domenica 28 giugno 2015

Maewo (Asanvari Bay) e Ambae (Vahine Bay)

15:16.61S 167:58.45E

Martedì 23 giugno proseguiamo la nostra marcia di avvicinamento a Luganville, con una tappa di 13 miglia fino alla vicina isola di Maewo, anche questa, come Pentecoste, lunga e stretta, orientata longitudinalmente.
Appena fuori dalla baia di Loltong, il vento da SE sui 15-18 nodi, che rinforza a 18-22 tra le due isole, ci spinge velocemente alla nostra destinazione, Asanvari, il villaggio più meridionale di Maewo. La baia è riparata, anche da sud, da una punta che si estende circa un miglio verso ovest.
Alle 11.00 diamo ancora su un fondale di 17 metri, con poca sabbia e tanti coralli, davanti alla spiaggia (15°22.576'S 168°08.816'E); caliamo 70 metri di catena e l'ancora, alla prova della retromarcia, tiene.
Come d'abitudine, mi tuffo ugualmente in acqua per verificare e vedo che l'ancora è posizionata ai margini di una macchia di sabbia e la catena passa sopra ad alcune croste coralline poco elevate dal fondo; proseguo la mia esplorazione dei dintorni e mi rendo conto che il fondale sabbioso sui 10 metri, descritto dal portolano, si trova circa 100 metri più ad est, dove peraltro è ancorata un'altra barca. Ci sono anche due gavitelli; controllo quello più ad ovest: pur avendo una grossa cima fissata ad una catena sul fondo, non dà troppa affidabilità, il cavo è pieno di incrostazioni ed ha l'aria di non vedere manutenzione da molti anni.
Vista la profondità del nostro ancoraggio, rifletto se sia più opportuno spostarci più ad est, ma tenendo conto che la cartografia elettronica su Navionics ed Open CPN è carente, che la foto satellitare che vediamo su SAS Planet non ha un dettaglio adeguato, che l'ancora tiene e la nostra sosta sarà breve, decido di restare dove siamo.

Per andare a terra c'è un piccolo dinghy passage, che secondo la guida dovrebbe essere segnalato da una boa nera, che però non c'è. Il passaggio tra i reef è comunque ben visibile, se non si ha il sole in faccia, e punta perpendicolare alla costa all'inizio della spiaggia, sul lato est.
Quando atterriamo ci riceve Iris, il cui padre aveva avviato uno Yacht Club, purtroppo gravemente danneggiato dal ciclone del marzo scorso; ora ne stanno costruendo uno più grande, ma i lavori vanno a rilento, probabilmente per mancanza di soldi.

Iris ci accompagna da Erika, una simpatica giovane signora che oltre ad essere madre di 3 bambini gestisce una piccola guest house con un piccolo ristorante. Erika si propone come nostro “Tour Operator”: ci farà da guida e cucinerà per noi. Decidiamo di spendere così gli ultimi vatu che ci rimangono: gita alla cascata sulla collina, pranzo al ristorante, pane fresco da portare in barca, il tutto per 4000 vatu (circa 36€).

Facciamo una passeggiata fino alla costa sud, esposta al vento e all'onda; poco distante si vede l’isola di Pentecoste.



I sentieri del villaggio (qui non ci sono strade, non ci sono veicoli di nessuna natura) sono curatissimi, delimitati da piante che noi diremmo ornamentali ma che qui sono estremamente comuni. Anche le capanne hanno un aspetto pulito e ordinato, molto più che altrove.

Ad un certo punto del nostro giro incontriamo tre ragazzine appena uscite da scuola, che attaccano discorso e ci accompagnano per un tratto. Notiamo che una di queste cammina tenendo sollevato il tallone sinistro, quando le chiediamo perché ci mostra un taglio di circa 2 cm sotto il piede, che ha da qualche giorno; nonostante ciò, cammina scalza sul sentiero sterrato. Le promettiamo che l'indomani porteremo ad Iris (che è sua zia) il necessario per disinfettare e fare una medicazione con fasciatura protettiva. Ci sorride felice.
Sull'angolo SE della baia c'è una cascata che arriva quasi al mare. Proprio accanto, un simpatico signore di nome Alex ha costruito un ristorante con terrazza, molto curato nei particolari; un posto incantevole, di un tono superiore rispetto a quelli visti finora. Quando arriviamo Alex sta suonando la chitarra davanti alla cascata, ci accoglie e ci racconta che il ristorante è tutto quello che ha (e non è poco, da queste parti).



Per fortuna il ciclone ha distrutto solo il moletto che aveva costruito per facilitare l'accesso con il dinghy. Ci informa sul menù: pollo, gamberi, granchi del cocco, verdure, birra; naturalmente gamberi e granchi vanno ordinati per tempo, non sono sempre disponibili. D'altra parte nel villaggio non c'è elettricità, niente frigo per conservare i cibi, tutto quello che serve si prende al momento e si cucina.
Annotiamo nel nostro libro di bordo il telefono di Alex, per avvisarlo quando torneremo una prossima volta e fermarci a gustare i suoi piatti.
Il giorno seguente consegniamo ad Iris il piccolo kit per la medicazione di sua nipote ed alle 9 siamo puntuali all'appuntamento con Erika, che ci conduce, attraverso un ripido sentiero tra boschi e palmeti, alla cascata. Sulla via del ritorno troviamo un paio di infradito abbandonate (una è rotta), immediatamente pensiamo alla nipote di Iris e le raccogliamo. Prima del pranzo da Erika abbiamo il tempo per fare un po' di snorkelling sulla punta SW della baia, tornare in barca per una doccia e riparare la ciabattina. Altro passaggio da Iris, che sembra gradire il pensiero, e poi al ristorante di Erika, dove a parte la sua gentilezza il cibo è … commestibile!
Giovedì 25 salpiamo per Ambae. Sulla punta nord di quest'isola, a circa 13 miglia da Asanvari, ci sono due ancoraggi: Lolowai Bay e Vahine Bay. Il primo è in una baia, su cui si affaccia il villaggio, quasi totalmente chiusa da un reef; il passaggio di accesso ha un fondale minimo di 2 metri, quindi meglio entrare con l'alta marea; a terra, ma poco visibile, c'è un allineamento per 220° su due triangoli bianchi semi nascosti dalla vegetazione.
Noi preferiamo Vahine, per non aver limitazioni sull'orario di arrivo e partenza; alle 12.00 ancoriamo dietro un alto costone roccioso che ripara da est e ci divide da Lolowai, fondale di sabbia nera sui 6-7 metri, acqua limpidissima (15°16.616'S 167°58.456'E).

