Persevero nel mettere la traina, anche se fino ad
ora non ci ha dato alcuna soddisfazione; questa volta però, verso le 13, arriva
l’inconfondibile sibilo del mulinello, che non sentivo da molto tempo. Mi
precipito al recupero e senza troppa fatica tiro su un grosso barracuda, sui 5-6
kg; non è un pesce che amiamo, per fortuna dopo pochi minuti vediamo lì vicino
un pescatore solitario su una piccola barca, gli faccio cenno di avvicinarsi e
gli offro il barracuda che lui accetta volentieri. Il passaggio della preda
avviene direttamente, dalla nostra canna alla sua barca, senza neanche fermarci.
Grandi saluti e via! Riprendiamo la navigazione e rimetto la traina, sperando
di prendere qualcosa di meglio. Illusione...
Alle 16.10 arriviamo a Kanuhura, dove caliamo
l’ancora su 14 metri di fondale sabbioso, con qualche macchia di corallo basso,
acque limpide (5°31.811’N 73°29.962’E). La cartografia C-Map si rivela alquanto
imprecisa, mentre la Navionics, seppure scarsa di dettagli, è almeno correttamente
posizionata. Kanuhura è una piccola
isola facente parte dell’atollo Lhaviyani, occupata interamente da un resort e
contornata da un esteso reef, interrotto artificialmente in corrispondenza del
pontile di attracco cui si accede attraverso un canale segnalato da due luci
(rosso a sinistra, verde a destra) e da paletti bianchi. C’è un discreto
movimento di idrovolanti e water taxi che caricano e scaricano turisti. La
struttura del resort è poco visibile dal nostro ancoraggio (il che è un bene:
impatto paesaggistico contenuto), solo di sera si accendono a terra mille luci,
quasi vi fosse una cittadina.
Il nostro programma prevede una giornata di sosta, di
cui approfitto per completare la pulizia della carena e poi dedicarmi al nostro
malato di bordo: l’autopilota. Smonto
l’attuatore, controllo il motore e le spazzole, pulisco il collettore; verifico
che, alimentandolo separatamente, il motore funziona.
A questo punto la diagnosi comincia a delinearsi
con maggiore chiarezza: il guasto deve essere nella centralina. Ma è un punto
delicato e prima di metterci le mani mi piacerebbe avere un parere di un
tecnico. Tramite il nostro amico Umberto di Genova (armatore di Be Quiet2,
gemella di Refola, e in procinto di raggiungerci in aereo per una breve vacanza
alle Maldive) riesco a contattare un tecnico Raymarine di Lavagna: “C’è una
semplice prova da fare: metti il pilota in modalità Auto, dai il comando +10
due volte e verifica se ai morsetti di uscita della centralina c’è tensione”. Effettuiamo
la prova e la diagnosi è finalmente confermata: il guasto è sulla centralina.
La brutta notizia è che, a parere del tecnico, è molto difficile poterla
riparare, non esistono nemmeno i ricambi perché non è più in produzione.
Purtroppo non ho alternative: non mi resta che smontare
la centralina dell’autopilota secondario e applicarla a quello principale, che
avendo l’attuatore direttamente sul timone risulta più potente e preciso.
Rimando però l’operazione alla prossima sosta.
Giovedì 5 aprile riprendiamo la navigazione per
Dhidhdhoo, altra piccola isola che si trova 10 miglia a SW, sull’estremità dello
stesso atollo Lhaviyani.
Nel breve percorso peschiamo nuovamente: questa
volta è un tonno, ma lungo appena 20 cm.! Come lo tiro su in coperta, il
piccolo tonnetto si libera dall’amo, ed io, inspiegabilmente, lo blocco nel
secchio invece di lasciarlo tornare in acqua. Lilli dice che in questi momenti
si capisce perché sono le donne e non gli uomini a mettere al mondo i bambini.
In effetti devo dire che, a distanza di giorni, ho ancora il rimorso di averlo
ucciso.
Alle 12.30 siamo a destino ed ancoriamo su 9 metri
di sabbia, con qualche macchia di corallo morto, (5°22.971’N 73°22.909’E); l’acqua
è limpidissima e piena di pesci di grandi e piccoli, di tutti i colori.
Dhidhdhoo (altro nome duro per noi da pronunciare,
con tutte quelle inutili h) è un’isola disabitata, con molte palme, contornata
da un esteso bassofondale a nord e da un lungo reef a sud, che è poi quello che
chiude l’atollo Lhaviyani. È un posto rilassante e solitario, dove si
apprezzano i bagni nell’acqua chiara e trasparente. Durante la nostra sosta arrivano due barche a motore con a bordo famiglie di locali; fanno un pic-nic
sull’isola e se ne vanno prima del tramonto.
Il giorno seguente lasciamo l’atollo Lhaviyani per
spostarci in quello successivo, Baa. La nostra destinazione è Dharavandhoo, a
23 miglia, dove c’è un altro piccolo Local Harbour. Da Anna e Paolo di Zoomax
avevamo saputo che vi si trova anche un centro diving italiano, condotto da
Virgilio e Jessica, che avevamo contattato già dall’Italia. L’idea è quella di
fare con loro un breve corso di ripasso (“Scuba Review”), visto che sono molti
anni che non faccio immersioni degne di questo nome. Così, una volta in vista
dell’isola, chiamiamo Virgilio per prendere accordi; lo cogliamo in procinto di
partire con la moglie Jessica per Singapore, dove pare ci sia una fiera di
subacquea. “Non ti preoccupare - dice Virgilio - avviso i miei uomini che ti
diano una mano per l’ormeggio; noi torneremo lunedì sera”.
In effetti, quando arriviamo alle 14.10, ci rendiamo
conto che ormeggiare in questo porticciolo sarebbe davvero difficile senza
assistenza. Nel piccolo bacino, di forma rettangolare, non c’è spazio per stare
alla ruota; inoltre tutta l’area di manovra è ingombra di cime galleggianti e
del calumo in tessile delle numerose barche in banchina.
Individuiamo subito il collaboratore di Virgilio,
che ci fa cenno di portare la prua sul frangiflutti e mettere l’ancora a poppa;
mentre armiamo la nostra Fortless 9 con 10 metri di catena + tessile, Mustafà
ci raggiunge a nuoto con maschera e pinne. Ci indica il posto in cui calare
l’ancora e in apnea fissa a due anelli cementati alla base del frangiflutti (quindi
sott’acqua) le nostre due cime di ormeggio di prua. Altri collaboratori del
diving arrivano con una piccola barca a motore per completare la messa a punto
dei cavi. Lilli ancora si chiede come avremmo fatto senza di loro … ragazzi
giovani e molto gentili, che addirittura parlano un po’ di italiano!
In assenza di Virgilio e Jessica, parliamo con un
altro istruttore italiano del loro centro, Raffaele, al quale diciamo che
aspettiamo per domenica 8 aprile l’arrivo dei nostri amici Umberto e Ornella
per organizzare il nostro corso di “ripasso”.
Nel frattempo mi dedico nuovamente all’autopilota:
confermata la diagnosi di guasto alla centralina, provvedo all’espianto dal
pilota n.2 e al trapianto sul principale. Un’operazione di pazienza, in cui
devo scollegare e ricollegare decine e decine di fili, ma che alla fine riesce
perfettamente: il pilota principale è nuovamente funzionante!