Partiamo da Walvis Bay il 16 aprile alle 9. Il cielo come al solito è grigio, non c'è vento e la nebbia comincia pian piano a diradarsi.
Credevamo di trovare il vento appena fuori dalla baia, invece dobbiamo fare circa 25 miglia prima di avere un leggero SW al traverso, che via via rinforza fino a 15-18 nodi.
Il mare è formato con un'onda da sud sui 3 metri, con periodo 7-8 secondi. Si rolla molto.
Uscendo dalla baia atttraversiamo un banco di meduse (rosse e brufolose, le più brutte mai viste) e quando spengo il motore, controllando il filtro dell'acqua di mare, ne trovo un bel po' imprigionate nel filtro e nel tubo di aspirazione. Devo faticare un bel po' per liberare completamente il condotto ed il filtro da questa massa gelatinosa.
Poco dopo, un altro problema: quando ho acceso il dissalatore, probabilmente per eccesso di pressione, è andato in allarme. Anche spegnendo e riaccendendo, resta in posizione di allarme. Provo a scollegare il pressostato e il dissalatore riprende a funzionare, senza il controllo sulla pressione, però; quando arriverò a Sant'Elena dovrò nuovamente sentire al telefono il dealer Philippe per chiedere lumi.
La tegola più grossa arriva con il buio: le batterie non tengono la carica, dopo circa 2 ore dall'ultima ricarica sono sotto i 25 V, la soglia che mi ero ripromesso di mantenere prima di ricaricarle. È un grosso problema.
Controllo la tensione delle batterie ad una ad una: ne trovo una molto più scarica delle altre. La ricarico singolarmente con il motore, ma una volta ricollegata al circuito torna ad abbassarsi velocemente. A questo punto provvedo ad isolare la coppia. In successivi controlli rilevo altre due coppie un po' sbilanciate; le ricarico anch'esse nello stesso modo e modifico la loro posizione.
Di giorno i pannelli solari aiutano a stabilizzare lo stato di carica delle batterie, ma dopo il tramonto, con tutti i carichi collegati, le batterie vanno a terra in un'ora. La cosa è preoccupante: decido di ridurre al minimo i consumi. Appena spento il generatore escludiamo due frigoriferi, il radar-plotter ed il VHF. In questo modo otteniamo che la carica duri almeno 2 ore, dopodiché è necessario riaccendere il generatore.
Oltre a preoccuparmi, questo inconveniente sulle batterie mi innervosisce alquanto: hanno meno di due anni vita, sono sempre stato attento a farle lavorare ben cariche, non hanno preso surriscaldamenti e tutto ad un tratto... si rifiutano di lavorare come si deve. Forse le ho abituate troppo bene?
Scherzi a parte, il viaggio davanti a noi è ancora lungo: per raggiungere Sant'Elena e poi il Brasile abbiamo da navigare circa 3.000 miglia, senza possibilità di aiuti esterni!
La navigazione nel frattempo prosegue, sempre col vento in poppa: per i primi due giorni sui 12-15 nodi, e poi sui 16-20. Giocoforza ci siamo abituati al rollio e riusciamo a riposare abbastanza. Tra sabato 20 e domenica 21 il vento rinforza a 20-25 nodi, e di conseguenza anche il mare si alza, con un'onda incrociata da SE a sud.
L'ultimo giorno di navigazione, martedì 23 aprile, il vento cala e gira ad ESE, in fil di ruota; tangoniamo il genoa e procediamo a farfalla, con un'onda che ci fa planare a 9-10 nodi.
Finalmente avvistiamo Sant'Elena, un grosso scoglio in mezzo all'oceano con coste alte e ripide, quasi verticali sul mare: imposibile non pensare a Napoleone e a cosa abbia potuto provare scorgendo da lontano quella che doveva essere l'ultima destinazione della sua vita.
A una quindicina di miglia dall'isola contattiamo via VHF canale 16 Sant'Elena Radio; una voce molto formale, dopo averci chiesto le informazioni di rito, ci fa da tramite con il Port Control, che dovremo chiamare un miglio prima dell'arrivo a James Bay, dove potremo ormeggiare nel campo boe.
Nell'ultimo tratto, costeggiando il lato NE di Sant'Elena, siamo circondati da grossi delfini che si esibiscono in spettacolari capriole.
