Venerdì 28 luglio, di buon mattino, predisponiamo sul plotter la rotta per Madeira e confezioniamo con i documenti e altri piccoli effetti personali la grab bag, cioè la borsa stagna da portare sulla zattera di salvataggio in caso di abbandono nave.
Alle 8.25 tutto
è pronto: lasciamo Santa Maria e le Azzorre per riaffrontare l’Atlantico. Per
tutto il primo giorno un vento leggero sui 10-13 nodi, che viene da NW e
prendiamo al gran lasco, ci regala una velocità media sui 6-6,5 nodi. Nel secondo
e nel terzo giorno dobbiamo aiutare le vele col motore; a consolarci gli strepitosi
tramonti ma soprattutto, dopo un lungo periodo di pesca infruttuosa, la presa
di un bel tonnetto: lo prepariamo crudo, “alla ceviche”, per arricchire
l’aperitivo serale.
Alle prime luci dell’alba di lunedì 31 luglio, quarto ed ultimo giorno di navigazione, avvistiamo in lontananza Madeira; vedere terra dopo tanto mare è sempre una bella emozione.
Siamo
sospinti da un bel venticello da N-NE sui 10-15 nodi che ci permette di volare
a 7 nodi di velocità. Una pacchia che ovviamente finisce non appena cominciamo
a costeggiare il versante sud occidentale dell’isola. Dalle 10 del mattino
siamo completamente senza vento e avanziamo a motore. Dalle Azzorre avevamo scritto
diverse mail per chiedere un ormeggio al marina di Funchal (il capoluogo di
Madeira), ricevendo risposte che definirei un po’ vaghe; una volta vicini proviamo
a contattarli telefonicamente, con il seguente esito: non hanno posto per la
nostra dimensione, ci propongono un ormeggio in seconda fila per un paio di
giorni, poi si vedrà. Una soluzione che non mi piace molto, nonostante la
comodità di essere a due passi dalla città, dai negozi e dai servizi. Ringraziando
decliniamo l’offerta e proseguiamo verso il marina di Quinta do Lorde, dove Lilli
da casa aveva già prenotato un posto per Refola. Una distanza di circa 12
miglia che colmiamo in “sole” tre ore e mezzo: tre miglia dopo Funchal infatti,
superata Ponta do Garajau che è il promontorio più a sud di Madeira, ritroviamo
il vento da NE che non solo è rafforzato sui 20-25 nodi ma ci prende
esattamente sul naso, accompagnato da un’onda corta e ripida. Ci avviciniamo
alla costa e timoniamo a mano; la situazione migliora un po’ ma comunque con il
motore a 2300 giri non riusciamo a superare i 2-3 nodi di velocità.
Finalmente alle
16.30 (ora di Refola), 17.30 local time, veniamo accolti all’ingresso dal gommone
del marina che ci fa strada fino al nostro posto in banchina.
Dopo il 2010
ed il 2012, è la terza sosta di Refola a Quinta do Lorde e a distanza di oltre
10 anni l’impressione è che poco sia cambiato. Grazie alle memorie consegnate
al nostro blog siamo in grado di riportare quanto scritto a suo tempo.
26 ottobre
2010 (equipaggio composto da Sandro, Lilli, il mitico Gianca, Gigi Baroni del
Paterazzo, l’indimenticato Alain): Il Marina di Quinta do Lorde ha circa 200 posti,
servizi e accessori sono impeccabili; alle sue spalle, da 3 anni, è in
costruzione un villaggio turistico. Le costruzioni sono al grezzo e mancano
tutte le infrastrutture, ma dal plastico in mostra all’ufficio vendite si
intuisce che il progetto è molto ambizioso. Chiacchierando con l’impiegata apprendiamo
che la crisi immobiliare è arrivata anche qui, i prezzi sono molto alti (da 400
a 600 mila € per 90-140 mq) e le vendite languono, come i lavori, del resto…
28 agosto
2012 (equipaggio composto da Sandro, il ligur-trentino Franco, il compianto
Enrico di Malaika): alle 16.30 entriamo nel marina Quinta do Lorde, un porticciolo per
circa 260 barche, adiacente al quale è in costruzione un villaggio
turistico, che dovrebbe essere inaugurato il prossimo novembre. Essendo già stati
qui nell’ottobre 2010, ci viene accordato uno sconto del 20% sulla tariffa giornaliera
(56 euro/notte compreso acqua e luce).
Quel che
vediamo oggi è che sono tuttora in corso grandi lavori di ristrutturazione sia all’interno
degli alloggi che nelle parti comuni e sembra che le vendite non siano mai
decollate. Un vero peccato, perché il luogo è di grande charme.
