martedì 12 luglio 2022

ULTIME TAPPE NEGLI STATI UNITI

 


Riprendiamo il racconto del nostro viaggio.

Giovedì 16 giugno 2022 alle 7.45 lasciamo Charleston con destinazione Wrightsville Beach, North Carolina, distante 159 miglia. L’abbiamo scelta perché offre un ancoraggio molto vicino all’oceano, facilmente raggiungibile con un breve percorso in acque interne, caratterizzate da corrente di marea molto debole. In Atlantico alterniamo vela e motore per circa 26 ore e poi, alle 10.15 del 17 giugno, ancoriamo su un fondale di fango e sabbia, profondità 4-5 metri (33°12.344’N 77°47.997’W).


Wrightsville Beach è un centro turistico piccolo ma molto frequentato. Scendiamo a terra e con una breve passeggiata raggiungiamo la lunghissima spiaggia sul versante oceanico della cittadina. La troviamo affollata di gente che prende il sole e fa il bagno sotto il controllo attento dei bagnini, ragazze e ragazzi giovani e bellissime/i, appostati su torrette di guardia di legno in perfetto stile “Bay Watch”. D’altronde, siamo o non siamo in America?




L’ancoraggio è tranquillo, con movimenti di marea e di corrente molto lievi. Un pomeriggio ci viene a trovare con il gommone una coppia di velisti conosciuti a Charleston: sono Steve e Maureen, americani, che sul loro Magic Dragon stanno navigando verso Nord per tornare a casa (Boston), dopo mesi di vacanza alle Bahamas. Decidiamo di navigare di conserva fino alla seconda destinazione del North Carolina, Beaufort.

Salpiamo all’alba del 20 giugno; la catena ci si presenta avvolta da una coltre di fango così spessa che ci rifiutiamo di calarla nel pozzo di prua senza lavarla. I tentativi di ripulirla a secchiate si mostrano del tutto inefficaci. Ci armiamo di pazienza, approntiamo una canna con pistola ad alta pressione che pesca direttamente dal serbatoio dell’acqua dolce e finalmente, 40 minuti e 50 litri di consumo dopo, siamo pronti a partire. Beaufort è a circa 70 miglia: la destinazione finale è un ancoraggio suggerito da Steve e Maureen, che conoscono bene la zona. Alle 17.30 ancoriamo davanti al marina Beaufort Docks su fondale sabbioso di 4-5 metri (34°42.850’N 76°39.801’W).



Beaufort è una graziosa cittadina animata d’estate da migliaia di turisti che la raggiungono per via terrestre o per mare. Una grande attrattiva, in terraferma, è rappresentata dalle numerosissime villette “storiche”, in stile inglese, affacciate sulle tranquille strade alberate: ognuna mostra orgogliosamente l’anno di costruzione, riportato su targhe di fogge diverse. 



Il versante marino offre invece lunghe spiagge sull’Atlantico e distese di terreni non edificati, selvaggi ed incontaminati, dove regnano incontrastati cavalli allo stato brado e moltitudini di uccelli, tra cui grandi aironi e fenicotteri. 


Numerosi traghetti ed imbarcazioni di ogni dimensione trasportano ogni giorno i turisti nei diversi siti, balneari o naturalistici. Il pomeriggio e la sera c’è ampia scelta tra i molti pub, bar e ristoranti che si succedono uno dietro l’altro
in prossimità del marina. Ne approfittiamo anche noi seguendo Steve e Maureen, che hanno degli amici qui a Beaufort: in una sola serata testiamo tre diversi locali, i primi due per l’aperitivo, il terzo per cenare. Niente male!

Parliamo con Steve e Maureen del prosieguo del viaggio. Hanno la nostra stessa destinazione, Norfolk, Virginia, ma questa volta non navigheremo di conserva. Loro procedono per le acque interne, lungo la ICW (Intracoastal Waterway), itinerario che come abbiamo già detto non si adatta a Refola per due motivi principali: la maggior parte dei ponti fissi ha una luce di 65 piedi ed il nostro albero di maestra con le antenne ne misura 68, ed inoltre le profondità in bassa marea sono spesso troppo limitate per il nostro pescaggio di 2,05 metri. Salutiamo quindi gli amici di Magic Dragon; noi partiremo appena si apre una buona finestra meteo per affrontare l’oceano, ci auguriamo di ritrovarli la prossima settimana a Norfolk, oppure alla vicina Hampton, sempre in Virginia.

