giovedì 14 luglio 2016

ALOTAU

10°18.548'S 150°26.998'E
Lasciata Hemoe Bay la mattina di mercoledì 6 luglio, attraversiamo con cautela le prime 6 miglia di area non rilevata ("not surveyed"), usciamo dalla barriera e facciamo rotta su Alotau, porto di entrata in Papua Nuova Guinea.  Abbiamo il vento al lasco, leggero ma sufficiente per navigare a vela fino a destinazione.
Alotau sia affaccia su Milne Bay, grande e profonda baia ad est della Papua; alle 14.40 chiamiamo al VHF il Port Control, che ci autorizza ad ancorare in prossimità dell'Alotau International Hotel. Sulla cartografia elettronica è segnalato un Airways Wharf, che in realtà è un bar/discoteca, pertinenza dell'hotel, con una terrazza che si prolunga nella baia. Le profondità sono elevate, ma al centro della piccola baia si riducono a 16-17 metri, con fondo di sabbia/fango (10°18.548'S 150°26.998'E).

Per scendere a terra col dinghy si può usare lo scivolo privato dell'hotel, subito ad ovest del bar/discoteca; ci sono agenti di sicurezza 24 ore su 24, e attraversando l'hotel si accede alla via principale della cittadina.
Il pomeriggio stesso iniziamo la trafila per le pratiche di ingresso: gli uffici di dogana e immigrazione si trovano, uno di fronte all'altro, al primo piano di una costruzione dall'altra parte della strada (circa 200 metri a sinistra del cancello dell'International Hotel). Entriamo prima in dogana, dove veniamo ricevuti da Mattew: con fare cortese ci  sospinge fuori dall'ufficio, dicendo che  prima di tutto occorre vedere gli agenti della Quarantena (per la salute delle persone a bordo) e della Biosecurity (per lo stato di "salute e pulizia" della barca). Questi uffici si trovano al porto commerciale, ma lui può accompagnarci con la sua auto. Prima di salire in macchina, si fa consegnare la Clearance delle Solomon, la crew list e una fotocopia del documento di registrazione di Refola. Restiamo un po' sorpresi da tanta gentilezza e disponibilità...
Con l'ufficio della Biosecurity facciamo presto, compiliamo un modulo e ci accordiamo di portare i 56 kina dovuti (circa 20 €) l'indomani, dopo essere andati in banca; più lunga è invece l'attesa della signora Judith, che dovrà attestare il nostro stato di salute. Per aspettarla Mattew ci conduce nel suo secondo ufficio, accanto alla Capitaneria: due sedie sgangherate, pile di carte per terra, una scrivania simile ad un piccolo banco di scuola. Dopo una buona mezz'ora finalmente ci raggiunge Judith, che ci guarda, dice che stiamo bene, ci autorizza ad ammainare la bandiera gialla: domani mattina dovremo recarci nel suo ufficio, poco distante, pagare 50 kina e ritirare la "Health clearance".
Ritornando in macchina verso l'International Hotel, Mattew ci comunica che a lui dobbiamo pagare 150 kina (50€). "Ok – diciamo noi – domani preleviamo e te li portiamo in ufficio". "Ma no – fa lui – vi  accompagno io in banca, così mi pagate subito".
Qui la cosa comincia a puzzare, ma ormai siamo in ballo, e facciamo buon viso.
