Alle 10,55 di lunedì 8 maggio lasciamo, insalutati ospiti, l’Hudson Point Marina di New Jersey City, di fronte a Manhattan. In tanti anni non ci era mai successo di stare in un marina per giorni senza vedere alcuno: né marinai, né receptionist, neanche addetti alle pulizie! Il pagamento, salatissimo, avviene automaticamente tramite l’applicazione Dockwa sulla carta di credito, immediatamente all’arrivo. Dopo di che ci si può scordare di avere assistenza, informazioni e qualunque altra cosa. Ogni commento è superfluo.
Dal Marina aggiriamo a sud Low Manhattan col suo Financial District, passiamo sotto i ponti di Brooklyn e di Manhattan e proseguiamo risalendo l’East River.
L’East River ci conduce nel Long Island Sound, il braccio di mare che separa il Connecticut, a Nord, da Long Island, a Sud. La prima sosta sarà a Port Washington, distante 21 miglia.
Il nostro giovane amico, nonché meccanico, Will ci aveva messo in guardia su un punto critico di questo percorso: si tratta di Hell Gate (porta dell’inferno!) dove le forti correnti creano turbolenze e gorghi che possono mettere in difficoltà le imbarcazioni. È necessario, dice Will, raggiungere Hell Gate durante la slack (la stanca, quando la corrente si inverte). Lilli si mette a studiare il nuovo libro che Will ci ha consigliato di comprare e calcola l’orario migliore; io programmo la partenza per le 10.55 e superiamo il punto critico alle 12.40, circondati da una calma assoluta. Programmazione e tempismo perfetti.
Alle 14.55 giungiamo a destinazione,
ancoriamo fuori dal vastissimo campo boe, su un fondale fangoso di circa 5,5 metri
(40°49.642N 73°42.799’W).
Mentre Lilli, sempre infortunata, e
Ornella, solidale, restano in barca, noi uomini facciamo un’escursione a terra
con il dinghy. Abbiamo due mete, entrambe poco distanti: il negozio della West
Marine dove acquistiamo il nuovo gancio per la catena dell’ancora con la
relativa cima e un supermercato per un piccolo rabbocco alla cambusa.
Il giorno seguente, come pattuito, ci
raggiunge Will, che finalmente riesce a portare a termine la sostituzione delle
cinghie degli alternatori.
Mercoledì 10 maggio salpiamo diretti ad
Oyster Bay, a 19 miglia. Partenza alle 9.55, arrivo alle 13.10, ancoriamo in un
tratto libero da boe su 4-6 metri di fondale fangoso (40°52.886’N 73°31.375’W).
Il tempo incerto non ci invoglia a scendere
a terra ma in compenso assistiamo ad una regata serale, con tanto di barca
giuria e campo segnalato.
Dopo Oyster Bay, nel programma, avevo
inserito una puntata a Thimbles Island, Connecticut, sul versante nord del Long
Island Sound; ma la distanza, di 45 miglia, non piace a Lilli che preferisce
tappe più brevi. La accontento perché è il suo compleanno: l’11 maggio navighiamo
solo 26 miglia, fino a Port Jefferson. C’è poco vento, procediamo a motore e
arriviamo alle 13.40; ancoriamo a nord del campo boe, su 4-6 metri di
sabbia-fango (40°57.275’N 73°04.506’W).
Port Jefferson è una cittadina molto
animata e turistica, la gente vi arriva in macchina da New York City, oppure
col traghetto di linea da Bridgeport, Connecticut.
La tappa successiva è di avvicinamento a
Sag Harbour. Ci fermiamo per la notte a Truman Beach, distante 40 miglia che
percorriamo a motore, senza vento; solo nell’ultimo tratto arriva un venticello
sui 14-15 nodi da SW, ma l’insenatura è ampia e tranquilla, ancoriamo su 6 metri
di fondale sabbioso (41°08.423’N 72°19.887’W).
Il giorno successivo ci restano 18
miglia per raggiungere Sag Harbour; prima di ancorare ci riforniamo di diesel
ed acqua al distributore del marina e ci spostiamo poi appena fuori dal campo
boe, dove caliamo l’ancora in 3 metri d’acqua con fondale fangoso (41°00.588’N
72°17.777’W).
