giovedì 4 maggio 2023

PHILADELPHIA e poi … arrivo a New York

Venerdì 14 aprile salpiamo alle 10.30. La tappa fino a Philadelphia è breve, 36 miglia di risalita del fiume Delaware, di cui nel primo tratto affrontiamo la corrente contraria. L’orario di partenza è stato schedulato per arrivare dopo le 18, quando la marea è in aumento dopo la bassa delle 16.15. Il gentilissimo dockmaster Rich Goodman, con cui siamo in contatto da settimane, ci ha raccomandato questo orario perché il marina è stato dragato poco tempo fa a 6 piedi (1,80 metri, contro il nostro pescaggio di 2,05). Dopo le 18 la marea dovrebbe essere + 60 centimetri: arriviamo alle 18.10 e infatti tutto fila liscio. Rich è sul pontile ad attenderci, per prendere le cime di ormeggio e darci tutte le istruzioni per entrare e uscire dal Marina, che è completamente deserto; apre ufficialmente il 1° maggio e sembra che ci abbiano fatto un gran piacere ad offrirci l’ormeggio a un prezzo contenuto (636 US$ per una settimana, comprensivi di acqua ed elettricità ma senza servizi). La posizione è 39°56.585N 75°08.422’W, i pontili galleggianti a pettine, il fondale fangoso ha profondità da 2,8 a 1,8 metri, infatti in bassa marea ci appoggiamo dolcemente sul fondo. Siamo vicinissimi al centro storico e alle principali attrazioni turistiche.

Philadelphia è una grande città, la sesta più popolosa degli USA e una delle più ricche di storia: proprio qui venne firmata, nel 1776, la dichiarazione di indipendenza delle 13 colonie britanniche.

Per una settimana conduciamo una vita da perfetti turisti: iniziamo dal Museo della Rivoluzione Americana, ben allestito con numerose sale tematiche dove vengono riprodotti continuamente filmati esplicativi molto ben curati.

Organizziamo una gita di una giornata, in treno, nella contea di Lancaster; da lì un pulmino ci conduce, insieme ad un’altra decina di persone, in giro per le curatissime campagne dove vivono gli Amish, appartenenti ad una comunità religiosa di origine germanica che giunse in America a metà del ‘600. Al di là del fatto che la loro presenza sia in parte diventata un’attrazione turistica, le persone che abbiamo visto muoversi e lavorare si mantengono fedeli a norme e tradizioni per noi del tutto inusuali, dall’abbigliamento estremamente semplice al divieto di guidare automezzi e mezzi meccanici (utilizzano infatti carrozze ed aratri trainati da cavalli), dal rifiuto della corrente elettrica se non autogenerata (con pannelli solari e gas propano) alla scelta di educare i bambini in un sistema scolastico proprio. Ci ha colpito il fatto che i giovani, per un periodo di alcuni anni dall’adolescenza alla prima giovinezza, possano fare esperienze simili ai ragazzi nostrani (cellulari, T-shirt, berretti sportivi, per le ragazze trucco e tacchi), ma entro i 25 anni devono decidere se vogliono rimanere nella comunità o andarsene: la guida ci ha detto che l’85 % decidono di rimanere!




Non ci siamo fatti mancare nemmeno, come altre centinaia di turisti, una visita alla scalinata resa celebre nel 1976 dagli allenamenti di Sylvester Stallone, nei panni di Rocky Balboa.

Nel complesso Philadelphia ci è piaciuta molto e possiamo dire di averla girata in lungo e in largo.

 




Venerdì 21 aprile alle 12.15 molliamo gli ormeggi per iniziare la discesa del Delaware River verso l’oceano. Il percorso è molto lungo; navighiamo 35 miglia e dopo le 18 ci fermiamo nuovamente nel poco affascinante ancoraggio del 13 aprile, in prossimità del Canale di Chesapeake e Delaware.

Il mattino successivo riprendiamo la navigazione nel fiume, per una tappa di 41 miglia. All’inizio subiamo una corrente contraria di circa 1,5-2 nodi, e confidiamo di andar meglio quando si invertirà. Ma col passare delle ore la situazione in realtà peggiora: il vento da SE, che abbiamo dritto sul naso,  via via rinforza fino a 25-30 nodi, alzando un’onda ripida e corta che ci stoppa continuamente. Col motore a 2400 giri la velocità arriva a stento a 4 nodi. Raggiungiamo faticosamente la meta ed alle 18.15 diamo ancora appena fuori dall’area di ancoraggio delle navi, fondale di sabbia 8-9 metri (38°59.952’N 75°14.485’W).

