sabato 12 agosto 2017

Ritorno a Pangkor

Domenica 6 agosto salpiamo da Ko Lipe diretti a Langkawi. Il vento è praticamente assente, 5-7 nodi da sud, dritti sul naso: diamo motore, ma almeno l’apparente sui 10-12 nodi ci rinfresca. Alle 15.30 siamo al nostro marina preferito, il Langkawi Royal Yacht Club.
L’indomani, per prima cosa, espletiamo le pratiche d’ingresso in Malesia. Di nuovo ci rivolgiamo per affittare un’auto al nostro “amico” Stanley. “Potresti darcene una un po' meglio dell’ultima volta, ma allo stesso prezzo?” gli chiedo. “Ok, vi accontento” risponde Stanley sorridendo. In effetti all’apparenze la “nuova” macchina fa una migliore figura, i finestrini elettrici funzionano, il tachimetro pure e l’accelerazione è migliore, ma il cruscotto ha alcune spie accese, di cui ignoriamo il significato, speriamo in bene…
Questo ritorno a Langkawi è dovuto sostanzialmente alle formalità burocratiche. Ci siamo però ripromessi di approfittare del duty free che non chiede passaporto per iniziare la scorta di vino e birra per la prossima stagione, e anche di comprare un po’ di carne nel negozio Sailor’s Sausage, per tastare se sarà il caso, nel 2018, di rifornirci qui [ad assaggio avvenuto, confermiamo che carne e salsicce sono buonissime: http://www.sailorsupplies.com/].
Ci resta una mezza giornata da dedicare al turismo, e decidiamo di andare alla Langkawi Cable Car, un’impressionante cabinovia che sale sulla Machinchang mountain, a nord ovest di Telaga. La giornata che era iniziata nel sole e con un bel cielo sereno, nel primo pomeriggio purtroppo perde punti: il cielo si annuvola progressivamente sempre più, facendoci perdere buona parte delle vedute panoramiche.
La visita risulta comunque interessante perché col biglietto della cabinovia si può accedere ad altre attrazioni presenti alla base dell’impianto; viaggi virtuali in 3D (sulle montagne russe, nell’era preistorica) e quello che abbiamo apprezzato di più, il 3D Art Langkawi. Un grande padiglione con più di cento opere, con effetti tridimensionali, realizzate da diversi artisti internazionali. Il padiglione è organizzato per temi: Aquarium, Safari, Egypt, Optic Illusion… Nella sezione Classic painting, quadri famosi sono riproposti con varianti spesso di grande effetto e ben realizzati. I dipinti, spesso di colori brillanti, non si limitano alle pareti verticali ma si estendono al pavimento e al soffitto, creando illusioni ottiche di rilievo. Bravi!

