquilla, Lilli ed io ci alterniamo come al solito in turni di guardia di tre ore. All'alba incontriamo le prime “casette”, e con un certo sollievo verifichiamo che il radar le rileva, almeno le più grandi. Il plotter ci segnala che il nostro ETA (extimated time of arrival) prevede che l'atterraggio ad Ambon avvenga di notte, il che significa compiere il tratto di navigazione più pericoloso, con le “casette”, nel buio più totale, a luna già tramontata. Optiamo per una scelta più sicura e modifichiamo il programma di navigazione: passando attraverso Lebang Haya, lo stretto canale che separa le isole di Seram e Kelang, risparmiamo circa 15-20 miglia rispetto alla rotta originaria. Possiamo arrivare al canale verso le 16, attraversarlo, ancorare per la notte e riprendere la navigazione il mattino seguente all'alba, per  le ultime 55 miglia.
A dire il vero il passaggio di Lebang Haya lo dovrò verificare sul posto: sulla cartografia Navionics semplicemente non esiste, mentre su C-Map è discretamente dettagliato, con fondale minimo sui 5 metri; l'immagine satellitare di cui disponiamo non è chiarissima, ma grazie a SasPlanet ci consentirà almeno di essere sicuri della nostra posizione.
Alle 15.30, come previsto, siamo all'ingresso del canale. Non c'è una grande visibilità, ma a questo punto attraversarlo è per noi davvero importante: entriamo affidandoci al plotter e all'ecoscandaglio e trattenendo il respiro per tutta la sua lunghezza, circa un miglio. Lilli è di vedetta sul pulpito di prua ed io al timone.
La corrente a favore ci regala 2 nodi di velocità, ma verso la fine, scontrandosi con l'onda da sud, crea delle belle onde stazionarie di 1-1,5 metri, che Lilli affronta attaccandosi fermamente allo strallo. Il minimo fondale su cui passiamo è 6 metri, poi finalmente torniamo in acque profonde.
Alle 16.15 ancoriamo 2 miglia a sud-est del passaggio, su fondo sabbioso di 20 metri (3°10.730'S 127°51.763'E). La baia è aperta a sud e c'è mezzo metro di onda, ma l'ancora tiene bene; siamo soddisfatti, e festeggiamo l'obiettivo raggiunto con una bella birra fresca.
L'indomani, martedì 13 settembre, facciamo colazione prima dell'alba e alle 6.20 salpiamo. Il vento latita e ci cucchiamo l'ennesima lenta navigazione a motore, con la corrente contro, ma alle 16.30 giungiamo ad Ambon, la nostra meta.  Ancoriamo nell'ansa del porto davanti al Christian Center, una costruzione che richiama - con un po' di fantasia - l'Opera House di Sydney, su un fondale di fango con buona tenuta sui 24 metri (3°42.093'S 128°10.208'E).
La scelta di arrivare di giorno è stata davvero saggia: il golfo di Ambon, lungo 14 miglia, è effettivamente cosparso, anche in acque profonde oltre 500 metri, di queste piccole casette galleggianti, ormeggiate ad un barile-boa. Sarebbe stato difficile, di notte, non beccarne neanche una! 

