Domenica 4 settembre il tempo è incerto, così scartiamo l'ipotesi di fermarci a Pef e proseguiamo verso nord fino all'isola Batangpele, a 18 miglia.
Alle 13.30 arriviamo nella baia a NE dell'isola, un'insenatura con acque profonde fino a riva; caliamo l'ancora al centro su fondale fangoso, buon tenitore, di 22-24 metri (0°17.888'S 130°13.756'E).
La baia è contornata da mangrovie e nella parte terminale sfocia un piccolo torrente: anche questo è un ambiente da coccodrilli! Ce lo conferma un locale che si è avvicinato con la sua barchetta, non parla inglese, ma quando (consultato il dizionario) pronunciamo la parola bahasa “buaya” fa cenno di sì e indica in direzione del piccolo torrente.
Ci erano stati segnalati dei bei coralli sui reef all'ingresso della baia, ma solo al pensiero di fare qualche brutto incontro ci passa la voglia e la curiosità.
Ripartiamo il mattino seguente alla volta di Wayag, a 33 miglia. Alle 12.40 di lunedì 5 settembre passiamo la linea dell'equatore. Siamo di nuovo nell'emisfero nord e questo, in barba alla distanza che è ancora enorme, ci fa sentire quasi a casa! Affiorano i ricordi di quando, nel 2013, per la prima volta siamo entrati nell'emisfero sud, poche miglia prima di arrivare alle Galapagos. Allora con gli amici Erna e Giancarlo e con Mario avevamo festeggiato con una bottiglia di prosecco... bei tempi quelli, quando le scorte di vino erano al top, questa volta Lilli ed io brindiamo con una semplice birra. D'altra parte, è anche vero che questo è solo un fugace cambio di emisfero, per raggiungere il sito più settentrionale delle Raja Ampat; tra qualche giorno ritorneremo sotto l'equatore e scenderemo gradatamente di latitudine fino a Bali.
Alle 15 arriviamo a Wayag, ed è uno spettacolo: siamo in mezzo ai grossi funghi calcarei, ma in acque molto più limpide di quelle viste in precedenza a Kabui.
Cerchiamo un ancoraggio con profondità adeguate, ma non è facile. O troppo profondo, o troppo poco, o poco spazio per stare alla ruota. Dopo un po' di giri nella prima parte del canale nord ancoriamo in mezzo a 4 torrioni calcarei, su un fondo sabbioso di 25-27 metri (0°10.117'N 130°01.317'E).
Caliamo 60 mt di catena, il minimo sindacale, l'ancora tiene ed il peso della catena ci tiene a debita distanza dai torrioni, ma se dovessimo girare di 360° con la catena tesa dovremmo mettere i parabordi....
C'è una boa all'inizio del canale, con l'unica barca presente nell'arcipelago, sono subacquei che alloggiano a bordo; il mattino seguente partono e restiamo soli in questo paradiso reso ancora più bello dal sole, che fa risaltare i contrasti dei colori.
E' il clou della nostra “vacanza”, prendiamo il gommone e giriamo nel labirinto di funghi, cercando sempre di memorizzare il percorso; ci dedichiamo poi allo snorkelling in diversi punti, ovunque coralli stupendi di diverse forme e colori.
Per non farci mancare niente, ci cimentiamo nella arrampicata del monte Pindito, dalla cui sommità c'è una vista mozzafiato.
Poi ancora snorkelling, insomma una giornata piena di emozioni.
Credendo di stare più tranquilli e di evitare il rischio di difficoltà al momento di salpare, decidiamo di prendere la boa lasciata libera dalla barca dei sub. Col senno di poi, è stata la peggior soluzione: la boa si trova su un fondale di 45 metri (non sappiamo con quanto calumo), nella notte si è alzato un po' di vento con un temporale che ci è girato intorno. Risultato: ho dovuto alzarmi non so quante volte per correggere il raggio dell'allarme ancora, per zittirlo alla fine l'ho dovuto portare a 180 metri! Inoltre, essendo la boa all'inizio del canale, siamo stati “cullati” tutta notte da un'onda fastidiosa … insomma, saremmo stati meglio se fossimo rimasti al primo ancoraggio!
Come se non bastasse, a mio parere le boe non danno la sicurezza di un'ancora di cui si è testata la tenuta. C'è sempre l'apprensione che una cima sia troppo vecchia e prima o poi ceda ... per precauzione avevo calato anche 12 metri di catena, nel caso fossimo andati alla deriva verso terra e non avessimo sentito l'allarme. Ebbene, al momento di salpare l'ancora si è impigliata nel cavo della boa ed abbiamo perso un po' di tempo per liberarci, anche se tutto si è risolto facilmente.
Lasciamo Wayag sotto un cielo coperto da densi nuvoloni: i colori sono spenti e tutto è un po' grigio. Ne siamo quasi contenti, perché questo lenisce il dispiacere di dover partire...
NOTE PRATICHE PER I NAVIGATORI
WAYAG: L'accesso a Wayag è da SW; la cartografia Navionics e C-Map, come a Pef, è inutilizzabile, l'immaginare satellitare migliore è quella di Google Hearth, visibile con Open Cpn; è necessaria una buona luce perché alcuni bassi fondali (meno di 1,5 metri) sono sul percorso profondo, poco visibili; ci sono due canali principali di accesso alla laguna: quello sud è più breve e conduce ad un grande bacino dove è posizionata una boa; quello nord è più lungo, la boa è posizionata all'inizio e quindi l'ormeggio può essere un po' rollante. Le boe sono gratuite, ma le barche del diving possono richiedere di lasciarle libere (hanno la precedenza).
Circa 500 metri a sud della boa del canale nord c'è il monte Pindito: il ripido sentiero che porta in vetta parte dalla spiaggia dietro al grande cartello raffigurante il sito di Wayag; dotati di buone scarpe, in 20 minuti si arriva in vetta senza troppe difficoltà (la vista vale la pena).