Ancoraggio solitario e tranquillo, non ci sono capanne né presenze umane; Lilli nota subito un gran numero di grossi pipistrelli volare in cielo, e comincia ad avere lugubri pensieri. È strano vedere pipistrelli volare di giorno, ma a Vahine si può! Li osserviamo con il binocolo: come se qualcosa li richiamasse, si alzano in volo tutti insieme, svolazzano un po' emettendo i loro verso sinistri, poi di colpo, tutti insieme, ritornano su alcuni alberi, riempiendoli, e si mettono a testa in giù.
Nel pomeriggio aggiriamo con il dinghy il costone roccioso ed andiamo a vedere l'altra baia, Lolowai. È sicuramente molto più protetta, anche a nord, da una serie di scogli, ma l'acqua è meno limpida di quella di Vahine Bay.

Atterriamo davanti alle prime case del villaggio e subito notiamo che non ci sono capanne, ma solo costruzioni in muratura, con tetti in lamiera ondulata.

C'è un supermarket “vero” (che fa anche consegne a domicilio), un magazzino di materiali edili. Per la prima volta, qui alle Vanuatu, vediamo lavori di ristrutturazione e costruzione di case tradizionali, con blocchetti di cemento. Sembra di essere in un altro mondo, rispetto a quello appena lasciato a Maewo, a sole 13 miglia da qui. L'ospedale (dopo l'esperienza fatta da Luciano, andiamo sempre a vedere i presidi sanitari che incontriamo) ha una specie di hall semicoperta dove c'è addirittura un televisore, cosa che non abbiamo visto nell'ospedale di Port Vila! Poco distante, un grande spiazzo attrezzato con una centrale di pannelli solari, un dissalatore con 5 grossi serbatoi di riserva d'acqua, il tutto frutto di cooperazione internazionale (Australia, Nuova Zelanda, Cina).

Non conosciamo le origini di questa “ricchezza”, di sicuro l'isola è anche piena di alberi da cocco, segno che c'è una discreta attività di raccolta della copra; forse questa abbondanza ha creato più benessere alla gente dell'isola e poi, come dice il proverbio, piove sempre sul bagnato. Lilli, più maliziosa e abituata alle vicende di casa nostra, ipotizza che forse il Presidente delle Vanuatu è nato ad Ambae.
Quando rientriamo in barca al nostro ancoraggio solitario, vediamo un branco di pesci tipo sarago saltare fuori dall'acqua per quattro volte, tutti insieme, e poi ripetere l'evoluzione a breve distanza. Secondo noi volevano dirci “Bentornati!”, peccato non aver avuto una telecamera pronta per filmarli.
Con l'imbrunire cessano i voli in stormo dei pipistrelli; strano, dovrebbe essere il momento più proficuo per procurarsi insetti da mangiare. Quando è ormai buio, mi soffermo in pozzetto ad ascoltare i loro versi, più simili a ranocchie che ad uccelli. Mi sembra di distinguere qualche “voce” solitaria a cui altri rispondono in coro, forse c'è una riunione lassù tra gli alberi, forse discutono animatamente … mi viene in mente la commedia “Gli uccelli” di Aristofane … ma la riunione va troppo per le lunghe, per il sottoscritto meglio andare a dormire, domani la sveglia è alle 5, ci aspetta un tappone di 50 miglia fino a Luganville.

giovedì 25 giugno 2015

Pentecost: Waterfall e Loltong

 15:32.68S 168:08.81E

Domenica 21 giugno da Londot (o Wali Bay) ci spostiamo di sole 8 miglia più a nord, a Waterfall Bay, "baia della cascata", ben visibile anche dal mare, a 15 minuti di cammino dalla spiaggia.

In assenza totale di vento (ma per fortuna anche di onda) ci rassegniamo ad un trasferimento a motore, che però è stato ravvivato da una bella pesca alla traina: un wahoo sui 20 chili.

Questa volta facciamo meno fatica; mentre io lo tenevo con il raffio fuori bordo, Lilli gli ha versato nella bocca spalancata mezzo bicchiere di aceto balsamico; il pesce ha smesso di dimenarsi ed è stato più semplice tirarlo in coperta.

Alle 10.15 siamo già a destinazione, ci sono altre 3 barche, gettiamo l'ancora su un fondale di 11 metri, di sabbia e sassi (15°47.112'S 168°09.690'E).

Non appena finito l'ancoraggio, alcuni ragazzini a bordo delle loro tipiche canoe si portano ad una trentina di metri da Refola, ci guardano e sembrano non avere il coraggio di avvicinarsi di più. Li chiamiamo e mostriamo loro la nostra preda: spalancano gli occhi, uno di loro lo riconosce ed esclama "wahoo!!!". "Ti piace, lo vuoi?" chiedo. "Yes yes thank you thank you". Il più piccolo dei ragazzetti, entusiasta, sale a bordo. Lilli ci scatta una foto, il pesce è quasi più alto di lui.

Caricano il wahoo nella piccola canoa e ritornano molto eccitati verso la spiaggia, ripetendoci più volte: "we'll come back" (torniamo).

Circa un'ora dopo tornano con due grosse papaie ed un sacchetto di piccoli peperoni di coltivazione locale; molto contenti li ringraziamo a nostra volta. Ma non basta, nel pomeriggio, sempre in canoa, il piccolo ragazzo torna con il papà, che viene personalmente a ringraziare ulteriormente, porgendoci un casco di piccole banane e due grossi frutti di cui non sappiamo il nome.

Insomma questo pesce ha fatto colpo, e probabilmente si è sparsa la voce nel villaggio; il giorno seguente quando andiamo a terra, troviamo sulla spiaggia un anziano signore che, dopo le presentazioni ed i soliti convenevoli, ci chiede se abbiamo del pesce. "Ne abbiamo pescato uno e lo abbiamo regalato ieri ad alcuni ragazzi" dice Lilli. Il signore sembra dispiaciuto e deluso: "Non l'hanno condiviso", come se questa fosse stata una mancanza ad una regola generale.

Da parte nostra vedere apprezzato questo regalo ci ha dato una grande soddisfazione, e ci siamo ripromessi, con grande gioia di Lilli, che d'ora in poi tutto quello che pescheremo, a parte qualche piccolo pesciolino per noi, lo regaleremo alla gente del villaggio.

Lunedì 22 risaliamo la costa di Pentecoste di altre 17 miglia, fino a Loltong, quasi all'estremità settentrionale dell'isola.

Loltong è l'unica vera baia di Pentecoste, profonda 2 miglia, con una pass tra 2 bassi fondali corallini che la riparano anche dall'onda di risacca, l'ancoraggio è pertanto particolarmente tranquillo e protetto.

