A Boston, con l'equipaggio modificato dall'arrivo di Angelo e Cristina, rimaniamo cinque giorni: il tempo non è dei migliori, piove spesso e fa freddo, ma questo non ci impedisce (con la solita eccezione di Lilli) di andare in città per fare acquisti e visitare il centro.
Boston è una città molto bella, ricca di storia, tra le più “antiche” degli USA; c’è una grossa comunità di italiani discendenti dai primi migranti, molti dei quali originari di Napoli.Tra le altre cose, ho una missione importante da compiere: spostare la SIM card americana (che finora avevamo potuto installare solo sul telefono di Lilli) sul nuovo cellulare che ho ordinato in Italia e che Angelo e Cristina ci hanno cortesemente portato a bordo. Trattandosi di operazione delicata, ci rechiamo nel negozio della Verizon dove l’attivazione viene eseguita in pochi minuti.
Lunedì 5 giugno alle 10.30, dopo aver fatto
il pieno di gasolio e riempito per scorta 8 taniche da 20 litri, lasciamo
Boston con destinazione Gloucester, a 26 miglia, per noi ultima tappa del
Massachussetts.
Abbiamo un vento da nord sui 12-14 nodi,
e la nostra rotta è tra i 20° e i 30°; navighiamo a vela e motore fino all’arrivo.
Alle 15.25 ancoriamo su un fondale fangoso di 6-7 metri (42°36.439’N
70°40.414’W).
Gloucester è un importante centro per l'industria del pesce (allevamenti, pesca, conservazione), nonché una popolare località turistica nel periodo estivo, che al nostro passaggio sembra ancora ben di là da venire. Tra la gente di mare è famosa perché proprio da qui, nel film La tempesta perfetta, parte lo sfortunato peschereccio Andrea Gail capitanato da George Clooney. Il film è tratto dall’omonimo libro di Sebastian Junger, basato su una storia drammaticamente vera: nell’ottobre del 1991 una tempesta di eccezionale potenza e durata si abbatté su una vastissima area dell’Atlantico settentrionale, cogliendo di sorpresa numerose imbarcazioni da pesca. Alla fine della tempesta, dieci giorni di ricognizioni aeree per trovare superstiti non diedero alcun risultato: in totale persero la vita 13 uomini, di cui 6 appartenenti al peschereccio Andrea Gail. Anche la terraferma non fu risparmiata e Gloucester fu particolarmente colpita: molte case e attività distrutte dalla tempesta, strade e aeroporti chiusi, migliaia di persone senza corrente elettrica.
Non certo per superstizione, ma per rispettare il nostro programma, il giorno seguente alle 8.30 lasciamo l’ancoraggio di Gloucester diretti a Portsmouth, distante 42 miglia. Con un vento rinforzato sui 16 nodi da WNW e rotta 344° procediamo a vela di bolina fino all’arrivo. Alle 15.30 ancoriamo sul limite di un campo boe su una profondità di 4,5-6 metri e fondale fangoso (43°04.765’N 70°42.474’W).
Convinti di essere entrati in un nuovo
stato, il New Hampshire, comunichiamo il nostro arrivo alla dogana attraverso
la app CBP Roam. Ci sfuggiva che la cittadina di Portsmouth appartiene sì allo
stato del New Hampshire, ma il Piscataqua River su cui si affaccia segna il
confine tra il New Hampshire ed il Maine. Poco dopo ci chiama un agente da Portsmouth, un po’ irritato, perché abbiamo ancorato nel Maine! Noi siamo già in
apprensione perché la licenza di navigazione in acque USA scade l’8 giugno, tra
48 ore, e sicuramente non possiamo essere in Canada così presto. Ma l’addetto
non fa alcun riferimento alla licenza e anche Lilli si guarda bene dal farlo. Chiede
invece cosa dobbiamo fare per uscire dagli USA, visto che il Maine è l’ultimo
stato della nostra rotta verso Nord: “Just leave!” (dovete solo andarvene) è
la secca risposta. Restiamo un po' di stucco, ma prendiamo atto: non li
chiameremo più e proseguiremo per la nostra strada.
Mercoledì 7 giugno alle 7.20 lasciamo Portsmouth
diretti a Portland, a 49 miglia; il vento è leggero, circa 10 nodi da NW, ma
riusciamo a navigare a vela fino a destino. Arriviamo alle 16.15 e questa volta,
invece di ancorare, prendiamo una boa in prossimità del marina. Passano le ore
e fino a sera nessuno viene a reclamare il pagamento.