Passiamo altri due giorni a Beaufort, perlustrandola in lungo e in largo con grandi passeggiate. A piedi raggiungiamo anche l’unico supermercato della cittadina (circa 40 minuti di cammino), concedendoci il ritorno con Uber (tariffa 7 $).

Partiamo sabato 25 giugno alle 11.00:  la destinazione è Hampton, Virginia, distante 231 miglia.

È l’ultima tappa oceanica di questa stagione: dovremo oltrepassare il famigerato capo Hatteras, dove soprattutto nei mesi invernali (ma non solo) si formano delle tempeste improvvise con venti che possono raggiungere la forza di uragani e onde oltre i 12 metri. Eventi talmente particolari da essere chiamati “Hatteras Storms.”

Al nostro passaggio la situazione è fortunatamente molto tranquilla: c’è poco vento, navighiamo alternando vela e motore. Durante la seconda notte di navigazione il vento rinforza da sud e poi da SW consentendoci di percorrere l’ultimo tratto interamente a vela. Lunedì 27 giugno di buon mattino entriamo nella grande baia di Chesapeake; il cielo coperto, il vento fresco dritto sul nostro naso e un’antipatica onda corta e aguzza infastidiscono le ultime quindici miglia ma alle 8.50 siamo a destino: ancoriamo in un piccolo e tranquillo bacino chiuso su tre lati, tra l’Old Point Comfort Marina ad est, la cittadina di Hampton a nord e la superstrada per Norfolk ad ovest. Il fondale, di sabbia-fango profondo 4-5 metri, ci garantisce un’ottima tenuta (37°00,508’N 76°19,003’W).


L’ancoraggio, oltre ad essere ben protetto, si rivela strategico per gli spostamenti. Sul versante nord c’è un piccolo nuovissimo pontile dove è possibile, in totale sicurezza e gratuitamente, lasciare il dinghy e in pochi minuti raggiungere a piedi il centro di Hampton, con negozi e supermercati. Su internet troviamo facilmente le indicazioni per muoverci in autobus. Organizziamo così un’escursione al museo navale di Norfolk; visitiamo prima la vasta area espositiva, dedicata alla storia della marina militare e mercantile americana, per arrivare poi alla principale attrattiva del museo: la nave da guerra Wisconsin. Costruita nel cantiere navale di Philadelphia, questa corazzata fu varata il 7 dicembre 1943, nel secondo anniversario dell'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor; giocò un ruolo cruciale nella II guerra mondiale, nella guerra di Corea e ancora, dal 1991, nella guerra del Golfo. Effettivamente, pur non essendo Lilli ed io grossi fan delle imprese militari americane, siamo rimasti impressionati dalla sua linea imponente e dagli interni praticamente intatti: biblioteca, sala radio, infermeria, studio dentistico, cappella, cucine, cabine e sale da pranzo degli ufficiali, mense e dormitori dei marinai…








Un’altra giornata la dedichiamo alla visita di Fort Monroe, un sito militare molto importante per la storia americana, dal periodo coloniale alla guerra di indipendenza fino alla guerra di secessione. Oggi si presenta come una splendida fortezza a sei lati, è monumento nazionale ed ospita un piccolo museo davvero molto interessante.




Il nostro viaggio volge al termine: poco più di 50 miglia ci separano dal cantiere dove lasceremo
Refola ed il volo per tornare a casa è prenotato per il 18 luglio. Sabato 2 luglio lasciamo l’ancoraggio di Hampton e ci addentriamo in direzione nord nell’amplissima baia di Chesapeake, un grande bacino di acqua dolce/salmastra su cui si affacciano a nord il Maryland e a sud la Virginia. Lunga oltre 160 miglia e con una larghezza massima di circa 30, raccoglie le acque di numerosi fiumi (i più grandi sono il Potomac, il Susquehanna, lo James) e rappresenta pertanto il più vasto estuario degli USA.