Ci porta in due banche diverse, perché non riusciamo a prelevare: le nostre carte di credito in certi paesi sono bloccate ed occorre attivarle o dal sito internet della banca o con una telefonata all'assistenza clienti. Mentre diciamo a Mattew che deve rassegnarsi ad aspettare domani per l'incasso, ricevo una telefonata dall'efficientissimo servizio di assistenza clienti di Fineco, che in pochi minuti mi sblocca la carta di credito. Procediamo al prelievo, mentre Mattew è sempre in macchina ad aspettare … ci riaccompagna all'International Hotel (notare che tutti questi giri, insieme, fanno un paio di kilometri) e quando gli porgo le due banconote da 100 kina, restando in attesa del resto, il nostro amico con semplicità ci dice che ha messo a disposizione l'auto, ha fatto telefonate per noi, ci ha fatto da agente, quindi il resto è mancia...
Siamo perplessi, anche un po' incazzati; Lilli nel registrare le spese scrive: 150 kina tassa doganale, 50 kina furto doganale. Ma il meglio deve ancora venire...
L'indomani Lilli, a piedi, fa il giro degli uffici Quarantena e Biosecurity: paga e riceve regolare quietanza. Sulla strada viene intercettata da Mattew il quale, alla richiesta di ricevuta  per il pagamento del giorno prima, un po' contrariato chiede: "Ma la vuoi proprio? A che ti serve?" Lilli è incredula e risponde: "Sempre, quando paghiamo una tassa, ci viene rilasciata la ricevuta!". Riluttante,  Mattew la porta nel fatiscente ufficio del porto e in un'unica copia, su un foglio di carta scrive di suo pugno: "Pagamento di 150 kina , per agente doganale a disposizione". Ora è tutto chiaro: i soldi se li è intascati lui! (al ritorno in barca, Lilli correggerà la registrazione delle spese: 200 kina furto doganale).
A rasserenarci un po' sulla burocrazia locale provvede Ivan, ufficiale dell'immigrazione: molto gentile, ci dice che il visto di ingresso si può ottenere unicamente alla capitale, Port Moresby (dove noi non andiamo), ma che non dovremmo avere alcun problema se la nostra permanenza in Papua sarà di 30 giorni. Se dovessimo andare oltre questo limite, basterà avvisare un qualunque ufficio immigrazione. Allo scopo, ci fornisce il suo biglietto da visita di servizio, con n. di cellulare e e-mail, ed anche il numero di cell del suo collega di Vanimo. Il tutto sorridendo e senza chiederci una kina: grazie Ivan, ci hai davvero risollevato il morale!
Dedichiamo il resto della giornata alla cambusa; la maggior parte dei negozi sono concentrati a due passi dall'International Hotel: tre grandi supermercati, l'immancabile "hardware" cinese , farmacia ed empori con casalinghi e abbigliamento; poco distante, vicino alla stazione degli autobus, il mercato ortofrutticolo.
Non riusciamo a ricaricare le nostre bombole camping gas; in taxi siamo andati al distributore  principale, a circa 4 km dalla città, ma qui usano attacchi australiani per i quali non abbiamo un adattatore, speriamo di essere più fortunati in Indonesia.
Gli "autobus" sono camion, con il cassone attrezzato con panche e telone di copertura, che coprono le lunghe distanze; per la città e dintorni ci sono i soliti minibus (furgoncini) collettivi.

