Il primo maggio è la festa dei lavoratori, che forse
non comprende i marinai. Di certo non è stata una festa per noi.
Già alla partenza la giornata si preannuncia
difficile: per uscire dalla laguna di Maafussaru dobbiamo percorrere un primo tratto
verso SE e poi un secondo verso est. Al mattino, in quella direzione, la
visibilità non è affatto buona. “Nessun problema - ci diciamo Lilli ed io -
seguiamo la traccia di ingresso fino a quando siamo in acque libere”. Ma accade
che ci sfugge il momento di girare ad est, e in pochi secondi ci troviamo in un
dedalo di banchi di corallo, uno dopo l’altro, uno a destra, uno a sinistra. A
complicare la situazione già non piacevole, grossi nuvoloni passeggeri coprono
a tratti il sole; proseguiamo a 2 nodi di velocità, come ciechi che tastano il
terreno ad ogni passo. Mentre Lilli è a prua, scendo al carteggio per
controllare sul computer l’immagine satellitare e mi rendo conto che invece di tagliare
col percorso più breve il tratto pericoloso ci stiamo navigando sopra, per il
lungo. La visibilità è scarsa e le teste di corallo si vedono a qualche decina
di metri. Lilli mi dice che riesce a malapena a distinguere i fondali verso
sud, ma non vede nulla verso est. “Dobbiamo andare ad est ad ogni costo!”, le
dico. Finalmente, dopo qualche centinaio di metri fatti a zig zag e col fiato
sospeso, siamo fuori dal labirinto e in acque profonde. Possiamo mettere la
prua a sud, verso la pass di uscita dall’atollo, che risulta facile, ampia e
profonda.
Il vento è sui 12-14 nodi, da ovest, la nostra
rotta è 220°. Per una bolina accettabile dovremmo andare per 190°, allungando il
percorso, ma qui non ci possiamo permettere ritardi: per ancorare è tassativo
arrivare con una buona luce, o quanto meno con il sole ancora alto. Tento di
ottenere da Refola l’angolo impossibile, ma poi mi rassegno e malvolentieri proseguiamo
ancora una volta a motore, con la randa cazzata e il vento apparente a 30°.
Alle 14.15 entriamo nell’atollo Faafu tramite la
larga pass in corrispondenza della sua punta più orientale. Ci restano ancora
10 miglia da percorrere in direzione SW: nel frattempo, ovviamente, il vento è
girato proprio a SW ed abbiamo 1 nodo di corrente contro; per mantenere una
velocità sui 5 nodi aumento il numero di giri motore a 1800, e proseguiamo con
un’attenta guardia a prua.
Ma ecco che quando mancano circa 3 miglia
all’arrivo arriva un’altra tegola. Scesa un attimo sottocoperta per controllare
le immagini satellitari, Lilli mi avvisa che è in azione la pompa automatica di
sentina. “Forse la sentina era al limite e un movimento della barca l’ha fatta
partire” dico io. Ma Lilli, che quasi conta le gocce d’acqua che vanno in sentina
e teme le avarie delle pompe, non è convinta e resta vigile. La pompa smette ma
subito dopo riparte. “Sta pompando di nuovo!” urla Lilli. Mi affretto ad aprire
il portellone della sala motore e vedo subito molta acqua sotto il motore.
Cacchio! Spengo immediatamente il motore. L’acqua fuoriesce dal tubo di mandata
della girante, e a prima vista ho l’impressione che il tubo in gomma sia
tagliato. Cacchio cacchio!
Svolgo la randa e metto Lilli al timone: deve
cercare di mantenere la barca il più possibile di bolina larga, per evitare lo
scarroccio verso il reef che si trova sottovento, a circa mezzo miglio da noi. Abbiamo
sotto la chiglia 45 metri di acqua e dare ancora non sarebbe consigliabile. Mentre
Lilli lotta con lo scarroccio, a barca quasi ferma, scendo in sala motore con
la torcia per controllare meglio l’accaduto. Sospiro di sollievo: il tubo è
intatto, a rompersi è stata la fascetta! Inoltre, nella sfiga, siamo stati fortunati:
pur essendosi sfilato, il tubo è rimasto vicino all’imboccatura della pompa quel
tanto che bastava per riuscire a mandare in circolo un po' d’acqua. In pochi
minuti sostituisco la fascetta, innesto il tubo e tutto ritorna a posto. Però
poteva diventare un problema serio: senza il provvidenziale intuito di Lilli,
l’assenza d’acqua nel circuito avrebbe fatto sì che i fumi di scarico
arrivassero ad una temperatura troppo alta per la povera marmitta di Refola,
che è in plastica. Quanto avremmo potuto andare avanti in quelle condizioni? 10
minuti, mezz’ora forse? Ho visto una volta la marmitta del nostro amico
francese Gerard bucata in due minuti, a causa della girante rimasta senza
palette! Ci è andata più che bene…
Riprendiamo la rotta ed alle 16.15 entriamo nella
piccola laguna di Magoodhoo, la nostra meta: anche qui il passaggio per entrare
è delicato, stretto fra due reef affioranti. Il sole viene a tratti coperto
dalle nuvole e la visibilità è ridotta, ma con precauzione arriviamo a mettere
l’ancora in uno spazio libero su fondale di 11 metri, sabbia e qualche corallo
basso (3°04.863’N 72°57.482’E).