venerdì 16 settembre 2016

RAJA AMPAT : MINYAIFUN - PENEMU - FAM

Mercoledì 7 settembre alle 6.50 salpiamo da Wayag, prestino perché il piano di navigazione prevede un tappone di 50 miglia, direttamente all'isola di Penemu.
Man mano che avanziamo ci rendiamo conto che arrivare con una buona luce è praticamente impossibile: abbiamo un vento apparente contrario sui 15-17 nodi e per quasi tutta la mattina anche una corrente contraria, in alcuni tratti anche di 2 nodi; in più abbiamo alle spalle una notte in cui abbiamo dormito poco, a causa dell'allarme ancora che, pur essendo alla boa, continuava a suonare.
Decidiamo quindi di cambiare programma: avendo in prua l'isola di Minyaifun, ci dirigiamo sulla costa nord dove c'è anche uno dei pochissimi centri abitati, o meglio villaggi, delle Raja Ampat.
Alle 13.40 ancoriamo circa 1 miglio a NW del villaggio, tra l'isolotto Yef Bie e Minyaifun, su un fondale sabbioso di 18-19 metri (°019.469'S 130°12.110'E).
Un ancoraggio tranquillo e riparato, che ci consente di recuperare un po' di riposo; prima di sera riprendo anche la pulizia della carena, che ne ha proprio bisogno.
Il mattino seguente ci spostiamo davanti al villaggio, dove le acque sono più profonde (sui 27-28 metri), ma la nostra sosta sarà breve e c'è poco vento, quindi non serve neanche verificare la tenuta dell'ancora.
Vado a terra con il dinghy dirigendomi ad un pontile che alcuni operai stanno rinnovando, loro stessi mi indicano dove attraccare e mi danno una mano prendendo la cima.
Vicino al pontile c'è la scuola, al mio passaggio una simpatica maestra fa ripetere ai bambini a voce alta: “Good morning, mister!”. Rispondo al saluto nella loro lingua: “Salamat pagi!”.
Tirando fuori dal dizionario qualche parola, chiedo in giro dove posso trovare frutta e verdura, ma le risposte sono negative; sulla strada che conduce ad una piccola moschea, un negozietto vende solo scatolette, riso e prodotti non deperibili.
Ritorno in barca con la borsa vuota, e alle 9.35 salpiamo alla volta di Penemu.
Appena fuori dalla zona riparata di Minyaifun, troviamo le stesse condizioni del giorno precedente: vento sul naso se pur di debole intensità e corrente contraria, ma questa volta abbiamo solo 16 miglia e tutta la giornata davanti; percorriamo a motore le prime 4 miglia, per superare una catena di fitte isolette, poi issiamo le vele  e facciamo bordi fino a destinazione.
Prima delle 15 siamo già ad est di Penemu; iniziamo a costeggiare cercando un ancoraggio idoneo, ma con il passare del tempo la ricerca diventa un po' snervante: i punti che sulla carta sembrano  riparati dall'onda e dal vento di ESE sono profondi oltre 40 metri, solo al largo dei reef che fuoriescono di qualche centinaio di metri si trovano delle piccole aree con fondale intorno a 20 metri. Un navigatore ha segnalato sul “Compendium” l'esistenza di una boa, un quarto di miglio a sud dell'isolotto di fronte all'ingresso della laguna interna di Penemu (riconoscibile dalle numerose bandierine), ma la boa non c'è più; un altro ha segnalato un ancoraggio in una baia aperta a nord circa 1,5 miglia più a sud, ma anche lì i fondali sono sui 30 – 40 metri e non c'è spazio sufficiente per stare alla ruota.
Torniamo allora in prossimità dell'ingresso alla laguna, dove c'è un pontile con una tettoia blu; avvicinandoci, vediamo che alcuni operai stanno lavorando sul pontile. Chiediamo a gesti se possiamo attraccare, ma ci rispondono di no. Non ci resta che quel punto fuori dal reef, senza protezione e praticamente in mezzo al mare, ma è l'unico con fondale sui 20 metri. Sono le 16.30 quando terminiamo la manovra di ancoraggio, su sabbia e corallo, profondità 22 metri  (0°34.647'S 130°17.038'E).
Avevamo grandi aspettative su questo posto, decantato nei depliant: attraverso un passaggio stretto e poco profondo si accede ad una grande laguna che immaginavamo  simile a una piccola Wayag. Purtroppo, la ricerca dell'ancoraggio ci ha tolto gran parte dell'entusiasmo.
Verso sera le acque si calmano e tutto sommato passiamo una notte tranquilla.
Venerdì 9 settembre, di buon mattino, valutiamo l'idea di fare un'escursione all'interno della laguna, ma il cielo nero, coperto da densi nuvoloni, non invoglia a mettersi a girare col gommone. Poco dopo infatti inizia a piovere a dirotto, tanto che non vediamo più nemmeno terra, a mezzo miglio. Che cacchio di giornata!
Aspettiamo che la visibilità aumenti un po' e salpiamo, facendo rotta sulla vicina isola Fam, a circa 4 miglia.     
Giungiamo a Fam sempre sotto l'acqua  e ancoriamo sulla costa nord, su un fondale di sabbia e coralli sui 13-14 metri (0°38.912'S 130°16.069'E); vado a verificare la posizione dell'ancora e la trovo ben affondata nella sabbia, le acque sono limpide e si notano anche bei coralli sul fondo, più numerosi verso terra.
Siamo in prossimità dell'ingresso di una laguna chiusa a nord dall'isolotto Ambabee ed a ovest dal reef affiorante; nel pomeriggio il cielo si rischiara e ne approfittiamo per fare un giro con il dinghy all'interno della laguna: le acque sono profonde, sul versante destro entrando c'è una casetta dove vive un pescatore solitario e tre scheletri di bungalow (forse iniziati e mai terminati), mentre in fondo a sinistra c’è un pontile in legno che ha l'aria di non essere utilizzato da tempo.