Il cielo è coperto e non c'è una grande visibilità; a facilitare l'ingresso c'è però un allineamento

(dal waypoint 15° 32,65 S 168° 07,89 E, grosso modo sull'asse trasversale della baia ) di 70° su due mede triangolari sovrapposte, posizionate sulla spiaggia. Una volta dentro, caliamo l'ancora su 5-6 metri d'acqua; i fondali sono di sabbia con macchie e numerose teste di corallo.

Facciamo un giro a terra. A sinistra delle mede c'è una capanna che funge da Yacht Club, dove (ci ha detto Cristiano passato di qui qualche giorno fa) c'è anche servizio di ristorante, ma che al nostro passaggio era chiuso. Le capanne del villaggio sono molto curate, la gente come sempre gentile ed amichevole, un anziano signore che ci riceve sulla spiaggia, ci invita ad entrare nella sua piccola capanna per mostrarci alcune sculture di legno intarsiato, fatte da lui.

Questa parte dell'isola è ricca di sorgenti; un grosso tubo proveniente da una di queste, sulla collina, distribuisce acqua a tutto il villaggio. Nella nostra passeggiata troviamo tre ragazzine socievoli che ci fanno da guida, ci mostrano una Guest House molto carina ma senza clienti, il campo da calcio, dove tra i ragazzi che giocano a pallone ce n'è uno che indossa la maglia azzurra dell'Italia. Il villaggio dispone di due scuole, una di lingua francese e l'altra di lingua inglese, mentre le attrazioni per i turisti sono la custom dance e una visita alla "caverna del mistero" (Mystery cave") ... noi soprassediamo e rientriamo in barca, abbiamo finito i soldi in valuta locale e dobbiamo arrivare in fretta a Luganville, la seconda grossa città delle Vanuatu, per rimpinguare le scorte e prelevare un po' di moneta locale.

Questa volta niente foto, purtroppo quelle che avevamo si sono perse nel trasferimento dalla macchina fotografica al pc.


domenica 21 giugno 2015

Ambrym (Ranon Ancorage) – Pentecoste (Londot)

15:54.46S 168:11.17E

Mercoledì 17 lasciamo le acque tranquille di Port Sandwich. Uscendo dalla baia aggiriamo ampiamente Planter Point, a NW della quale c'è un basso fondale di 1,8 metri che sulla cartografia elettronica risulta segnalato con una meda, che in realtà non c'è. Percorsa a ritroso la lunga insenatura verso il mare aperto, facciamo rotta su Ambrym, a 30 miglia.
Appena fuori il vento è sui 20-25 nodi da ESE; con genoa ridotto al 50% ed una mano alla randa, di bolina larga, raggiungiamo velocemente la punta SW di Ambrym. Qui, dovendo accostare, abbiamo il vento in prua, anche se meno intenso a causa del ridosso procurato dall'isola. Facciamo dunque un lungo bordo verso NE e alle 14.40 gettiamo l'ancora davanti al villaggio di Ranon su un fondale di sabbia nera sugli 8 metri (16°08.545'S 168° 06.912'E).

Diamo 50 metri di catena, scendo a controllare (l'acqua è limpidissima e la catena risalta sul fondo scuro) e vedo l'ancora completamente insabbiata. Tutto ok, pensiamo, ma verso sera, quando il vento rinforza ed arrivano raffiche sui 30 nodi, sentiamo suonare l'allarme ancoraggio; ora sotto la chiglia abbiamo 20 metri d'acqua... Che succede? Stiamo arando?
C'è buio pesto: in un primo momento penso che forse è necessario rifare l'ancoraggio, poi decido di calare altri 20 metri di catena, che sommati ai precedenti diventano 70, provo la tenuta con la marcia indietro a 2500 g/min e l'ancora tiene. Ciononostante l'allarme suona ancora: aumento il range prima a 120 metri, poi durante la notte a 145: evidentemente l'effetto combinato di vento e corrente porta il raggio di ancoraggio alla massima escursione.
Alle 23 arriva il traghetto, un grosso catamarano che getta l'ancora 100 metri davanti a noi ed arretra fino alla spiaggia per abbassare la plancia direttamente sulla sabbia. A terra c'è un discreto movimento di persone, alcune delle quali dotate di torce; osservo col binocolo le operazioni di sbarco e imbarco, illuminate solo dalle luci del traghetto e dalle torce. Alle 24 il traghetto riprende la sua corsa, tornerà tra una settimana.
Il giorno seguente scendiamo a terra col dinghy. A riceverci sulla spiaggia c'è Jeoffrey, che si era già avvicinato alla barca, in canoa, per salutarci; ci fa da guida nel villaggio e ci presenta la sua famiglia, moglie e 3 bambini, il più grande sui 7 anni.

Jeoffrey ci informa che il villaggio può offrire ai turisti tre cose: la danza custom che viene eseguita nella foresta, a circa 45 minuti di cammino dal villaggio (3500 vatu a persona, circa 32 €), il barbecue sulla spiaggia (1500 vatu a persona, circa 13 €), e un “grande” negozio che vende un po' di tutto. Di norma questo “supermarket” chiude alle 10 del mattino (!) per la pausa pranzo, ma Jeoffrey lo fa aprire appositamente per noi: non c'è nulla di quel che ci servirebbe (verdura, frutta, birra) ma per giustificare il disturbo compriamo 5 coca-cole.
Dal fratello di Jeoffrey acquistiamo una piccola statuetta scolpita su un pezzo di roccia vulcanica, decliniamo invece lo spettacolo di danza perché l'indomani dobbiamo spostarci a Pentecoste. Peccato, dice Jeoffrey, e con orgoglio ci mostra il nuovo tam tam che stanno intagliando da un unico tronco, per accompagnare le danze.

