martedì 16 maggio 2023

TURISTI A NEW YORK

 

Meteorologicamente parlando, a New York, siamo stati davvero sfortunati. In particolare la prima parte del soggiorno - dall’arrivo il 26 aprile fino al 3 maggio, quando eravamo alla boa nella Sheepshead Bay a sud di Brooklyn - è stata segnata da brutto tempo, con tanta pioggia e vento forte.

Frank decide di sbarcare la stessa sera del 26, per trasferirsi da sua cugina che abita proprio a Brooklyn; ci salutiamo con una cena di commiato da “Randazzo”, un ristorante un tempo famoso per gustosi piatti a base di vongole. Probabilmente, col passare degli anni, la tradizione della cucina italiana si è un po’ “diluita” (letteralmente); fatto sta che ad Ornella e Umberto sono stati serviti spaghetti alle vongole che annegavano nel brodo, mentre è andata meglio a chi aveva ordinato calamari o bistecca. Con l’occasione della cena conosciamo la cugina di Frank, Loretta, che ci consegna la pompa Whale MK5, che avevamo ordinato su Amazon.

Il 27 aprile, nostra prima giornata newyorkese, si presenta con un cielo già poco rassicurante. Non scendiamo dalla barca: Ornella e Lilli si dedicano alle pulizie ed alla selezione delle cose da vedere in città, Umberto ed io alla manutenzione della barca. Sostituiamo la pompa di sentina, controlliamo la cinghia dell’alternatore da 12 V che ricarica la batteria di avviamento, la cui spia sul quadro motore si era accesa durante la notte di navigazione precedente all’arrivo. La troviamo un po’molla, proviamo a smontarla ma non riusciamo: la vite che sostiene l’alternatore è troppo stretta e non si riesce ad allentare.

Occorre chiamare un meccanico. Viene a bordo il giovane Will. Appura subito che le cinghie che ho a bordo di scorta sono per l’altro alternatore di potenza (a 24V), e quella per i 12V va ordinata; in ogni caso fallisce anche lui il tentativo di rimuovere la cinghia da sostituire.

Ci diamo appuntamento per la settimana successiva, quando ci sposteremo all’Hudson Point Marina.

Con i loro studi approfonditi Ornella e Lilli hanno scoperto come muoverci a NYC facilmente ed in economia: compriamo un abbonamento settimanale per bus e metropolitana (Metrocard, 33 $ a testa, corse illimitate). 

Il 28 aprile, in una giornata grigia, fredda e ventosa, affrontiamo il “viaggio” verso il ponte di Brooklyn (autobus B4 fino alla stazione Metro, poi linea Q, circa 50 minuti di percorrenza). Non si può negare che la vista dei due ponti, denominati senza troppa fantasia di Brooklyn e di Manhattan, con sullo sfondo i grattacieli della city, mantiene intatto il suo fascino nonostante le nuvole. 




Pranziamo al Time Out Market, in un grande, suggestivo fabbricato in mattoni rossi originariamente adibito a magazzino.

Un panino, una birra e a seguire una passeggiata per le vie più storiche di Brooklyn, che ci richiamavano continuamente le immagini più belle di “C’era una volta in America” e le fantastiche musiche del nostro amato Ennio.


Soddisfatti ancorché infreddoliti rientriamo alla base. Il Marina che ci ospita (Miramar Yacht Club, solo boe, 45 $ a notte) è in realtà un piccolo circolo nautico, frequentato da persone gentilissime ed ospitali; tra queste Tino, arrivato negli USA con i genitori quando era ancora un bambino. Parla un italiano un po’ stentato ma si fa capire e ci invita per il giorno seguente alla cena con tutti i soci, a base di specialità nostrane. Accettiamo con piacere, ringraziamo e torniamo in barca.

Ci aspetta purtroppo una notte un po’ agitata: 30-35 nodi di vento, pioggia a tratti torrenziale. Il mattino dopo il vento è sceso sui 25 nodi, ma il cielo continua ad essere minaccioso, con nuvole cariche di pioggia. 