Navighiamo a motore e in circa 7 ore, dopo 44 miglia, raggiungiamo Fishing Bay, una baia superprotetta a sud di Deltaville, dove ancoriamo su fondale di sabbia di 5-6 metri (37°32.454’N 76°20.120’W).



Sul lato occidentale della baia c’è un piccolo marina, il Fishing Bay Marina. Domenica 3 luglio lo raggiungiamo col dinghy. Entriamo nell’ufficio e chiediamo il permesso di lasciare il dinghy per fare due passi a terra: “Non c’è problema - risponde un simpatico anziano signore - con 5 $ avete il permesso di ormeggiare e di usare le biciclette di cortesia messe a disposizione dei clienti”.
  Che pacchia! Inforchiamo le biciclette e ci lanciamo alla scoperta di Deltaville.

Il panorama intorno a noi è dolce e affascinante: tantissimo verde, estesi campi di frumento che si alternano a tratti di bosco con altissime querce. A completare il quadro, le piccole villette di legno in stile coloniale, centinaia di scoiattoli e decine di caprioli (forse cervi? daini? Brutta cosa l’ignoranza!). Impossibile non pensare a Cip e Ciop e a Bambi: mentre abbiamo la sensazione di essere dentro un cartone animato, realizziamo che i simpatici animaletti che amavamo da bambini come personaggi totalmente immaginari qui sono esseri reali che gironzolano indisturbati intorno alle case e nei giardini. Anche questa è l’America!

A Deltaville risiedono stabilmente meno di 1000 anime. Sulla strada principale vediamo un cartello con la scritta “benvenuti” e poco distante un altro con “arrivederci”: in mezzo … quattro negozi e un paio di caffè! 


Pedalando ci spingiamo fino al Regatta Point Marina, dove abbiamo prenotato un ormeggio per le ultime tre notti in acqua. Sembra un luogo ospitale e curato ma non ha ristorante né bar: il figlio del proprietario, vedendo la nostra delusione e quanto siamo stanchi e accaldati, ci offre gentilmente due birre. Avanziamo altri 500 metri fino al cantiere Stingray Point Boat Works, dove lasceremo
Refola. Essendo domenica non ci sono tecnici né addetti; è un cantiere piuttosto spartano, ma il travel lift è potente e le barche sono saldamente assicurate agli invasi.

Rientriamo in bici al Fishing Bay Marina e poi col dinghy su Refola. Appena fa buio, in anticipo di un giorno sulla festa dell’Indipendenza, le case affacciate sulla baia iniziano a sparare fuochi d’artificio. Non è come la festa del Redentore di Venezia, ma ugualmente ci godiamo lo spettacolo.

Lunedì 4 luglio salpiamo: 10 miglia fino al Regatta Point Marina. Il canale di ingresso ha fondali appena sufficienti per il nostro pescaggio. Al nostro passaggio il canale si presenta molto trafficato e gli americani al timone, ahimè, sono spesso poco educati. Incrociamo parecchie piccole imbarcazioni che escono a manetta occupando la parte centrale del canale; per evitarli sono costretto ad accostare sulla parte destra, meno profonda. Morale: ci areniamo. Ormai ci abbiamo fatto il callo, ma per fortuna la marea è crescente e in poco tempo (circa mezz’ora) siamo liberi.

Al Regatta Point Marina facciamo nuove amicizie: ci vengono a trovare Fabrizio e Jesus, che hanno acquistato un Catalina 48 un anno e mezzo fa e sognano ora di ampliare le loro navigazioni. Fabrizio è originario di Como, vive da 30 anni in America e lavora nel settore bancario; Jesus dopo aver lavorato molti anni come ricercatore nella farmaceutica è oggi un imprenditore nel settore immobiliare; vivono nel New Jersey, sono entrambi piloti d’aereo. In due serate passate insieme scatta subito un buon feeling; mostrano molto interesse per le nostre esperienze di navigazione, passate e future. “Abbiamo nuovi candidati per la traversata atlantica di ritorno”, annota Lilli.

