lunedì 6 luglio 2015

MAEWO: Betarara e Lelevela


Partiamo da una notizia di carattere culinario: durante la lunga sosta a Lungaville, prolungata di un giorno a causa del mal di schiena di Lilli, abbiamo pensato di prepararci un roast-beef all'italiana. Avevamo nel congelatore un bel pezzo di carne, acquistato in Nuova Zelanda, avevamo la ricetta lasciataci insieme a molte altre dall'amico Rino, che era a bordo di Refola l'anno scorso ed aveva appena frequentato un corso di cucina. Scongelata la carne, faccio caso all'etichetta: "Corned Beef". Come tutti sanno, la scelta della carne è fondamentale per la buona riuscita del roast-beef. Un po' allarmato chiedo a Lilli: cosa sarà? filetto? controfiletto? Mi risponde un po' distratta "non so".
Beh, ormai sono in ballo quindi preparo gli aromi, aggiungo il vino bianco e lascio marinare una notte. La cottura risulta perfetta, al taglio la carne è rosata; quando assaggiamo, sentiamo che la carne è salata, eppure non ho ancora messo il sale... un po' tardivamente, Lilli controlla sul vocabolario il significato di "corned" e scopre che si tratta di carne salata. Abbiamo fatto un bel roast-beef di carne salata! Se Rino fosse stato presente gli si sarebbero contorte le budella; ma in assenza di testimoni Lilli ed io abbiamo trovato il risultato piuttosto soddisfacente.
Ma torniamo al nostro viaggio: giovedì 2 luglio alle 6.45 salpiamo da Luganville e per la prima volta non sappiamo esattamente dove andremo... o meglio, la nostra destinazione è il gruppo delle isole Banks, appendice settentrionale delle Vanuatu, ma la rotta e le tappe per arrivarci dipenderanno dal vento.
La prima opzione è tornare a Maewo e risalire verso nord la sua costa occidentale, in modo da essere protetti dall'onda. Questa ipotesi comporta però tenere una rotta di 67°, impossibile con il vento che alla partenza soffia da 90°. Il piano B prevede di fare rotta verso nord, lungo la costa orientale di Espirito Santo.
Tutto dipende quindi dal vento che troveremo fuori dal lungo canale di Luganville . ebbene, siamo fortunati: appena fuori dal canale, il vento gira a 110° e rinforza a 18-22 nodi, consentendoci di tenere grado più grado meno la rotta per Maewo.
Peccato che quando raggiungiamo l'isola di Ambae, all'improvviso, il vento scompaia completamente costringendoci a costeggiarla per tre ore a motore. Per consolazione ci mangiamo dei gustosissimi panini caldi al roast-beef salato, impreziositi da pomodorini e salsa tartare.
Il vento riappare verso la fine dell'isola, e riusciamo a navigare a vela per le ultime 16 miglia fino a Betarara, un villaggio al centro della costa ovest di Maewo.
Alle 16.30 ancoriamo sul wp segnalato sulla guida delle Vanuatu "All Ports lead to Vanuatu", dove avremmo dovuto trovare un fondale di 7-11 metri di sabbia, mentre in realtà troviamo poca sabbia e tanti coralli (15°05.442'S 168°04.554'E).
Comunque l'ancora tiene bene, l'acqua è pulita e trasparente ed anche se c'è un discreto rollio, decidiamo di fermarci per la notte.
L'indomani prima di salpare facciamo un giro a terra con il dinghy: c'è un passaggio tra il reef che conduce in una sorta di minuscolo porticciolo naturale, dotato addirittura di un piccolo molo in cemento, visibile anche da fuori grazie ad un palo alto circa 2 metri.
Notiamo subito una grande differenza con il primo villaggio visitato nella parte sud di Maewo (Asanvari): qui ci sono strade (non certo asfaltate ma carrozzabili), vediamo circolare auto e motorini, c'è una banca, una chiesa importante, mucche al pascolo, illuminazione stradale (leggi: 5 o 6 lampioni) che sfruttano il generatore della scuola. C'è anche un servizio di taxi-boat (una barca gialla) per Loloway sull'isola di Ambae.
Durante la nostra passeggiata veniamo colti dalla pioggia in prossimità della scuola, dove alcuni operai che stavano facendo lavori di ampliamento ci invitano a ripararci. La scuola è già molto grande, le costruzioni verdi sono dedicate alla primaria e quelle azzurre alla secondaria. Dalle finestre aperte salutiamo i ragazzini, molto curiosi e subito attratti (e distratti) dalla nostra presenza; tutti indossano camicette verdi o azzurre, come le loro aule. Sotto una tettoia in foglie di palma e bambù, che aveva l'aria di essere una specie di laboratorio/officina, vediamo un banco da lavoro, un tornio e materiale da costruzione, segno che vengono insegnate anche specializzazioni tecniche. Abbiamo trovato il Galileo Ferraris del Pacifico!
