venerdì 23 settembre 2016

AMBON e i suoi angeli

L'ancoraggio di Ambon non è entusiasmante: siamo nell'ansa del porto davanti al Christian Center, una costruzione che richiama - con un po' di fantasia - l'Opera House di Sydney.
L'acqua è torbida e vi galleggia ogni genere di immondizia.
Siamo alla ruota in mezzo a tre navi.
A terra di fronte a noi un quartiere fitto di case e baracche. Solo la vista della chiesa, e le numerose moschee di cui si intravedono le cupole e i minareti colorati risollevano lo scenario un po' deprimente. In compenso è il posto più comodo e vicino al centro città, ed è anche sicuro (come ci confermerà l'Harbour Master, cui avevamo detto di volerci spostare più a nord, oltre il grande ponte che collega i due lati dell'insenatura).
Così alla fine non ci muoviamo, facciamo l'abitudine al sudiciume galleggiante e alle navi, stabilendo rapporti di buon vicinato con gli equipaggi a bordo. Anche a terra, in tre giorni, ci conoscono tutti, e ogni volta la gente delle case affacciate sul mare si precipita per aiutarci a scendere o risalire sul dinghy.
Abbiamo una lunga lista di cose da fare: pratiche di navigazione, rifornimento di carburante e gas, supermercato, farmacia. Iniziamo come sempre dall'Harbour Master; gli impiegati masticano poco inglese ma ci fanno parlare col capo, una persona estremamente gentile e disponibile. Quando chiediamo dove fare gasolio e dove acquistare una bombola di gas, lui stesso fa qualche telefonata ai fornitori di carburante, senza ottenere nulla perché i 200 litri che ci occorrono sono troppo pochi per far muovere i distributori; per risolvere il problema, decide allora di affidarci ad uno dei suoi collaboratori.
E qui comincia l'avventura: la nostra guida non sa una parola di inglese e come la maggior parte degli indonesiani possiede una motocicletta e non un'automobile. Mi consegna un casco, mi fa cenno di salire; "E mia moglie?" chiedo a gesti, indicando Lilli. Impassibile, lui parla in bahasa con un suo collega, gli dà (a quel che capiamo) disposizione di seguirci con Lilli in sella, e parte sparato. Peccato che dopo qualche minuto il secondo "tassista" se ne andrà per i fatti suoi, lasciando  Lilli basita nel parcheggio... Torniamo dopo circa mezz'ora con il bombolone di gas da 12 litri, che l'agente regge tra le gambe; trovo Lilli, sempre in piedi nel parcheggio, che sta facendo conversazione e fotografie con un altro giovane in divisa, collaboratore dell'Harbour Master, che parla un buon inglese. La lascio di nuovo ad aspettarmi e proseguo con la mia guida alla ricerca del carburante; dopo un paio di tentativi senza esito, troviamo al terminal dei traghetti un deposito che è disponibile a venderci 200 litri con un piccolo sovrapprezzo, 7500 rupie/litro anziché 5500 che è il prezzo al distributore (0,5 €/lt anziché 0,35 €/lt).
In Indonesia gli stranieri non possono acquistare il carburante al distributore, ma devono fare una trafila burocratica e pagarlo con un sovrapprezzo del 100%; lo scoglio si aggira con il mercato nero: è illegale, ma è un affare sia per chi vende che per chi acquista. Il prezzo naturalmente varia in base alla richiesta del fornitore.
Mentre il deposito riempie le taniche, la mia guida mi accompagna a recuperare il dinghy, con cui le porterò a bordo di Refola. Nel frattempo scoppia un fortissimo temporale, che ci costringe ad  aspettare un bel pezzo prima di iniziare il trasbordo. Sono un po' preoccupato per Lilli, che ormai è sola al porto da tre ore; ogni tanto dico alla mia guida "My wife?...", ma non capisce e invariabilmente mi risponde: "Yes, my wife!".
Terminate le operazioni, ritorno con il dinghy carico di taniche di gasolio verso il molo dell'Harbour Master, dove finalmente ritrovo Lilli. La vedo un po' sconvolta, mi dice che mi racconterà solo davanti a una birra. Carichiamo taniche e bombola del gas su Refola, poi mi dirà che proprio sotto il gran temporale un ragazzetto con cui si era riparata sotto una tettoia le ha fatto delle proposte oscene. Ce l'ha a morte col maschilismo che è uguale in tutto il mondo, è molto arrabbiata e non posso darle torto. Dopo lo sfogo, ci rimettiamo al lavoro: travasiamo tutto il gasolio e andiamo a restituire le taniche vuote. Non ci pare vero, alle 15 del primo giorno, di aver già risolto i due principali problemi: gas e gasolio.
