lunedì 17 luglio 2017

Penang - Georgetown

Primo giorno in mare da novembre 2016: navigazione senza vento, a motore! La tappa è breve, circa 15 miglia, sufficienti per realizzare cosa vuol dire non essere più attaccati alla banchina, con l'aria condizionata 24h/24. L'aria intorno a noi è immobile e satura di umidità, ma il nostro umore, dopo tanta attesa, resta alto.
Alle 14.45, siamo a destinazione e, pressoché liquefatti, caliamo l'ancora ad est della piccola isola di Medang, su un fondo di sabbia-fango di circa 10-11 metri (4°25.195'N 100°19.099'E).
Il moto di marea e la corrente rendono l'ancoraggio non proprio perfetto, ma accettabile. Durante la notte un violento temporale con raffiche improvvise sui 25-30 nodi mi fa alzare e rimanere sveglio una mezzora, per tenere sotto controllo la tenuta dell'ancora. Lilli, nel frattempo, se la dorme alla grande.
Mercoledì 12 luglio alle 7 del mattino siamo pronti per salpare. Siamo ancora senza vento e avanziamo a motore, per fortuna con un po' di corrente a favore. Refola non si lamenta, ma secondo noi soffre un po' e pensa: "Ma dove mi avete portato? E quando proviamo le vele nuove?". Cara Refolina, vorremmo saperlo anche noi!
Giunti all'isola di Penang, passiamo sotto il primo dei due ponti che la congiungono alla terraferma. È lungo 14 chilometri e corre basso per alzarsi solo con due campate, luce libera 28 metri.

Già da lontano vediamo molti pescatori appostati sulle grandi basi dei piloni, ma non crediamo ai nostri occhi quando vediamo che metà del canale di passaggio (profondità circa 8 metri) è ostruito da reti! Con tutto il mare intorno, proprio qui? Passato il ponte accostiamo a sinistra passando tra Penang e l'isolotto Jerojak, ed andiamo ad ancorare circa 300 metri a sud del secondo ponte, profondità 7 metri, fondale fangoso (5°21.307'N 100°19.039'E).
Ancoraggio consigliatoci da Fabio di Amandla: "Siete a fianco di un piccolo marina, dove potete lasciare il dinghy, a 300 metri c'è il molo della stazione di polizia (così potete dormire tranquilli), il centro di Georgetown è a 6 km, raggiungibile facilmente con il servizio di Uber…"
Tutti gli aspetti positivi segnalati da Fabio si sono dimostrati veritieri, l'unica cosa che ha omesso di dirci è che il traffico sul ponte è incessante, sembra di essere all'ancora sotto il ponte di Brooklyn a New York! In compenso la protezione è a 360° e non c'è onda provocata da traghetti e barche veloci, come a nord davanti alla città.
Giovedì 13 abbiamo appuntamento in città proprio con Fabio e Lisa, arrivati già da alcuni giorni per controlli sanitari. Ispirato forse dal colore dell'acqua davvero poco invitante, prima di lasciare la barca decido di controllare lo stato del filtro della presa a mare (su Refola ce n'è una sola, per il raffreddamento dei vari apparati e per i WC). Le condizioni del filtro erano assolutamente penose: un denso strato di melma ricopriva incrostazioni, conchiglie bivulva, denti di cane, davvero non so come faceva l'acqua a passare. Sembrava non essere stato pulito da anni, mentre siamo in acqua da meno di un mese! Lilli ed io ci armiamo di santa pazienza e lo ripuliamo ben bene, prima di scendere a terra col dinghy.
Per raggiungere l'albergo dove alloggiavano i nostri amici prendiamo un passaggio da un gentile giovane che usciva dal marina insieme a noi. Fabio e Lisa conoscono bene Georgetown (Lisa ne è letteralmente innamorata): da bravi anfitrioni ci conducono a pranzo in un locale caratteristico, dove impastano a mano chilometri di noodles (versione asiatica dei nostro spaghetti e fettuccine), tirando la pasta con grandi macchine che a Lilli ricordano la "Imperia" della sua mamma.
Ogni tanto però, temo a beneficio dei turisti, la pasta viene battuta con un'enorme canna di bambù, che un giovane cuoco fa andare su e giù montandovi a cavalcioni.
La "pasta" viene servita con salse, carne, pesce, anatra… tutto molto buono, ai soliti prezzi stracciati cui siamo ormai abituati.
Il centro storico di Georgetown, definito Patrimonio Mondiale dell'Umanità dal 2008, è estremamente vivace e ricco di interesse; vi convivono in inestricabile mescolanza le comunità cinesi, indiane e autoctone. Botteghe di tutte le specie, artigiani di ogni sorta, ambulanti, tradizionali risciò quasi sempre condotti da anzianotti macilenti (quasi certamente più giovani di noi, ma non nell'aspetto). Le costruzioni sono tutte a due piani, in contrasto con la vasta area periferica, densa di grattacieli e di enormi palazzoni; il caldo ed il sole tagliano le gambe, appena possibile ci rifugiamo sotto i bassi e stretti portici delle vecchie residenze dei notabili. Ogni tanto, lo confessiamo, ci andiamo a riparare in grandi negozi dotati di aria condizionata, giusto per prendere una boccata di ossigeno.
Passiamo così tre giorni, girovagando (spesso boccheggiando) per le viuzze del centro e rientrando in barca verso il tramonto.



A parte il casuale passaggio del primo giorno, per il tragitto marina/città/marina abbiamo utilizzato, come suggerito da Fabio, il servizio taxi di Uber. Un'esperienza totalmente nuova per noi, inguaribili provinciali. È bellissimo: una volta scaricata l'applicazione sul telefono, diventa un gioco, estremante divertente. Tu apri la app, il sistema rileva la tua posizione, digiti la tua destinazione, in pochi secondi ti viene comunicato quanto devi aspettare (5-10 min. massimo), quanto costa (tra 8 e i 15 RM, 1,5-3 €), chi è il tuo autista, che esperienza ha etc etc. Come in un video gioco, puoi seguire sulla mappa il percorso che l'autista sta facendo per raggiungerti. E alla fine puoi valutare la corsa e l'autista! Non me ne vogliano i tradizionali tassisti, ma questo è un altro mondo.