Il servizio telefonico e internet è ottimo, acquistiamo una sim-card Digicel: 100 kina (circa 35€) per sim-card, 1,5 giga di traffico dati per un mese e un po' di credito telefonico locale.
Un giorno dopo di noi, arriva un'altra barca a vela: è un evento, in questi mari così scarsamente frequentati dai velisti. È un ketch con bandiera inglese, cala l'ancora proprio accanto a noi e ci chiama poco dopo al VHF, per avere alcune informazioni sulle pratiche di ingresso.  Invitiamo Douglas (questo è il nome dell'unica persona a bordo) per un aperitivo su Refola; è un personaggio particolare, tipico inglese, e marinaio con la M maiuscola: ha lavorato come  comandante di grosse navi da diporto, girando mezzo mondo; ora, con meno impegni di lavoro, naviga per lo più da solo, sulla sua barca "Cavatina"; la moglie lo raggiunge a periodi, per una vacanza; è arrivato dall'Australia ed è diretto a Singapore.
La sera dopo lo invitiamo a cena: ci mostra alcune fotografie delle navi che ha comandato e della sua "casa", una "house-boat" di cui ha fatto costruire lo scafo, provvedendo in proprio all'allestimento interno. La tiene sul Tamigi, poco distante da Londra. Parliamo anche del recente referendum nel Regno Unito, per l'uscita dalla Comunità Europea; lui, tramite la moglie, ha votato "exit", i figli "remain". Una serata piacevole.
Purtroppo, prima di lasciare Alotau, abbiamo bisogno della clearance doganale, che dimostri il nostro ingresso in Papua Nuova Guinea: per evitare di ricapitare nelle grinfie di Mattew, Luciano ed io passiamo dall'ufficio Custom in città chiedendo se possiamo ritirare lì il documento. Purtroppo, ci dicono che dobbiamo rivolgerci proprio a lui (d'altra parte, oltre ai nostri soldi, ha anche i nostri documenti). Tanto per avere conferma dei nostri sospetti, chiedo se è prevista una tassa per la dogana: "Assolutamente no!" è la risposta. "Ma noi abbiamo pagato 200 kina a Mattew..."  butto lì; il suo collega fa un sorriso molto eloquente ... ok, ricevuto, e per evitare che la cosa prenda una brutta piega aggiungo "Beh, probabilmente abbiamo pagato un servizio".
Nel pomeriggio Lilli ed io, previo appuntamento telefonico, andiamo da Mattew al suo "ufficio" del porto per ritirare il permesso di navigazione: è venerdì pomeriggio. "Quando volete partire?" ci chiede. "Sabato, appena terminata la spesa" dice Lilli, già immaginando che ci avrebbe chiesto soldi per una partenza domenicale. Mattew compila la clearance, e ci chiede 50 kine.
A questo punto Lilli perde le staffe ed eccedendo un po' nei toni, risponde che non dobbiamo proprio nulla, che abbiamo pagato la sua gentilezza a sufficienza etc etc. Lui si incazza a sua volta, si riprende la clearance e ci minaccia: "Bene, allora quando siete pronti per partire, chiamatemi, io verrò al molo dove verrete a prendermi col dinghy, compilerò la clearance a bordo e poi mi riporterete a terra. Naturalmente ci sarà un supplemento da pagare...".  Nella discussione, che stava davvero per trascendere, viene fuori che lui sapeva della nostra visita del mattino all'ufficio in città, e forse aveva ricevuto qualche tirata d'orecchio. Prima che Lilli gli metta le mani addosso,  con il mio maccheronico inglese provo a dirgli "Senti, sei stato molto gentile a scarrozzarci in giro, per questo ti abbiamo già dato 200 kine; non pensi sia abbastanza? perché rovinare tutto?". Dopo qualche attimo di esitazione, finalmente, Mattew molla la presa: "Va bene, c'è stato un malinteso, tutti abbiamo parlato troppo, prendete la clearance e andate". Forse timoroso di una nostra nuova visita all'ufficio in città, più volte ci stringe la mano, continuando a blaterare sul "malinteso".
Questa la nostra esperienza, peraltro simile a quella fatta tre anni fa dagli amici di A-Gogo: per chi ci dovesse arrivare in questa località, consiglio di evitare se possibile i servigi di Mattew!
Sabato 9 luglio, dopo aver comprato ancora un po' di provviste, decidiamo di spostarci di circa 2 miglia ad ovest di Alotau, in una piccola baia in prossimità del Driftwood Resort; il posto ci è stato segnalato dagli amici di A-Gogo, che nel 2013 vi hanno trovato una buona accoglienza.
Il nostro programma è di restare fino a lunedì mattina, per poi tornare ad Alotau a completare la cambusa di birra e vino (il cui acquisto è vietato dal venerdì alla domenica).
Nella baia i fondali sono profondi 30 metri; una simpatica e bella ragazza che sembra fare da manager ci fa segno di accostare all'inglese al grande pontile. In bassa marea, alla minima, ci sono 2 metri di acqua, e noi infatti sfioriamo con la chiglia il fondo di  sabbia.

Il posto è piacevole. Chiediamo se  si paga per l'ormeggio, "Devo chiamare il titolare, che non è qui, vi farò sapere" dice la manager. Verso le 16, Lilli ed io andiamo al ristorante del resort, leggiamo il menù, già pregustando una cenetta davanti alla barca; chiediamo alla ragazza se ha parlato con il titolare: "Ehm, sì, sono 200 kina a notte (circa 70€)...". "Mi sembra una cifra esagerata - dico io - se vi va ceniamo qui, con l'ormeggio gratis, altrimenti ce ne andiamo". "Provo a risentire il titolare". " Faccia presto perché non vogliamo ripartire con il buio".
Passano 30 minuti e la risposta non arriva: leviamo gli ormeggi, la manager ci saluta da lontano con un sorriso, come dire "Pazienza!", ma noi, forse condizionati dall'esperienza con Mattew, abbiamo l'impressione che ci abbia provato.
Torniamo ad Alotau: il nostro posto di ancoraggio è ancora libero, lo occupiamo fino a lunedì mattina, quando ripartiamo per la prossima tappa.