Il dinghy, che incautamente non avevamo tirato su, è pieno d’acqua, col serbatoio della benzina che galleggia. Lilli si veste da palombaro (stivali, cerata, tuta termica) e procede allo svuotamento, sgottando con energia. Per precauzione pensiamo sia meglio rinforzare con un ulteriore cavo l’ormeggio alla boa, così Umberto ed io trainiamo a prua il dinghy, Lilli passerà la nuova cima nell’anello della boa e ce la porgerà da sotto. L’operazione si conclude in pochi minuti, Lilli risale a bordo e siamo tutti più tranquilli. La giornata però è un vero schifo, la più brutta della nostra permanenza a New York. FOTO Non ci moviamo dalla barca, verso le 18 in un momento di calma, vado ad informare Tino e gli amici del circolo che non parteciperemo alla festa.

Domenica 30 tentiamo nuovamente la sorte; vorremmo vedere Prospect Park e lo storico quartiere di Park Slope, a detta di molti tra i più affascinanti di Brooklyn, ma purtroppo ci coglie nuovamente la pioggia. Cambiamo programma: riprendiamo la metropolitana e ci avviamo a Central, la stazione ferroviaria di cui Lilli ed io ci eravamo innamorati nel lontano 2002. In particolare abbiamo un bellissimo ricordo di un Oyster Bar, con un lungo buffet di ostriche di mille qualità diverse. Per ritrovarlo giriamo la stazione, gremita di gente, in lungo e in largo ma dopo un po’ ci rassegniamo: nessuna traccia del nostro Oyster Bar, e per giunta un ristorante per nulla di charme che serve ostriche ed altri piatti è chiuso per turno settimanale! Si risolve con l’ennesimo panino … 



Dedichiamo un’altra buona mezz’ora alla ricerca del negozio della compagnia ferroviaria in cui avevamo comprato nel 2002 la locandina della metro di NYC, di cui vorremmo comprare l’edizione 2023. Lilli si incaponisce e dopo aver chiesto ad almeno 10 persone riusciamo a trovare il negozio e a fare l’acquisto. Mettiamo il naso fuori dalla stazione giusto per realizzare che piove a dirotto. Neanche parlarne di fare una passeggiata nella vicina 5th Avenue!

Un po’ mogi, affrontiamo il viaggio di ritorno per raggiungere Refola. Ci attende un finale a sorpresa: la pioggia che ci ha accompagnato tutto il giorno, aumenta via via che ci avviciniamo al Miramar, per diventare letteralmente torrenziale non appena saliamo sul dinghy. Raggiungiamo la barca completamente fradici. In materia di sfortuna Fantozzi, rispetto a noi, è solo un dilettante.

Lunedì primo maggio Lilli ed Ornella partono in autobus alla ricerca di una lavanderia a gettoni (impossibile asciugare il bucato in barca); Umberto ed io, invece, incontriamo Tino nella sede del circolo, che si offre di accompagnarci in macchina a fare la spesa da un importatore italiano.

A questo punto, visto il tempo inclemente, prolunghiamo di due giorni la permanenza a Sheepshead Bay.

In tutto questo, Lilli è sempre più preoccupata per il suo ginocchio. Dopo la scivolata sul pontile di Atlantic City, le fa spesso male e non riesce a caricare il peso sulla gamba sinistra. Ha comprato un bastone a cui si appoggia per camminare, ma preferisce stare a riposo.

Martedì 2 maggio infatti decide di restare in barca, mentre Umberto, Ornella ed io ci rechiamo al quartiere Little Italy di Manhattan, pranziamo da “Amici”, un ristorante italiano, e poi giriamo un po' l’attigua China Town.



Mercoledì 3 maggio alle 8.00 molliamo l’ormeggio. Occorre passare con l’alta marea il punto critico di basso fondale nel canale di accesso a Sheepshead Bay. Anche questa volta tutto fila liscio e alle 11.30 siamo ormeggiati all’Hudson Point Marina, un marina estremamente costoso che di ottimo ha solo la posizione (dall’altra parte del fiume Hudson, proprio di fronte al nuovo Trade Center e al Memorial delle torri gemelle), mentre i servizi sono scarsi (un solo bagno unisex per tutti, niente wifi, niente bar né accoglienza).


Nel pomeriggio arriva Fabrizio, nuovo membro dell’equipaggio. Non lo conoscevamo personalmente, solo per telefono, ma ci era stato raccomandato dall’amico Michele di
Bella Storia e le attese sono state confermate.

