sabato 5 maggio 2018

Maldive: MAGOODHOO e la Bicocca



Il primo maggio è la festa dei lavoratori, che forse non comprende i marinai. Di certo non è stata una festa per noi.
Già alla partenza la giornata si preannuncia difficile: per uscire dalla laguna di Maafussaru dobbiamo percorrere un primo tratto verso SE e poi un secondo verso est. Al mattino, in quella direzione, la visibilità non è affatto buona. “Nessun problema - ci diciamo Lilli ed io - seguiamo la traccia di ingresso fino a quando siamo in acque libere”. Ma accade che ci sfugge il momento di girare ad est, e in pochi secondi ci troviamo in un dedalo di banchi di corallo, uno dopo l’altro, uno a destra, uno a sinistra. A complicare la situazione già non piacevole, grossi nuvoloni passeggeri coprono a tratti il sole; proseguiamo a 2 nodi di velocità, come ciechi che tastano il terreno ad ogni passo. Mentre Lilli è a prua, scendo al carteggio per controllare sul computer l’immagine satellitare e mi rendo conto che invece di tagliare col percorso più breve il tratto pericoloso ci stiamo navigando sopra, per il lungo. La visibilità è scarsa e le teste di corallo si vedono a qualche decina di metri. Lilli mi dice che riesce a malapena a distinguere i fondali verso sud, ma non vede nulla verso est. “Dobbiamo andare ad est ad ogni costo!”, le dico. Finalmente, dopo qualche centinaio di metri fatti a zig zag e col fiato sospeso, siamo fuori dal labirinto e in acque profonde. Possiamo mettere la prua a sud, verso la pass di uscita dall’atollo, che risulta facile, ampia e profonda.
Il vento è sui 12-14 nodi, da ovest, la nostra rotta è 220°. Per una bolina accettabile dovremmo andare per 190°, allungando il percorso, ma qui non ci possiamo permettere ritardi: per ancorare è tassativo arrivare con una buona luce, o quanto meno con il sole ancora alto. Tento di ottenere da Refola l’angolo impossibile, ma poi mi rassegno e malvolentieri proseguiamo ancora una volta a motore, con la randa cazzata e il vento apparente a 30°.
Alle 14.15 entriamo nell’atollo Faafu tramite la larga pass in corrispondenza della sua punta più orientale. Ci restano ancora 10 miglia da percorrere in direzione SW: nel frattempo, ovviamente, il vento è girato proprio a SW ed abbiamo 1 nodo di corrente contro; per mantenere una velocità sui 5 nodi aumento il numero di giri motore a 1800, e proseguiamo con un’attenta guardia a prua.
Ma ecco che quando mancano circa 3 miglia all’arrivo arriva un’altra tegola. Scesa un attimo sottocoperta per controllare le immagini satellitari, Lilli mi avvisa che è in azione la pompa automatica di sentina. “Forse la sentina era al limite e un movimento della barca l’ha fatta partire” dico io. Ma Lilli, che quasi conta le gocce d’acqua che vanno in sentina e teme le avarie delle pompe, non è convinta e resta vigile. La pompa smette ma subito dopo riparte. “Sta pompando di nuovo!” urla Lilli. Mi affretto ad aprire il portellone della sala motore e vedo subito molta acqua sotto il motore. Cacchio! Spengo immediatamente il motore. L’acqua fuoriesce dal tubo di mandata della girante, e a prima vista ho l’impressione che il tubo in gomma sia tagliato. Cacchio cacchio!
Svolgo la randa e metto Lilli al timone: deve cercare di mantenere la barca il più possibile di bolina larga, per evitare lo scarroccio verso il reef che si trova sottovento, a circa mezzo miglio da noi. Abbiamo sotto la chiglia 45 metri di acqua e dare ancora non sarebbe consigliabile. Mentre Lilli lotta con lo scarroccio, a barca quasi ferma, scendo in sala motore con la torcia per controllare meglio l’accaduto. Sospiro di sollievo: il tubo è intatto, a rompersi è stata la fascetta! Inoltre, nella sfiga, siamo stati fortunati: pur essendosi sfilato, il tubo è rimasto vicino all’imboccatura della pompa quel tanto che bastava per riuscire a mandare in circolo un po' d’acqua. In pochi minuti sostituisco la fascetta, innesto il tubo e tutto ritorna a posto. Però poteva diventare un problema serio: senza il provvidenziale intuito di Lilli, l’assenza d’acqua nel circuito avrebbe fatto sì che i fumi di scarico arrivassero ad una temperatura troppo alta per la povera marmitta di Refola, che è in plastica. Quanto avremmo potuto andare avanti in quelle condizioni? 10 minuti, mezz’ora forse? Ho visto una volta la marmitta del nostro amico francese Gerard bucata in due minuti, a causa della girante rimasta senza palette! Ci è andata più che bene…
Riprendiamo la rotta ed alle 16.15 entriamo nella piccola laguna di Magoodhoo, la nostra meta: anche qui il passaggio per entrare è delicato, stretto fra due reef affioranti. Il sole viene a tratti coperto dalle nuvole e la visibilità è ridotta, ma con precauzione arriviamo a mettere l’ancora in uno spazio libero su fondale di 11 metri, sabbia e qualche corallo basso (3°04.863’N 72°57.482’E).
La giornata è stata abbastanza impegnativa: finalmente possiamo rilassarci e gustarci la fresca birra dell’ormeggio.
L’indomani andiamo a terra con il dinghy, superiamo facilmente la barriera con l’alta marea ed entriamo nel porticciolo, il cui accesso è a nord, dall’esterno della laguna.