Noleggiamo un’auto per tre giorni e ci dedichiamo ad intense attività turistiche (e non solo). Il primo giorno ci avviamo in direzione ovest; cominciamo da Canical dove visitiamo il museo della balena, molto ben organizzato: vari filmati mostrano le molteplici attività legate alle balene, dalla caccia alla macellazione alla bollitura del grasso ecc. Immagini in buona parte già viste ad Horta, ma che lasciano sempre sgomenti per la loro crudeltà, parzialmente giustificata, all’epoca, dalle necessità di sopravvivenza delle persone del posto. A seguire è la volta del Mirador di Cabo Girao, posto a circa 500 metri di altezza sul livello del mare. Il panorama, come si può facilmente intuire, è mozzafiato.
Prima di tornare in barca, ci fermiamo a vedere Câmara de Lobos, un piccolo e storico villaggio di pescatori che fu il primo insediamento umano a Madeira (fondato tra il 1420 e il 1430) e deve il suo nome al fatto che, all'epoca della scoperta dell'isola, nella cala vi era un gran numero di leoni marini che ancora oggi vi si possono trovare.
Il secondo giorno, per metà giornata, usiamo la macchina per un cospicuo rabbocco alla cambusa; nel pomeriggio riprendiamo il programma turistico con un’escursione a Baia d’Ambra: lunga camminata immersi in un panorama brullo e affascinante, e poi una vista eccezionale.
Il terzo giorno lo riserviamo al versante settentrionale di Madeira: Porto Moniz, Sao Vicente, Ponta Delgada, Santana e vari mirador, ultimo solo in ordine di visita le Red Rocks. Nel complesso ci è risultata la parte più incantevole dell’isola, meno turistica e più selvaggia.
Domenica 6 festeggiamo l’ultima serata a Madeira con un ricco pasticcio di lasagne al ragù; davanti a noi l’ultimo pezzo di Atlantico, prima di rientrare in Mediterraneo, dopo 11 anni!
La traversata
da Madeira verso lo stretto non è una passeggiata: ci sono almeno tre principali
elementi critici di cui tenere conto. I primi due sono per così dire “tradizionali”,
e Refola li ha già affrontati. Si deve cercare di evitare (il più possibile) il
vento dominante, che viene da levante, ed essere preparati in caso contrario ad
una dura bolina. Poi occorre studiare la situazione delle correnti nello
stretto. Consultate le tavole di marea, individuo la finestra migliore per noi:
dobbiamo essere a Tangeri alle 9.00 del giorno 11, in modo di avere per 6 ore una
corrente a favore (entrante, di 1-2 nodi), passare lo stretto con la luce del
giorno ed arrivare a Ceuta in tempo prima del buio e dell’inversione di corrente.
Come se non
bastasse però, da luglio 2020 è entrata in gioco una terza variabile, molto più
difficile da trattare: le orche iberiche che attaccano le barche a vela
distruggendo i timoni. Più di 200 attacchi, due barche affondate, nessuna
possibilità di difendersi o di allontanarle. Ci teniamo informati sull’argomento
attraverso il sito www.orcas.pt, e due gruppi facebook creati dai velisti.
Fortunatamente da casa Lilli ci comunica che, mentre a luglio le orche hanno
attaccato anche oltre le colonne d’Ercole, nei primi giorni di agosto ci sono
stati “solo” due attacchi in prossimità dello stretto e sembra che il branco si
stia progressivamente spostando in direzione nord, lontano dalla nostra rotta.
Fatte tutte
queste valutazioni, la mattina del 7 agosto facciamo rifornimento di carburante
ed alle 9.40 salpiamo.
Per tutta la
giornata riusciamo ad andare a vela, col vento da N e NNW sugli 8-11 nodi avanziamo
alla velocità di 5-6 nodi; dopo le 20 però il vento si riduce e per mantenere questa
media dobbiamo accendere il motore.
Alle ore 12
del secondo giorno, 8 agosto, registriamo 160 miglia percorse dalla partenza
(le prime 13 + 147 nelle 24 ore). Abbiamo
un venticello da W-NW sui 10 nodi e procediamo al gran lasco.
Il terzo
giorno, mercoledì 9 agosto, il vento gira a N-NNW e aumenta di intensità fino a
18-20 nodi; lo prendiamo al traverso, la velocità ha punte di 7,5 nodi. Alle 12
le miglia percorse sono 146.