Alle 19.15, ora di Namibia e di bordo, 17.15 ora locale, prendiamo una delle 5 boe rosse di James Bay, tutte libere (15°55.485 S 5°43.494'W). Altre 6-7 barche sono ormeggiate alle boe gialle.
Le boe vengono assegnate dal Port Control: quelle gialle sono per barche fino a 50 piedi e 20 tonnellate, quelle rosse per barche più grandi; sono piatte e basse sull'acqua (una ventina di centimetri dalla superficie), di forma cilindrica, diametro circa 1 metro, con un grosso anello a cui fissare le cime. Il problema è che l'anello è appoggiato sulla boa, già bassa, ed è pertanto alquanto difficile da prendere dalla prua della barca. Per fortuna c'è poco vento, o meglio solo qualche raffica che scende dalla ripida parete rocciosa che ci sovrasta, e riusciamo da poppa ad agganciarci all'anello e a portare la boa a prua. Poco più tardi arriva James, il gestore del locale “Yacht Club”, che ci passa le cime a doppino e rimuove il gancio che avevamo usato inizialmente, evitandoci di calare in acqua il dinghy. Una procedura un po' indaginosa, ma alla fine conclusa con successo.
Il giorno seguente andiamo a terra per fare le pratiche di ingresso; su Noonsite abbiamo letto che è sconsigliabile usare il dinghy a causa della forte risacca: c'è infatti un servizio di taxi-boat, che una volta all'ora e su richiesta via VHF (canale 16) preleva gli equipaggi dalle barche. 2 sterline a testa A/R, che non si pagano subito: il tassista prende nota delle corse effettuate per ogni barca e ciascuna paga il suo conto alla fine, prima di partire.
Le pratiche sono semplici e veloci: per primo il Port Control, poi la Dogana (uno accanto all'altra in un edificio bianco, molto inglese, a pochi passi dal molo), e per ultima l'Immigrazione, che invece è verso l'interno dell'isola, quasi alla fine del paese. Tasse di ingresso e stazionamento: 20 sterline a testa per l'immigrazione (sarebbe gratuito solo restando non più di 72 ore), a cui andranno aggiunti il costo della boa (2 £ al giorno), altre 43 £ di tasse portuali, e ovviamenti il servizio di taxi-boat. N.B.: all'ufficio immigrazione ci è stato richiesto di mostrare la nostra polizza assicurativa sanitaria, necessaria per registrare l'ingresso.
A Sant'Elena non ci sono ATM, ma nell'unica banca presente, con carta di credito e documento d'identità si possono prelevare a scelta sterline inglesi o sterline locali (questo scoglio emette una propria valuta, utilizzabile solo qui e nella ancora più piccola isola di Ascension), con una commissione del 5%.
Jamestown, la “capitale”, è in realtà un villaggio in tipico stile inglese che si affaccia sul mare per un paio di centinaia di metri per estendersi verso l'interno lungo una strettissima valle sormontata da rilievi rocciosi.
In tutta l'isola abitano 4.600 persone, in giro molte automobili dall'aspetto un po' antico, molti anziani, pochi giovani.
Ci sono ovviamente pochi negozi; i prezzi sono in genere molto alti, spesso il doppio rispetto all'Italia. D'altra parte, quasi tutto proviene dall'estero: una volta ogni 4-6 settimane arriva una nave ed al molo c'è un gran movimento per scaricare i container, sdoganare la merce e rifornire i vari negozi.
Come sempre, dopo le pratiche burocratiche, la nostra priorità è connetterci a internet. E qui sono dolori: le connessioni sono complicate e costose; per qualche motivo solo i residenti possono acquistare SIM card locali con traffico dati, come eravamo abituati a fare negli altri paesi. Per gli stranieri sono disponibili solo connessioni WIFI in alcuni bar/alberghi che ne dispongono: 6,60 £/ora, utilizzabili solo nel locale dove l'hai acquistata. Impossibile telefonare via WhatsApp, Messanger et similia.
Come gli altri navigatori scegliamo come base il ristorante Anne's Place, carino e vicino al molo; si mangia davvero male, ma per bere una birra e per connetterci ad internet è accettabile.
Giovedi 25 facciamo rifornimento di gasolio: la ditta Solomon, che ha un uffico sul molo, lo consegna a bordo con una barca dotata di pompa, al prezzo di 1,38 £/litro (al distributore costa 1,41).