Nel congedarci Jeoffrey ci regala due pompelmi e ci chiede in cambio delle cime; non avendone in sovrappiù, lo contraccambiamo con due rapalà per la pesca alla traina.
Ambrym è soprattutto famosa per il suo vulcano, che si raggiunge con una camminata di 4 ore e mezza all'andata e altrettante al ritorno; in cima c'è anche una “guest-house”, in cui i turisti che desiderano vedere il cratere di notte possono fermarsi a dormire.
Il sentiero per il vulcano parte dal villaggio Ranvetlam, circa un miglio e mezzo più a sud; pur non essendo intenzionati a salire (non siamo grandi camminatori) cambiamo ancoraggio e ci spostiamo nella baia di Ranvetlam, dove ci sono altre tre barche e presto ci raggiunge anche Dreamtime. Gettiamo l'ancora su un fondale di 9-10 metri, sabbia nera (16°09.075'S 168°06.429'E).
Nella notte il vento soffia spesso a 30 nodi, ma la regolarità del brandeggio ci rassicura sull'ottima tenuta dell'ancora.
Venerdì 19 lasciamo Ambrym, per una breve tappa di 16 miglia fino a Londot, nella parte meridionale dell'isola di Pentecoste.
Appena fuori di un miglio dalla copertura di Ambrym, a conferma di quanto avevamo sentito, a tratti, nella nottata, siamo investiti da un bel ventone sui 25-30 nodi. Nel breve tratto tra le due isole il mare si alza a 3-4 metri al traverso, ma Refola filando a 8 nodi di velocità sfugge leggera anche alle onde più insidiose.
In poco più di un'ora siamo già al riparo della costa meridionale di Pentecoste e l'onda quasi per incanto sparisce; alle 12.10 gettiamo l'ancora nella Waly Bay su un fondo sabbioso di circa 10 metri, a circa 70 metri dalla spiaggia (15°54.463'S 168°11.179'E).
Il fondale scende velocemente a 30 metri, perciò bisogna ancorare abbastanza vicino a terra ed assicurarsi di avere spazio sufficiente per girare.
Londot è famosa per il “land diving”, i salti dalle torri. Ogni anno, usando tronchi, rami e liane vengono costruite delle alte torri, con numerosi “trampolini” collocati ad altezze diverse, da cui i saltatori si tuffano a volo d'angelo, lanciandosi nel vuoto con le caviglie legate a robuste liane. Le torri vengono posizionate in zone scoscese, ed il rettangolo di “atterraggio” viene sgombrato da rocce e pietre, il terreno smosso per attutire l'impatto.

Nell'antica tradizione questi salti avevano uno scopo propiziatorio, per assicurare buoni raccolti, oppure venivano svolti come riti di iniziazione per i ragazzi, che dimostravano così il loro coraggio da uomini. Oggi la manifestazione si svolge ad esclusivo beneficio dei turisti (paganti), ma le modalità sono assolutamente le stesse: allora come oggi i salti si svolgono solo nei mesi da aprile a giugno, quando le liane hanno il giusto livello di elasticità (prima sarebbero troppo morbide, dopo troppo secche). Un anziano del villaggio sovrintende alla costruzione della torre, e stabilisce il momento giusto per tagliare le liane. I saltatori devono andare nella foresta e scegliere personalmente le proprie liane, ma poi è l'anziano che determina a che lunghezza devono essere recise, in relazione all'altezza del trampolino ed alla statura del singolo saltatore. Nulla, insomma, è lasciato al caso.
Noi siamo qui proprio per assistere, sabato 20 giugno, al Land diving. Il nostro amico Neville, di Dream Time, è già da giorni in contatto telefonico con Luke Fargo, l'organizzatore, che ci conferma l'appuntamento: alle 9.30 sulla spiaggia.
Ci presentiamo puntuali: Lilli ed io, Neville e sua moglie Catherine, una coppia di australiani con le loro tre bambine. Finalmente, con incedere quasi regale, appare Luke: età apparente 55/60 anni, ci accoglie praticamente nudo, con il pene avvolto in una foglia attaccata ad una cinta, ed un gruppo di foglie variopinte sul fondo schiena. Così abbigliato, lo vediamo dopo qualche istante parlare al cellulare. La domanda sorge spontanea: dove lo teneva sto cellulare, un attimo fa?

Dopo i saluti di rito ci fa strada fin sotto alla torre, e poi si unisce alla cinquantina di persone riunite per la cerimonia. Le donne hanno il seno scoperto ed un gonnellino di paglia, gli uomini indossano solo l'astuccio penico (namba, lo chiamano). Moltissimi i bambini, anche piccolissimi, tutti rigorosamente con il pistolino avvolto in una foglia e attaccato alla cintura.

La torre è alta circa 20 metri ed ha un aspetto imponente. I saltatori sono tutti giovani atleti dal fisico perfetto: salgono al trampolino, dove due assistenti li preparano legando con particolarissimi nodi le liane alle loro caviglie. Come abbiamo detto la misura e l'elasticità delle liane, sono fondamentali per assicurare che non vi siano incidenti.
Mentre la gente del villaggio canta e danza come per infondere coraggio e partecipare al gesto del saltatore, questi sul trampolino inarca la schiena all'indietro, alza le braccia al cielo, dice (forse) una preghiera, batte le mani tre volte e si getta nel vuoto. Pochi secondi, poi avvertiamo lo “scoc” dello strattone delle liane e il saltatore tocca terra, attutendo con le braccia (uno anche con la testa) il colpo sul terriccio smosso. Immediatamente due compagni lo aiutano a rialzarsi e lo liberano con un colpo di machete dalle liane cui è ancora legato.









Abbiamo assistito a sei salti, l'ultimo ovviamente dal trampolino più alto. In chiusura, anche Luke è salito fino a mezza torre, per tenere un discorso in cui ci ha ringraziato per la nostra presenza, ed anche per il nostro denaro. “Sono molti soldi - ha detto (per la precisione 10.000 vatu a persona circa 90 €) - ma servono per tutto il villaggio, per aiutare le persone che hanno bisogno”.
Per noi è stato emozionante, e siamo felici di aver contribuito, almeno un po', al benessere di queste persone davvero accoglienti.

martedì 16 giugno 2015

Maskelyne Islands-Awai, Malakula-Port Sandwich

16:26.31S 167:47.01E

Venerdì 12 giugno alle 8.30 lasciamo l'isola di Epi per dirigerci verso l'isola di Malakula, la seconda in grandezza dell'arcipelago delle Vanuatu.
Le miglia previste per la tappa sono circa 22: abbiamo poco vento, andatura al gran lasco ed onda sui 2 metri, ma data la breve distanza da coprire ce la prendiamo comoda e teniamo le vele aperte sopportando anche momenti in cui avanziamo a 3 nodi di velocità. È bello navigare senza fretta!Precisamente la nostra meta sono le Maskelyne Islands, un grappolo di isolotti che contornano l'angolo sud-orientale di Malekula: la maggior parte, in bassa marea, sono collegati fra loro e con l'isola principale; i canali di passaggio sono molto profondi e ben visibili, ma numerosi bassi fondali disseminati un po' ovunque rendono necessario, come sempre, navigare con attenzione e in condizioni di buona visibilità.
Alle 13.50 arriviamo nella baia ad ovest dell'isolotto di Awai (nome altisonante), dove gettiamo l'ancora su un fondale di 12 metri di sabbia nera, ottima tenuta (16° 32.060 S 167° 46.198 E).
Nella zona delle Maskelyne sono segnalati tre ancoraggi principali, tutti ben ridossati: Uliveo a SE, Awai a SW, Gaspard Bay a N; anche se non abbiamo provato gli altri, a nostro parere Awai è il migliore, perché è anche riparato dal vento dominante da ESE, solo qualche sporadica raffica arriva, ridotta, nella baia.

