martedì 15 agosto 2023

MADEIRA E POI CEUTA, IN MEDITERRANEO!

Venerdì 28 luglio, di buon mattino, predisponiamo sul plotter la rotta per Madeira e confezioniamo con i documenti e altri piccoli effetti personali la grab bag, cioè la borsa stagna da portare sulla zattera di salvataggio in caso di abbandono nave.

Alle 8.25 tutto è pronto: lasciamo Santa Maria e le Azzorre per riaffrontare l’Atlantico. Per tutto il primo giorno un vento leggero sui 10-13 nodi, che viene da NW e prendiamo al gran lasco, ci regala una velocità media sui 6-6,5 nodi. Nel secondo e nel terzo giorno dobbiamo aiutare le vele col motore; a consolarci gli strepitosi tramonti ma soprattutto, dopo un lungo periodo di pesca infruttuosa, la presa di un bel tonnetto: lo prepariamo crudo, “alla ceviche”, per arricchire l’aperitivo serale.



Alle prime luci dell’alba di lunedì 31 luglio, quarto ed ultimo giorno di navigazione, avvistiamo in lontananza Madeira; vedere terra dopo tanto mare è sempre una bella emozione.

Siamo sospinti da un bel venticello da N-NE sui 10-15 nodi che ci permette di volare a 7 nodi di velocità. Una pacchia che ovviamente finisce non appena cominciamo a costeggiare il versante sud occidentale dell’isola. Dalle 10 del mattino siamo completamente senza vento e avanziamo a motore. Dalle Azzorre avevamo scritto diverse mail per chiedere un ormeggio al marina di Funchal (il capoluogo di Madeira), ricevendo risposte che definirei un po’ vaghe; una volta vicini proviamo a contattarli telefonicamente, con il seguente esito: non hanno posto per la nostra dimensione, ci propongono un ormeggio in seconda fila per un paio di giorni, poi si vedrà. Una soluzione che non mi piace molto, nonostante la comodità di essere a due passi dalla città, dai negozi e dai servizi. Ringraziando decliniamo l’offerta e proseguiamo verso il marina di Quinta do Lorde, dove Lilli da casa aveva già prenotato un posto per Refola. Una distanza di circa 12 miglia che colmiamo in “sole” tre ore e mezzo: tre miglia dopo Funchal infatti, superata Ponta do Garajau che è il promontorio più a sud di Madeira, ritroviamo il vento da NE che non solo è rafforzato sui 20-25 nodi ma ci prende esattamente sul naso, accompagnato da un’onda corta e ripida. Ci avviciniamo alla costa e timoniamo a mano; la situazione migliora un po’ ma comunque con il motore a 2300 giri non riusciamo a superare i 2-3 nodi di velocità.

Finalmente alle 16.30 (ora di Refola), 17.30 local time, veniamo accolti all’ingresso dal gommone del marina che ci fa strada fino al nostro posto in banchina.

Dopo il 2010 ed il 2012, è la terza sosta di Refola a Quinta do Lorde e a distanza di oltre 10 anni l’impressione è che poco sia cambiato. Grazie alle memorie consegnate al nostro blog siamo in grado di riportare quanto scritto a suo tempo.

26 ottobre 2010 (equipaggio composto da Sandro, Lilli, il mitico Gianca, Gigi Baroni del Paterazzo, l’indimenticato Alain): Il Marina di Quinta do Lorde ha circa 200 posti, servizi e accessori sono impeccabili; alle sue spalle, da 3 anni, è in costruzione un villaggio turistico. Le costruzioni sono al grezzo e mancano tutte le infrastrutture, ma dal plastico in mostra all’ufficio vendite si intuisce che il progetto è molto ambizioso. Chiacchierando con l’impiegata apprendiamo che la crisi immobiliare è arrivata anche qui, i prezzi sono molto alti (da 400 a 600 mila € per 90-140 mq) e le vendite languono, come i lavori, del resto…

28 agosto 2012 (equipaggio composto da Sandro, il ligur-trentino Franco, il compianto Enrico di Malaika): alle 16.30 entriamo nel marina Quinta do Lorde, un porticciolo per circa 260 barche, adiacente al quale è in costruzione un villaggio turistico, che dovrebbe essere inaugurato il prossimo novembre. Essendo già stati qui nell’ottobre 2010, ci viene accordato uno sconto del 20% sulla tariffa giornaliera (56 euro/notte compreso acqua e luce).

Quel che vediamo oggi è che sono tuttora in corso grandi lavori di ristrutturazione sia all’interno degli alloggi che nelle parti comuni e sembra che le vendite non siano mai decollate. Un vero peccato, perché il luogo è di grande charme.


