Partiamo da
una notizia di carattere culinario: durante la lunga sosta a Lungaville,
prolungata di un giorno a causa del mal di schiena di Lilli, abbiamo pensato di
prepararci un roast-beef all'italiana. Avevamo nel congelatore un bel pezzo di
carne, acquistato in Nuova Zelanda, avevamo la ricetta lasciataci insieme a
molte altre dall'amico Rino, che era a bordo di Refola l'anno scorso ed aveva
appena frequentato un corso di cucina. Scongelata la carne, faccio caso
all'etichetta: "Corned Beef". Come tutti sanno, la scelta della carne
è fondamentale per la buona riuscita del roast-beef. Un po' allarmato chiedo a
Lilli: cosa sarà? filetto? controfiletto? Mi risponde un po' distratta
"non so".
Beh, ormai sono
in ballo quindi preparo gli aromi, aggiungo il vino bianco e lascio marinare
una notte. La cottura risulta perfetta, al taglio la carne è rosata; quando
assaggiamo, sentiamo che la carne è salata, eppure non ho ancora messo il
sale... un po' tardivamente, Lilli controlla sul vocabolario il significato di
"corned" e scopre che si tratta di carne salata. Abbiamo fatto un bel
roast-beef di carne salata! Se Rino fosse stato presente gli si sarebbero
contorte le budella; ma in assenza di testimoni Lilli ed io abbiamo trovato il
risultato piuttosto soddisfacente.
Ma torniamo
al nostro viaggio: giovedì 2 luglio alle 6.45 salpiamo da Luganville e per la
prima volta non sappiamo esattamente dove andremo... o meglio, la nostra
destinazione è il gruppo delle isole Banks, appendice settentrionale delle
Vanuatu, ma la rotta e le tappe per arrivarci dipenderanno dal vento.
La prima
opzione è tornare a Maewo e risalire verso nord la sua costa occidentale, in
modo da essere protetti dall'onda. Questa ipotesi comporta però tenere una
rotta di 67°, impossibile con il vento che alla partenza soffia da 90°. Il
piano B prevede di fare rotta verso nord, lungo la costa orientale di Espirito
Santo.
Tutto
dipende quindi dal vento che troveremo fuori dal lungo canale di Luganville .
ebbene, siamo fortunati: appena fuori dal canale, il vento gira a 110° e
rinforza a 18-22 nodi, consentendoci di tenere grado più grado meno la rotta
per Maewo.
Peccato che
quando raggiungiamo l'isola di Ambae, all'improvviso, il vento scompaia
completamente costringendoci a costeggiarla per tre ore a motore. Per
consolazione ci mangiamo dei gustosissimi panini caldi al roast-beef salato,
impreziositi da pomodorini e salsa tartare.
Il vento
riappare verso la fine dell'isola, e riusciamo a navigare a vela per le ultime
16 miglia fino a Betarara, un villaggio al centro della costa ovest di Maewo.
Alle 16.30
ancoriamo sul wp segnalato sulla guida delle Vanuatu "All Ports lead to
Vanuatu", dove avremmo dovuto trovare un fondale di 7-11 metri di sabbia,
mentre in realtà troviamo poca sabbia e tanti coralli (15°05.442'S
168°04.554'E).
Comunque
l'ancora tiene bene, l'acqua è pulita e trasparente ed anche se c'è un discreto
rollio, decidiamo di fermarci per la notte.
L'indomani
prima di salpare facciamo un giro a terra con il dinghy: c'è un passaggio tra
il reef che conduce in una sorta di minuscolo porticciolo naturale, dotato
addirittura di un piccolo molo in cemento, visibile anche da fuori grazie ad un
palo alto circa 2 metri.
Notiamo
subito una grande differenza con il primo villaggio visitato nella parte sud di
Maewo (Asanvari): qui ci sono strade (non certo asfaltate ma carrozzabili),
vediamo circolare auto e motorini, c'è una banca, una chiesa importante, mucche
al pascolo, illuminazione stradale (leggi: 5 o 6 lampioni) che sfruttano il
generatore della scuola. C'è anche un servizio di taxi-boat (una barca gialla)
per Loloway sull'isola di Ambae.
Durante la
nostra passeggiata veniamo colti dalla pioggia in prossimità della scuola, dove
alcuni operai che stavano facendo lavori di ampliamento ci invitano a
ripararci. La scuola è già molto grande, le costruzioni verdi sono dedicate
alla primaria e quelle azzurre alla secondaria. Dalle finestre aperte salutiamo
i ragazzini, molto curiosi e subito attratti (e distratti) dalla nostra
presenza; tutti indossano camicette verdi o azzurre, come le loro aule. Sotto
una tettoia in foglie di palma e bambù, che aveva l'aria di essere una specie
di laboratorio/officina, vediamo un banco da lavoro, un tornio e materiale da costruzione,
segno che vengono insegnate anche specializzazioni tecniche. Abbiamo trovato il
Galileo Ferraris del Pacifico!