Più di quanto abbiamo osservato in altri luoghi, nella baia di Awai c'è un gran via vai delle tipiche imbarcazioni locali: canoe ricavate da un unico tronco d'albero scavato, con un solo bilanciere. Ragazzi che vanno in giro apparentemente senza meta, adulti ed anziani intenti alla pesca: quasi tutti, con molta discrezione, si avvicinano alla barca per fare due chiacchiere, sapere da dove vieni, quanto ti fermi, qualcuno arriva a chiedere ami per pescare. I bambini di Awai vanno a scuola a Malakula e ogni giorno, da soli, attraversano in canoa il breve tratto di laguna; quando c'è troppo vento, ci racconta un papà, fanno festa e restano a casa! Nel pomeriggio assistiamo al loro ritorno. Una canoa si avvicina a Refola: a bordo tre ragazzini dai 6 ai 10 anni, ci chiedono penne e colori (di cui per fortuna abbiamo una piccola scorta). Notiamo che la bimba più piccola, non avendo una borsa, tiene stretto al petto un quaderno, per non bagnarlo; le regaliamo uno zainetto, che viene accolto, dopo un breve momento di incredulità, con grande gioia.

Dopo di noi arrivano in rada altre tre barche: l'Amel 54 di una coppia di medici inglesi, che presso ogni isola offrono ai locali visite e farmaci, e poi Frida e Dream Time, già trovate ad Epi.
Con i ragazzi di Dream Time concordiamo di spostarci tre miglia a NE, davanti al villaggio di Avokh Island, per assistere ad una danza “custom”, ispirata alle antiche tradizioni melanesiane.
L'ancoraggio di Avokh è segnalato nella guida “All Ports Lead to Vanuatu” (scaricabile gratuitamente da internet www.vanuatucruising.info), con il suggerimento di calare l'ancora sulle rare chiazze di fondo sabbioso. Dopo un'ora di tentativi non abbiamo trovato neanche un centimetro quadrato di sabbia, il fondale era tutto di basse formazioni coralline; alla prova di tenuta, con 50 metri di catena su 10 metri d'acqua, la barca arava dando motore a 1200 g/min … troppo rischioso lasciare la barca anche solo per qualche ora!
Decidiamo quindi di rientrare all'ancoraggio sicuro di Awai e tornare ad Avock con il dinghy. Approfittando dell'alta marea, accorciamo il percorso passando, su circa 50 cm di acqua, tra l'isola Lembong ed Avokh, così riusciamo ad essere quasi puntuali all'appuntamento delle 14.30. Ci attendono gli amici di Dream Time ed il capo (“Chief”) del villaggio, che ci dà il benvenuto con una breve cerimonia, al termine della quale due giovani donne ci mettono al collo una collana di foglie e fiori.
Il Chief ci fa da guida in un tour per il villaggio: una cinquantina di piccole capanne, moltissimi bambini sotto i 10 anni, alcuni piccolissimi ci seguono succhiando una foglia di palma, alcuni maialini girano indisturbati...



Poi ci spostiamo, oltre il villaggio, in uno spiazzo aperto nella foresta, dove si tiene la danza.
Arriva prima un gruppetto di otto uomini, tutti nudi, con il pene avvolto in foglie fissate ad una cintura di paglia: sono gli accompagnatori musicali, si posizionano di fronte alla lunga panca di bambù dedicata alla platea (siamo solo quattro spettatori) ed iniziano a “cantare” con suoni piuttosto gutturali, mentre uno di loro, più giovane, percuote un tam-tam. Ed ecco arrivare un altro gruppo di uomini, più numeroso, sempre in costume adamitico, con collane di conchiglie alle caviglie, che suonano ad ogni passo accompagnando il tam-tam.



Lo spettacolo formato da tre diversi danze dura circa mezz'ora, poi i danzatori si ritirano nella foresta, mentre i suonatori si fermano per i saluti e scattare qualche foto di gruppo.

Quando torniamo al villaggio il Chief ci offre prima una bevuta di Kava (che accettiamo solo Lilli ed io, mentre Neville e Catherine si dichiarano allergici), poi uno spuntino in puro stile melanesiano: spiedini di molluschi, involtini di kassava (una specie di patata) lessa avvolta in foglie e condita con latte di cocco, pannocchie di grano arrostite, e come bibita acqua di cocco.
Ci congediamo pagando il “conto”: 3500 vatu (circa 32 €) a testa, che consideriamo ben spesi, un po' per l'esperienza piacevole, un po' perché è un modo di aiutare questa gente.
Lunedì 15, costeggiando Malakula, ci spostiamo di circa 14 miglia più a nord, nella baia di Port Sandwich. Sulla guida leggiamo che il villaggio ha la posta, la banca e numerosi stores (negozi): noi siamo a corto di birre e dobbiamo prelevare in banca, perciò questa sosta casca a fagiolo.
Uscendo dalle Maskelyne verso NE, una corrente a favore di circa 2 nodi crea delle onde stazionarie di circa un metro alla fine del canale di uscita.
All'ingresso della profonda insenatura di Port Sandwich il sibilo del mulinello richiama la nostra attenzione. Lilli riduce il genoa e accende il motore, io corro a recuperare la lenza: un bel tonnetto di 3-4 chili è la nostra preda.
Lilli, che notoriamente detesta l'inevitabile lotta contro il pesce da portare in coperta, è costretta a darmi una mano, cosa le era sempre stata risparmiata quando a bordo c'erano amici e parenti. Tiene la canna mentre con il raffio aggancio il pesce, poi deve sorreggere il raffio mentre io fisso un cordino per appendere il tonno fuori bordo. Ovvio che nel frattempo il tonno si scuoteva fortemente, riversando sangue ovunque. Lilli era inorridita e sull'orlo del vomito, ha detto che per lei è stato il momento più brutto e difficile da quando navighiamo da soli e mi ha consigliato di assumere un aiuto-pescatore!
Alle 11.30 ancoriamo a sud-est di Planter Point, in prossimità del molo: fondale sabbioso sui 12 metri, siamo a circa 100 metri dalla spiaggia, le profondità sono elevate fin quasi a terra e la tenuta dell'ancora è ottima (16°26.319'S 167°47.016'E).

