giovedì 8 settembre 2016

RAJA AMPAT: WAISAI - KABUI - AUGUSTA

Il 31 agosto lasciamo l'ancoraggio di Doom Island, vicino Sorong, per la tappa di 38 miglia che ci porterà al parco marino di Raja Ampat. È strano, sia Lilli che io abbiamo l'impressione di andare in vacanza: che sia l'effetto dell'acquisto del biglietto di accesso al parco?
Le Raja Ampat sono un arcipelago di circa 1.600 isole di dimensioni diverse, per lo più disabitate. Il nome, che in bahasa Indonesia (la lingua ufficiale) significa "Quattro Re", si riferisce alle quattro isole maggiori: Waigeo, Batanta, Salawati e Misool. Il parco copre 50.000 km quadrati ed è definito "l'epicentro della biodiversità marina". Pare che a rendere così particolare l'ambiente siano le correnti del Pacifico; grazie ad esse qui sono presenti l'80% delle specie di pesci e di coralli esistenti sul pianeta. Il turismo, soprattutto di amanti delle immersioni, è in crescita, come provano non solo i numerosi piccoli resort, ma anche le sistemazioni più economiche che i locali cominciano ad offrire ai turisti.
La nostra prima meta è Waisai, capoluogo dell'arcipelago. Abbiamo bisogno di comprare altro credito dati per il cellulare e vogliamo verificare la necessità di registrare (e pagare) l'ingresso della barca nel parco. Su Noonsite abbiamo letto che circa 4 km ad ovest della città, vicino al molo dei traghetti, è stato costruito un piccolo marina con pontili galleggianti e finger.
Giungiamo a destinazione dopo l'ennesima navigazione a motore; l'ingresso del marina si trova fra due secche segnalate da due pali, resi più visibili da numerose bandierine; il fondale minimo è di 5,5 metri all'ingresso, poi di 7 metri al pontile (0° 26.001'S 130° 48.412'E). La maggior parte dei posti è occupata da barche a motore locali, usate per le escursioni nel parco, ma ci sono 2-3 posti liberi. Gli ormeggi sono per barche di lunghezza fino a 10-12 metri e infatti Refola resta fuori dal finger quasi per metà, ma viste le condizioni meteo con venti leggeri o inesistenti decidiamo di fermarci per la notte.
Ormeggiamo senza che nessuno venga a prestarci assistenza, e subito dopo cerchiamo l'ufficio del marina. Una lunga passerella, coperta, collega il pontile al terminal delle navi dove c'è una grande e moderna struttura, quasi tutta di vetro. Sempre convinti di trovare l'ufficio del marina, chiediamo a due ragazzotti che ovviamente fraintendono, ci fanno entrare nell'enorme struttura che all'interno ospita solo un piccolo stand di informazioni ed otto sedie! Una vera cattedrale nel deserto. Ormai abbiamo capito che per il marina siamo fuori strada; i ragazzi ci chiedono se abbiamo i biglietti per il parco, glieli mostriamo e . "Tutto ok, siete in regola" dice uno di loro. Nessuno fa accenno al permesso per la barca, noi facciamo gli gnorri.
Chiediamo se per andare in città c'è un servizio di taxi o di bus; i ragazzi si guardano straniti, probabilmente qui c'è un po' di movimento solo quando arriva la nave. In compenso si offrono di portarci con le loro moto, così Lilli ed io saltiamo in sella. Una bella strada asfaltata a quattro corsie sale in rettilineo sulla collina, scende altrettanto dritta dall'altro versante e conduce al centro di Waisai. La città sta avendo una rapida espansione per effetto del turismo del parco: belle case in legno di recente costruzione, tanti negozi ed un bel mercato di frutta e verdura, ben fornito; pensiamo siano i segni dei finanziamenti per lo sviluppo dell'area.
Acquistiamo il credito dati per il telefono, un po' di frutta e, sempre alle spalle dei nostri giovani centauri, torniamo in barca. In segno di ringraziamento, lasciamo ai ragazzi una "mancia" di 30.000 rupie (2?), che dimostrano di apprezzare.
Sta arrivando sera, sul pontile alcune barche sono in partenza, mentre altre ormeggiano nei posti lasciati liberi, tutti ci salutano carinamente, ma nessuno viene a chiederci il pagamento di alcuna tariffa. Evidentemente è gratis! Quando è già quasi buio, un signore porta un bidone per le immondizie proprio vicino a noi: "È per l'organico", ci dice tutto compunto, anche se Lilli buttando le bucce di frutta che avevamo a bordo ha visto sul fondo del bidone lattine e plastiche. Vabbè, diciamo che sulla raccolta differenziata ci sono discreti margini di miglioramento.
Giovedì 1 settembre salpiamo da Waisai per Teluk Kabui. In bahasa indonesia "teluk" significa baia, ma questa più che baia si potrebbe definire un grande lago salato, contornato dalle isole Waigeo e Gam.
