Beh, turisti per modo di dire… in realtà durante questa sosta dobbiamo
provvedere ad alcune riparazioni, la più importante delle quali è sul
dissalatore e ci mette un po' di apprensione, perché affrontare l’oceano
indiano senza autonomia di acqua è un bel problema.
Ma procediamo con ordine; lunedì 12 marzo prendiamo accordi con il Port
Control di Galle via VHF canale 16 per entrare in porto e assolvere alle
formalità: ci dicono di ancorare davanti all’imboccatura del porto ed attendere
la “Navy”, che controllerà i documenti e ci scorterà all’ormeggio.
È prudente ancorare ad una certa distanza, per non intralciare le
manovre di entrata e uscita delle grosse navi; prendiamo nota degli appunti di
altri navigatori e fissando come riferimento un piccolo scoglio appena
affiorante circa 800 metri ad ovest dall’ingresso del porto, caliamo l’ancora a
metà strada (6°01.906’N 80°13.410’E, su 7 metri di fondale sabbioso).
La Navy non si fa attendere molto e, dopo un veloce controllo, rimane a
bordo fino al piccolo marina all’estremità est del porto, oltre il Closenburg
Pier. La cartografia non è dettagliata né precisa (ci pone con la barca a
terra), le profondità sono regolari, circa 3,5 metri in bassa marea, escursione
media di 80 cm. All’interno del marina non c’è onda, ma in compenso una
corrente costante crea una discreta risacca che mette a dura prova cime e
parabordi.
Dylan, giovane collaboratore del nostro agente, è già sul posto per
aiutarci con le cime ed assisterci durante le formalità; tutto si svolge in
tempi rapidi, anche se abbiamo la sensazione di essere precipitati in una sorta
di burocrazia medievale: quando è il turno dell’addetto all’immigrazione, nel
salutarci si rivolge al nostro agente per chiedere se c’è un omaggio per lui,
poi vedendo il nostro imbarazzo (non eravamo assolutamente preparati), fa segno
di lasciar perdere e se ne va.
Arriva poi la custom (dogana), un ufficiale in divisa sui 45 anni, che
ci chiede le quantità di alcool, vino, birra, sigarette e tabacco stivate
abbiamo a bordo. Naturalmente mentiamo spudoratamente, ma lui si limita a voler
vedere le quantità dichiarate, senza fare ulteriori domande o ispezioni.
Durante il nostro ancoraggio al Watering Point avevamo conosciuto
l’equipaggio di un catamarano della Sail Lanka, società di charter che fa
attività sulla costa, ma ha la base a Merissa, circa 14 miglia più a sud;
avevamo letto sul blog di Adina, una barca di inglesi passati di qui nel 2016,
che avevano trovato un buon posto a Merissa, dove lasciare la barca in custodia
e potersene andare in giro per più giorni.
Questa soluzione ci allettava; oltretutto una base di charter,
solitamente, è anche attrezzata per riparazioni varie. Quando abbiamo esposto
al nostro agente questo desiderio, ci ha subito stroncato: “Difficilmente
potete ottenere il permesso di navigazione per Merissa, perché è un porto
privato; Adina, che è stata nostra cliente, è stata l’ultima barca che ha
potuto andarci”.
Ciononostante alla fine della visita esponiamo le nostre esigenze all’ufficiale
della custom, il quale, stupendoci, ci dice che non c’è alcun problema,
possiamo andare tranquillamente a Merissa e lo ripete anche all’agente.
“Bene - diciamo all’agente - è tutto risolto”, ma questi di rimando:
“Non fidatevi, questo ha detto sì, ma se quando tornate per l’uscita c’è in
turno un altro ufficiale potreste avere difficoltà (o peggio) per lasciare il
paese, lasciatemi verificare nelle sfere alte”.
Dylan ci consiglia di chiamare un certo Paul se abbiamo bisogno di
spostarci per andare in città o per negozi; Paul è un autista di tuk-tuk, così
sono chiamati i piccoli taxi a 3 posti, una sorta di Ape Piaggio a tre ruote;
lo chiama per noi, così possiamo recarci all’ATM e prelevare valuta locale,
comprare la SIM card e fare un po' di spesa.
Dopo l’acquisto della SIM card un’altra sorpresa: a causa di violenti
scontri avvenuti alcuni giorni fa tra la minoranza musulmana e i buddisti il
governo ha dichiarato lo stato di emergenza e bloccato tutti i social media:
quindi niente WhatsApp e Facebook!