Andiamo subito a terra col dinghy, alcune persone sulla spiaggia ci danno il benvenuto. Chiediamo del villaggio, dei negozi, della banca: ci confermano tutto. “Seguite la strada principale (ce n'è una sola! ndr) per 500 metri e siete arrivati”, dicono, e noi, visto che è appena mezzogiorno, ci mettiamo in cammino.
Per strada incontriamo altre persone, soliti simpatici e cordiali convenevoli, ma la strada incomincia ad allungarsi... Il villaggio in effetti si trova all'imboccatura dell'insenatura, circa a 5 km dal nostro ancoraggio!
Lungo il percorso alcuni raggruppamenti di capanne, alcune case in muratura ed un paio di stores, con poche cose basilari. In questa zona l'uragano del 13 marzo ha fatto meno danni che altrove: le abitazioni sono intatte e pochi gli alberi sradicati. Vediamo molti animali liberi, maiali, mucche, galline e molte palme, altissime, piene di cocchi (che nelle isole più a sud erano andati perduti). Alcuni ragazzini vanno avanti e indietro in bicicletta, cosa rara da vedere, da queste parti. Nel complesso, ci sembra che ci sia, qui, una maggiore ricchezza.
Alle 13.20 entriamo nella Vanuatu National Bank, l'impiegata ci dice che possiamo solo cambiare banconote, ma non prelevare, non hanno sportelli automatici né lettore di carte di credito. Raccogliamo le banconote che abbiamo a disposizione: 20 US$ e 100 NZ$. “Bene - dice l'impiegata - ora dovete aspettare che la sede centrale mi comunichi il valore del cambio”; fa una telefonata e ci informa che richiameranno loro.
Ci mettiamo in paziente attesa: finalmente arriva la chiamata, la zelante impiegata compila molti moduli in triplice copia, quando ha finito ci avviciniamo allo sportello. “Non siamo ancora pronti - ci dice - dobbiamo aspettare che arrivi un altro mio collega che controlli e controfirmi l'operazione”. Ero davvero tentato di lasciar perdere e andare via, ma dopotutto la nostra povera impiegata eseguiva solo disposizioni ricevute; così abbiamo atteso la chiusura dell'operazione: alle 14.30 usciamo dalla banca (l’edificio blu qui sotto) e ci incamminiamo sulla via del ritorno.

Per fortuna, dopo un po', un camioncino che trasportava sacchi di copra ci dà un passaggio; rientriamo in barca alle 15.00, un po' disfatti, ma contenti!

venerdì 12 giugno 2015

VANUATU: Emae ed Epi

16:35.74S 168:09.76E

Come previsto, lunedì 8 giugno salpiamo dall'ancoraggio di Kakula per dirigerci all'isola di Emae, distante 34 miglia. Più di metà percorso con poco vento (quindi a motore), poi per fortuna a vela fino all'ancoraggio di Sulua Bay; il fondale, sui 12-13 metri, è sabbioso con alcune basse formazioni di corallo (17°02.982'S 168°22.243'E).
L'acqua pulita e trasparente mi invoglia a fare un bel bagno, anche per controllare l'ancora.
Ci sono altre 3 barche in rada, e tra queste riconosciamo Frida, nostra compagna insieme all'Amel Belissima nel transito del canale di Panama. L'avevamo ritrovata successivamente alle Galapagos, poi in Polinesia, ma dal 2014 non ci eravamo più visti; strani questi incontri tra velisti, anche se ci si saluta solo da lontano sembra di rivedere un vecchio amico, è un'emozione piacevole.

L'ancoraggio di Sulua Bay si trova sulla costa nord ovest di Emae, ed è perciò riparato dai venti dominanti da ESE , ma l'onda che gira intorno all'isola provoca un po' di rollio. Considerato che le previsioni meteo annunciano un rinforzo di vento, non prolunghiamo la sosta ed il giorno successivo lasciamo Emae diretti ad Epi, a 35 miglia.
Finalmente navighiamo con un po' di vento, stabile sui 15-20 nodi: con genoa e mezzana al gran lasco voliamo fino alla punta occidentale di Epi; poi siamo coperti dall'isola ed il vento cala ad 8-10 nodi, ma procedendo con una bolina larga l'apparente ci consente di avanzare fino alla nostra meta, Lamen Bay.
Una bella veleggiata, resa ancor più divertente dal fatto che ci siamo fumati alla grande una barca (Dreamtime, in realtà un po' più piccola di Refola) partita mezz'ora prima di noi. Non c'è niente da fare: la competizione scatta automaticamente ogni volta che si trova una barca che va nella nostra direzione, ed arrivare primi dà sempre una bella soddisfazione. Per la cronaca, penso che i nostri “avversari” abbiano sbagliato velatura: avanzando con randa e genoa ridotto, hanno dovuto tenere una rotta più orziera, che li ha costretti ad allungare il percorso.
Alle 14.05 gettiamo l'ancora nella parte sud della baia, su un fondale sabbioso di 8 metri (16°35.745'S 168°09.761'E). Avremmo potuto avanzare ancora circa 200 metri, dove il fondo si riduce a 4 metri, ma abbiamo letto sul portolano che talvolta si formano onde da surf, e quindi preferiamo restare in acque più profonde.
Per quanto riguarda la pesca, finora niente di buono. In quest'ultima tappa un pesce ha abboccato, tirava forte, mentre stavo recuperando l'ho visto fare un gran carpiato con capovolta fuori dall'acqua e poi liberarsi. Ok, nessun rimpianto: in primo luogo perché la libertà se l'è guadagnata, e poi perché sembrava un grosso barracuda, di almeno 120 cm, un pesce che non amiamo molto.
Nel nostro giro a terra troviamo persone come al solito gentili e sorridenti; il villaggio si estende lungo la spiaggia e poi verso l'interno e, benché sia piccolo, vanta tutti e tre gradi di scuole: la scuola materna, quella primaria e la High school, corrispondente alle nostre secondarie. Nello stile anglosassone, bambini e ragazzi indossano la divisa.

Nel versante settentrionale della baia vediamo un molo in cemento per l’attracco delle navi, gravemente danneggiato; pensavamo fosse a causa del ciclone Pam, ma ci dicono invece che è in disuso da alcuni anni, e stanno ancora aspettando l’intervento del governo.

Nel frattempo le piccole navi di linea ancorano al centro della baia e con i barchini fanno spola sulla spiaggia per scaricare viaggiatori e merci.

Alla fine del villaggio, sempre verso nord della baia, c'è l'aeroporto con pista su prato…

… il cui “terminal” (un paio di costruzioni ad un piano di circa venti metri quadri) è stato danneggiato dal ciclone ed è in riparazione.