Ritroviamo a James Bay equipaggi già conosciuti: i giovani Max e Tania di Reunion, che avevamo conosciuto l'anno scorso alle Seychelles, il mitico Dustin, navigatore solitario senza un braccio e una gamba incontrato alle Chagos, due coppie una francese e una tedesca che erano con noi a Luderitz. Per soli due giorni manchiamo di ritrovare Annie ed Alan di Kiwi Dream, e ne siamo molto dispiaciuti.
Per sabato 27 avevamo prenotato alla pensione Blue Lantern il noleggio di un'auto (20 sterline), per fare il giro dell'isola e visitare le cose più interessanti. Scesi a terra di buon'ora scopriamo che l'auto non c'è, doveva essere riconsegnata venerdì sera ma non è rientrata; il gestore si limita a qualche parola di circostanza e ci liquida frettolosamente rinviandoci all'ufficio turistico, dove forse possono procurarci qualcosa.
Leggermente contrariati ci rechiamo all'ufficio turistico, che troviamo chiuso; siamo vicini all'incazzatura quando arriva una gentile signorina che fa per noi 5 o 6 telefonate: niente da fare, non si trovano né auto da noleggiare, né taxi. Ci propone di tornare l'indomani, tenterà nuovamente di aiutarci.
Sconsolati ci sediamo su una panchina davanti all'ufficio turistico meditando sul da farsi.
Si avvicina un anziano e distinto signore: “Siete voi che cercate un taxi per girare l'isola? Io vi posso accompagnare oggi”. Paese piccolo, tutti sanno tutto. Increduli chiediamo la tariffa. “60 sterline, per 3-4 ore”. Combiniamo per 50 e saliamo su una vecchia Rover anni '60, tipo coupè.
La nostra guida è un simpatico 75/80enne, nato a Sant'Elena da famiglia inglese trapiantata qui; persona colta e riservata, ci porta a vedere la tomba e la casa di Napoleone, entrambe chiuse al pubblico nel fine settimana, poi la residenza del governatore inglese, nel cui giardino abitano tre tartarughe di terra secolari, la foresta Millennium con la vista dell'aeroporto ed infine la sommità di Jacob's Ladder, la lunga e ripidissima scalinata (699 gradini, troppi per noi ma non per Dustin che li ha fatti tutti con la sua gamba artificiale!) che da Jamestown porta sulla collina rocciosa, e da cui si gode una bella vista sul villaggio, e su Refola.
Alle 12.00 siamo già di ritorno; certamente muovendoci autonomamente avremo fatto di più e con più calma, ma non c'è stata scelta.
Determinati a non mangiare nuovamente schifezze da Anne's Place, rientriamo in barca e pranziamo come Dio e il nostro fine palato italiano comandano.
Dedico il pomeriggio a testare le batterie: collegando ai morsetti una lampada da 25 W, corrente assorbita 2 A, misuro a ciascuna delle 12 il tempo di scarica. Ebbene, in 10 minuti la tensione scende di 0,2-0,4 V; tutte le batterie presentano questo andamento, e ciò mi conferma che con tutti i carichi inseriti in navigazione notturna l'assorbimento medio è sugli 8-9 A e la durata della carica di circa 60 minuti; dimezzando l'assorbimento, come stiamo facendo, la carica dura circa 2 ore.
Nei giorni precedenti avevamo chiesto in giro per Jamestown se vendevano batterie per servizi, più per curiosità che per reale volontà di acquistarle, ma nessuno ha questo tipo di batterie. Abbiamo inviato mail ad esperti, chiedendo se sono da buttare o sono recuperabili, e quanto possono durare in questo stato, ma nessuno ci dà certezze; ora stiamo aspettando una risposta anche da chi ce le ha vendute.
Impossibilitati a fare/trovare altro, non ci resta che partire. Viste le condizioni, abbandoniamo l'idea originaria di fare tappa ad Ascension; metteremo la prua direttamente su Cabedelo, in Brasile: circa 1.800 miglia, 14 giorni di navigazione. La speranza è di arrivarvi almeno in queste condizioni, senza ulteriori peggioramenti.
Dunque tutto è deciso: lunedì 29 faremo le pratiche di uscita e martedì 30 aprile molleremo l'ormeggio. Good luck, Refola, fai la brava come sempre.