Prima di sera arriva la risposta definitiva sull’ipotesi di spostarci a
Merissa: è negativa, con la barca non ci possiamo muovere e quindi siamo
costretti a restare a Galle. È la prima volta che ci capita una situazione del
genere e siamo un po' amareggiati, ma le cose da fare sono tante e ci
rassegniamo velocemente a prescrizioni e divieti.
Riprendiamo la manutenzione. Il dissalatore, croce e delizia di questa
barca, ci ha mollato nuovamente: prima il motore 220V, che però abbiamo
riparato in quanto si trattava solo del condensatore in corto, ma ora il guasto
è sul tubo di mandata ad alta pressione, che non posso sostituire pur avendo il
ricambio perché si è tranciato il filetto sulla flangia della membrana dove va
avvitato.
Mi metto in contatto con il nostro dealer in Italia, che mi rassicura:
si possono ordinare i ricambi e rimettere tutto a posto. Finalmente una buona
notizia! Chiamo il nostro agente per avere l’indirizzo della spedizione, ma
ancora una volta mi cadono le braccia: “A meno che non sia assolutamente
necessario, vi sconsiglio di farvi spedire qualsiasi cosa qui, perché pur
essendo tax free, il governo manda un commissario appositamente dalla capitale
ed oltre alle spese di trasferta aggiungono tasse discrezionali, indipendenti
dal valore e dal volume della merce”.
OK, passiamo al piano B: i nostri amici Umberto ed Ornella ci
raggiungeranno alle Maldive fra circa tre settimane, così chiediamo loro di
portarci i ricambi, e nel frattempo cercheremo di fare una riparazione di
emergenza. Sarà comunque necessario partire con una buona scorta di acqua.
La riparazione di emergenza riesce solo in parte: il filetto è stato
ricostruito facendo tagliare da una officina la parte guasta e saldando un
nuovo terminale, però rimontata la flangia sulla membrana la tenuta con l’alta
pressione è scaduta e c’è un po' di sgocciolamento.
Paul, il tuk-tuk driver, ci segnala un negozio di elettronica dove
eseguono anche riparazioni, abbiamo l’inverter e il winch di sinistra con la
scheda elettronica guasta. Purtroppo, nonostante la buona volontà del tecnico,
non riusciamo a risolvere proprio niente, e anzi ci ritroviamo nel conto
dell’agente 25 US$ in più, per il “Pass” concesso al tecnico per entrare
nell’area portuale.
Nel marina ci sono altre 4 barche, con due delle quali, australiane,
facciamo amicizia e ci scambiamo inviti per aperitivi e cene.
Terry è su un catamarano ed è diretto in Mar Rosso, via Maldive,
Madagascar. Gary è su un ketch in ferro, molto spartano, da 32 anni vive in
barca e fa il giramondo, ne ha viste e fatte di tutti i colori; con lui c’è
Maurizio Furlan, ospite per un paio di mesi, australiano al 100% anche lui, ma
con genitori italiani di Asiago, emigrati nel 1930. Tutti sono nostri coetanei.
A Galle, tra un giro e l’altro, visitiamo la fortezza, situata sul lato
opposto della baia: era la vecchia cittadina coloniale costruita dagli olandesi
ed ora è occupata quasi esclusivamente da alberghi e ristoranti.
Per la prima volta dall’inizio del giro (2012), decidiamo di fare i
turisti e di lasciare Refola per 3 giorni, dopo esserci assicurati
l’elettricità in banchina per far fronte alla sete di corrente dei nostri tre
frigoriferi pieni di leccornie. Si uniscono a noi anche Terry e Maurizio,
mentre Gary rimane a bordo a fare la guardia alle barche.
Il programma è serrato: sabato mattina alle 7.50 treno fino a Colombo,
la capitale dello Sri Lanka. Qui ci separeremo temporaneamente dai nostri
compagni di viaggio: noi andremo a trovare i familiari di Marcus, da anni
nostro collaboratore domestico a Verona, che vivono a Negombo, piccolo centro
una trentina di km più a nord. Terry e Maurizio prenoteranno anche per noi un
hotel in città, e ci rivedremo la sera.
Domenica proseguiremo su Kandy, meta turistica a 500 metri di
altitudine, che si raggiunge in treno con un itinerario panoramico. Lunedì
rientro a Galle.