Ovviamente tutto intorno è pieno di negozi di souvenir, ma il posto è talmente grande che non c’è troppa ressa. Abbiamo mangiato bene (indiano) e a prezzi modici.
Giovedì 10 agosto alle 9.00, dopo il rifornimento di gasolio effettuato questa volta comodamente in banchina, lasciamo Langkawi diretti all’isola di Bindan.
Navighiamo a motore, sempre per assenza di vento. Nel pomeriggio però, quando stiamo per arrivare all’ancoraggio prescelto, si alza un venticello da W, sui 10 nodi, che prendiamo al traverso. Sono le 15.30 e abbiamo anche la corrente a favore: decidiamo di saltare l’ancoraggio notturno e proseguire a vela fino a Penang, che dista 21 miglia.
Vi giungiamo alle 18.30 ed ancoriamo all’interno dell’area segnalata sul plotter, appena a sud del porto dei traghetti di Georgetown; fondale di sabbia-fango con ottima tenuta, 8-9 metri (5°24.457’N 100°20.546’E). Intorno a noi alcuni grossi pescherecci, ma c’è ampio spazio per stare alla ruota.
L’indomani appena fa luce ci prepariamo a salpare (abbiamo già avuto, non molto lontano da qui, l’esperienza di dover lavare la catena metro su metro) per una tappa discretamente lunga, sulle 65 miglia.
Fortunatamente la catena non richiede un lavaggio troppo impegnativo e salpiamo velocemente: alle 7.10 siamo già nel canale in direzione sud. Non c’è vento, avanziamo a motore, ma la corrente contraria non ci permette di superare i 5 nodi e mezzo di velocità, naturalmente al regime di risparmio di 1950 giri/min.
Finalmente verso mezzogiorno la corrente si inverte e diventa a favore, e vi si aggiunge anche una brezza da W-NW sui 10 nodi, che ci fa viaggiare a 7,5-8 nodi; alle 17 siamo all’altezza della piccola isola di Madang, la nostra meta odierna. Vista la levataccia del mattino, non mi azzardavo a proporre a Lilli un altro proseguimento. Rimango piacevolmente sorpreso quando è proprio lei, dopo aver consultato il plotter, a chiedermi: “Ma non ce la facciamo ad andare avanti fino a Pangkor?” Bravo il mio secondo! “Certamente -  le rispondo - mancano 16 miglia, in 2 ore siamo arrivati, ancoriamo fuori dal marina e sicuramente staremo meglio di qui, dove si rolla abbastanza”.
Così anche questa volta prolunghiamo la tappa giornaliera. D’altra parte, la nostra vacanza è praticamente finita a Ko Lipe, ora siamo in trasferimento e vogliamo arrivare in fretta per completare alcuni lavori, in primo luogo il motore del dissalatore da 220 V che dopo la partenza da Phuket a smesso di funzionare.
Alle 19.10 ancoriamo fuori dal Pangkor Island marina, giusto in tempo per non essere ricoperti d’acqua dal grosso temporale che ci seguiva da un po’. Dopo aver percorso 80 miglia in 12 ore, caliamo l’ancora su 3-4 metri, fondo sabbia-fango, ottima tenuta (4°12.803’N 100°35.549’E).
Siamo tornati alla base, la stagione di navigazione 2017 è finita. Un brindisi, una pasta e a nanna.

sabato 5 agosto 2017

Ko Lipe

Durante la notte che passiamo a Ko Butang siamo stati circondati da temporali, con tuoni e fulmini abbastanza vicini, qualche raffica di vento sui 20-25 nodi non ci ha impensierito più di tanto, le acque restano sempre calme e 70 metri di catena su un fondo di 20-22 ammortizzano bene il brandeggio.
Sabato 5 agosto la giornata si apre con il cielo sereno; decidiamo di spostarci di 8 miglia, a nord di Ko Lipe, nello stesso ancoraggio dove ci eravamo fermati quando eravamo diretti a Phuket. Abbiamo ancora credito internet thailandese, e vogliamo sfruttare le grosse antenne di Ko Lipe. Nel caso l’ancoraggio non fosse sufficientemente riparato, pensiamo, possiamo sempre tornare a Ko Butang.
In effetti il canale a nord di Ko Lipe è più esposto al SW, ma l’onda è calata di molto; solo nella mezz’ora di stanca Refola si traversa all’onda e rolla un po’, ma tutto sommato l’ancoraggio è accettabile (6°29.893’ N 99°18.067’E), su fondo sabbioso di 10-12 metri.
Siamo fortunati perché l’ultima sosta in terra Thailandese, in acque limpide, si svolge in una bella giornata di sole: facciamo snorkeling sui reef vicino alla costa, facciamo una passeggiata sulla spiaggia (come veri turisti).