Il 6 luglio, per non farci mancare niente, riceviamo sul telefono un allarme tornado: il cielo è coperto, a NW nuvole nere si stanno spostando velocemente verso di noi. Dal pozzetto, mentre il vento rinforza, osserviamo la perturbazione; nell’avvicinarsi fortunatamente si espande e diventa meno minacciosa, fino a dissolversi. Siamo salvi!

Il 7 luglio, con l’alta marea delle 16.00, ci spostiamo di 200 metri fini al cantiere Stingray Point Boat Works. Il travel lift è pronto a sollevarci ed in breve Refola è fuori dall’acqua.


5 giorni di lavoro frenetico per pulire sopra e sotto coperta, lavare e riporre cime e drizze, e soprattutto preparare l’invernaggio completo della barca che questa volta affido al cantiere. Dovranno curare il circuito di raffreddamento del motore e del generatore, ma anche il circuito acqua dolce: boiler, climatizzatore, lavatrice, dissalatore.

Nonostante il ritardo con cui i tecnici del cantiere si sono occupati di Refola, il 12 luglio lasciamo Deltaville per raggiungere in autobus Washington, dove abbiamo prenotato una camera e resteremo 6 giorni. Il 18 luglio, da Baltimora, voleremo a Verona via Francoforte.

E con questo si chiude la IX stagione del giro del mondo di Refola. Ma l’avventura continua…

 

lunedì 20 giugno 2022

CAMBIO DI PROGRAMMA

 C’è una cosa importante di cui non abbiamo finora parlato.

Dall’inizio del nostro giro del mondo, nell’estate del 2012 a Port Napoleon in Francia, i programmi di navigazione preparati a casa tra una stagione degli uragani e l’altra sono sempre stati realizzati con precisione quasi millimetrica. Molti amici velisti ci prendevano in giro per questo, ironizzando bonariamente sul nostro bisogno di rispettare scrupolosamente (da bravi ferrovieri…) la tabella di marcia. Ma noi non abbiamo mai vissuto il programma come una limitazione al nostro muoverci e navigare in libertà. Al contrario: definire in anticipo rotte, destinazioni ed ancoraggi ha sempre significato per noi non solo prepararci alle future destinazioni studiandone le caratteristiche e le possibili difficoltà, ma anche pregustare da casa le nuove avventure che ci attendevano.

Per la prima volta quest’anno, 2022, le cose vanno diversamente. Fin dall’inizio della stagione Lilli comincia a mostrarsi inusualmente apprensiva: dice di aver paura di tutto, si agita per qualunque cosa. Un’insicurezza che aumenta notevolmente quando Angelo e Cristina rientrano in Italia dalle Bahamas e noi torniamo ad essere soli a bordo. Per andare incontro alle sue ansie rivedo totalmente il programma di navigazione lungo la East Coast americana: individuo nuove possibili soste, in modo da spezzare le tappe più lunghe ed evitare le navigazioni notturne. Solo quando Lilli realizza che entrare e uscire da canali e fiumi le crea più stress del mare aperto, cancelliamo alcune soste e ripristiniamo tratti di navigazione notturna in oceano.

Tutto questo, unitamente ad una situazione meteo piuttosto instabile, rallenta di molto il nostro procedere verso nord. All’inizio di giugno mi è chiaro che, vista la situazione, devo abbandonare il progetto di raggiungere il Canada, chiudere anticipatamente la stagione, e tornare a casa. Inizio a cercare una sistemazione dove lasciare Refola, e dopo alcune verifiche la scelta ricade sul cantiere Stingray Point Boat Works, a Deltaville in Virginia.