Torniamo in barca e mentre riprendo la pulizia della carena ci viene a trovare il pescatore solitario, si avrebbe voglia anche di fare due chiacchiere, ma la comunicazione è davvero limitata: un saluto, grandi sorrisi, la richiesta di una sigaretta ed il pescatore si avvia verso casa.  
Ancora una volta siamo indecisi se fermarci o continuare la nostra rotta verso SW, ma quando al mattino vediamo il cielo ancora grigio decidiamo di partire verso Kofiau, a 40 miglia.

mercoledì 14 settembre 2016

RAJA AMPAT : BATANGPELE - WAYAG

Domenica 4 settembre il tempo è incerto, così scartiamo l'ipotesi di fermarci a Pef e proseguiamo verso nord fino all'isola Batangpele, a 18 miglia.
Alle 13.30 arriviamo nella baia a NE dell'isola, un'insenatura con acque profonde fino a riva; caliamo l'ancora al centro su fondale fangoso, buon tenitore, di 22-24 metri (0°17.888'S 130°13.756'E).
La baia è contornata da mangrovie e nella parte terminale sfocia un piccolo torrente: anche questo è un ambiente da coccodrilli! Ce lo conferma un locale che si è avvicinato con la sua barchetta, non parla inglese, ma quando (consultato il dizionario) pronunciamo la parola bahasa “buaya” fa cenno di sì e indica in direzione del piccolo torrente.
Ci erano stati segnalati dei bei coralli sui reef all'ingresso della baia, ma solo al pensiero di fare qualche brutto incontro ci passa la voglia e la curiosità.
Ripartiamo il mattino seguente alla volta di Wayag, a 33 miglia. Alle 12.40 di lunedì 5 settembre passiamo la linea dell'equatore. Siamo di nuovo nell'emisfero nord e questo, in barba alla distanza che è ancora enorme, ci fa sentire quasi a casa! Affiorano i ricordi di quando, nel 2013, per la prima volta siamo entrati nell'emisfero sud, poche miglia prima di arrivare alle Galapagos. Allora con gli amici Erna e Giancarlo e con Mario avevamo festeggiato con una bottiglia di prosecco... bei tempi quelli, quando le scorte di vino erano al top, questa volta Lilli ed io brindiamo con una semplice birra.  D'altra parte, è anche vero che questo è solo un fugace cambio di emisfero, per raggiungere il sito più settentrionale delle Raja Ampat; tra qualche giorno ritorneremo sotto l'equatore e scenderemo gradatamente di latitudine fino a Bali.
Alle 15 arriviamo a Wayag, ed è uno spettacolo: siamo in mezzo ai grossi funghi calcarei, ma in acque molto più limpide di quelle viste in precedenza a Kabui.
Cerchiamo un ancoraggio con profondità adeguate, ma non è facile. O troppo profondo, o troppo poco, o poco spazio per stare alla ruota. Dopo un po' di giri nella prima parte del canale nord   ancoriamo in mezzo a 4 torrioni calcarei, su un fondo sabbioso di 25-27 metri (0°10.117'N 130°01.317'E).
Caliamo 60 mt di catena, il minimo sindacale, l'ancora tiene ed il peso della catena ci tiene a debita distanza dai torrioni, ma se dovessimo girare di 360° con la catena tesa dovremmo mettere i parabordi....
C'è una boa all'inizio del canale, con l'unica barca presente nell'arcipelago, sono subacquei che alloggiano a bordo; il mattino seguente partono e restiamo soli in questo paradiso reso ancora più bello dal sole, che fa risaltare i contrasti dei colori.
E' il clou della nostra “vacanza”, prendiamo il gommone e giriamo nel labirinto di funghi, cercando sempre di memorizzare il percorso; ci dedichiamo poi allo snorkelling in diversi punti, ovunque coralli stupendi di diverse forme e colori.