Ritornando
verso il mare troviamo un gruppo di persone intente a costruire un grande
ambiente; anche questi ci accolgono con grande cordialità: tutti si presentano
e ci stringono la mano. Ci spiegano che la struttura in legno che stanno
costruendo, con un alto tetto spiovente, è destinata ad ospitare turisti e
gente di passaggio. Ci invitano ad osservare le travi in bambù, il tetto a falde
con foglie di palma, e con un certo orgoglio ci fanno notare che non usano
chiodi o viti, ma legacci di diverso spessore, ricavati dalle canne di bambù
sfilacciate. Il lavoro era cominciato da appena due giorni, ma loro speravano
di completarlo già l'indomani, anche con l'aiuto dei ragazzi "del
Ferraris", che li avrebbero raggiunti alla fine delle lezioni. Il
"capo" del team, che ci ha illustrato la tecnica di costruzione e la
sua destinazione, aveva l'aria di essere una persona colta e di esperienza; indossava
una tuta da lavoro verde, ordinata e pulita, e si è scusato con noi di non
poter essere
adeguatamente
ospitale. Avrebbe voluto offrirci della frutta fresca, ma doveva andare avanti
col lavoro. L'abbiamo ringraziato di cuore, pensando che probabilmente era un
professore della scuola o forse addirittura il Chief (capo) del villaggio.
Risaliti a
bordo, salpiamo per raggiungere l'ultimo ancoraggio sull'isola di Maewo, appena
8 miglia più a nord, Lelevela Bay. Caliamo il ferro su un fondale di 9 metri,
con sabbia e pochi coralli, acqua sempre limpidissima; per fortuna è meno
rollante del precedente (14°58.748'S 167°25.840'E).
Appena
abbiamo terminato la manovra di ancoraggio si avvicina con discrezione una
canoa. Soliti sorrisi, convenevoli e presentazioni: James ha tre figli e Lilli
prontamente gli offre delle caramelle da portare ai suoi bambini.
Dopo circa
un'ora James torna con una stuoia ed una borsa di paglia intrecciate dalla
moglie, in segno di gratitudine per il nostro gesto; lo scambio è talmente impari
che invitiamo James a salire a bordo, mentre Lilli corre sottocoperta a
rimediare qualche piccolo dono: una maglietta e una birra per lui, una pashmina
tunisina per la moglie ed una bustina di ami da pesca.
Nel
frattempo si avvicinano altre due canoe. "E' il Chief del villaggio - ci
dice James - con tre dei suoi figli". Si fermano ad ammirare la barca,
possiamo non invitarli a salire? David, il Chief, ci racconta di avere sette
figli, i tre maschi qui con lui (il più grande avrà avuto 15 anni) e quattro
bambine più piccole. Molto cortesemente ci invita ad una
"degustazione" di Kava nel tardo pomeriggio, ed al nostro timido
"no grazie" ci offre allora della frutta fresca, che accettiamo
volentieri. Lilli resta in barca a far la guardia alle canoe, mentre David, i
suoi ragazzi ed io andiamo a terra col dinghy: David mi indica il passaggio tra
i reef, ed approdiamo in una spiaggetta riparata, vicino alla sua casa. Il
posto è molto bello e curato, ricco di vegetazione, tra cui spicca una grande
buganvillea dai fiori rossi attorniata da 4 - 5 capanne.
David mi
presenta la moglie che è in attesa dell'ottavo figlio, poi dà disposizioni alla
tribù dei suoi figli per andare a raccogliere la frutta per noi; lui nel
frattempo mi guida attraverso il suo "garden" coltivato: taro, kava,
peperoncini, giganteschi alberi di papaie, insomma un paradiso terrestre.
Vedendomi estasiato, sorrideva soddisfatto e compiaciuto.
Quando
torniamo alla sua capanna stanno rientrando anche i figli che depositano il
raccolto: mandarini, cocchi, papaie, banane. David con grande abilità pulisce i
cocchi ed apre in due dei grossi frutti simili all'avocado, di cui si mangia il
midollo, dal gusto simile alla noce.
Carichiamo
tutto sul dinghy e torniamo alla barca, mentre il resto della famiglia ci
saluta calorosamente dalla spiaggia.
Chiedo a
David cosa posso offrire in cambio, ma la mia domanda sembra coglierlo di
sorpresa: il suo era davvero un puro gesto di generosità e accoglienza, senza
alcuna attesa di essere ricambiato. Con l'aiuto di Lilli cerchiamo di capire
cosa può far loro piacere e così gli diamo l'ultima bottiglietta di rum, tre
sigari e 2000 vatu (circa 18 ?).
Ci
salutiamo: "Domani partiamo presto, ma è un arrivederci. Ritorneremo,
forse l'anno prossimo". David annuisce, sempre sorridente, e ritorna con i
suoi figli a casa.
Questo è un
posto un cui mi sarebbe piaciuto restare qualche giorno, magari per coinvolgere David in una battuta di pesca a bordo di Refola, sono sicuro che
l'avrebbe molto apprezzato...