La Chesapeake Bay su cui il cantiere si affaccia sarà la nostra ultima destinazione per quest’anno. Non ne sono felice, ma non sempre le cose vanno come vorremmo… 

mercoledì 15 giugno 2022

Savannah, Georgia e Charleston, South Carolina

La mattina di martedì 7 giugno, alle 9.25, lasciamo St. Augustine con destinazione Savannah, a 153 miglia. Una volta usciti in oceano la rotta è una linea retta per 12°-14°. Ventiquattro ore di piacevole navigazione con venti leggeri da NE ed E, che ad intervalli aiutiamo con un po’ di motore. Alle 8 del mattino successivo siamo all’inizio del canale di ingresso, ben segnalato da grosse boe rosse e verdi (rosso a destra, verde a sinistra). Ci sono numerose navi all’ancora, in attesa di entrare: nella foschia mattutina intravvediamo le più vicine, ma il sistema AIS ne rileva almeno una trentina, che aspettano il loro turno ed il pilota. Appena immessi incrociamo quattro grosse navi da pesca con reti a strascico sostenute da imponenti gru i cui bracci si aprono lateralmente, triplicando così il baglio delle imbarcazioni; ci sfilano accanto con grande indifferenza, del tutto incuranti della preoccupazione che sono riuscite a suscitare in Lilli, che mi avrà chiesto almeno dieci volte “ma ci stiamo?”.


Alla fine del canale iniziamo a risalire il fiume Savannah; la corrente ci è contro, ma non è troppo forte. 20 miglia di navigazione fluviale prima di raggiungere Savannah, principale porto commerciale della Georgia. A poche miglia dall’arrivo, un altro incontro ravvicinato: in un tratto in cui il fiume diventa particolarmente stretto e sinuoso (e quindi la corrente più forte) ci ritroviamo alle spalle un’enorme nave cargo che naviga con rotta raggiungente a 11 nodi (il doppio della nostra velocità). E come se non bastasse, nel punto più stretto ci sono ad attenderla tre rimorchiatori, chiamati evidentemente per assistere e tenere la nave in rotta. In cinque (la navona, i 3 rimorchiatori e Refola) proprio non ci stiamo! Riduco la velocità, accosto lateralmente affiancandomi a dritta ad un segnale rosso e lascio passare il condominio di container.

Alle 12.45 siamo finalmente a destino. La cosa incredibile di Savannah è che offre alle barche di passaggio un ormeggio completamente gratuito sul lungofiume più bello e più storico della città, in pieno centro: è chiamato City Dock, un lungo pontile galleggiante con colonnine per l’elettricità (anch’essa gratuita), in cui si ormeggia comodamente all’inglese. Quando si telefona per avvisare dell’arrivo dicono che non si può stare più di due giorni, noi ci siamo fermati tre notti e nessuno ha avuto da ridire. Una pacchia! (32°04.884’N 81°05.335’W).



Savannah ci è davvero molto piaciuta: un centro storico tranquillo nonostante il gran numero di turisti, una particolare struttura urbanistica ricca di parchi, piazze e viali alberati. Rari i palazzi, le costruzioni sono principalmente villette in stile inglese, nei tipici mattoni rossi oppure in legno, con gli abbaini e i serramenti rigorosamente bianchi, e le staccionate dei giardini, poste ad uso esclusivamente decorativo ed ovviamente bianche.

Anche qui come a St. Augustine c’è un eccellente servizio di autobus, molto economico che abbiamo sfruttato per girare a destra e a manca, fare la spesa e recarci alla West Marine, una delle principali catene di negozi di nautica negli USA. Visitiamo il museo navale, dove accuratissimi modelli in miniatura ricostruiscono la storia della navigazione negli States, a partire dall’epoca coloniale.




Dopo tre giorni di sosta che abbiamo particolarmente gradito, sabato 11 giugno alle 15.30 molliamo gli ormeggi e ripercorriamo le 20 miglia del Savannah River fino all’oceano. Una volta in mare, un’ottantina di miglia ci separano dalla nuova destinazione: Charleston, in South Carolina.

La notte trascorre tranquilla con venti da SE-SSE da 10 a 15 nodi, che ci permettono una velocità media sui 6 nodi; i turni di guardia ogni 3 ore continuano a funzionare bene.

Alle 11,10 di domenica 12 giugno ancoriamo di fronte al Charleston City Marina, su fondale fangoso di 5-6 metri (32°46.502’N 79°57.080’W).