Giovedì 4 maggio, lasciando Lilli in barca sempre a causa del ginocchio, prendiamo il traghetto che attraversa l’Hudson e visitiamo il Ground Zero, compreso il museo dedicato all’11 settembre 2001.




Venerdì 5 i nostri amici tentano di recarsi a piedi alla vicina Ellis Island per visitare il Museo dell’Immigrazione; l’impresa non ha successo perché il ponte che collega la terra ferma all’isola è utilizzabile solo dal personale che vi lavora: i turisti devono per forza andarci coi traghetti! Lilli ed io restiamo a bordo. Lei per il solito dolore al ginocchio ed anche perché mi deve assistere con l’inglese: torna infatti a trovarci il giovane meccanico Will per cambiare le benedette cinghie dell’alternatore. Ma anche questa volta il tentativo di svitare il bullone di fissaggio fallisce. Per non lasciare nulla di intentato con Will ci rechiamo ad un negozio di ferramenta, distante 4 km, per acquistare una chiave speciale per bulloni spanati, che purtroppo non troviamo. Finora non abbiamo raggiunto grossi risultati con Will, ma è un ragazzo molto a modo e Lilli lo ha praticamente adottato (lo invita a cena, con sua morosa, per la sera dopo); nel frattempo lui ordinerà l’attrezzo e poi ci raggiungerà per fare il lavoro al nostro prossimo ancoraggio, Port Washington.

Il 6 maggio programmiamo un giro in bici a Central Park. Finalmente il cielo è azzurro e Lilli, che non lascia Refola da una settimana, rompe gli indugi e decide di partecipare. Il parco è super affollato (è sabato, la prima bella giornata dopo tante nuvole e pioggia) ma comunque estremamente gradevole. Pedaliamo piacevolmente per oltre 10 km tra alberi, prati e laghetti; Lilli regge bene la prova della bicicletta, ma un po' meno la camminata sulla 5th Avenue e a Time Square. 


La sera non riesce quasi a muoversi ma tiene botta perché abbiamo a cena Will con la sua fidanzata Arianne, che vive a Manhattan. Passiamo una bella serata, Will ci indica sulla cartografia Navionics alcuni buoni ancoraggi per le nostre tappe a venire.

Domenica 7 maggio, Umberto Fabrizio ed io ci rechiamo in taxi ad un distributore dove carichiamo la bombola del gas. Le indicazioni per trovarlo ci sono state fornite dai nostri preziosi amici americani Fabrizio (omonimia) e Jesus, che nel pomeriggio ci vengono a trovare (abitano poco distante da qui, in New Jersey) e si fermano a cena per gustare l’insalata di avocado e arance preparata da Ornella ed il risotto di zucca cucinato dal sottoscritto.

Si conclude così la nostra avventura nella Grande Mela: domani 8 maggio inizia il nostro percorso nel Long Island Sound, che separa il versante meridionale del Connecticut da Long Island.

giovedì 4 maggio 2023

PHILADELPHIA e poi … arrivo a New York

Venerdì 14 aprile salpiamo alle 10.30. La tappa fino a Philadelphia è breve, 36 miglia di risalita del fiume Delaware, di cui nel primo tratto affrontiamo la corrente contraria. L’orario di partenza è stato schedulato per arrivare dopo le 18, quando la marea è in aumento dopo la bassa delle 16.15. Il gentilissimo dockmaster Rich Goodman, con cui siamo in contatto da settimane, ci ha raccomandato questo orario perché il marina è stato dragato poco tempo fa a 6 piedi (1,80 metri, contro il nostro pescaggio di 2,05). Dopo le 18 la marea dovrebbe essere + 60 centimetri: arriviamo alle 18.10 e infatti tutto fila liscio. Rich è sul pontile ad attenderci, per prendere le cime di ormeggio e darci tutte le istruzioni per entrare e uscire dal Marina, che è completamente deserto; apre ufficialmente il 1° maggio e sembra che ci abbiano fatto un gran piacere ad offrirci l’ormeggio a un prezzo contenuto (636 US$ per una settimana, comprensivi di acqua ed elettricità ma senza servizi). La posizione è 39°56.585N 75°08.422’W, i pontili galleggianti a pettine, il fondale fangoso ha profondità da 2,8 a 1,8 metri, infatti in bassa marea ci appoggiamo dolcemente sul fondo. Siamo vicinissimi al centro storico e alle principali attrazioni turistiche.