Noleggiamo un’auto per tre giorni e ci dedichiamo ad intense attività turistiche (e non solo). Il  primo giorno ci avviamo in direzione ovest; cominciamo da Canical dove visitiamo il museo della balena, molto ben organizzato: vari filmati mostrano le molteplici attività legate alle balene, dalla caccia alla macellazione alla bollitura del grasso ecc. Immagini in buona parte già viste ad Horta, ma che lasciano sempre sgomenti per la loro crudeltà, parzialmente giustificata, all’epoca, dalle necessità di sopravvivenza delle persone del posto. A seguire è la volta del Mirador di Cabo Girao, posto a circa 500 metri di altezza sul livello del mare. Il panorama, come si può facilmente intuire, è mozzafiato.


Prima di tornare in barca, ci fermiamo a vedere Câmara de Lobos, un piccolo e storico villaggio di pescatori che fu il primo insediamento umano a Madeira (fondato tra il 1420 e il 1430) e deve il suo nome al fatto che, all'epoca della scoperta dell'isola, nella cala vi era un gran numero di leoni marini che ancora oggi vi si possono trovare.


Il secondo giorno, per metà giornata, usiamo la macchina per un cospicuo rabbocco alla cambusa; nel pomeriggio riprendiamo il programma turistico con un’escursione a Baia d’Ambra: lunga camminata immersi in un panorama brullo e affascinante, e poi una vista eccezionale.





Il terzo giorno lo riserviamo al versante settentrionale di Madeira: Porto Moniz, Sao Vicente, Ponta Delgada, Santana e vari mirador, ultimo solo in ordine di visita le Red Rocks. Nel complesso ci è risultata la parte più incantevole dell’isola, meno turistica e più selvaggia.




Sabato 5 agosto Angelo, Cristina ed io prendiamo l’autobus per Funchal: notevole il mercato ortofrutticolo e del pesce, la via Santa Maria, con porte e portoni che sono opere d’arte, e per non farci mancare niente prendiamo anche l’autobus scoperto per il giro della città (unico neo: l’audioguida non funzionava).





Domenica 6 festeggiamo l’ultima serata a Madeira con un ricco pasticcio di lasagne al ragù; davanti a noi l’ultimo pezzo di Atlantico, prima di rientrare in Mediterraneo, dopo 11 anni!

La traversata da Madeira verso lo stretto non è una passeggiata: ci sono almeno tre principali elementi critici di cui tenere conto. I primi due sono per così dire “tradizionali”, e Refola li ha già affrontati. Si deve cercare di evitare (il più possibile) il vento dominante, che viene da levante, ed essere preparati in caso contrario ad una dura bolina. Poi occorre studiare la situazione delle correnti nello stretto. Consultate le tavole di marea, individuo la finestra migliore per noi: dobbiamo essere a Tangeri alle 9.00 del giorno 11, in modo di avere per 6 ore una corrente a favore (entrante, di 1-2 nodi), passare lo stretto con la luce del giorno ed arrivare a Ceuta in tempo prima del buio e dell’inversione di corrente.

Come se non bastasse però, da luglio 2020 è entrata in gioco una terza variabile, molto più difficile da trattare: le orche iberiche che attaccano le barche a vela distruggendo i timoni. Più di 200 attacchi, due barche affondate, nessuna possibilità di difendersi o di allontanarle. Ci teniamo informati sull’argomento attraverso il sito www.orcas.pt, e due gruppi facebook creati dai velisti. Fortunatamente da casa Lilli ci comunica che, mentre a luglio le orche hanno attaccato anche oltre le colonne d’Ercole, nei primi giorni di agosto ci sono stati “solo” due attacchi in prossimità dello stretto e sembra che il branco si stia progressivamente spostando in direzione nord, lontano dalla nostra rotta.

Fatte tutte queste valutazioni, la mattina del 7 agosto facciamo rifornimento di carburante ed alle 9.40 salpiamo.

Per tutta la giornata riusciamo ad andare a vela, col vento da N e NNW sugli 8-11 nodi avanziamo alla velocità di 5-6 nodi; dopo le 20 però il vento si riduce e per mantenere questa media dobbiamo accendere il motore.

Alle ore 12 del secondo giorno, 8 agosto, registriamo 160 miglia percorse dalla partenza (le prime 13 + 147 nelle 24 ore).  Abbiamo un venticello da W-NW sui 10 nodi e procediamo al gran lasco.

Il terzo giorno, mercoledì 9 agosto, il vento gira a N-NNW e aumenta di intensità fino a 18-20 nodi; lo prendiamo al traverso, la velocità ha punte di 7,5 nodi. Alle 12 le miglia percorse sono 146.