Purtroppo il tempo non è dalla nostra, piove a dirotto per tutto il percorso; Lilli teme che la nostra vacanza, meterologicamente parlando, diventi fantozziana. Fortunatamente invece verso l'arrivo, dopo 18 miglia, il cielo si apre, il sole appare tra le nuvole e il grigio da cui eravamo circondati lascia il posto ad un panorama eccezionale: una laguna di acque piatte con innumerevoli "funghi" di roccia calcarea, coperti di vegetazione. Qualcosa di simile, che ci aveva altrettanto incantato, lo abbiamo visto alle Fiji, nelle isole di Fulanga e Vanua Balavu.
Alle 13.30 ancoriamo su un fondale sabbioso di 16 metri nella parte SW di Kabui, a circa 400 metri dall'inizio del canale che separa l'isola di Gam da Waigeo (0°25.359'S 130°34.370'E).
A terra ci sono tre casette su palafitte: è una "home-stay", l'alternativa più spartana, ma decisamente più economica, che i locali offrono ai turisti più avventurosi e meno danarosi e che si sta diffondendo in molte isole dell'arcipelago. Prima che il meteo ci ripensi e riprenda a piovere, facciamo col dinghy un giro per la laguna e nel canale tra le due isole, lungo circa 1,5 miglia, dove l'acqua che prima aveva molta sospensione e rispecchiava le nuvole ed il verde della vegetazione, diventa tanto trasparente da vedere il fondo anche con la luce scarsa. Sui depliant indicavano la presenza nel canale di grotte semisommerse, un'attrazione da non perdere, ma non siamo riusciti a vederle.
Venerdì 2 settembre il tempo incerto e il cielo nuvoloso ci inducono a proseguire: destinazione Palau ("isola" in bahasa indonesia ) Augusta, a 18 miglia. Gli amici australiani Peter e Margareta ci avevano segnalato che in quest'isola, disabitata, c'è un resort italiano, e noi ci siamo ripromessi di visitarlo, per la curiosità di conoscere italiani trapiantati così lontano da casa e per parlare di nuovo con qualcuno nella nostra lingua.
Arriviamo verso le 13.30, ancora una volta a motore per assenza di vento, giriamo intorno all'isola in cerca di un ancoraggio adeguato, ma ovunque i fondali sono profondi oltre i 20 metri. Alla fine ci posizioniamo a nord dell'isola, a circa 300-400 metri dal faro, calando l'ancora su 18-20 metri con un fondo di sabbia e corallo basso (0°38.682'S 130°34.857'E).
Quando scendo in acqua per controllare l'ancora mi accorgo che c'è una forte corrente, a fatica da poppa raggiungo la prua della barca, mentre Lilli quasi non riesce ad agganciare la scaletta di risalita; in compenso l'acqua è limpidissima e si vede il fondo chiaro ed omogeneo, senza teste di corallo. Con un bel po' di calumo, 65 metri di catena, la tenuta è perfetta; la corrente segue il senso della marea ed ogni 6 ore si inverte.
Nel pomeriggio andiamo con il dinghy a sud dell'isola dove c'è il resort, atterriamo alla radice del pontile in legno e conosciamo Mara: è sorpresa di avere di fronte navigatori italiani. Con accento romano inizia a raccontarci un po' di questa esperienza che sta vivendo da un paio d'anni insieme a Marco. Lui, che ci raggiunge poco dopo, è un medico torinese cui, parole sue, "l'Italia andava un po' stretta". Marco e Mara vantano una lunga esperienza nel diving e sono entrambi istruttori: hanno deciso di affittare l'isola di Augusta per 25 anni ed impiantarvi un bellissimo resort dalle finiture accurate; offrono soggiorno con cucina indonesiana e italiana e pacchetti di immersioni di tutti i livelli. Ci invitano a cenare con loro e quando esprimiamo riserve sul muoverci col dinghy di notte, Marco ci offre di ormeggiare Refola ad una delle sue boe davanti al resort; andiamo a fare un sopralluogo, ma mi sembrano un po' troppo vicine a terra: "Non c'è problema, allora vi vengo a prendere alla barca alle 19.30" dice Marco.
Alle 19,30, puntualissimi, due dipendenti del resort vengono a prenderci con una veloce barca a motore. Siamo gli unici ospiti: trattati con tutti gli onori, ceniamo in uno splendido padiglione aperto sul mare, chiacchierando come vecchi amici che non si vedono da tempo e gustando una buonissima amatriciana e un'altrettanto squisita cernietta con pomodoro e patate. Il nostro contributo: una bottiglia di buon Valpolicella comprata alle Vanuatu.
A Marco e Mara mille ringraziamenti per la grande ospitalità; chissà, magari torneremo un'altra volta per fare un po' di esperienza subacquea . magari è la volta che Lilli supera la paura della claustrofobia sott'acqua!