Philadelphia è una grande città, la sesta più popolosa degli USA e una delle più ricche di storia: proprio qui venne firmata, nel 1776, la dichiarazione di indipendenza delle 13 colonie britanniche.

Per una settimana conduciamo una vita da perfetti turisti: iniziamo dal Museo della Rivoluzione Americana, ben allestito con numerose sale tematiche dove vengono riprodotti continuamente filmati esplicativi molto ben curati.

Organizziamo una gita di una giornata, in treno, nella contea di Lancaster; da lì un pulmino ci conduce, insieme ad un’altra decina di persone, in giro per le curatissime campagne dove vivono gli Amish, appartenenti ad una comunità religiosa di origine germanica che giunse in America a metà del ‘600. Al di là del fatto che la loro presenza sia in parte diventata un’attrazione turistica, le persone che abbiamo visto muoversi e lavorare si mantengono fedeli a norme e tradizioni per noi del tutto inusuali, dall’abbigliamento estremamente semplice al divieto di guidare automezzi e mezzi meccanici (utilizzano infatti carrozze ed aratri trainati da cavalli), dal rifiuto della corrente elettrica se non autogenerata (con pannelli solari e gas propano) alla scelta di educare i bambini in un sistema scolastico proprio. Ci ha colpito il fatto che i giovani, per un periodo di alcuni anni dall’adolescenza alla prima giovinezza, possano fare esperienze simili ai ragazzi nostrani (cellulari, T-shirt, berretti sportivi, per le ragazze trucco e tacchi), ma entro i 25 anni devono decidere se vogliono rimanere nella comunità o andarsene: la guida ci ha detto che l’85 % decidono di rimanere!




Non ci siamo fatti mancare nemmeno, come altre centinaia di turisti, una visita alla scalinata resa celebre nel 1976 dagli allenamenti di Sylvester Stallone, nei panni di Rocky Balboa.

Nel complesso Philadelphia ci è piaciuta molto e possiamo dire di averla girata in lungo e in largo.

 




Venerdì 21 aprile alle 12.15 molliamo gli ormeggi per iniziare la discesa del Delaware River verso l’oceano. Il percorso è molto lungo; navighiamo 35 miglia e dopo le 18 ci fermiamo nuovamente nel poco affascinante ancoraggio del 13 aprile, in prossimità del Canale di Chesapeake e Delaware.

Il mattino successivo riprendiamo la navigazione nel fiume, per una tappa di 41 miglia. All’inizio subiamo una corrente contraria di circa 1,5-2 nodi, e confidiamo di andar meglio quando si invertirà. Ma col passare delle ore la situazione in realtà peggiora: il vento da SE, che abbiamo dritto sul naso,  via via rinforza fino a 25-30 nodi, alzando un’onda ripida e corta che ci stoppa continuamente. Col motore a 2400 giri la velocità arriva a stento a 4 nodi. Raggiungiamo faticosamente la meta ed alle 18.15 diamo ancora appena fuori dall’area di ancoraggio delle navi, fondale di sabbia 8-9 metri (38°59.952’N 75°14.485’W).

Siamo stanchi e provati. Nelle prime ore subiamo un forte rollio, poi il vento gira a NW ed il moto ondoso si calma; stiamo tranquilli fino a circa le 3.00 del mattino, quando il vento riprende a soffiare a 20-25 nodi; alle 4 Umberto mi sveglia: ha sentito un gran botto e infatti si è spezzato il cavo di ritenuta della catena (che si usa per scaricare il verricello dallo sforzo dell'ormeggio). Come già successo l’anno scorso alle Bahamas, abbiamo perso il gancio che si artiglia alla catena. In via provvisoria, sostituisco il forte cavo spezzato con altri tre cavi più leggeri, che annodo alla catena in punti diversi.

Torniamo a dormire per un paio d’ore; fatta colazione, alle 8 iniziamo le manovre per salpare. Le sorprese sembrano non finire mai: l’ancora è talmente affondata nel fango che non riusciamo a tirarla su. Finalmente, dopo una decina di minuti di tentativi, riusciamo a spedarla e a mettere la prua verso l’oceano Atlantico.