La nostra deviazione a Negombo è stata fantastica. Michele, amico di
famiglia dei nostri conoscenti, è venuto a prenderci alla stazione; anche lui
ha lavorato a Verona per 14 anni, poi è rientrato al suo paese con la moglie e
i due figli. Ora ha investito i suoi risparmi nell’acquisto di due barche da
pesca d’altura, che affitta ottenendo anche una percentuale sul pescato.
Il porto dei pescherecci è sulla strada per Negombo, così Michele vi ha
fatto una sosta per mostrarci un’altra barca, simile alla sua, i cui
proprietari sono un veronese ed uno srilankese: come si chiama questa barca?
Verona- Lanka, naturalmente!
Lunga 15 metri, esce con un equipaggio di 6 pescatori oltre il
comandante, con le stive cariche di ghiaccio ed esche di pesce azzurro
congelato. Percorre centinaia di miglia per mettere in acqua una linea che le
boe tengono sospesa a 20 metri dalla superficie, da cui si dipartono migliaia
di ami che scendono di ulteriori 20 metri sottacqua. Per poterle individuare
facilmente al momento del recupero, alcune boe sono dotate di segnale radio.
Quando la stiva è piena di pescato o si è superato un mese di permanenza in
mare, rientrano; vendono il pesce, pagano le spese e dividono il ricavato.
Quando va male, rientrano appena con le spese.
A casa di Marcus troviamo ad attenderci la moglie Christine con la
figlia, che avevamo già conosciuto a Verona. Sono contente di vederci,
Christine ha preparato per noi un pranzo sontuoso, accompagnato da una
bottiglia di vino italiano, spedita appositamente da Marcus.
Facciamo i nostri più sinceri complimenti a questa giovane famiglia;
grazie al lavoro di Marcus hanno costruito una casa bellissima, che unisce il
gusto locale tradizionale alle comodità tipiche delle nostre abitudini
occidentali.
Nel tardo pomeriggio Michele ci riaccompagna a Colombo, dopo averci
fatto conoscere la sua famiglia e a sua volta mostrataci la sua grande casa,
poco distante, con un bellissimo e vasto giardino.
L’appuntamento a Colombo con Terry e Maurizio è all’hotel che hanno
prenotato in centro, in una via stretta, piena di negozi di ori e pietre
preziose. Quando arriviamo sul posto, una volta individuata la meta, restiamo
allibiti: “l’hotel” non ha un vero e proprio ingresso, bensì vi si accede dalla
strada attraverso uno stretto corridoio (due persone non possono passare
contemporaneamente) che conduce ad una lercia scala interna.
Al secondo e terzo piano ci sono le “camere”: bui sgabuzzini senza
finestre, con WC e simil-doccia privata dall’aspetto davvero poco invitante.
Lilli ed io non siamo troppo schizzinosi, ma un tugurio è un tugurio… ciliegina
sulla torta, la “nostra” stanza ha anche l’aria condizionata guasta, quindi
l’aria è irrespirabile.
Il gestore, vedendo le nostre reazioni, dice “Ma abbiamo anche una
stanza più arieggiata” e ci mostra un altro orrendo sgabuzzino con grate di
mattoni sopra la porta, che prendeva aria dal corridoio… “No grazie”
rispondiamo il più gentilmente possibile, salutiamo i nostri amici e ci diamo
appuntamento l’indomani in stazione per prendere il treno per Kandy.
Abbiamo un altro indirizzo, lì vicino, già visitato da Terry e
Maurizio, che lo avevano scartato perché aveva una sola stanza libera, ma ci
rendiamo subito conto che non è molto diverso dal precedente; il proprietario,
comunque molto cortese, ci fornisce indicazione per un vero hotel, con tanto
insegna, reception, sala di attesa, 30 € /notte anziché 13 € del tugurio.
La sera mangiamo in un simpatico ristorante indiano, frequentato da
gente locale, ma rimaniamo delusi della città: alle 8 di sera le strade sono
semideserte, sporche e buie e siamo in centro città!
L’indomani alle 8.30 siamo alla stazione, ritroviamo gli amici
australiani e prenotiamo l’intercity per Kandy, carrozze riciclate da qualche
paese più ricco, ma posti numerati. Il viaggio dura circa 2 ore e trenta minuti
e nella seconda parte risale con ampie curve fino a quota 500 metri, con una
bella vista sulla verde vallata.