Ormeggiamo il dinghy e vediamo nel grande piazzale in sabbia alcune persone intente a piantare decine di bandiere Maldiviane.
 “È una festa nazionale?” - ci chiediamo. Ci viene incontro un signore, tutto sorridente, che esprime nella lingua locale cose che interpretiamo come saluti di benvenuto. Lui continua a parlare la sua lingua, e quando, per giustificare le nostre difficoltà di comprensione, diciamo “Italy” lui si illumina, tira fuori qualche parola in inglese, di cui capiamo solo “Cocco university”, e fa cenno di seguirlo. È talmente cordiale che mai vorremmo deluderlo e così ci avviamo dietro a lui verso il villaggio. In pochi minuti ci troviamo davanti ad un elegante complesso contornato da coloratissime mura, di un arancione brillante, su cui spicca un telone: “MARHE - Marine Research and High Education Center - Università degli Studi di Milano Bicocca”. 
Non era l’università del cocco, ma la Bicocca! La nostra guida, sempre sorridente, ci indica la grande bandiera italiana che sventola insieme a quella delle Maldive davanti alle aule, in quel momento deserte perché gli studenti sono fuori con la barca. Ci invita ad entrare: un grande giardino fiorito, pieno di colori e denso di profumi, su cui si affacciamo i padiglioni senza pareti dove sono allestite le zone di lettura, di giochi, di dotazioni per la subacquea. 
Ci conduce infine al padiglione ristorante, dove come un perfetto padrone di casa ci fa accomodare offrendoci caffè con biscotti. Lui continua a parlare maldiviano con qualche parola di inglese, noi capiamo pochissimo, ma sorrisi e comportamento sono inequivocabili. Anche le quattro cuoche della struttura, rigorosamente velate, si uniscono alla stentata “conversazione” (sapremo poi che una di loro è la moglie della nostra guida).
Proseguiamo il nostro giro nel paese, curato e pulito come pochi visti qui alle Maldive. Troviamo un negozio di hardware, ben fornito, dove visto l’inconveniente del giorno precedente acquistiamo una scorta di fascette metalliche. Pranziamo in un piccolo ristorante con il classico menù: tuna rice e vegetable rice (con sopra un uovo all’occhio di bue), acqua minerale, il tutto per 160  rupie (circa 8 €).
Rientriamo in barca, senza essere riusciti a capire se e quando ci sarà una festa; quest’isola ci piace e ci incuriosisce, con la sua gente accogliente, con l’Università della Bicocca … decidiamo di prolungare la sosta e tornare a terra il giorno dopo, anche per incontrare gli universitari italiani.
E infatti il 3 maggio siamo di nuovo nel porticciolo con il dinghy: questa volta ad accoglierci è “il Capitano”, cioè il comandante della barca dell’Università. Parla un po' di inglese e si offre di farci da guida. Entriamo nel complesso della Bicocca e troviamo una ventina di giovani studenti: sono seduti intorno a un grande tavolo di lavoro, con alcuni computer. Ci presentiamo e chiediamo di scambiare due chiacchere. Accolgono volentieri la nostra richiesta, sono anche loro curiosi di sentire la nostra storia e ci pongono un sacco di domande. Studiano Scienze Marine e sono in vista della laurea magistrale; sono quasi tutti di Milano e dintorni, tranne un paio di stranieri; sono qui per un periodo di quattro settimane, tutto a carico della Bicocca, e torneranno in Italia tra pochi giorni. Descrivono positivamente la loro esperienza, anche se hanno nostalgia dei buoni cibi italiani, soprattutto la pizza, e sono delusi dal fatto di non aver potuto compiere immersioni, pur essendo tutti subacquei, perché escluse dall’assicurazione! Arriva una giovane ricercatrice tedesca, l’unica che risiede qui stabilmente, per annunciare che il pranzo è pronto. Prima di salutarci immortaliamo l’interessante incontro con una foto di gruppo.