Più o meno
nelle stesse condizioni di vento inizia il quarto giorno, giovedì 10: alle 12
registriamo 154 miglia percorse. Purtroppo però nel primo pomeriggio il vento cala
progressivamente fino a ridursi a 5 nodi. Per essere puntuali all’appuntamento dell’indomani
con la corrente entrante nello stretto, è fondamentale mantenere la velocità media
di 6 nodi: ci dobbiamo aiutare col motore.
Nelle prime
ore di venerdì 11 il mio turno è dalle 4.30 alle 6.30; alle 6.00 esce anche Fabrizio,
per la mezz’ora di compresenza. È il tratto più delicato dell’intero tragitto, con
l’avvicinamento alla costa e l’ingresso nello stretto. Riguardo le orche
dovremmo navigare molto vicino a terra, su fondali possibilmente inferiori a
20-30 metri, ma l’altro pericolo sono le reti da pesca.
Verso le 5.30,
quando siamo a circa 20 miglia dalla costa del Marocco, vedo davanti alla
nostra prua luci lampeggianti rosso e blu. So per esperienza che si tratta di reti
molto lunghe predisposte per la pesca dei tonni, ma non c’è nessuno a
presenziarle e mi chiedo: sono galleggianti? Più mi avvicino più sento il cuore
battere forte, scruto con il binocolo, accosto verso la luce lampeggiante, riduco
il numero di giri e rallento la barca, controllo l’acqua davanti a Refola cercando
tracce di reti in superficie: non c’è niente, tiro un sospiro di sollievo e
riprendo la corsa.
Mentre sulla
costa appare ben visibile l’alone luminoso sopra Tangeri, al VHF si sentono i
pescatori parlare con le navi per dare istruzioni in modo da evitare le reti:
“Please Captain, 2 gradi a dritta, thank you captain”. Sono conversazioni identiche
a quelle che sentivamo nel 2009, quando provenienti da Cadice e diretti alle
Canarie costeggiammo per una lunga notte il Marocco, incontrando un
peschereccio che aveva pensato bene di avvicinarsi a noi in modo per niente
rassicurante … ma tutto finì bene.
Alle 6.30 il
cielo davanti a noi comincia a farsi chiaro. Quando arriva l’alba la visibilità
si fa perfetta ma noi continuiamo ad aguzzare la vista per scorgere le orche:
sembra tutto tranquillo … nessuna orca nei paraggi, faccio colazione e ritorno
in pozzetto; ho sonno e gli occhi arrossati, ma tengo duro.
Siamo ormai
davanti al porto di Tangeri, in perfetto orario rispetto alla tabella di marcia.
La situazione è tranquilla: non c’è un grande traffico, procediamo con randa e motore
a 1500 giri a 5,5 nodi di velocità, non avvertiamo un grande beneficio dalla corrente,
probabilmente perché siamo troppo vicini a terra. Alle 8.30 mi decido e vado a riposare; dormo come
un sasso per un’ora, quando senza sapere perché mi sveglio di soprassalto e mi
affaccio in pozzetto. Il Gianca è al timone e sta lottando da un po’ contro un micidiale
traffico di imbarcazioni che continuano a tagliare trasversalmente la nostra rotta.
Per abbreviare il tempo di percorrenza ha portato il motore a 2300 giri e
continua ad imprecare contro le orche (che non ci sono), “Se ne vedo una la
mangio viva…” è proprio incazzato! Fortunatamente, superata l’area dei
traghettamenti, il traffico scompare e tutto ritorna tranquillo.
Alle 12
registriamo 135 miglia percorse nelle 24 ore.
Alle 14.30
arriviamo a Ceuta dove avevamo prenotato un posto in banchina. La manovra di
ormeggio è disturbata dal vento che ci prende al traverso, per contrastarlo
ricorro all’elica di prua che purtroppo in poco tempo mi abbandona. Completiamo
l’ormeggio e verifichiamo l’accaduto: deve essersi sgranato il cuscinetto sotto
il motore. Accidenti! Impossibile pensare di trovarne uno di ricambio a Ceuta.
Smontiamo il motore e l’indotto dove è calettato il cuscinetto e decidiamo di
partire domani molto presto per raggiungere Benalmadena, a 68 miglia, dove
dovremmo trovare il cuscinetto. Una corsa contro il tempo, perché domani, 12
agosto, È SABATO!
OK, non è
proprio un finale in bellezza, ma siamo tutti consapevoli che la traversata è
andata più che bene. Il problema dell’elica di prua si risolverà. Abbiamo passato
per la quinta volta le colonne d’Ercole e, dopo 11 anni, siamo tornati nel
Mediterraneo. Complimenti a Refola e al suo equipaggio!