Per non farci mancare niente, ci cimentiamo nella arrampicata del monte Pindito, dalla cui sommità c'è una vista mozzafiato.


Poi ancora snorkelling, insomma una giornata piena di emozioni.
Credendo di stare più tranquilli e di evitare il rischio di difficoltà al momento di salpare, decidiamo di prendere la boa lasciata libera dalla barca dei sub. Col senno di poi, è stata la peggior soluzione: la boa si trova su un fondale di 45 metri (non sappiamo con quanto calumo), nella notte si è alzato un po' di vento con un temporale che ci è girato intorno. Risultato: ho dovuto alzarmi non so quante volte per correggere il raggio dell'allarme ancora, per zittirlo alla fine l'ho dovuto portare a 180 metri! Inoltre, essendo la boa all'inizio del canale, siamo stati “cullati” tutta notte da un'onda fastidiosa … insomma, saremmo stati meglio se fossimo rimasti al primo ancoraggio!
Come se non bastasse, a mio parere le boe non danno la sicurezza di un'ancora di cui si è testata la tenuta. C'è sempre l'apprensione che una cima sia troppo vecchia e prima o poi ceda ... per precauzione avevo calato anche 12 metri di catena, nel caso fossimo andati alla deriva verso terra e non avessimo sentito l'allarme. Ebbene, al momento di salpare l'ancora si è impigliata nel cavo della boa ed abbiamo perso un po' di tempo per liberarci, anche se tutto si è risolto facilmente.
Lasciamo Wayag sotto un cielo coperto da densi nuvoloni: i colori sono spenti e tutto è un po'  grigio. Ne siamo quasi contenti, perché questo lenisce il dispiacere di dover partire...

NOTE PRATICHE PER I NAVIGATORI
WAYAG: L'accesso a Wayag è da SW; la cartografia Navionics e C-Map, come a Pef, è inutilizzabile, l'immaginare satellitare migliore è quella di Google Hearth, visibile con Open Cpn; è necessaria una buona luce perché alcuni bassi fondali (meno di 1,5 metri) sono sul percorso profondo, poco visibili; ci sono due canali principali di accesso alla laguna: quello sud è più breve e conduce ad un grande bacino dove è posizionata una boa; quello nord è più lungo, la boa è posizionata all'inizio e quindi l'ormeggio può essere un po' rollante. Le boe sono gratuite, ma le barche del diving possono  richiedere di lasciarle libere (hanno la precedenza).
Circa 500 metri a sud della boa del canale nord c'è il monte Pindito: il ripido sentiero che porta in vetta parte dalla spiaggia dietro al grande cartello raffigurante il sito di Wayag; dotati di buone scarpe, in 20 minuti si arriva in vetta senza troppe difficoltà (la vista vale la pena).