Ritornando verso il mare troviamo un gruppo di persone intente a costruire un grande ambiente; anche questi ci accolgono con grande cordialità: tutti si presentano e ci stringono la mano. Ci spiegano che la struttura in legno che stanno costruendo, con un alto tetto spiovente, è destinata ad ospitare turisti e gente di passaggio. Ci invitano ad osservare le travi in bambù, il tetto a falde con foglie di palma, e con un certo orgoglio ci fanno notare che non usano chiodi o viti, ma legacci di diverso spessore, ricavati dalle canne di bambù sfilacciate. Il lavoro era cominciato da appena due giorni, ma loro speravano di completarlo già l'indomani, anche con l'aiuto dei ragazzi "del Ferraris", che li avrebbero raggiunti alla fine delle lezioni. Il "capo" del team, che ci ha illustrato la tecnica di costruzione e la sua destinazione, aveva l'aria di essere una persona colta e di esperienza; indossava una tuta da lavoro verde, ordinata e pulita, e si è scusato con noi di non poter essere
adeguatamente ospitale. Avrebbe voluto offrirci della frutta fresca, ma doveva andare avanti col lavoro. L'abbiamo ringraziato di cuore, pensando che probabilmente era un professore della scuola o forse addirittura il Chief (capo) del villaggio.
Risaliti a bordo, salpiamo per raggiungere l'ultimo ancoraggio sull'isola di Maewo, appena 8 miglia più a nord, Lelevela Bay. Caliamo il ferro su un fondale di 9 metri, con sabbia e pochi coralli, acqua sempre limpidissima; per fortuna è meno rollante del precedente (14°58.748'S 167°25.840'E).
Appena abbiamo terminato la manovra di ancoraggio si avvicina con discrezione una canoa. Soliti sorrisi, convenevoli e presentazioni: James ha tre figli e Lilli prontamente gli offre delle caramelle da portare ai suoi bambini.
Dopo circa un'ora James torna con una stuoia ed una borsa di paglia intrecciate dalla moglie, in segno di gratitudine per il nostro gesto; lo scambio è talmente impari che invitiamo James a salire a bordo, mentre Lilli corre sottocoperta a rimediare qualche piccolo dono: una maglietta e una birra per lui, una pashmina tunisina per la moglie ed una bustina di ami da pesca.
Nel frattempo si avvicinano altre due canoe. "E' il Chief del villaggio - ci dice James - con tre dei suoi figli". Si fermano ad ammirare la barca, possiamo non invitarli a salire? David, il Chief, ci racconta di avere sette figli, i tre maschi qui con lui (il più grande avrà avuto 15 anni) e quattro bambine più piccole. Molto cortesemente ci invita ad una "degustazione" di Kava nel tardo pomeriggio, ed al nostro timido "no grazie" ci offre allora della frutta fresca, che accettiamo volentieri. Lilli resta in barca a far la guardia alle canoe, mentre David, i suoi ragazzi ed io andiamo a terra col dinghy: David mi indica il passaggio tra i reef, ed approdiamo in una spiaggetta riparata, vicino alla sua casa. Il posto è molto bello e curato, ricco di vegetazione, tra cui spicca una grande buganvillea dai fiori rossi attorniata da 4 - 5 capanne.
David mi presenta la moglie che è in attesa dell'ottavo figlio, poi dà disposizioni alla tribù dei suoi figli per andare a raccogliere la frutta per noi; lui nel frattempo mi guida attraverso il suo "garden" coltivato: taro, kava, peperoncini, giganteschi alberi di papaie, insomma un paradiso terrestre. Vedendomi estasiato, sorrideva soddisfatto e compiaciuto.
Quando torniamo alla sua capanna stanno rientrando anche i figli che depositano il raccolto: mandarini, cocchi, papaie, banane. David con grande abilità pulisce i cocchi ed apre in due dei grossi frutti simili all'avocado, di cui si mangia il midollo, dal gusto simile alla noce.
Carichiamo tutto sul dinghy e torniamo alla barca, mentre il resto della famiglia ci saluta calorosamente dalla spiaggia.
Chiedo a David cosa posso offrire in cambio, ma la mia domanda sembra coglierlo di sorpresa: il suo era davvero un puro gesto di generosità e accoglienza, senza alcuna attesa di essere ricambiato. Con l'aiuto di Lilli cerchiamo di capire cosa può far loro piacere e così gli diamo l'ultima bottiglietta di rum, tre sigari e 2000 vatu (circa 18 ?).
Ci salutiamo: "Domani partiamo presto, ma è un arrivederci. Ritorneremo, forse l'anno prossimo". David annuisce, sempre sorridente, e ritorna con i suoi figli a casa.
Questo è un posto un cui mi sarebbe piaciuto restare qualche giorno, magari per coinvolgere David in una battuta di pesca a bordo di Refola, sono sicuro che l'avrebbe molto apprezzato...