8°19.897'S 157°16.228'E
Munda si trova in una grande laguna, contornata dal reef; vi si accede tramite una pass nella Munda Bar, con un allineamento su due grossi beacon di colore arancione. Il fondale minimo della pass, al nostro passaggio, è di 6 metri e mezzo; da qui il percorso per arrivare davanti al paese è disseminato di bassi fondali, spesso estesi, e solo alcuni indicati da segnali (catarifrangenti) rosso e verde.
La cartografia elettronica, già scarsa di dettagli, non solo non è di nessun aiuto, ma è addirittura ingannevole, perché mostra a volte come libere acque che non lo sono affatto!
Abbiamo un'immagine satellitare discreta e al nostro arrivo, verso le 15, il sole è alto alle nostre spalle, tuttavia incontriamo qualche difficoltà per raggiungere la zona di ancoraggio, circa 200 metri ad ESE del molo, fondo sabbioso di 9-10 metri (8°19.897'S 157°16.228'E).
Qui per la prima volta vediamo alcune barche locali trasportare sparuti turisti per qualche escursione; l'atterraggio con il dinghy, in prossimità del molo, è in un minuscolo porticciolo presso l'hotel ristorante sulla spiaggia.
A terra un piccolo mercato ortofrutticolo, alcuni negozi cinesi e, vicino alla pista dell'aeroporto, la banca BSP (Bank of South Pacific) con ATM, che accetta solo carte Visa.
Alla ricerca di batterie, visitiamo tutti gli empori cinesi, ma troviamo solo il tipo da auto, di dubbia qualità, con capacità massima di 70 Ah, non adatte al nostro impianto.
Viste le scarse attrattive della cittadina, decidiamo di proseguire: da programma la nostra meta successiva sarebbe stata la laguna di Vonavona, ma poiché il tempo incerto con cielo a tratti nuvoloso e piovaschi ci avrebbe messo in difficoltà per navigare tra mille ostacoli, decidiamo di puntare su Ghizo, a 35 miglia.
Inconsapevoli di quel che ci aspetta, lasciamo quindi l'ancoraggio di Munda martedì 21 giugno, alle 8,20. Data fatidica!
Nel nostro emisfero (nord) il 21 giugno, solstizio d'estate, è il giorno più lungo dell'anno, mentre dove siamo ora, 8 gradi sotto l'equatore, è il più corto. Ebbene, in barba alla latitudine, il 21 giugno 2016 è stato a bordo di Refola, in assoluto, il giorno più lungo di sempre: anche noi abbiamo sperimentato cosa vuol dire incagliarsi in un reef, un basso fondale di roccia e corallo.
Ecco i fatti. Come abbiamo detto, già l'ingresso nella baia di Munda non era stato semplicissimo: eravamo passati per un varco stretto e tortuoso tra i reef, indicato da una coppia di segnali rosso e verde, con un fondale minimo di 70 cm sotto la chiglia. Nell'uscita, per non rifare lo stesso sfidante percorso, scegliamo la “via maestra”, indicataci da un locale: un giro più lungo, che fanno anche le navi, e che dovrebbe essere ben segnalato.
Calma di vento, cielo parzialmente nuvoloso, visibilità discreta. Senza troppa fatica individuiamo le prime due coppie di segnali (rosso-verde), aggiriamo due piccoli isolotti e ci troviamo nella più ampia laguna, libera da terre emerse. Ci mancano solo 500 metri per raggiungere la traccia che avevamo registrato in ingresso, ma ecco che in pochi minuti lo scenario intorno a noi cambia completamente: il cielo si annuvola, davanti non si distinguono i fondali, sull'immagine satellitare l'area che stiamo percorrendo è coperta da una nuvola, mentre alla nostra sinistra è ben visibile un basso fondale. Accosto di 10 gradi a dritta, ed in un baleno il fondale passa da 10 a 1 metro... neanche il tempo di correggere e … boom! la chiglia impatta contro uno scoglio di corallo e la barca si ferma. Provo subito la marcia indietro, che all'inizio sembra funzionare, ma è un'illusione: la marea è calante e Refola è incastrata, non c'è niente da fare.
Mi butto in acqua per controllare la situazione e rimango esterrefatto: ci siamo incagliati proprio sul margine del basso fondale, bastava essere solo un metro più a sinistra e saremmo passati indenni. La chiglia è incastrata, non possiamo avanzare né arretrare, ma per fortuna non ci sono danni allo scafo; dico a Lilli di fare una chiamata di soccorso, nel caso avessimo bisogno di un traino per uscire, precisando che non c'è pericolo per le persone e non c'è urgenza, in quanto dovremo aspettare l'alta marea. Via VHF ci risponde il servizio di soccorso nautico dell'aeroporto, promettendo di raggiungerci. Infatti poco dopo arriva un piccolo motoscafo, disponibile a tentare il traino, ma li ringrazio e dico che solo dopo le 18, quando la marea si sarà alzata, potremo tentare di venirne fuori.
L'impatto è avvenuto alle 9.00: la minima di marea è alle 13.37, il livello dell'acqua deve scendere ancora di 40 cm … inizia la lunga attesa. La barca inizia ad inclinarsi, prima 1°, poi 2°, poi 3°; per non farci mancare niente, sale anche un po' di vento, in poppa, con raffiche fino a 20 nodi, che per fortuna non durano a lungo.
Per contrastare la spinta del vento e predisporre l'uscita dal reef, col dinghy posizioniamo due ancore afforcate a poppa.
È decisamente il giorno più lungo... a pranzo facciamo fatica a mangiare qualcosa, tanto sono contorte le budella, ma ci sforziamo, stanchezza e debolezza non devono prendere il sopravvento.
Finalmente verso le 15 la barca inizia a raddrizzarsi, poi a galleggiare; vado in apnea a verificare cosa impedisce la marcia indietro, calcolo che la marea deve salire ancora di almeno altri 30 cm, e ciò significa aspettare ancora molte ore, probabilmente fino alle 21, quando ormai sarà buio... Ma forse qualcosa si può fare per accelerare i tempi: avevo infatti notato che molti pezzi di corallo dietro la chiglia potevano essere smossi, così decido di immergermi con la bombola e con l'aiuto di mazzetta e scalpello comincio a frantumare il corallo (a mali estremi, estremi rimedi!).
Alle 18.30, dall'acqua, ordino a Lilli di accendere il motore, innestare la marcia indietro a basso regime, mentre Luciano manovra i winch iniziando a tirare sulle ancore. Sempre in acqua, sotto il galleggiamento, io controllo i primi movimenti della barca … ha funzionato, Refola viene indietro senza intoppi, finalmente siamo liberi!
Alle 19.00, è ormai quasi buio, recuperiamo le due ancore; per fortuna le avevo entrambe dotate di gavitelli, perché erano incastrate nel corallo ed è stato necessario scendere nuovamente e liberarle a mano.
A bassa velocità, rientriamo al nostro ancoraggio di partenza. Siamo davvero stanchi e provati, ma raccogliamo le ultime forze per riordinare ancore, cime e catene, e lavare l'attrezzatura di immersione. Poi ceniamo e finalmente ci concediamo il meritato riposo.
Il giorno più lungo è passato e per fortuna è finito bene! Chi ha provato qualcosa del genere sa che ci vuole molto tempo per dimenticare, ma l'importante è che in breve tempo l'incidente diventi un'esperienza da cui trarre utili insegnamenti per il futuro.