11°18.334'S 153°14.635'E
293 miglia da Ghizo per raggiungere Nimoa Island nell'arcipelago delle Luisiadi: praticamente tutte a vela, tranne le prime 30 miglia, con vento leggero e onda incrociata. Per il resto il vento è stabile sui 15-18 nodi, al traverso, con 1,5-2 metri di onda; la luna calante al primo quarto illumina le due notti di navigazione. Quasi possiamo definirla una traversata ideale; nelle ultime 24 ore riduciamo la velatura, per rallentare e non arrivare con il buio.
Alle 7.30 di lunedì 27 giugno affrontiamo la pass Hudumu-Iwa; il sole è appena spuntato, ma col binocolo si riesce a distinguere il reef ai lati del passaggio. La cartografia C-Map è corretta, fondale minimo 13 metri, mancano circa 2 ore alla minima, ma siamo già in stanca.
Alle 9.00 ancoriamo nella baia ben protetta di Nimoa, entrando in una ampia area libera, ma contornata da reef; il fondale è sabbioso, sui 14-15 mt. (11°18.334'S 153°14.635'E).
La prima sensazione piacevole, registrata anche nella traversata, è che l'aria sia più fresca; anche l'acqua ha un paio di gradi di temperatura in meno, d'altra parte siamo scesi di 3° di latitudine e ci siamo allontanati dall'equatore.
Anche qui, poco dopo l'ancoraggio, arrivano su piccole canoe a bilanciere i primi locali, per porgere il loro benvenuto. Prima chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa, frutta o ortaggi, poi chiedono se abbiamo qualcosa da offrire in cambio, articoli da pesca, magliette, filo e aghi da cucito; così abbiamo conosciuto Lorenzo e Jonny, il chief, che ci ha portato anche il "libro degli ospiti" da firmare.
Per onorare la promessa fatta in quel di Ghizo all'amica olandese Elisabeth, chiediamo subito di Dorothy: sappiamo solo che ha 13 anni ed è figlia di Jimmy. Per fortuna Lorenzo la conosce: "Sì, è di questo villaggio, ora è a scuola, terminerà alle 15.00". La voce della nostra richiesta si diffonde velocemente, tanto che, poco dopo, arriva la giovane mamma di Dorothy, per capire chi sta cercando sua figlia; si ricorda della barca olandese passata qualche settimana prima ed è felice di sapere che Elizabeth ha inviato un pensiero per Dorothy. Anche lei ci chiede se abbiamo bisogno di banane, papaie o qualcos'altro; rispondiamo di sì e visto che aveva fatto un'infruttuosa uscita di pesca, le regaliamo una busta del nostro tonno congelato.
Alla fine della scuola Dorothy ci raggiunge a bordo di una canoa: è emozionata, timida, legge con attenzione il biglietto scritto da Elisabeth, e resta senza parole guardando il bellissimo braccialetto che le ha inviato. Facciamo qualche foto e ci salutiamo.
Nel pomeriggio arriva anche il papà di Dorothy con un casco di banane, dei pomodorini e delle arance, ci chiede se abbiamo del filo di nailon per la pesca, lo accontentiamo con un rocchetto da 100 metri, ed alcuni ami.
Scendiamo a terra col dinghy nella parte SW della baia, dove c'è la scuola, gestita dalla chiesa cattolica; qui incontriamo un'altra Elizabeth, insegnate della scuola primaria. Anche lei porta i segni del betel-nut, gengive e denti arrossati, ma si dimostra colta, aperta e gentile. Ci accompagna in visita alla biblioteca, cui si accede attraversando la sala insegnati; quest'ultima ci colpisce particolarmente: graziose tende alle finestre, le pareti ricoperte di avvisi e informazioni. Oltre agli orari delle lezioni, il programma dei lavori di manutenzioni, notiamo una sequenza frasi celebri e non, ma comunque significative, come per esempio "L'arma più potente per cambiare il mondo è l'istruzione", di Nelson Mandela. Sembra tutto molto organizzato, efficiente e curato.
Poiché molti alunni provengo dalle isole vicine, la scuola è dotata di due dormitori (uno maschile ed uno femminile) e di un refettorio: i ragazzi vivono qui la settimana e tornano ai loro villaggi il venerdì. La scuola è gratuita, il governo dà -quando può- un contributo alla chiesa, Elizabeth ci informa che è un po' che la chiesa non riceve niente.
Quando ci salutiamo la maestra ci chiede se abbiamo qualche libro in inglese per la biblioteca; "Purtroppo abbiamo solo libri in italiano, ma ti lasciamo un po' di matite ed una lente d'ingrandimento che potrebbe esserti utile" dice Lilli.
Sulla parte SE della baia ci sono due villaggi; il chief Jonny , ci fa da guida tra le capanne, tutte rialzate da terra, coi tetti di foglie di palma intrecciate, le pareti in bamboo o foglie di palma essiccate. Gli interni sono come in tutto il Pacifico, senza arredi, spesso la cucina è un ripiano sotto una tettoia esterna, dove sono appoggiate le pentole in alluminio. Il fornello è un fuoco che si accende per terra tra quattro sassi, su cui vengono appoggiate le pentole.
A poco meno di un chilometro, nella foresta, c'è una sorgente di acqua dolce, dove le donne vanno a lavare i panni e si riforniscono di acqua da bere e per cucinare.
Alle Luisiadi sono molto diffuse la canoe a vela: gli scafi sono sempre ricavati da tronchi, generalmente più grandi rispetto alle tradizionali canoe a bilanciere, sui quali viene armato un albero con una sorta di vela latina; solo alle Fiji ne avevamo viste di simili.
Le vele, per lo più, sono ricavate da materiale di recupero, tessuti o teli in pvc, e vengono rappezzate cucendoci sopra nailon tipo sacchi per immondizie; tra lo scafo ed il bilanciere viene costruita una sorta di rete di legni o bamboo intrecciati, che funge da supporto per le persone e per le cose da trasportare.
Questi mezzi vengono infatti utilizzati per i collegamenti fra le varie isole: chi da qui deve andare per esempio ad Alotau, la città più vicina nell'isola principale della Papua, fa un trasferimento con la canoa a vela fino a Misima Island, a circa 30 miglia, e poi prende la nave che fa un servizio stabile su Alotau; la nave dei rifornimenti per le isole Luisiadi passa invece ogni 2 mesi.
La Papua Nuova Guinea, come prima impressione, ci piace!