Anche Sag Harbour è una cittadina a
vocazione turistica. Ci restiamo 5 giorni, recandoci a terra quasi tutti i
giorni per varie attività: un giorno (solo noi maschietti) noleggio biciclette
ed escursione sulla costa oceanica (distante 12 km in direzione sud), un
pomeriggio/sera cena fuori per una bella pizza, una mattina dedicata alla
lavanderia. La povera Lilli rimane sempre in barca, in paziente attesa.
Arriviamo a Block Island alle 15.30 e
ancoriamo su 4-5 metri d’acqua, con fondale di fango duro (41°11.476’N
71°34.532’W). Venerdì 19 doveva essere dedicato alla visita dell’isola (Ornella
aveva letto nella sua guida che si tratta di un luogo interessante) ma la
giornata non è bella e fa freddo, tanto che nessuno ha voglia di andare a terra.
Restiamo a ciondolare in barca e comunque, dopo ampia discussione, decidiamo non
prolungare la sosta e di partire il giorno successivo.
Così facciamo: alle 9,30 di sabato 20
maggio salpiamo alla volta di Newport, Rhode Island, a 23 miglia. Piove, c’è
scarsa visibilità e vento a raffiche da SW fino a 30 nodi. Lo prendiamo al gran
lasco e non ci crea problemi. Alle 13 siamo a destino, sotto una pioggia a
tratti torrenziale.
Sappiamo da mesi che proprio in questi
giorni a Newport sono presenti le barche della Ocean Race (la ex Volvo
Ocean Race), la maratona velica intorno al mondo iniziata il 15 gennaio ad
Alicante in Spagna che si concluderà a inizio luglio col gran finale, per la
prima volta in Italia, a Genova.
Proprio il 20 maggio era prevista per queste barche “da guerra” la In-port race, una breve regata che si svolge in ogni punto di sosta (il cui risultato non influenza la graduatoria finale dell’Ocean Race, tranne che in caso di parità di punteggio). Noi eravamo preoccupati di infilarci all’arrivo nel campo di regata, ma apprendiamo già al mattino che la In-port race è cancellata a causa delle avverse condizioni meteo: poca visibilità, vento troppo rafficoso. Riusciamo così a raggiungere, senza disturbare, il pontile del Newport Harbor Hotel & Marina (41°29.278N 71°19.035W) dove avevamo prenotato l’ormeggio per quattro notti, ai soliti incredibili prezzi cui i marina USA ci stanno purtroppo abituando: “solo” 242 $ al giorno!
La In-port race viene
riprogrammata per domenica 21 maggio, quando il tempo finalmente si
ristabilisce, con il cielo sereno e un bel sole caldo. In barba al pubblico
pagante (275 $ a persona) Umberto, Fabrizio ed io riusciamo ad assistervi da un
piccolo gazebo poco distante dal Marina. Non capiamo granché delle regole di
regata, ma ci godiamo ugualmente lo spettacolo, per noi gratuito! Conclusa la
gara, senza rientrare in porto, le barche sono partite per la quinta tappa
dell’Ocean Race, di 3500 miglia, fino ad Aarhus, Danimarca.
Andiamo a visitare, poco distante dal Marina, il festival delle ostriche: un capannone brulicante di gente dove numerosi banchi offrivano vari tipi di ostriche al “modico” prezzo di 3 $ cad.
Lunedì 22 è il giorno della partenza di
Umberto ed Ornella, che in serata prenderanno da Boston l’aereo che li
riporterà a casa. Per non correre rischi di arrivare tardi avevano prenotato
con grande anticipo con Lyft (equivalente, ma meno caro di Uber) un taxi che
avrebbe dovuto venirli a prendere alle 14,45. Ebbene, abbiamo capito che la
prenotazione delle corse NON è una buona cosa. Per ben due volte, a pochi
minuti dall’arrivo al Newport Harbor Hotel & Marina, l’autista rinuncia
alla corsa lasciandoci in un’attesa sempre più nervosa, che si conclude dopo
quasi un’ora. Alla fine, per fortuna, ce l’hanno fatta e in aeroporto tutto è
filato liscio. Abbiamo trascorso con loro delle belle settimane e sicuramente
ci mancheranno.
Martedì 23, cambio di equipaggio: arrivano
i nostri amici americani Fabrizio e Jesus, che navigheranno con noi fino a
Boston.
L’avventura continua…