Pensando che le avventure della giornata siano finite, decidiamo di fare un salto al supermercato. In Indonesia esiste una catena di supermercati, "Saga", che vende anche prodotti d'importazione. Ne avevamo chiesto notizie ad un impiegato dell'Harbour Master, che ci ha risposto che lo avremmo trovato in località Wayame, raggiungibile con due minibus. Saliamo sul primo diretti al "terminal" (capolinea di tutti i minibus) e facciamo conoscenza con alcune ragazze velate, studentesse di lingue al primo anno di università. Sono entusiaste di parlare con degli stranieri, di praticare la lingua che stanno studiando, coi cellulari scattano innumerevoli foto che ci ritraggono insieme.

Ci chiedono dove stiamo andando e quando glielo diciamo si mostrano sorprese: "Cosa ci andate a fare? è lontano..." Noi spieghiamo che vogliamo andare al supermercato Saga, perché lì possiamo trovare prodotti italiani e a nostra volta tentiamo di informarci: "Ma quanto lontano? quanti chilometri? quanto tempo?" La risposte non sono precise, restiamo un po' perplessi, ma l'allegra compagnia delle ragazze ci distrae e non diamo peso a nostri dubbi …
Una volta al terminal, le ragazze prendono a farci da guida ("follow me"); anche loro sono dirette a Wayame e ci conducono al secondo minibus. Saliamo e via di nuovo con chiacchiere e fotografie, anche se man mano che avanziamo in quartieri sempre più periferici comincia ad affiorarmi qualche timore. Dentro di me penso: "Sono quasi le 17 e siamo ancora nel viaggio di andata, questo vuol dire che al ritorno sarà buio ... ritroveremo il minibus giusto per tornare alla barca?". Ma di nuovo non presto la dovuta attenzione a questi saggi interrogativi, e mi do risposte tranquillizzanti: "Faremo in fretta, daremo solo una veloce occhiata e ritorneremo con calma per gli acquisti …  poi per l'indirizzo, siamo vicini a quella bella e particolare chiesa che richiama l'Opera House di Sydney, tutti sapranno dove si trova..."
E intanto il tempo passa, inesorabile.
Quando arriviamo a destinazione scoppia l'ennesimo temporalone, con pioggia torrenziale; le ragazze ci scortano al supermercato e ci salutano, mentre sta calando il buio. Tutt'a un tratto prendiamo atto della situazione: siamo in un sobborgo di periferia ad almeno 30 km dal centro di Ambon, il supermercato non è un Saga, ma un semplice supermercato di quartiere! Ovviamente non c'è niente di quello che cerchiamo, ma anche solo per dare un senso a questo lungo viaggio, compriamo il pane e un po' di birre.
Sempre sotto il diluvio, torniamo in città col minibus; le strade in alcuni tratti sono diventate torrenti, il traffico già di per sé caotico si fa ancora più lento. Arriviamo al terminal alle otto di sera passate, e qui viene il bello: come faremo a trovare il minibus giusto? Ci sembra di essere Totò in piazza Duomo a Milano, quando in un famoso film chiedeva al vigile: "Per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare?".
E qui incontriamo il primo angelo: una ragazza che era con noi sul minibus. Le chiediamo se capisce l'inglese. "Un po'", risponde. "Noi dobbiamo andare al porto, dove abbiamo la barca, siamo vicini a quella bella chiesa...". Lei capisce che ci siamo persi e che siamo in difficoltà, ma sul resto è un po' confusa. "Scrivi l'indirizzo dell'hotel", continua a dire, le faccio vedere il nostro biglietto da visita con la foto di Refola, ma non serve.
Invece di spazientirsi e abbandonarci al nostro destino, la ragazza-angelo ha un'idea brillante: "Il mio ragazzo parla bene inglese, adesso lo chiamo al telefono!". Detto fatto, lo chiama, gli espone il problema e passa il telefono a Lilli. Finalmente la comunicazione funziona! "Quella chiesa è il Catholic Centre" dice il fidanzato. Io non sono convinto, dico a Lilli che quando siamo arrivati in barca, la scritta "Catholic Centre" l'avevo notata in caratteri cubitali su una chiesa lungo la costa, molto prima di arrivare al porto. Lilli cerca di trasmettere qualche dubbio al suo interlocutore, ma quello insiste: "Quello che cercate è il Catholic Centre". Il telefono torna nelle mani dell'angelo, che riceve istruzioni e ci accompagna alla ricerca del minibus giusto. Ormai il terminal, che nel pomeriggio era gremito di gente e di bancarelle, è vuoto, spento e quasi deserto. L'angelo chiede ad alcuni autisti informazioni per il nostro itinerario e dopo quattro tentativi trova finalmente quello giusto. La salutiamo pieni di gratitudine, cosa avremmo fatto senza di lei?