In qualche modo abbiamo la sensazione che sia il nostro ultimo giorno di vacanza: quando saremo partiti da qui, infatti, i bagni nelle acque malesi non sono certo invitanti.
Ko Lipe è la più piccola del Butang Group ed è la più abitata o meglio occupata da numerosi resort; quelle che quando siamo passati all’andata pensavamo essere barche di pescatori sono in realtà taxi-boat locali, con il caratteristico lungo asse elica che fa da timone e da bilanciere al motore esterno.
Domenica 6 agosto salpiamo da Ko Lipe per una tappa di 38 miglia che ci riporterà a Langkawi, che avevamo lasciato il 22 luglio.
I 15 giorni passati in Thailandia ci hanno permesso di farci un’idea di questo paese, soprattutto sotto l’aspetto nautico.
Il golfo di Phuket offre numerosi ancoraggi riparati sia per la stagione invernale, più secca, con il monsone di NE, che la stagione estiva, più umida con il monsone di SW; le acque sono generalmente pulite ma più o meno intorbidite dalla sospensione; per i rifornimenti di articoli nautici si trova tutto in stock o con massimo 4 giorni di attesa (a prezzi un po' più cari ad esempio della Malesia); in città si trovano grandi supermercati, mentre piccoli negozi sono presenti un po’ ovunque; la cucina thailandese è varia e ricca, i prezzi economici.
Abbiamo trovato quasi sempre persone gentili e disponibili ma forse l’elemento che ci ha maggiormente colpito, e in un certo senso raffreddato, è il denso turismo. Sarà forse perché abbiamo visto solo Phuket e qualche isola minore, ma per qualche motivo il fenomeno ci è sembrato più evidente qui che altrove (pensiamo a Bali, per esempio). O forse il fatto è che abbiamo ancora nel cuore la vita semplice dei villaggi del sud pacifico…