Questa volta ci siamo informati su internet per la prenotazione
alberghiera ed abbiamo alcuni indirizzi; essendo Kandy una città molto
turistica, c’è ampia scelta. Il primo che andiamo a vedere è in centro, non
eccezionale, ma le camere sono grandi, finestrate, con aria condizionata. Il
gestore ci fa lo sconto perché non abbiamo prenotato con Booking.com: 2700
rupie/notte compreso la prima colazione. Sono circa 14 €: accettiamo senza
esitazioni.
A differenza di Colombo, la vocazione turistica della città si nota
subito, non solo per le diverse etnie in circolazione, ma anche per il centro
pieno di negozi e ristoranti aperti fino a tardi. Gli scontri tra estremisti
musulmani e buddisti erano avvenuti proprio qui, ma non ne vediamo alcuna
traccia e si respira un’aria di assoluta normalità e tranquillità.
Un bel tempio buddista, in cui si dice sia conservato un dente del
Buddha, si affaccia su un piccolo lago, mentre l’intera città è dominata da
un’enorme statua del Buddha situata sulla sommità della collina. Nel
pomeriggio, in un piccolo teatro, ci godiamo uno spettacolo di danza in costumi
e maschere tradizionali, accompagnata da musica dal vivo di sole percussioni.
La visita al tempio, invece, ci viene negata: i miei pantaloni arrivano appena
sopra il ginocchio, e per pochi centimetri sono fuori norma!
Il giorno seguente prima di intraprendere il viaggio di ritorno
visitiamo il bellissimo orto botanico, una tenuta di 60 ettari, con piante e
fiori classificati ad uno ad uno. Ci sono uccelli di mille tipi, scimmie e …
pipistrelli!
Alle 12.50 prendiamo il treno che ci riporta a Colombo: 2 ore e 30
purtroppo interamente in piedi, stipati come sardine. Una sosta di 60 minuti
per la coincidenza, e poi altre 2 ore su un treno ancora più pieno del
precedente, solo nell’ultima mezz’ora riusciamo a sederci. Rientriamo in barca,
a Galle, alle 19.30, quasi distrutti.
Gli ultimi giorni sono riservati ai rifornimenti. 240 litri di gasolio
ci vengono consegnati in taniche da 20 litri, paghiamo 145 rupie/litro compreso
il trasporto, (circa 0,72 €/L), il prezzo per i locali è 100 rupie/litro. Altri
navigatori suggerivano di andare con il tuk-tuk e rifornirsi con un paio di
taniche alla volta direttamente al distributore, passando poi il controllo del
porto con qualche birra di mancia, ma noi abbiamo preferito la via maestra,
spendere 50 € in più ma completare il rifornimento in mezz’ora.
L’acqua non è disponibile in banchina, arriva con un’autobotte (8 US$
per 1000 litri). Viste le condizioni del nostro dissalatore, facciamo il pieno
del serbatoio da 1000 litri; avanzano 300 litri, con cui riempiamo le taniche
dei nostri amici australiani.
Per la cambusa, siamo già stati informati che la spesa va fatta un po'
alla volta, un cartone di birra oggi, uno domani e così per la frutta, verdura
e il supermercato. Tonino del Magic ci ha anche indicato un supermercato,
vicino al porto: Sea Far City Food gestito da MUDGHEE, un signore che parla
italiano, molto attento ai clienti esigenti e disponibile ad aiutarti per
esempio avvisandoti quando arrivano i prodotti freschi.
Arriviamo alla vigilia della partenza: l’agente ci invia il conto da
pagare, nessuna sorpresa, a parte l’aggiunta di 25US$ per ottenere il pass del
tecnico elettronico (inizialmente ne avevano chiesto 50 US$, ma abbiamo
protestato e la fattura, come per magia, si è dimezzata).
Ecco il dettaglio per chi è interessato a passare di qui:
Ormeggio al
Marina
- US$ 100.00 (tariffa per un mese, anche se la sosta è inferiore)
Pratiche di Check In
& Out - US$ 60.00
Outward Port
Clearance - US$ 20.00
Tariffa
Agente
- US$ 100.00
Elettricità per 7
gg
- US$ 17.00 (a consumo)
Acqua 1000
litri
- US$ 8.00
Sabato 24 marzo abbiamo una discreta finestra meteo per proseguire alle
Maldive: circa 3 giorni di navigazione per coprire le 445 miglia fino a
Uligamu, l’atollo più a nord dove faremo l’ingresso.
Alle prossime!