mercoledì 15 giugno 2022

Savannah, Georgia e Charleston, South Carolina

La mattina di martedì 7 giugno, alle 9.25, lasciamo St. Augustine con destinazione Savannah, a 153 miglia. Una volta usciti in oceano la rotta è una linea retta per 12°-14°. Ventiquattro ore di piacevole navigazione con venti leggeri da NE ed E, che ad intervalli aiutiamo con un po’ di motore. Alle 8 del mattino successivo siamo all’inizio del canale di ingresso, ben segnalato da grosse boe rosse e verdi (rosso a destra, verde a sinistra). Ci sono numerose navi all’ancora, in attesa di entrare: nella foschia mattutina intravvediamo le più vicine, ma il sistema AIS ne rileva almeno una trentina, che aspettano il loro turno ed il pilota. Appena immessi incrociamo quattro grosse navi da pesca con reti a strascico sostenute da imponenti gru i cui bracci si aprono lateralmente, triplicando così il baglio delle imbarcazioni; ci sfilano accanto con grande indifferenza, del tutto incuranti della preoccupazione che sono riuscite a suscitare in Lilli, che mi avrà chiesto almeno dieci volte “ma ci stiamo?”.


Alla fine del canale iniziamo a risalire il fiume Savannah; la corrente ci è contro, ma non è troppo forte. 20 miglia di navigazione fluviale prima di raggiungere Savannah, principale porto commerciale della Georgia. A poche miglia dall’arrivo, un altro incontro ravvicinato: in un tratto in cui il fiume diventa particolarmente stretto e sinuoso (e quindi la corrente più forte) ci ritroviamo alle spalle un’enorme nave cargo che naviga con rotta raggiungente a 11 nodi (il doppio della nostra velocità). E come se non bastasse, nel punto più stretto ci sono ad attenderla tre rimorchiatori, chiamati evidentemente per assistere e tenere la nave in rotta. In cinque (la navona, i 3 rimorchiatori e Refola) proprio non ci stiamo! Riduco la velocità, accosto lateralmente affiancandomi a dritta ad un segnale rosso e lascio passare il condominio di container.

Alle 12.45 siamo finalmente a destino. La cosa incredibile di Savannah è che offre alle barche di passaggio un ormeggio completamente gratuito sul lungofiume più bello e più storico della città, in pieno centro: è chiamato City Dock, un lungo pontile galleggiante con colonnine per l’elettricità (anch’essa gratuita), in cui si ormeggia comodamente all’inglese. Quando si telefona per avvisare dell’arrivo dicono che non si può stare più di due giorni, noi ci siamo fermati tre notti e nessuno ha avuto da ridire. Una pacchia! (32°04.884’N 81°05.335’W).



Savannah ci è davvero molto piaciuta: un centro storico tranquillo nonostante il gran numero di turisti, una particolare struttura urbanistica ricca di parchi, piazze e viali alberati. Rari i palazzi, le costruzioni sono principalmente villette in stile inglese, nei tipici mattoni rossi oppure in legno, con gli abbaini e i serramenti rigorosamente bianchi, e le staccionate dei giardini, poste ad uso esclusivamente decorativo ed ovviamente bianche.

Anche qui come a St. Augustine c’è un eccellente servizio di autobus, molto economico che abbiamo sfruttato per girare a destra e a manca, fare la spesa e recarci alla West Marine, una delle principali catene di negozi di nautica negli USA. Visitiamo il museo navale, dove accuratissimi modelli in miniatura ricostruiscono la storia della navigazione negli States, a partire dall’epoca coloniale.




Dopo tre giorni di sosta che abbiamo particolarmente gradito, sabato 11 giugno alle 15.30 molliamo gli ormeggi e ripercorriamo le 20 miglia del Savannah River fino all’oceano. Una volta in mare, un’ottantina di miglia ci separano dalla nuova destinazione: Charleston, in South Carolina.

La notte trascorre tranquilla con venti da SE-SSE da 10 a 15 nodi, che ci permettono una velocità media sui 6 nodi; i turni di guardia ogni 3 ore continuano a funzionare bene.