Siamo stanchi e provati. Nelle prime ore subiamo un forte rollio, poi il vento gira a NW ed il moto ondoso si calma; stiamo tranquilli fino a circa le 3.00 del mattino, quando il vento riprende a soffiare a 20-25 nodi; alle 4 Umberto mi sveglia: ha sentito un gran botto e infatti si è spezzato il cavo di ritenuta della catena (che si usa per scaricare il verricello dallo sforzo dell'ormeggio). Come già successo l’anno scorso alle Bahamas, abbiamo perso il gancio che si artiglia alla catena. In via provvisoria, sostituisco il forte cavo spezzato con altri tre cavi più leggeri, che annodo alla catena in punti diversi.

Torniamo a dormire per un paio d’ore; fatta colazione, alle 8 iniziamo le manovre per salpare. Le sorprese sembrano non finire mai: l’ancora è talmente affondata nel fango che non riusciamo a tirarla su. Finalmente, dopo una decina di minuti di tentativi, riusciamo a spedarla e a mettere la prua verso l’oceano Atlantico.

Abbiamo il vento in poppa, è tutta un’altra musica rispetto al giorno precedente: l’onda non si sente, andiamo a vela di solo genoa alla media di 6 nodi. La destinazione è Cape May. Alle 13.00 entriamo nel canale che porta alla cittadina e a numerosi piccoli marina, per accorgerci che non c’è una vera e propria area di ancoraggio (sono in corso grossi lavori di dragaggio). 


La profondità è sui 4-5 metri, ma appena fuori dai segnali si abbatte ad 1 metro! In assenza di alternative, e grazie al fatto che il vento è orientato nel senso del canale caliamo l’ancora trasformando così Refola in una sorta di spartitraffico tra le imbarcazioni in entrata e in uscita. Per fortuna nessuno si lamenta.

Ci godiamo una notte di calma, dormiamo di gusto, e alle 7,50 di martedì 24 aprile ripartiamo alla volta di Atlantic City, distante circa 35 miglia.

Avanzando un po' a vela, un po' a motore arriviamo alle 14,30.


Ci rechiamo subito al distributore di gasolio per fare rifornimento (39°22.569’N 74°25.674’W); è un self service, che purtroppo con le nostre carte di credito europee non riusciamo a far funzionare; chiamiamo gli addetti del marina e con loro l’operazione ha successo. Sarà per la spesa (circa 350 US$), sarà perché gli siamo risultati simpatici, ci offrono di restare ormeggiati al pontile e ci forniscono le password per utilizzare i servizi e per entrare e uscire liberamente dal marina.

Non avremmo mai immaginato tanta fortuna: un ormeggio sicuro e per di più gratuito, che ci permette di cenare al vicino Golden Nugget, grande albergo con annesso casinò. Dicono che Atlantic City sia la Las Vegas della costa est: per noi abbastanza deludente. Mille slot machine, nessuna atmosfera.

Né ci fa cambiare idea la camminata della mattina dopo: solite ampie strade incrociate a 90°, edifici anonimi, negozi anonimi. Senza troppi rimpianti alle 16.50 del 25 aprile molliamo gli ormeggi con destinazione New York, a 92 miglia. Eolo ci concede qualche ora a vela, che gustiamo alla grande con un apparente al traverso sui 10-12 nodi, poi cambia idea; il vento gira, sul nostro naso, e quindi … a motore fino a destino.

La nostra meta è nella zona meridionale di Brooklyn: Sheepshead Bay, che ha un canale di accesso con un basso fondale da affrontare solo con alta marea, quindi verso mezzogiorno. Siamo in anticipo: alle 7.00 passiamo sotto l’imponente Ponte di Verrazzano, che unisce Brooklyn a Staten Island, e abbiamo tutto il tempo per prendercela comoda. 


Alle 9.00 siamo davanti alla statua della Libertà; anche se il cielo non è libero da nubi come vorremmo, il contesto rimane fascinoso. 

Siamo intenti a scattare foto, in atmosfera giocosa, quando veniamo avvicinati dalla Guardia Costiera per un’ispezione a bordo; lasciandoci proseguire a bassa velocità, ci accostano per far salire due uomini a bordo di Refola.


L’ispezione riguarda soprattutto le dotazioni di sicurezza e dei servizi: giubbetti di salvataggio, razzi di segnalazione, estintori, serbatoi acque nere, regole di navigazione nelle acque territoriali, di cui è prescritto la presenza a bordo in formato cartaceo. Lilli, furbissima, si scusa affermando che ne abbiamo copia in formato elettronico, sul computer. È andato tutto bene, alla fine ci salutano come vecchi amici augurandoci buona navigazione.

Alle 10 circa invertiamo la rotta per raggiungere Sheepshead Bay; passiamo nuovamente sotto il Ponte di Verrazzano, aggiriamo i versanti occidentale e meridionale di Brooklyn, superiamo il punto critico col basso fondale (a poco più di mezza marea registriamo pochi centimetri di acqua sotto la chiglia) e alle 11.50 prendiamo la boa assegnataci da David, il gestore del Miramar Yacht Club (40°34.886’N 73°56.238’W). Sotto un cielo che nel frattempo è diventato plumbeo, inizia la nostra avventura newyorkese…