Il Marina è un po’ decentrato rispetto al centro città; la prima volta facciamo una bella camminata di mezz’ora, poi familiarizziamo con gli autobus e riusciamo a muoverci velocemente: la città non ha più segreti per noi.


Con queste soste negli stati del Sud stiamo di fatto ripercorrendo i cinque secoli di storia americana; restiamo colpiti dall’attenzione con cui queste città, definite “storiche”, salvaguardano e valorizzano il loro patrimonio culturale e le tormentate origini.
 

Charleston, fondata nel 1670 dagli inglesi, divenne ben presto molto popolata e centro nevralgico del commercio di schiavi. Anche qui molti turisti, a beneficio dei quali l’antico mercato degli schiavi è stato trasformato in una sorta di piccolo centro commerciale, con bancarelle piene di souvenir e di prodotti dell’artigianato locale. Pranziamo in un simpatico Oyster Bar poco distante: cibo buono, prezzo ragionevole.





Ma oltre a gironzolare abbiamo due cose importanti da fare: comunicare il nostro arrivo alla Custom (Lilli ha esaurito i codici di accesso alla app CBP Roam e non riesce ad averne di nuovi) e recarci in un negozio Metro T-Mobile per pagare i 60 $ dell’abbonamento telefonico (che non possiamo rinnovare on line perché – come sembra avvenire su molti siti web americani – vengono accettate solo carte di credito USA). Riusciamo a completare con successo entrambe le operazioni.

Il 15 giugno è l’ultimo giorno di permanenza a Charleston. Purtroppo l’effetto combinato di vento e corrente rende il nostro ancoraggio poco confortevole: ogni barca si muove in direzione e con tempi diversi, così ogni tanto ci troviamo davvero troppo vicini a quella alla nostra sinistra. Per un po’ Lilli ed io restiamo di guardia in pozzetto, accendendo il motore per ristabilire una distanza di sicurezza. Ma il giochino non mi diverte affatto e così a metà pomeriggio decido di accostare al lunghissimo pontile esterno del marina, che presenta distributori di carburante ogni 50 metri. L’idea è di fare rifornimento di gasolio e chiedere se è possibile restare per la notte, in modo da dormire tranquilli e ripartire presto la mattina dopo.

Le cose, ahimè, vanno un po’ diversamente. Lo spazio libero sul pontile è per noi appena sufficiente; come d’abitudine affronto la manovra in retromarcia, ma vengo tradito dalla corrente di marea, di circa 1,5-2 nodi; dopo due tentativi falliti cambio modalità e provo l’approccio in marcia avanti contro la corrente, ma a causa dello spazio ridotto con il rollbar della mia poppa sfioro la prua di un megayacht a vela, Christopher, che da giorni ammiravamo essendo ancorati poco distante. Gli abbiamo fatto un graffio di una cinquantina di centimetri sotto la falchetta del lato sinistro della prua; su Refola invece il danno riguarda l’antenna stilo della radio SSB, che non si spezza in due parti ma poco ci manca. Vabbè, poteva andare peggio. Lo skipper di Christopher si mostra educato e composto, ci scambiamo biglietti da visita e riferimenti telefonici, ci farà sapere l’importo della spesa per i ritocchi a nostro carico.

Nel frattempo apprendiamo che il posto che occupiamo per il rifornimento è già prenotato per la notte. Dobbiamo lasciare il pontile e tornare all’ancora. Così facciamo: ci spostiamo di circa mezzo miglio in direzione sud, verso l’uscita; l’ancoraggio è molto più tranquillo del precedente.

Questo di Charleston è il primo sinistro di Refola, dalla sua nascita nel 2004; via mail avvisiamo il broker dell’accaduto, riservandoci di presentare denuncia formale una volta saputo l’importo da rimborsare. Staremo a vedere cosa ci sparano…

Inutile farsi prendere dallo sconforto. Meglio dormirci sopra e prepararci alla partenza di domani mattina per Wrightsville Beach, a 159 miglia.