Alle 11,10 di domenica 12 giugno ancoriamo di fronte al Charleston City Marina, su fondale fangoso di 5-6 metri (32°46.502’N 79°57.080’W).

Il Marina è un po’ decentrato rispetto al centro città; la prima volta facciamo una bella camminata di mezz’ora, poi familiarizziamo con gli autobus e riusciamo a muoverci velocemente: la città non ha più segreti per noi.


Con queste soste negli stati del Sud stiamo di fatto ripercorrendo i cinque secoli di storia americana; restiamo colpiti dall’attenzione con cui queste città, definite “storiche”, salvaguardano e valorizzano il loro patrimonio culturale e le tormentate origini.
 

Charleston, fondata nel 1670 dagli inglesi, divenne ben presto molto popolata e centro nevralgico del commercio di schiavi. Anche qui molti turisti, a beneficio dei quali l’antico mercato degli schiavi è stato trasformato in una sorta di piccolo centro commerciale, con bancarelle piene di souvenir e di prodotti dell’artigianato locale. Pranziamo in un simpatico Oyster Bar poco distante: cibo buono, prezzo ragionevole.





Ma oltre a gironzolare abbiamo due cose importanti da fare: comunicare il nostro arrivo alla Custom (Lilli ha esaurito i codici di accesso alla app CBP Roam e non riesce ad averne di nuovi) e recarci in un negozio Metro T-Mobile per pagare i 60 $ dell’abbonamento telefonico (che non possiamo rinnovare on line perché – come sembra avvenire su molti siti web americani – vengono accettate solo carte di credito USA). Riusciamo a completare con successo entrambe le operazioni.

Il 15 giugno è l’ultimo giorno di permanenza a Charleston. Purtroppo l’effetto combinato di vento e corrente rende il nostro ancoraggio poco confortevole: ogni barca si muove in direzione e con tempi diversi, così ogni tanto ci troviamo davvero troppo vicini a quella alla nostra sinistra. Per un po’ Lilli ed io restiamo di guardia in pozzetto, accendendo il motore per ristabilire una distanza di sicurezza. Ma il giochino non mi diverte affatto e così a metà pomeriggio decido di accostare al lunghissimo pontile esterno del marina, che presenta distributori di carburante ogni 50 metri. L’idea è di fare rifornimento di gasolio e chiedere se è possibile restare per la notte, in modo da dormire tranquilli e ripartire presto la mattina dopo.

Le cose, ahimè, vanno un po’ diversamente. Lo spazio libero sul pontile è per noi appena sufficiente; come d’abitudine affronto la manovra in retromarcia, ma vengo tradito dalla corrente di marea, di circa 1,5-2 nodi; dopo due tentativi falliti cambio modalità e provo l’approccio in marcia avanti contro la corrente, ma a causa dello spazio ridotto con il rollbar della mia poppa sfioro la prua di un megayacht a vela, Christopher, che da giorni ammiravamo essendo ancorati poco distante. Gli abbiamo fatto un graffio di una cinquantina di centimetri sotto la falchetta del lato sinistro della prua; su Refola invece il danno riguarda l’antenna stilo della radio SSB, che non si spezza in due parti ma poco ci manca. Vabbè, poteva andare peggio. Lo skipper di Christopher si mostra educato e composto, ci scambiamo biglietti da visita e riferimenti telefonici, ci farà sapere l’importo della spesa per i ritocchi a nostro carico.

Nel frattempo apprendiamo che il posto che occupiamo per il rifornimento è già prenotato per la notte. Dobbiamo lasciare il pontile e tornare all’ancora. Così facciamo: ci spostiamo di circa mezzo miglio in direzione sud, verso l’uscita; l’ancoraggio è molto più tranquillo del precedente.

Questo di Charleston è il primo sinistro di Refola, dalla sua nascita nel 2004; via mail avvisiamo il broker dell’accaduto, riservandoci di presentare denuncia formale una volta saputo l’importo da rimborsare. Staremo a vedere cosa ci sparano…

Inutile farsi prendere dallo sconforto. Meglio dormirci sopra e prepararci alla partenza di domani mattina per Wrightsville Beach, a 159 miglia.