Non manca però un “resort”: tre o quattro stanze ed un piccolo ristorante formano il Paradise Sunset Bungalow, gestito da un certo Mr. Tasso. Ne avevamo letto sulla guida, che parlava anche di uno Yacht club. In realtà all'interno del ristorante abbiamo visto solo alcune bandiere appese, e quando abbiamo chiesto informazioni ad una giovane ragazza che lavora al resort ci ha detto che Tasso è il proprietario, ma dello Yacht club non sapeva nulla.

Un cortese signore del posto, che abita sulla collina che sormonta la baia, ci ha fatto da guida attraverso il villaggio e si è offerto di portarci alcuni prodotti del suo orto; all'appuntamento del pomeriggio è arrivato con un sacchetto di piccoli peperoni, due grossi cetrioli, alcune patate e alcune radici di cui vi parleremo quando avremo scoperto il modo di cucinarle. In cambio aveva chiesto delle cime, da usare per unire i pali delle loro capanne; purtroppo le cime che abbiamo in barca ci servono, così gli abbiamo offerto 2000 vatu (circa 18 €) e lui ne è stato molto contento.
Vista la familiarità acquisita a Port Vila con l'ospedale, abbiamo voluto visitare anche quello di Epi. Abbiamo camminato in salita per circa 4 km, l'ospedale si trova infatti sulla sommità di una collina, completamente isolato dai villaggi, ma probabilmente collocato in posizione centrale rispetto all'intera comunità che vive sull'isola (circa 6.000 persone).

La struttura è piccola ma appare pulita e curata; forse, e speriamo, serve soprattutto da maternità e pediatria: c'erano infatti molte giovani madri che sostavano nel porticato con piccoli e neonati.

Lamen bay è anche famosa per il dugongo, grande pesce mammifero, peso circa 200 kg, vegetariano, in via di estinzione, ma ancora presente in questa area; è stato visto spesso nella baia, dove si nutre mangiando alghe sul fondo. Giovedì 11, con una bella giornata di sole siamo andati in cerca del dugongo: non ne abbiamo visto neanche l'ombra, in compenso abbiamo fatto un bel bagno ristoratore tra i coralli, nell'acqua limpida.

domenica 7 giugno 2015

EFATE, VANUATU: da Port Vila a Mele a Kakula Bay

17:31.43S 168:23.70E

La nostra sosta a Port Vila è stata segnata soprattutto dalla preoccupazione per l'infezione di Luciano.
Al controllo effettuato 2 giorni dopo la prima visita è stato infatti trattenuto in ospedale perché nonostante gli antibiotici assunti per via orale la sua gamba, dal ginocchio in giù, è sempre gonfia. Siamo davvero tutti in apprensione, tanto più perché all'inizio non si riusciva a parlare con un medico; solo giovedì 28 maggio dal pronto soccorso è stato trasferito al reparto chirurgico, dove viene preso in carico da un giovane dottore di nome Samuel e seguito con maggiore attenzione. Ogni sei ore, in endovena, gli iniettano dosi da cavallo di antibiotici.
Nei giorni successivi Samuel esegue un piccolo intervento chirurgico di pulizia e, in qualche modo, ci rassicura sull'evoluzione positiva dell'infezione. La paura comunque è tanta. Per fortuna Luciano migliora giorno dopo giorno, e dimostra non solo un grande coraggio ma anche un’incredibile capacità di adattamento: nonostante l’ambiente ospedaliero da terzo-quarto-quinto mondo, fa nuove amicizie, con gli infermieri e coi pazienti della sua camerata, per lo più donne di diverse età. Effettivamente tutti si dimostrano gentili e cordiali, anche con noi che ovviamente andiamo a trovarlo tutti i giorni.
Finalmente Samuel scioglie la prognosi e ci annuncia che possiamo organizzare il ritorno a casa di Luciano. Giovedì 4 giugno viene dimesso dall'ospedale e per festeggiare l’evento ci offre una cena memorabile al ristorante del marina, il Waterfront Grill.

Poche ore di sonno a bordo di Refola ed alle 5 del mattino di venerdì lo accompagniamo all’aeroporto: un viaggio di circa 40 ore lo porterà prima a Sydney, poi ad Abu Dabhi, poi a Roma e finalmente a Verona, a casa e al sicuro (abbiamo già ricevuto sue notizie, è stanco per il viaggio, ma sta bene, proseguirà le cure presso la clinica di Peschiera).
Qualche informazione su Port Vila, capitale delle Vanuatu.
Purtroppo l'uragano Pam che ha sconvolto l’arcipelago il 13 marzo 2014 ha lasciato segni evidenti anche qui: la palazzina davanti alla quale siamo ormeggiati ha perso metà tetto, sull'isola Iririchi di fronte al nostro marina c’è un piccolo cimitero di imbarcazioni di varie dimensioni, semidistrutte, scaraventate sulle rocce.

La città è molto movimentata, il centro è contraddistinto da numerosi negozi “Duty free”, presi d'assalto quando, ogni decina di giorni, arrivano le navi da crociera; si comprano bene alcolici, sigarette, profumi ed orologi di grandi marche.
Anche noi approfittiamo di questa occasione per rimpinguare la nostra cambusa e la scorta di vizio (le sigarette) per Lilli. Possiamo comprare ma non consumare: tutti gli acquisti vengono sigillati da un agente della dogana, e potremo aprirli solo quando lasceremo le Vanuatu e saremo ad almeno 200 miglia dalla costa!
Un grande e coloratissimo mercato di frutta e verdura è aperto ininterrottamente dal lunedì al venerdì. Molto frequentato, dispone anche di un settore “ristorazione” in cui sono allestite cucine da campo: panche un po’ sbilenche e tavolacci ricoperti da tovaglie di plastica, ma si può mangiare con 400 vatu (circa 3,5 €). Una sera abbiamo voluto sperimentare il menù: piatto unico di carne e riso con verdure, che è risultato commestibile.
Molti negozi sono gestiti da cinesi, che vendono di tutto, dai generi alimentari all’abbigliamento e tante cose inutili; ci sono anche dei buoni supermercati della catena Bon Marchè, con prezzi convenienti e una discreta varietà di prodotti.
Il magazzino Vila Hardware (stile Brico) è fornitissimo per ogni genere di attrezzi, macchinari o utensili da lavoro e vi si possono caricare le bombole di gas per la barca.
Le connessioni ad internet non sono potentissime, ma in città si possono utilizzare 15 minuti gratuiti rinnovabili dopo un’ora e mezza. Per collegare il pc abbiamo acquistato una sim con chiavetta usb della Telecom Vanuatu, che dovrebbe offrire una copertura su quasi tutte le isole; lo stesso servizio viene offerto anche dalla Digicel. La vera copertura la verificheremo dopo aver lasciato Efate, visto che Pam, tra le altre cose, ha distrutto anche buona parte delle antenne.
Per gli spostamenti in città e fuori ci sono moltissimi pulmini da 8 posti, tipo “van”, che fungono da taxi collettivi, prezzo della corsa 150 vatu (poco più di 1 €), indipendente dalla tratta percorsa.
Domenica 31 maggio abbiamo concordato con un taxista locale il giro dell'isola, dalle 9.00 alle 16.00, prezzo 10.000 vatu (circa 90 €) che abbiamo condiviso con Libero e Cassiopee (eravamo quindi sei persone).
J.P. (cell. 5541952) a bordo del suo pulmino “Red Fire” si è dimostrato affidabile, competente e discreto; percorrendo l'unica strada costiera, abbiamo visitato la Blue Lagoon dove il mare con l'alta marea entra attraverso una pass in una piccola laguna.