Il giorno successivo scendiamo a terra per fare un po' di spesa al supermercato e per acquistare la bandiera di cortesia del Canada, di cui a breve avremo bisogno. Camminiamo per chilometri fino al negozio della West Marine: non ne sono forniti!
Rientriamo in barca e nel pomeriggio Fabrizio
ed io facciamo un altro tentativo: con il dinghy ci spostiamo verso il lato NE
della città, approdiamo in un marina con annesso un rimessaggio bello e ordinato per
barche anche grandi, dotato di un grosso travel; chiediamo ed otteniamo il permesso
di lasciare il dinghy, ci facciamo l’ultimo chilometro di camminata fino
all’Hamilton Marine, dove finalmente troviamo la bandiera del Canada.
Il 9 giugno alle 8.30 lasciamo Portland
per un’altra breve tappa di 34 miglia fino a Boothbay Harbor. Abbiamo poco
vento da est, praticamente sul naso, procediamo a motore. La navigazione nel Maine
richiede particolare attenzione a causa delle numerosissime, piccole boette che
segnalano le gabbie per la cattura delle aragoste; sono migliaia, a grappoli, a
volte talmente fitte da creare un vero labirinto. Decisamente sconsigliata la
navigazione notturna in queste acque!
Secondo problema: nebbie e foschie la
fanno da padrone; nel nostro passaggio in certi tratti la visibilità si riduce a
200 metri. Una fitta nebbia ci accompagna fin dentro la baia di Boothbay, ma si
dissolve proprio all’arrivo; non c’è spazio per ancorare, tutta l’area è
disseminata di gavitelli: molti sono occupati (per lo più barche da pesca), ma
ce n’è anche di liberi e quindi … alle 14.45 prendiamo una boa e stiamo a
vedere che succede.
Scendiamo a terra (tutti tranne Lilli) per guardarci un po’ intorno. Boothbay Harbor è un simpatico posto che sembra vivere principalmente di turismo e di pesca. Nella cittadina negozi e negozietti di souvenir, abbigliamento, oggetti vari; nella baia osserviamo l’intensa attività dei pescatori che con barche medio-piccole portano a terra il pescato a tutte le ore.
Il giorno seguente si avvicina un giovane pescatore, proprietario della boa che occupiamo, che ci domanda per quanto tempo ne abbiamo bisogno; sussurriamo che vorremmo restare un’altra notte e lui risponde che non c’è problema, possiamo farlo gratuitamente. Il nostro stupore cresce ulteriormente quando ci chiede se gradiamo del pesce e soprattutto quando, poco dopo, torna ad affiancarsi per regalarci un chilo e mezzo di merluzzo freschissimo, già sfilettato e pronto per essere cucinato. Il Maine già ci piaceva, ma adesso lo adoriamo.
Domenica 11 giugno salpiamo alle 8.35
con destinazione North Haven, a 43 miglia. La giornata è grigia, con foschia e
nebbia a banchi; il vento è da SW, 8-15 nodi; procediamo a vela aguzzando la
vista per non incappare nelle boe. Alle 15.40 raggiungiamo la meta e caliamo l’ancora
a SW del paese, su fondale fangoso di 5-6 metri (44°07.474’N 68°01.964’W).
Prima del tramonto riceviamo una visita
della U.S. Custom and Border Protection: un grosso gommone di affianca, ci chiedono il permesso
di salire a bordo. “Ovviamente, prego!” risponde prontamente Lilli, mentre il
cuore (e non solo il suo) batte forte perché la nostra licenza di navigazione è
scaduta da tre giorni e siamo ancora negli USA! Ma gli ufficiali sono cortesi e
cordiali: controllano i passaporti e i documenti della barca, non fanno cenno
alla licenza e poi… “tutto ok, buona navigazione!”. Una volta che si sono
allontanati, Lilli chiede razione doppia di gin&tonic.
Lunedì 12 giugno alle 8.35, salpiamo per
l’ultima destinazione statunitense: Bar Harbour, distante 47 miglia. Foschia e nebbia
a banchi sono le protagoniste della giornata, il vento è leggero, sui 6-7 nodi
da SW; procediamo a vela con l’ausilio del motore.
Mercoledì 14 giugno, alle 16.00,
lasciamo definitivamente il Maine e tutti gli Stati Uniti: con una tappa di 101
miglia raggiungeremo il Canada, dove registreremo l’ingresso a Yarmouth, in
Nova Scotia.