 

lunedì 6 giugno 2022

St. Augustine, Florida

 Finalmente gli amici neozelandesi ci comunicano che Odette sta molto meglio, sono arrivati a St. Augustine e hanno verificato per noi le profondità del canale d’ingresso: in bassa marea non meno di 15 piedi (4,5 metri). Questa informazione ci fa decidere di saltare la sosta a Port Canaveral (dove dovremmo entrare attraverso un ponte mobile e una chiusa) e puntare direttamente su St. Augustine, a 175 miglia.

Mercoledì 25 maggio partiamo alle 8.00, in modo da arrivare a destino tra le 14 e le 15 del giorno dopo, con la marea crescente. Nel primo pomeriggio, mentre il vento da est al traverso ci regala 7 nodi di velocità, il contamiglia de plotter Raymarine (che noi chiamiamo ancora “nuovo” nonostante sia stato acquistato nel 2014 ad Opua Nuova Zelanda) ci segna un traguardo: 30.000 miglia solcate da novembre 2014 ad oggi!

Ovviamente Lilli la precisina è andata subito a controllare il file dove sono segnate le percorrenze stagione per stagione, da quando è nata Refola. Il vecchio plotter Furuno ha registrato, da dicembre 2004 a novembre 2014, 42.407 miglia. Totale ad oggi: 72.407 miglia, niente male!

Nella notte il vento gira a SE; avvolgo la randa, che tende a coprire il genoa, e spiego la mezzana: l’apparente è diminuito ma la velocità resta sui 5 nodi.

Alle 14.00 siamo nel canale d’ingresso di St. Augustine. La minima di marea è stata alle 12.32, e noi registriamo un fondale minimo di 5 metri; seguendo i segnali rossi (da lasciare a destra!) raggiungiamo l’area di ancoraggio dove individuiamo il piccolo White Cat: non c’è il gommone, Richard e Odette devono essere a terra. Girando intorno alla loro barca, tanto per non perdere l’abitudine, ci insabbiamo. Il fondale è morbido e non c’è stato alcun impatto: aspettiamo 10 minuti e la marea crescente ci libera, consentendoci di ancorare poco distante su un fondale sabbioso di 5-6 metri (29°53.916’N 81°18.483’W).

Gli amici neozelandesi sono completamente ristabiliti, quindi finalmente festeggiamo col prosecco ed una bella cena su Refola il superamento degli scogli burocratici dell’ingresso in USA. Conosciamo pure un’altra giovane coppia di canadesi, coi quali condividiamo un’allegra happy hour.



St. Augustine vanta il primato di essere negli Stati Uniti il più antico insediamento europeo ancora abitato, fondato dagli spagnoli nel 1565. Da questo la cittadina ha tratto una fortissima vocazione turistica: il suo centro storico, con una via pedonale piena di taverne e negozietti, assomiglia un po’ alle ricostruzioni che da noi si trovano nei parchi tematici, dove tutto è un po’ finto. 





Nella laguna e nei canali è un viavai di galeoni piccoli e grandi, con gli equipaggi rigorosamente vestiti coi costumi dei navigatori in epoca coloniale.




Passiamo un paio d’ore nel “Visitor Center”, dove su grandi pannelli ricchi di illustrazioni, mappe e vecchie foto è ricostruita a beneficio dei turisti la ricca e tormentata storia di St. Augustine: dall’arrivo degli Spagnoli (1565) al breve periodo di dominazione britannica (1763-1783); dalla guerra d’indipendenza delle colonie del nord, in cui St. Augustine si schierò coi lealisti, cioè con l’Inghilterra, al ritorno degli spagnoli (1784-1821); dall’annessione agli Stati Uniti (1821) fino alla guerra di secessione, in cui St. Augustine cadde da subito sotto il controllo degli stati federali (i nordisti).



Al di là dei percorsi turistici, con gli autobus visitiamo anche il resto della cittadina, verso l’entroterra ma anche fino alle sue lunghe spiagge sull’atlantico. Ci piace usare, quando possibile, i trasporti pubblici; qui sono economici e molto efficienti, e ci hanno permesso un approccio più “vero” con St. Augustine, che nel complesso abbiamo molto apprezzato.