16:35.74S 168:09.76E
Come previsto, lunedì 8 giugno salpiamo dall'ancoraggio di Kakula per dirigerci all'isola di Emae, distante 34 miglia. Più di metà percorso con poco vento (quindi a motore), poi per fortuna a vela fino all'ancoraggio di Sulua Bay; il fondale, sui 12-13 metri, è sabbioso con alcune basse formazioni di corallo (17°02.982'S 168°22.243'E).
L'acqua pulita e trasparente mi invoglia a fare un bel bagno, anche per controllare l'ancora.
Ci sono altre 3 barche in rada, e tra queste riconosciamo Frida, nostra compagna insieme all'Amel Belissima nel transito del canale di Panama. L'avevamo ritrovata successivamente alle Galapagos, poi in Polinesia, ma dal 2014 non ci eravamo più visti; strani questi incontri tra velisti, anche se ci si saluta solo da lontano sembra di rivedere un vecchio amico, è un'emozione piacevole.
L'ancoraggio di Sulua Bay si trova sulla costa nord ovest di Emae, ed è perciò riparato dai venti dominanti da ESE , ma l'onda che gira intorno all'isola provoca un po' di rollio. Considerato che le previsioni meteo annunciano un rinforzo di vento, non prolunghiamo la sosta ed il giorno successivo lasciamo Emae diretti ad Epi, a 35 miglia.
Finalmente navighiamo con un po' di vento, stabile sui 15-20 nodi: con genoa e mezzana al gran lasco voliamo fino alla punta occidentale di Epi; poi siamo coperti dall'isola ed il vento cala ad 8-10 nodi, ma procedendo con una bolina larga l'apparente ci consente di avanzare fino alla nostra meta, Lamen Bay.
Una bella veleggiata, resa ancor più divertente dal fatto che ci siamo fumati alla grande una barca (Dreamtime, in realtà un po' più piccola di Refola) partita mezz'ora prima di noi. Non c'è niente da fare: la competizione scatta automaticamente ogni volta che si trova una barca che va nella nostra direzione, ed arrivare primi dà sempre una bella soddisfazione. Per la cronaca, penso che i nostri “avversari” abbiano sbagliato velatura: avanzando con randa e genoa ridotto, hanno dovuto tenere una rotta più orziera, che li ha costretti ad allungare il percorso.
Alle 14.05 gettiamo l'ancora nella parte sud della baia, su un fondale sabbioso di 8 metri (16°35.745'S 168°09.761'E). Avremmo potuto avanzare ancora circa 200 metri, dove il fondo si riduce a 4 metri, ma abbiamo letto sul portolano che talvolta si formano onde da surf, e quindi preferiamo restare in acque più profonde.
Per quanto riguarda la pesca, finora niente di buono. In quest'ultima tappa un pesce ha abboccato, tirava forte, mentre stavo recuperando l'ho visto fare un gran carpiato con capovolta fuori dall'acqua e poi liberarsi. Ok, nessun rimpianto: in primo luogo perché la libertà se l'è guadagnata, e poi perché sembrava un grosso barracuda, di almeno 120 cm, un pesce che non amiamo molto.
Nel nostro giro a terra troviamo persone come al solito gentili e sorridenti; il villaggio si estende lungo la spiaggia e poi verso l'interno e, benché sia piccolo, vanta tutti e tre gradi di scuole: la scuola materna, quella primaria e la High school, corrispondente alle nostre secondarie. Nello stile anglosassone, bambini e ragazzi indossano la divisa.
Nel versante settentrionale della baia vediamo un molo in cemento per l’attracco delle navi, gravemente danneggiato; pensavamo fosse a causa del ciclone Pam, ma ci dicono invece che è in disuso da alcuni anni, e stanno ancora aspettando l’intervento del governo.
Nel frattempo le piccole navi di linea ancorano al centro della baia e con i barchini fanno spola sulla spiaggia per scaricare viaggiatori e merci.
Alla fine del villaggio, sempre verso nord della baia, c'è l'aeroporto con pista su prato…
… il cui “terminal” (un paio di costruzioni ad un piano di circa venti metri quadri) è stato danneggiato dal ciclone ed è in riparazione.
Non manca però un “resort”: tre o quattro stanze ed un piccolo ristorante formano il Paradise Sunset Bungalow, gestito da un certo Mr. Tasso. Ne avevamo letto sulla guida, che parlava anche di uno Yacht club. In realtà all'interno del ristorante abbiamo visto solo alcune bandiere appese, e quando abbiamo chiesto informazioni ad una giovane ragazza che lavora al resort ci ha detto che Tasso è il proprietario, ma dello Yacht club non sapeva nulla.
Un cortese signore del posto, che abita sulla collina che sormonta la baia, ci ha fatto da guida attraverso il villaggio e si è offerto di portarci alcuni prodotti del suo orto; all'appuntamento del pomeriggio è arrivato con un sacchetto di piccoli peperoni, due grossi cetrioli, alcune patate e alcune radici di cui vi parleremo quando avremo scoperto il modo di cucinarle. In cambio aveva chiesto delle cime, da usare per unire i pali delle loro capanne; purtroppo le cime che abbiamo in barca ci servono, così gli abbiamo offerto 2000 vatu (circa 18 €) e lui ne è stato molto contento.
Vista la familiarità acquisita a Port Vila con l'ospedale, abbiamo voluto visitare anche quello di Epi. Abbiamo camminato in salita per circa 4 km, l'ospedale si trova infatti sulla sommità di una collina, completamente isolato dai villaggi, ma probabilmente collocato in posizione centrale rispetto all'intera comunità che vive sull'isola (circa 6.000 persone).
La struttura è piccola ma appare pulita e curata; forse, e speriamo, serve soprattutto da maternità e pediatria: c'erano infatti molte giovani madri che sostavano nel porticato con piccoli e neonati.
Lamen bay è anche famosa per il dugongo, grande pesce mammifero, peso circa 200 kg, vegetariano, in via di estinzione, ma ancora presente in questa area; è stato visto spesso nella baia, dove si nutre mangiando alghe sul fondo. Giovedì 11, con una bella giornata di sole siamo andati in cerca del dugongo: non ne abbiamo visto neanche l'ombra, in compenso abbiamo fatto un bel bagno ristoratore tra i coralli, nell'acqua limpida.