La giornata è stata abbastanza impegnativa:
finalmente possiamo rilassarci e gustarci la fresca birra dell’ormeggio.
L’indomani andiamo a terra con il dinghy, superiamo
facilmente la barriera con l’alta marea ed entriamo nel porticciolo, il cui
accesso è a nord, dall’esterno della laguna.
Ormeggiamo il dinghy e vediamo nel grande piazzale
in sabbia alcune persone intente a piantare decine di bandiere Maldiviane.
“È una festa nazionale?” - ci chiediamo. Ci viene incontro un signore, tutto
sorridente, che esprime nella lingua locale cose che interpretiamo come saluti
di benvenuto. Lui continua a parlare la sua lingua, e quando, per giustificare
le nostre difficoltà di comprensione, diciamo “Italy” lui si illumina, tira
fuori qualche parola in inglese, di cui capiamo solo “Cocco university”, e fa
cenno di seguirlo. È talmente cordiale che mai vorremmo deluderlo e così ci
avviamo dietro a lui verso il villaggio. In pochi minuti ci troviamo davanti ad
un elegante complesso contornato da coloratissime mura, di un arancione
brillante, su cui spicca un telone: “MARHE - Marine Research and High Education
Center - Università degli Studi di Milano Bicocca”.
Non era l’università del
cocco, ma la Bicocca! La nostra guida, sempre sorridente, ci indica la grande
bandiera italiana che sventola insieme a quella delle Maldive davanti alle
aule, in quel momento deserte perché gli studenti sono fuori con la barca. Ci
invita ad entrare: un grande giardino fiorito, pieno di colori e denso di profumi,
su cui si affacciamo i padiglioni senza pareti dove sono allestite le zone di
lettura, di giochi, di dotazioni per la subacquea.
Ci conduce infine al
padiglione ristorante, dove come un perfetto padrone di casa ci fa accomodare
offrendoci caffè con biscotti. Lui continua a parlare maldiviano con qualche
parola di inglese, noi capiamo pochissimo, ma sorrisi e comportamento sono
inequivocabili. Anche le quattro cuoche della struttura, rigorosamente velate,
si uniscono alla stentata “conversazione” (sapremo poi che una di loro è la
moglie della nostra guida).
Proseguiamo il nostro giro nel paese, curato e pulito
come pochi visti qui alle Maldive. Troviamo un negozio di hardware, ben
fornito, dove visto l’inconveniente del giorno precedente acquistiamo una
scorta di fascette metalliche. Pranziamo in un piccolo ristorante con il
classico menù: tuna rice e vegetable rice (con sopra un uovo all’occhio di bue),
acqua minerale, il tutto per 160 rupie
(circa 8 €).
Rientriamo in barca, senza essere riusciti a capire
se e quando ci sarà una festa; quest’isola ci piace e ci incuriosisce, con la
sua gente accogliente, con l’Università della Bicocca … decidiamo di prolungare
la sosta e tornare a terra il giorno dopo, anche per incontrare gli universitari
italiani.
E infatti il 3 maggio siamo di nuovo nel porticciolo
con il dinghy: questa volta ad accoglierci è “il Capitano”, cioè il comandante
della barca dell’Università. Parla un po' di inglese e si offre di farci da
guida. Entriamo nel complesso della Bicocca e troviamo una ventina di giovani
studenti: sono seduti intorno a un grande tavolo di lavoro, con alcuni computer.
Ci presentiamo e chiediamo di scambiare due chiacchere. Accolgono volentieri la
nostra richiesta, sono anche loro curiosi di sentire la nostra storia e ci
pongono un sacco di domande. Studiano Scienze Marine e sono in vista della
laurea magistrale; sono quasi tutti di Milano e dintorni, tranne un paio di stranieri;
sono qui per un periodo di quattro settimane, tutto a carico della Bicocca, e
torneranno in Italia tra pochi giorni. Descrivono positivamente la loro
esperienza, anche se hanno nostalgia dei buoni cibi italiani, soprattutto la
pizza, e sono delusi dal fatto di non aver potuto compiere immersioni, pur
essendo tutti subacquei, perché escluse dall’assicurazione! Arriva una giovane
ricercatrice tedesca, l’unica che risiede qui stabilmente, per annunciare che
il pranzo è pronto. Prima di salutarci immortaliamo l’interessante incontro con
una foto di gruppo.