Il minibus è quasi vuoto, ha smesso di piovere; nel tragitto continuiamo a guardarci intorno tentando di capire dove siamo, ma non è facile orientarsi, anche se il mare sulla nostra destra ci dice che almeno la direzione è quella giusta.
A un certo punto l'autista ferma il minibus e, usando come interprete una ragazza che stava scendendo, ci comunica che siamo arrivati. Scendiamo insieme alla ragazza ma non riconosciamo affatto né la "nostra" chiesa, né i dintorni. Come avevo previsto  siamo fuori città, molto oltre il porto. "Non è questo il posto", diciamo e spieghiamo alla ragazza della chiesa vicino al porto. "Ma allora quello che cercate voi è il Christian Center!"; la ragazza parla con l'autista, che aspettava di essere pagato, poi si rivolge a noi: "Venite, risaliamo, vi accompagno io". 
Ma come, pensiamo, non era arrivata? E ora torna indietro per aiutare noi? Non c'è dubbio: è il nostro secondo angelo!
Dopo aver scaricato l'ultimo viaggiatore un po' più oltre, l'autista torna verso la città e ci fa scendere tutti e tre davanti ad una stradina che dovrebbe portarci alla "nostra" chiesa. La ragazza si avvia spedita ma noi siamo ancora dubbiosi, il percorso è nuovo, all'andata eravamo passati in mezzo alle case del quartiere. All'inizio della strada c'è una sbarra, la ragazza parla con un giovane di guardia, che si unisce a noi; solo dopo 400-500 metri, quando ci appare la simil-Opera House, sciogliamo le riserve: ce l'abbiamo fatta, ecco Refola!
Le nostre guide ci scortano fino al dinghy, facendo luce con i cellulari (non abbiamo con noi nemmeno una torcia), ci assistono per salire a bordo (con la bassa marea il dinghy è un metro e mezzo più in basso), attendono che sgottiamo tutta l'acqua piovana caduta, che accendiamo il motore, e ci salutano come fossimo gli amici più  cari.
La gentilezza di queste persone rasenta l'incredibile: probabilmente senza i nostri angeli avremmo, nella migliore delle ipotesi, girovagato tutta la notte.
Quando finalmente saliamo in barca sono le nove e mezza. Tiriamo un sospiro di sollievo, è stata una giornata intensa, in cui abbiamo commesso un sacco di imprudenze. Essere in una città che non si conosce, abitata da gente con cui non ci si capisce, è come essere soli in montagna: per non perdersi bisogna adottare particolari precauzioni, e noi le abbiamo mancate tutte.
I due giorni successivi ci siamo attrezzati (con piantine e I-Pad con GPS), soprattutto siamo stati più attenti  e infatti non abbiamo incontrato alcuna difficoltà. Abbiamo completato le nostre provviste, siamo stati nel ricco e pittoresco mercato di frutta e spezie,
abbiamo ammirato le grandi moschee
abbiamo pranzato in una specie di "suk" brulicante di negozietti e ristorantini destinati solo a gente del posto (circa 8 € per un ottimo pesce alla brace 2 piatti di riso e 4-5 piattini di verdure), ci siamo addirittura concessi un breve tragitto in risciò.
Ambon ci rimarrà nel cuore: città caotica nel centro e con una periferia vastissima, forse con una impronta più mussulmana rispetto alle precedenti Sorong e Jayapura; soprattutto ci ricorderemo della gentilezza e disponibilità della gente, pronta a farsi in quattro per aiutarti, o comunque a salutarti … "Hello mister" è sulla bocca di tutti, anche di chi non sa una parola di inglese. 
    
NOTE PRATICHE PER I NAVIGATORI
Nel golfo di Ambon, lungo circa 14 miglia, sono presenti moltissime zattere galleggianti fissate alle boe anche in acque profonde, dotate di una luce; l'atterraggio notturno comunque, soprattutto con scarsa visibilità, può essere ansiogeno.
L'ancoraggio vicino al Christian Centre, la costruzione che richiama l'Opera House di Sydney, è il più vicino alla città, fondo fangoso con buona tenuta sui 24 metri, che si riducono gradatamente verso terra  (3°42.093'S 128°10.203'E).
Per atterrare ci sono alcune scalette in legno a cui si può anche lucchettare il dinghy.
Altri ancoraggi segnalati si trovano nell'ansa terminale del golfo, oltre il ponte, che ha una luce libera di 40 metri.  Sulla parte NE, località Passo, c'è anche il dock della polizia, utile per atterrare col dinghy  (3°38.381'S 128°14.338'E).
L'Harbour Master si può raggiungere con il dinghy, costeggiando verso NE per circa mezzo miglio, all'inizio del secondo molo c'è ha anche una scaletta per risalire.
Ad Ambon non ci sono taxi, solo pulmini collettivi.