Abbiamo il vento in poppa, è tutta un’altra musica rispetto al giorno precedente: l’onda non si sente, andiamo a vela di solo genoa alla media di 6 nodi. La destinazione è Cape May. Alle 13.00 entriamo nel canale che porta alla cittadina e a numerosi piccoli marina, per accorgerci che non c’è una vera e propria area di ancoraggio (sono in corso grossi lavori di dragaggio). 


La profondità è sui 4-5 metri, ma appena fuori dai segnali si abbatte ad 1 metro! In assenza di alternative, e grazie al fatto che il vento è orientato nel senso del canale caliamo l’ancora trasformando così Refola in una sorta di spartitraffico tra le imbarcazioni in entrata e in uscita. Per fortuna nessuno si lamenta.

Ci godiamo una notte di calma, dormiamo di gusto, e alle 7,50 di martedì 24 aprile ripartiamo alla volta di Atlantic City, distante circa 35 miglia.

Avanzando un po' a vela, un po' a motore arriviamo alle 14,30.


Ci rechiamo subito al distributore di gasolio per fare rifornimento (39°22.569’N 74°25.674’W); è un self service, che purtroppo con le nostre carte di credito europee non riusciamo a far funzionare; chiamiamo gli addetti del marina e con loro l’operazione ha successo. Sarà per la spesa (circa 350 US$), sarà perché gli siamo risultati simpatici, ci offrono di restare ormeggiati al pontile e ci forniscono le password per utilizzare i servizi e per entrare e uscire liberamente dal marina.

Non avremmo mai immaginato tanta fortuna: un ormeggio sicuro e per di più gratuito, che ci permette di cenare al vicino Golden Nugget, grande albergo con annesso casinò. Dicono che Atlantic City sia la Las Vegas della costa est: per noi abbastanza deludente. Mille slot machine, nessuna atmosfera.

Né ci fa cambiare idea la camminata della mattina dopo: solite ampie strade incrociate a 90°, edifici anonimi, negozi anonimi. Senza troppi rimpianti alle 16.50 del 25 aprile molliamo gli ormeggi con destinazione New York, a 92 miglia. Eolo ci concede qualche ora a vela, che gustiamo alla grande con un apparente al traverso sui 10-12 nodi, poi cambia idea; il vento gira, sul nostro naso, e quindi … a motore fino a destino.

La nostra meta è nella zona meridionale di Brooklyn: Sheepshead Bay, che ha un canale di accesso con un basso fondale da affrontare solo con alta marea, quindi verso mezzogiorno. Siamo in anticipo: alle 7.00 passiamo sotto l’imponente Ponte di Verrazzano, che unisce Brooklyn a Staten Island, e abbiamo tutto il tempo per prendercela comoda. 


Alle 9.00 siamo davanti alla statua della Libertà; anche se il cielo non è libero da nubi come vorremmo, il contesto rimane fascinoso. 

Siamo intenti a scattare foto, in atmosfera giocosa, quando veniamo avvicinati dalla Guardia Costiera per un’ispezione a bordo; lasciandoci proseguire a bassa velocità, ci accostano per far salire due uomini a bordo di Refola.


L’ispezione riguarda soprattutto le dotazioni di sicurezza e dei servizi: giubbetti di salvataggio, razzi di segnalazione, estintori, serbatoi acque nere, regole di navigazione nelle acque territoriali, di cui è prescritto la presenza a bordo in formato cartaceo. Lilli, furbissima, si scusa affermando che ne abbiamo copia in formato elettronico, sul computer. È andato tutto bene, alla fine ci salutano come vecchi amici augurandoci buona navigazione.

Alle 10 circa invertiamo la rotta per raggiungere Sheepshead Bay; passiamo nuovamente sotto il Ponte di Verrazzano, aggiriamo i versanti occidentale e meridionale di Brooklyn, superiamo il punto critico col basso fondale (a poco più di mezza marea registriamo pochi centimetri di acqua sotto la chiglia) e alle 11.50 prendiamo la boa assegnataci da David, il gestore del Miramar Yacht Club (40°34.886’N 73°56.238’W). Sotto un cielo che nel frattempo è diventato plumbeo, inizia la nostra avventura newyorkese…