Noi torniamo al “nostro” ristorante (solito menu) e
poi gironzoliamo per il villaggio. Incontriamo di nuovo le nostre guide, il
“Capitano” e il pescatore Nasser, l’uomo sorridente del giorno prima. Ci invitano
a sederci sulle tipiche “panchine” maldiviane in rete, all’ombra di altissime palme.
Poco dopo arriva la moglie del pescatore (cuoca alla Bicocca) che offre a tutti
noce di cocco e uno squisito tonno seccato, dal gusto affumicato. Solo per noi,
ospiti speciali, un cocco fresco da bere. Si unisce alla compagnia il direttore
sanitario del centro medico, persona più istruita con la quale riusciamo a
imbastire una conversazione in inglese. Con il pescatore Nasser è invece tutto
un rimbalzo di sorrisi e parole incomprensibili; quando ha capito che abbiamo
apprezzato molto il loro tonno, ci mostra i suoi “attrezzi” per la pesca alla
traina, e in pochi minuti prepara due esche che ci offre in regalo. Questo
davvero non ci era mai capitato!
Riprendiamo la nostra passeggiata scortati dal
“Capitano”, che ci conduce prima ad un grande e rudimentale capannone dove
stanno costruendo una barca per la pesca d’altura, poi la “Green House” dove una
cooperativa di locali coltiva frutta e ortaggi, poi la “Chicken farm”, dove
vengono allevate a terra circa 800 galline (gli abitanti sono meno numerosi), poi
le due moschee, infine la “Power House”, con quattro generatori (due funzionano
24/24 h) che producono 180 Kw e consumano mediamente 400 litri al giorno di
gasolio.
Con orgoglio il “Capitano” ci mostrati anche la sua casa, a due piani,
all’esterno tinteggiata di azzurro e di blu. Non avendoci finora fatto regali
(a parte il suo tempo), non manca di donarci alcuni frutti dal nome
impronunciabile che raccoglie direttamente da una pianta del suo giardino.
Non poteva mancare la visita al presidio sanitario:
il direttore ci presenta l’unico medico (una dottoressa proveniente dal
Bangladesh), il tecnico sanitario (una signora indiana) ed alcune infermiere
(locali e velate). La struttura è aperta 16 ore al giorno dalla domenica al
giovedì, mentre chiude il venerdì ed il sabato (il week end di preghiera
musulmano), a meno che non ci siano pazienti ricoverati, cosa che non succede
quasi mai!
Finalmente veniamo a sapere dal direttore sanitario
il motivo delle bandiere: nel pomeriggio sono in arrivo per un meeting i
rappresentanti degli altri villaggi. I bambini, in abiti tradizionali,
offriranno fiori e bibite in segno di benvenuto. “Fermatevi anche voi, sarà
bello!”, ci dice. Sempre in compagnia del “Capitano”, ci sediamo in attesa
sulle panchine del porto.
Ma si fanno le 4 e non arriva nessuno, quindi
rinunciamo a vedere la cerimonia e rientriamo a bordo. Anche se non abbiamo
visto la festa, siamo estasiati dalla generosità e gentilezza che tutti hanno
mostrato nei nostri confronti, e un po' dispiaciuti per non aver potuto
ricambiare.
L’occasione si presenta poco più tardi. Nasser il
pescatore con quattro ragazzini, su 9-10 anni, si accosta a Refola con la sua
barchetta, attrezzata con la vela al terzo.
Salgono a bordo, i bambini sono
come sempre curiosi delle attrezzature della barca. Offriamo loro coca-cola e
biscotti, che dimostrano di apprezzare molto; due dei ragazzi sono nipoti di
Nasser e parlano un po' inglese (lo studiano a scuola).
Su indicazione del
nonno ci invitano di andare a pranzo da loro il giorno seguente. “Purtroppo
domani partiamo” rispondiamo. Regaliamo a Nasser un paio di occhiali da sole e
una piccola cesoia per rami. Lui ci scrive il suo numero di telefono, e ci fa
capire che desidera che lo chiamiamo per comunicargli dove siamo, anche se sarò
impossibile parlarci… quest’uomo ci ha davvero conquistato!
Salutiamo il gruppetto, che riprende la navigazione
a vela nelle acque basse della laguna.
I due giorni a Maagoodhoo sono stati davvero belli
ed interessanti. Domani riprendiamo il mare, arricchiti da questa esperienza.