Le guide turistiche propongono anche la visita a un villaggio “Custom”, dove gli abitanti vivono secondo le antiche tradizioni e si esibiscono in varie danze; queste visite sono a pagamento e preparate appositamente per i turisti, e per questo motivo noi vi rinunciamo.
L’isola è molto verde e inaspettatamente troviamo molti torrenti che scorrono verso il mare; alcuni incrociano la strada, e li si guada direttamente su un tratto cementato. Vediamo molte famiglie intente a bagnarsi nei torrentelli, donne che lavano i panni e innumerevoli bambini giocare festosi.

Per il pranzo J.P. ci consiglia il Ristorante Francesca's, giovane e intraprendente bolognese, che dopo una quindicina d'anni trascorsi in Australia, si è trasferita a Efate ed a messo su un elegante ristorante in prossimità dell'ingresso di Havannah Harbour; nel suo menu appaiono specialità italiane come la pasta fatta in casa, i tortellini ed altre leccornie, che a quanto pare sono molto apprezzate da queste parti; i prezzi sono adeguati, mediamente 3500 vatu a persona tutto compreso (una trentina di euro). Unico neo: abbiamo aspettato a lungo prima di essere serviti. Francesca si è scusata, dicendo che le mancava una persona in cucina.

A causa del ritardo sulla tabella di marcia, non ci fermiamo a vedere il Mele Cascades, parco con cascate, la cui visita comunque è a pagamento. Rientriamo alla base alle 16.30.
Avvisiamo via VHF canale 16 la Dogana che siamo in procinto di lasciare Port Vila per le Vanuatu settentrionali: un agente viene a bordo per compilare e consegnarci (in busta chiusa, che NON possiamo aprire!) il permesso di navigazione e, come detto, mettere i sigilli ai prodotti acquistati in duty free.
Ci rechiamo nel nuovo ufficio Immigrazione (il vecchio è stato distrutto da Pam) per rinnovare il visto sul passaporto. Il timbro che ci hanno messo ad Aneityum, pagando 2400 vatu a testa, scade infatti il 17 giugno. Compiliamo il modulo per richiedere la proroga: periodo minimo 4 mesi, prezzo 6000 vatu a testa, ed ecco il nuovo timbro valido fino al 17 ottobre.
Un po’ costoso stare qui, tenendo conto che all’uscita dovremo pagare anche, sulla base dei giorni passati nel paese, anche il permesso di navigazione che abbiamo ma non possiamo vedere! D’altra parte, con quello che hanno passato, non viene proprio da arrabbiarsi con questa gente che nonostante tutto si mostra sempre sorridente e gentile.
Venerdì 5 giugno, dopo aver accompagnato Luciano all’aeroporto e comprato un altro po’ di frutta e verdura al mercato, lasciamo il marina di Port Vila e ci spostiamo di 6 miglia a Mele Bay, dove abbiamo appuntamento con Gerard e Claudine di Cassiopea.
Nella parte nord della baia c'è la piccola Hideaway Island, che con la sua barriera corallina offre un buon riparo dall'onda da sud a nord-ovest; ancoriamo su un fondale sabbioso di 10 metri (17°41.518'S 168°15.862'E).

È per noi solo una sosta tecnica: dopo 12 giorni passati in banchina allo Yachting World di Port Vila volevamo riassaggiare il mare prima di riprendere il nostro viaggio. Gerard e Claudine ci informano che dovranno tornare a Port Vila per un guasto al dissalatore; ci incontreremo sicuramente a settembre in Nuova Caledonia, ma forse anche prima, nelle isole del nord delle Vanuatu.
Sabato 6 giugno, di buon mattino, salpiamo e costeggiamo verso nord lungo il lato occidentale di Efate. Usciamo dal canale tra due isolette attigue (Lelepa Island e Moso Island), e appena fuori dalla copertura di Moso siamo investiti da un vento fresco sui 20-25 kn da ENE (giusto sul naso), che ci costringe a percorrere le ultime 3 ore a motore, facendo bordi con la randa cazzata. Alle 15 raggiungiamo la nostra meta, nel versante nord di Efate, protetta da 3 isolette attigue.
L’ancoraggio è circa 500 metri a SW della piccola Kakula Island, separata da Efate solo da un basso fondale: gettiamo l’ancora su un fondo sabbioso di 12 metri (17 31.438 S 168 23.709 E).
L’ancoraggio è aperto solo a nord-ovest ed è sicuro in tutte le altre condizioni, solo con un leggero vento da sud si è rivelato un po’ rollante. Il panorama intorno a noi è suggestivo: abbiamo a nord le isole di Pele e N'Guna e sembra di essere in un teatro marino.

Domenica le previsioni ci danno una giornata con poco vento da nord, staremo a Kakula ad oziare e riprenderemo a navigare lunedì 8, con rotta verso nord.

PS 1. Che fine ha fatto Cristiano, con la sua barca Libero? Rimasto solo a bordo (ancora prima della partenza di Luciano anche il giovane Nick era volato in Australia per proseguire il suo viaggio via terra), è partito sabato mattina da Port Vila diretto ad Epi. La sua marcia verso nord è più spedita della nostra: non avendo prolungato il visto, lui deve uscire dalle Vanuatu entro il 19 giugno. Siamo comunque sempre in contatto via radio SSB.
PS 2 di Lilli: oggi Sandro mi ha tagliato i capelli ed ora sembro una malata terminale di alopecia (avete presente quella simpatica calvizie a chiazze?)