lunedì 12 settembre 2016

RAJA AMPAT : PEF

RAJA AMPAT : PEF
Sabato 3 settembre salpiamo da Augusta, diretti a Pulau Pef sull'estremità ovest della più grande Pulau Gam, a circa 16 miglia. Siamo sempre senza vento, ma in compenso abbiamo per un buon tratto 2 nodi di corrente a favore.
A Pulau Pef c'è un altro resort, questa volta con gestione svizzera, segnalatoci dagli amici di A-Gogo che, essendo svizzeri, hanno trovato qui un pezzetto di patria. Ormeggiamo ad una delle due boe, entrambe libere (0°26.573'S 130°26.602'E).
Sembra di essere in un laghetto di montagna, circondati da colline verdi, ma a riva  mangrovie  e acque torbide definiscono il classico habitat da coccodrilli. Il silenzio è interrotto solo dagli strani versi di grandi e coloratissimi pappagalli.
Nel primo pomeriggio andiamo a terra, lasciando il dinghy al pontile dove sono ormeggiate quattro barche del resort. Da lì parte una passerella in legno, lunga circa 300-400 metri, che sospesa sopra le mangrovie si addentra nella fitta vegetazione e conduce al resort, sul lato opposto dell'isola. Ambiente suggestivo, con il sole che penetra a stento tra il fogliame degli alberi.
Ci riceve Joram, un giovane svizzero responsabile del marketing. Ci informa che il resort è chiuso per due settimane per manutenzione, ma che possiamo ugualmente usufruire dei servizi: la boa costa 20 € a persona e include anche la connessione wifi ad internet e bagni e docce, inoltre si può cenare con 20 €. Facciamo un po' di conti, non abbiamo rupie sufficienti, ma Joram ci risolve il problema: "Potete fare un bonifico sulla banca svizzera". Decidiamo così di includere anche la cena, vista la comodità dell'approdo.
Il resort è bello e ben strutturato, affacciato sul versante nord-ovest dell'isola: bungalow in legno eleganti e puliti, tutti con terrazza privata sul mare, grande ristorante su palafitte, poltrone e tavolini nell'area wi-fi, grandi sculture di pietra o legno sparse un po' ovunque.


Su una grande bacheca è esposto l'organigramma del resort: ogni membro dello staff è descritto con ruolo, foto e breve biografia personale. Sono almeno una cinquantina di persone: la titolare svizzera, Maya, ha affittato l'isola per cinquant'anni. La maggior parte del personale è locale, ma i posti chiave sono ricoperti da europei: il manager del diving è un giovane francese, il capo di manutenzione e logistica è un giovane tedesco, l'uomo del marketing, Joram appunto, è svizzero.
Siamo indecisi se fermarci un altro giorno, il posto meriterebbe davvero una sosta più lunga … decideremo domani, in base al tempo…

NOTE PRATICHE PER I NAVIGATORI
L'accesso a Pulau Pef è da SW; la cartografia Navionics e C-Map è senza dettagli ed errata in quanto a posizione, buona invece l'immagine satellitare di Bing su Sas Planet. L'area di ormeggio per il resort è ad est dell'isola, in un fiordo visibile solo sulla mappa satellitare: c'è buona visibilità e l'accesso non presenta alcuna difficoltà, i fondali sono profondi fino alla fine del fiordo.
Il resort offre (a pagamento) due  boe (0°26.573'S 130°26.602'E).  La parte ovest dell'isola non è adatta all'ancoraggio, perché i fondali sono molto bassi vicino alla spiaggia, e diventano eccessivamente profondi oltre il reef.

La guida diving di Pef ci ha segnalato alcune località da loro frequentate per snorkelling e diving: a) il reef davanti al resort; b) la costa nord di Gam fino alla punta Ombra; c) il canale di Kabui; d) la costa nord delle isole di Yanggelo e Gam, in prossimità del canale che le separa (tale canale è ampio e profondo, navigabile in sicurezza e con diversi possibili punti di ancoraggio, fondale minimo sul lato nord 9-10 metri).