Noi torniamo al “nostro” ristorante (solito menu) e poi gironzoliamo per il villaggio. Incontriamo di nuovo le nostre guide, il “Capitano” e il pescatore Nasser, l’uomo sorridente del giorno prima. Ci invitano a sederci sulle tipiche “panchine” maldiviane in rete, all’ombra di altissime palme. 
Poco dopo arriva la moglie del pescatore (cuoca alla Bicocca) che offre a tutti noce di cocco e uno squisito tonno seccato, dal gusto affumicato. Solo per noi, ospiti speciali, un cocco fresco da bere. Si unisce alla compagnia il direttore sanitario del centro medico, persona più istruita con la quale riusciamo a imbastire una conversazione in inglese. Con il pescatore Nasser è invece tutto un rimbalzo di sorrisi e parole incomprensibili; quando ha capito che abbiamo apprezzato molto il loro tonno, ci mostra i suoi “attrezzi” per la pesca alla traina, e in pochi minuti prepara due esche che ci offre in regalo. Questo davvero non ci era mai capitato!

Riprendiamo la nostra passeggiata scortati dal “Capitano”, che ci conduce prima ad un grande e rudimentale capannone dove stanno costruendo una barca per la pesca d’altura, poi la “Green House” dove una cooperativa di locali coltiva frutta e ortaggi, poi la “Chicken farm”, dove vengono allevate a terra circa 800 galline (gli abitanti sono meno numerosi), poi le due moschee, infine la “Power House”, con quattro generatori (due funzionano 24/24 h) che producono 180 Kw e consumano mediamente 400 litri al giorno di gasolio. 

Con orgoglio il “Capitano” ci mostrati anche la sua casa, a due piani, all’esterno tinteggiata di azzurro e di blu. Non avendoci finora fatto regali (a parte il suo tempo), non manca di donarci alcuni frutti dal nome impronunciabile che raccoglie direttamente da una pianta del suo giardino.
Non poteva mancare la visita al presidio sanitario: il direttore ci presenta l’unico medico (una dottoressa proveniente dal Bangladesh), il tecnico sanitario (una signora indiana) ed alcune infermiere (locali e velate). La struttura è aperta 16 ore al giorno dalla domenica al giovedì, mentre chiude il venerdì ed il sabato (il week end di preghiera musulmano), a meno che non ci siano pazienti ricoverati, cosa che non succede quasi mai!
Finalmente veniamo a sapere dal direttore sanitario il motivo delle bandiere: nel pomeriggio sono in arrivo per un meeting i rappresentanti degli altri villaggi. I bambini, in abiti tradizionali, offriranno fiori e bibite in segno di benvenuto. “Fermatevi anche voi, sarà bello!”, ci dice. Sempre in compagnia del “Capitano”, ci sediamo in attesa sulle panchine del porto. 
Ma si fanno le 4 e non arriva nessuno, quindi rinunciamo a vedere la cerimonia e rientriamo a bordo. Anche se non abbiamo visto la festa, siamo estasiati dalla generosità e gentilezza che tutti hanno mostrato nei nostri confronti, e un po' dispiaciuti per non aver potuto ricambiare.
L’occasione si presenta poco più tardi. Nasser il pescatore con quattro ragazzini, su 9-10 anni, si accosta a Refola con la sua barchetta, attrezzata con la vela al terzo. 
Salgono a bordo, i bambini sono come sempre curiosi delle attrezzature della barca. Offriamo loro coca-cola e biscotti, che dimostrano di apprezzare molto; due dei ragazzi sono nipoti di Nasser e parlano un po' inglese (lo studiano a scuola). 
Su indicazione del nonno ci invitano di andare a pranzo da loro il giorno seguente. “Purtroppo domani partiamo” rispondiamo. Regaliamo a Nasser un paio di occhiali da sole e una piccola cesoia per rami. Lui ci scrive il suo numero di telefono, e ci fa capire che desidera che lo chiamiamo per comunicargli dove siamo, anche se sarò impossibile parlarci… quest’uomo ci ha davvero conquistato!
Salutiamo il gruppetto, che riprende la navigazione a vela nelle acque basse della laguna.
I due giorni a Maagoodhoo sono stati davvero belli ed interessanti. Domani riprendiamo il mare, arricchiti da questa esperienza.