venerdì 4 agosto 2017

Ko Rok Nai e Ko Butang

Giovedì 3 agosto lasciamo Phi Phi Don diretti a Ko Rock Nai, il parco dove abbiamo già ormeggiato prima di arrivare a Phuket, con una variante: sul percorso, con una piccola deviazione verso sud, c’è un gruppetto di isole, le Ko Ha Yai, denominato “le 5 isole”. Il portolano South East Asia Pilot ne parla come di un eccellente sito per il diving e comunque come un’irrinunciabile sosta, anche se di poche ore visto che offre una scarsa protezione; è un ancoraggio diurno, da bel tempo.
Col vento da SW sui 15-18 nodi, viaggiamo spediti e alle 11.30 siamo già alle 5 isole; purtroppo tutti gli ancoraggi segnalati sul portolano sono esposti, peccato perché il posto è veramente suggestivo.
Scattate un paio di foto, riprendiamo la nostra rotta.
Alle 13.45 siamo a destinazione; nella baia hanno trovato riparo molte barche da pesca, oltre ad un catamarano arrivato poco prima di noi ed un’altra barca a vela che sopraggiunge poco dopo. Prendiamo la stessa boa gialla di 10 giorni fa e dopo aver pranzato ci concediamo un meritato riposo. Riposo si fa per dire, perché il rollio è molto più forte della volta precedente; rimandiamo all’indomani un’eventuale escursione a terra ed il bagno sul reef, sperando che le condizioni meteo migliorino.
Abbiamo conservato un po' di valuta thailandese per eventualmente pagare la tassa del parco, ma anche questa volta nessuno viene a riscuotere; meglio così, i bath andranno a incrementare la raccolta di banconote e monete straniere del papà di Lilli.
Passiamo la notte in “lavatrice” per il continuo rollio. Il mattino il cielo è coperto ed il vento è aumentato, sui 20 nodi; non ci sembra proprio il caso di restare qui a sorbirci altre 24 ore di sballottamento, quindi alle 8.25 salpiamo con destinazione Butang Group, circa 45 miglia a ESE.
Una tappa non troppo lunga, ma che ricorderemo: appena siamo fuori dalla copertura dell’isola il vento aumenta a 25 nodi da SW. “Bene - ci diciamo - arriveremo in un baleno!” Avanziamo infatti veloci, di bolina larga, per circa un’ora, quando la situazione diventa un po’ meno divertente. Il cielo è sempre più scuro, il vento rinforza a 30 nodi con raffiche a 35, ma soprattutto gira verso sud!
Riduciamo le vele e teniamo duro, sperando che passi in fretta (anche se nel cielo non appare alcuno spiraglio, nemmeno in lontananza); nel frattempo comincio a pensare ad un atterraggio alternativo. Tenere la nostra rotta di 120° è impossibile, continuamente costretti a poggiare siamo ormai di bolina e 30° fuori rotta. Per non farci mancare niente, comincia una pioggia fitta ed incessante come non avevamo visto finora ed anche il mare si alza velocemente con onde che ci prendono al traverso, le più toste sui 4 metri. “Ecco - mi son detto - questo è il monsone di SW, non sono molto lieto di conoscerti, ma prima o poi doveva succedere”. Dopo un paio di straorzate dovute ad onde particolarmente poco gentili, disattivo il pilota automatico e mi metto al timone.
Lilli che sta cercando di farsi piacere questo oceano Indiano (che in realtà la terrorizza) si rilassa un pochino e mi dice: “Tu sei più bravo del pilota!”. “No - le rispondo - è che lui non vede le onde e non può anticiparle…”
Dopo circa un’ora in queste condizioni il vento cala sui 20 nodi. Ancora una volta proviamo quella strana e piacevole sensazione di aver superato un momento impegnativo. È strana, perché gli stessi 20 nodi che ti mettono in allarme quando ti colgono all’improvviso, costringendoti a ridurre un po’ le vele, sembrano proprio niente quando invece ritornano dopo aver superato i 30 e magari i 40. Sono sempre 20 nodi, ma li si vive in modo del tutto diverso! Questo è un aspetto della vela che lascia Lilli ogni volta incantata.
Non facciamo in tempo a rilassarci del tutto (il pilota automatico è tornato al lavoro, lascio Lilli di guardia e comincio ad imbastire il pranzo) quando vediamo un altro, nero ed estesissimo, fronte in arrivo. Questa volta però viene da NW e il vento non va oltre i 25 nodi: ci carica di pioggia, ma in compenso ci permette di correggere la rotta riportando la prua sul nostro obiettivo.
Verso mezzogiorno il vento è ormai calato sui 7-8 nodi, ma l’onda è rimasta; diamo motore con la randa aperta, per limitare il rollio.
Alle 15.30 imbocchiamo lo stretto passaggio tra Ko Rawi e Ko Butang.
Ancoriamo in acque ferme e trasparenti su un fondale sabbioso sui 22 metri (6°31.719’N 99°10.561’E). Nell’ansa che abbiamo scelto, a nord di Ko Butang, ci sono altre tre piccole barche a vela, mentre numerosi pescherecci sono ancorati in mezzo al canale.

Finalmente, terminate le manovre e rimessa in ordine la barca, la tensione si allenta, l’adrenalina torna a livelli normali e resta la soddisfazione di aver raggiunto un riparo sicuro, dopo una giornata impegnativa ed incerta. Ci premiamo con un bagno ristoratore ed un gin tonic, brindando a questo primo assaggio dell’oceano Indiano.

giovedì 3 agosto 2017

Phi Phi Don

Dopo esserci fatti cullare per due giorni da un dolce brandeggio nella tranquilla rada di Ao Yon, martedì 1 agosto di buon mattino torniamo ad ancorare nella caotica baia Chalong, per fare le pratiche di uscita.
Poiché siamo in lieve anticipo, facciamo un salto in "città" per comprare il pane; restiamo nuovamente colpiti dall'incredibile via vai di turisti: molti, diretti alle spiagge con le "speedy taxi boat" escono già dall'albergo indossando il giubbetto salvagente rosa shocking; altri lo possono prendere (gratis?) all'inizio del molo, prima di imbarcarsi. C'è bassa marea e vediamo divertiti decine e decine di formichine rosa (i giubbetti) salire sulle barche dalla spiaggia, senza neanche bagnarsi i piedi.


