mercoledì 31 agosto 2016

Indonesia: BIAK

1°11.201' S 136°04.744' E
Le 307 miglia di navigazione da Jayapura a Biak scorrono senza grandi sorprese: il vento è sempre leggero, ma lo sfruttiamo tutto. Ci poniamo come limite di velocità minima 3,5 nodi; sotto questa soglia, accendiamo e procediamo a vela e motore (anche per caricare le batterie). In questo modo, lemme lemme, alle 10.00 di martedì 23 agosto arriviamo a Biak. Controllo il consumo di carburante: 51 ore di percorso, 34 ore di motore, 80 litri consumati, media 2,47 litri/ora. Considerando che il consumo a velocità di crociera è sui 4 litri/ora, non ci possiamo lamentare.
Gettiamo l'ancora in posizione equidistante dal molo delle navi e dal molo del mercato, su un fondale di 16-18 metri di sabbia e corallo basso (1°11.201' S 136°04.744' E).
L'ancoraggio è riparato solo da nord, per cui con il vento da ESE, predominante in questa stagione, può diventare insopportabilmente rollante. Per fortuna siamo in regime di venti leggeri e variabili, e non abbiamo problemi durante la nostra sosta.
All'arrivo non siamo precisamente in forma: Lilli ed io ci siamo beccati un bel raffreddore, con mal di gola, febbre, probabilmente a Jayapura gli sbalzi di temperatura dovuti all'aria condizionata di negozi e uffici ci hanno giocato un brutto scherzo.
Riprese un po' di forze, il giorno successivo vado a terra con il dinghy per le pratiche, mentre Lilli, non ancora sfebbrata, rimane in barca.
Per l'atterraggio scelgo la radice del molo del mercato, anche se prevedo che con la bassa marea di metà pomeriggio diventi troppo alto; spero di rientrare per ora di pranzo. Non appena mi avvicino al molo, alcuni giovani che tengono i primi banchi del pesce accorrono per  darmi una mano, facendomi capire, a gesti, che penseranno loro a guardare il dinghy. Ad ogni buon conto, provvedo ugualmente a lucchettarlo. Uno di loro si presenta: "Mario, nome italiano!"; sembra felice di sentire che sono italiano, parla un buon inglese e si dichiara disponibile per qualsiasi cosa di cui avessi bisogno.
Il mercato è fitto di banchi e quasi buio, perché totalmente ricoperto da teloni, lamiere ondulate, assi di legno, tutto quanto possa essere utile a ripararsi dal sole; una buona metà di banchi, verso il mare, vendono pesce fresco, di molte varietà, mentre gli altri espongono ortaggi e frutta di buona qualità.


Appena uscito dalla fresca ombra del mercato vengo investito dal sole accecante e dal caldo afoso; la città è movimentata e abbastanza grande da trovarvi un po' tutto.
Mostrando l'intestazione della clearance, chiedo ad un taxi-pulmino di portarmi agli uffici dell'Harbour Master: l'autista, dopo essersi consultato con un paio di clienti, mi dice di salire. Mi fa scendere davanti all'ufficio sbagliato, ma comunque un po' di strada l'ho risparmiata; l'Harbour Master si trova sulla strada che corre parallela al mare, subito dopo l'ingresso del porto, è riconoscibile a distanza perché si contraddistingue una torretta blu che si eleva di poco sul fabbricato.
Alla guardiola devo fare un po' di anticamera: "C'è un meeting" è tutto quello che mi sa dire in inglese il giovane di guardia, ma dopo una ventina di minuti mi viene a prelevare un signore in divisa che mi fa strada all'interno dell'ufficio.
Qui una giovane signora in divisa e un suo collega che parla qualche parola in inglese preparano i documenti, dimostrando non poche incertezze sul da farsi (mi sembrava di saperne più io), comunque con un po' di pazienza le carte sono pronte e portate alla firma, pago 9000 rupie di tasse (circa 0,80 €!) e a mezzogiorno sono fuori con la mia nuova clearance interna, fino a Sorong.
Mi resta da fare la clearance della quarantena, anche se Lilli ed io nutriamo qualche dubbio sulla necessità di questo documento, la cui inutilità per le barche da diporto ci sarà infatti confermata qualche giorno dopo a Sorong. L'ufficio portuale della quarantena (che si trova 100 metri prima dell'Harbour Master, nell'ingresso del porto) è chiuso. "Bisogna andare alla sede centrale" mi dice a gesti l'agente di guardia; chiedo se si può andare in taxi, ma capisco dalla faccia che fa che non è possibile, parla con il suo collega e si offre di accompagnarmi lui, in moto.
Alla quarantena, distante 5-6 km (per chi dovesse fare qui il check-in di ingresso in Indonesia riporto le coordinate: 1° 11,183' S 136° 6,721' E), il giovane impiegato capisce un po' l'inglese e velocemente prepara la nuova clearance fino a Sorong, ma non c'è verso di appurare se è possibile evitare questa solfa ad ogni porto; pago l'esosa tassa di 20.000 Rupie (1,3 €) e ritorno in città con la guardia del porto, che mi aveva pazientemente aspettato. Gli dico che può lasciarmi al mercato, ma lui fraintende e mi accompagna al supermercato, dove attende anche lì che io faccia un po' di spesa prima di riportarmi al suo posto di guardia all'ingresso del porto. Sono esterrefatto e piacevolmente colpito da tanta gentilezza, gli lascio una mancia di 50.000 rupie (poco più di 4 €) che lui dimostra di apprezzare.   
Quando alle 14 ritorno in barca, non senza un po' di scorta di frutta e ortaggi, sono completamente disidratato, ma siamo a posto, abbiamo le carte in regola per partire domani alla volta di Sorong!