Più o meno nelle stesse condizioni di vento inizia il quarto giorno, giovedì 10: alle 12 registriamo 154 miglia percorse. Purtroppo però nel primo pomeriggio il vento cala progressivamente fino a ridursi a 5 nodi. Per essere puntuali all’appuntamento dell’indomani con la corrente entrante nello stretto, è fondamentale mantenere la velocità media di 6 nodi: ci dobbiamo aiutare col motore.

Nelle prime ore di venerdì 11 il mio turno è dalle 4.30 alle 6.30; alle 6.00 esce anche Fabrizio, per la mezz’ora di compresenza. È il tratto più delicato dell’intero tragitto, con l’avvicinamento alla costa e l’ingresso nello stretto. Riguardo le orche dovremmo navigare molto vicino a terra, su fondali possibilmente inferiori a 20-30 metri, ma l’altro pericolo sono le reti da pesca.

Verso le 5.30, quando siamo a circa 20 miglia dalla costa del Marocco, vedo davanti alla nostra prua luci lampeggianti rosso e blu. So per esperienza che si tratta di reti molto lunghe predisposte per la pesca dei tonni, ma non c’è nessuno a presenziarle e mi chiedo: sono galleggianti? Più mi avvicino più sento il cuore battere forte, scruto con il binocolo, accosto verso la luce lampeggiante, riduco il numero di giri e rallento la barca, controllo l’acqua davanti a Refola cercando tracce di reti in superficie: non c’è niente, tiro un sospiro di sollievo e riprendo la corsa.

Mentre sulla costa appare ben visibile l’alone luminoso sopra Tangeri, al VHF si sentono i pescatori parlare con le navi per dare istruzioni in modo da evitare le reti: “Please Captain, 2 gradi a dritta, thank you captain”. Sono conversazioni identiche a quelle che sentivamo nel 2009, quando provenienti da Cadice e diretti alle Canarie costeggiammo per una lunga notte il Marocco, incontrando un peschereccio che aveva pensato bene di avvicinarsi a noi in modo per niente rassicurante … ma tutto finì bene.

Alle 6.30 il cielo davanti a noi comincia a farsi chiaro. Quando arriva l’alba la visibilità si fa perfetta ma noi continuiamo ad aguzzare la vista per scorgere le orche: sembra tutto tranquillo … nessuna orca nei paraggi, faccio colazione e ritorno in pozzetto; ho sonno e gli occhi arrossati, ma tengo duro.

Siamo ormai davanti al porto di Tangeri, in perfetto orario rispetto alla tabella di marcia. La situazione è tranquilla: non c’è un grande traffico, procediamo con randa e motore a 1500 giri a 5,5 nodi di velocità, non avvertiamo un grande beneficio dalla corrente, probabilmente perché siamo troppo vicini a terra.  Alle 8.30 mi decido e vado a riposare; dormo come un sasso per un’ora, quando senza sapere perché mi sveglio di soprassalto e mi affaccio in pozzetto. Il Gianca è al timone e sta lottando da un po’ contro un micidiale traffico di imbarcazioni che continuano a tagliare trasversalmente la nostra rotta. Per abbreviare il tempo di percorrenza ha portato il motore a 2300 giri e continua ad imprecare contro le orche (che non ci sono), “Se ne vedo una la mangio viva…” è proprio incazzato! Fortunatamente, superata l’area dei traghettamenti, il traffico scompare e tutto ritorna tranquillo.

Alle 12 registriamo 135 miglia percorse nelle 24 ore.

Alle 14.30 arriviamo a Ceuta dove avevamo prenotato un posto in banchina. La manovra di ormeggio è disturbata dal vento che ci prende al traverso, per contrastarlo ricorro all’elica di prua che purtroppo in poco tempo mi abbandona. Completiamo l’ormeggio e verifichiamo l’accaduto: deve essersi sgranato il cuscinetto sotto il motore. Accidenti! Impossibile pensare di trovarne uno di ricambio a Ceuta. Smontiamo il motore e l’indotto dove è calettato il cuscinetto e decidiamo di partire domani molto presto per raggiungere Benalmadena, a 68 miglia, dove dovremmo trovare il cuscinetto. Una corsa contro il tempo, perché domani, 12 agosto, È SABATO!

OK, non è proprio un finale in bellezza, ma siamo tutti consapevoli che la traversata è andata più che bene. Il problema dell’elica di prua si risolverà. Abbiamo passato per la quinta volta le colonne d’Ercole e, dopo 11 anni, siamo tornati nel Mediterraneo. Complimenti a Refola e al suo equipaggio!