Ripercorriamo poi la trafila burocratica: registrazione online della nostra partenza, Harbour Master, Immigrazione, Dogana. Tutto semplice e professionale come all'arrivo: in mezz'ora abbiamo la  "Clearance" (foglio di via). Abbiamo pagato 90 bath di fotocopie, 100 bath per Harbour Master, 200 bath per l'immigrazione e 200 bath per la Dogana, in totale 15,38 €; Lilli è convinta dice che i 200 bath dell'immigrazione non erano dovuti (in effetti a differenza degli altri il poco affabile addetto non ci ha rilasciato ricevuta), ma non mi sembra il caso di recriminare...
Alle 10.30 salpiamo con destinazione Phraya a 26 miglia, vento da SW sui 15-17 nodi, al gran lasco per la nostra rotta; teniamo randa e genoa pieni, il mare è discretamente formato con un'onda tra 1,5 e 2,5 mt.
Verso le 13.30 siamo già a destinazione; la baia ad ovest di Phraya è però impraticabile, il mare vi entra diretto e non offre alcun riparo. Non a caso è completamente deserta. Fabio doveva averla visitata in condizioni molto diverse, visto che il suo consiglio era: "Bisogna arrivare tardi, quando le barche turistiche se ne sono andate, per trovare una boa libera".
Proseguiamo per 3 miglia a nord verso Phi Phi Don. Il mare nel canale tra Phraya e Phi Phi Don è incrociato con onde corte e ripide, probabilmente per effetto della corrente di marea contraria all'onda. Siamo sballottati ben bene, ma dura poco: una volta entrati nella baia sud di Phi Phi Don, Ton Sai Bay, il mare si placa. Voltandoci indietro osserviamo che anche il lato est di Phraya è calmo ma Lilli, chissà perché, trova più invitante Phi Phi.
Ton Sai Bay è più profonda nella parte occidentale, dove il "Marine Dipartiment" ha posizionato, ad intervalli regolari, numerose grosse boe gialle ad uso degli yachts; la parte orientale della baia è bassa, con un esteso fondale ridotto; la parte centrale, vicino al molo dei traghetti, è invece occupata da boe private, taxi boat e barche del turismo locale.

Piuttosto che ancorare più vicino a terra ma esposti al gran traffico di barche e traghetti, prendiamo una boa gialla che all'ispezione risulta ampiamente affidabile: la cima è in buono stato e di diametro adeguato, il fondale è 13 metri (7°43.699'N 98°46.197'E).
Siamo ben riparati: nonostante fuori il vento sia da SW, sempre sui 15-20 nodi, al nostro ormeggio arrivano 10 nodi da nord, giusto per arieggiare le cabine e stare al fresco; solo qualche isolata raffica arriva sui 18 nodi, accompagnata da uno scroscio di pioggia che dura pochi secondi.
Viste le condizioni tranquille, decidiamo di fermarci per una giornata. Il mattino seguente andiamo a terra, lasciando il dinghy sulla spiaggia vicino al molo, naturalmente lucchettato; c'è anche qui un gran via vai di barche da turismo e dato che c'è un solo piccolo punto di imbarco, le barche si avvicendano velocemente nelle operazioni di carico/scarico clienti.
La piccola cittadina, che vive di solo turismo, è interamente pedonale: nelle strette e caratteristiche viuzze si susseguono uno dietro l'altro negozi di souvenir, bar, ristoranti, agenzie di diving, hotel. All'apparenza, sembra un turismo però più di élite rispetto quello visto a Chalong.

Capitati inconsapevolmente nella Capri thailandese ci cucchiamo questo "bagno di folla", acquistiamo pane e frutta, un po' di credito per internet, pranziamo ad un ristorante (turistico) sulla spiaggia nord ed un po' stressati ritorniamo in barca.
Ancora una volta ci ritroviamo ad osservare come i posti molto frequentati ci incuriosiscano per un momento, per poi stancarci velocemente … e ci rendiamo sempre più conto di quanto siamo fortunati ad essere liberi di girovagare a piacimento, vincolati solo dal tempo, e dal mare.