La mattina di martedì 7 giugno, alle 9.25, lasciamo St. Augustine con destinazione Savannah, a 153 miglia. Una volta usciti in oceano la rotta è una linea retta per 12°-14°. Ventiquattro ore di piacevole navigazione con venti leggeri da NE ed E, che ad intervalli aiutiamo con un po’ di motore. Alle 8 del mattino successivo siamo all’inizio del canale di ingresso, ben segnalato da grosse boe rosse e verdi (rosso a destra, verde a sinistra). Ci sono numerose navi all’ancora, in attesa di entrare: nella foschia mattutina intravvediamo le più vicine, ma il sistema AIS ne rileva almeno una trentina, che aspettano il loro turno ed il pilota. Appena immessi incrociamo quattro grosse navi da pesca con reti a strascico sostenute da imponenti gru i cui bracci si aprono lateralmente, triplicando così il baglio delle imbarcazioni; ci sfilano accanto con grande indifferenza, del tutto incuranti della preoccupazione che sono riuscite a suscitare in Lilli, che mi avrà chiesto almeno dieci volte “ma ci stiamo?”.
Alla fine del canale iniziamo a risalire
il fiume Savannah; la corrente ci è contro, ma non è troppo forte. 20 miglia di
navigazione fluviale prima di raggiungere Savannah, principale porto
commerciale della Georgia. A poche miglia dall’arrivo, un altro incontro
ravvicinato: in un tratto in cui il fiume diventa particolarmente stretto e
sinuoso (e quindi la corrente più forte) ci ritroviamo alle spalle un’enorme
nave cargo che naviga con rotta raggiungente a 11 nodi (il doppio della nostra
velocità). E come se non bastasse, nel punto più stretto ci sono ad attenderla tre
rimorchiatori, chiamati evidentemente per assistere e tenere la nave in rotta.
In cinque (la navona, i 3 rimorchiatori e Refola) proprio non ci stiamo!
Riduco la velocità, accosto lateralmente affiancandomi a dritta ad un segnale
rosso e lascio passare il condominio di container.
Alle 12.45 siamo finalmente a destino. La cosa incredibile di Savannah è che offre alle barche di passaggio un ormeggio completamente gratuito sul lungofiume più bello e più storico della città, in pieno centro: è chiamato City Dock, un lungo pontile galleggiante con colonnine per l’elettricità (anch’essa gratuita), in cui si ormeggia comodamente all’inglese. Quando si telefona per avvisare dell’arrivo dicono che non si può stare più di due giorni, noi ci siamo fermati tre notti e nessuno ha avuto da ridire. Una pacchia! (32°04.884’N 81°05.335’W).
Savannah ci è davvero molto piaciuta: un centro storico tranquillo nonostante il gran numero di turisti, una particolare struttura urbanistica ricca di parchi, piazze e viali alberati. Rari i palazzi, le costruzioni sono principalmente villette in stile inglese, nei tipici mattoni rossi oppure in legno, con gli abbaini e i serramenti rigorosamente bianchi, e le staccionate dei giardini, poste ad uso esclusivamente decorativo ed ovviamente bianche.
Anche qui come a St. Augustine c’è un
eccellente servizio di autobus, molto economico che abbiamo sfruttato per girare
a destra e a manca, fare la spesa e recarci alla West Marine, una delle
principali catene di negozi di nautica negli USA. Visitiamo il museo navale,
dove accuratissimi modelli in miniatura ricostruiscono la storia della
navigazione negli States, a partire dall’epoca coloniale.
La notte trascorre tranquilla con venti
da SE-SSE da 10 a 15 nodi, che ci permettono una velocità media sui 6 nodi; i
turni di guardia ogni 3 ore continuano a funzionare bene.
Alle 11,10 di domenica 12 giugno ancoriamo
di fronte al Charleston City Marina, su fondale fangoso di 5-6 metri
(32°46.502’N 79°57.080’W).
Il Marina è un po’ decentrato rispetto
al centro città; la prima volta facciamo una bella camminata di mezz’ora, poi familiarizziamo
con gli autobus e riusciamo a muoverci velocemente: la città non ha più segreti
per noi.
Charleston, fondata nel 1670 dagli
inglesi, divenne ben presto molto popolata e centro nevralgico del commercio di
schiavi. Anche qui molti turisti, a beneficio dei quali l’antico mercato degli
schiavi è stato trasformato in una sorta di piccolo centro commerciale, con bancarelle
piene di souvenir e di prodotti dell’artigianato locale. Pranziamo in un
simpatico Oyster Bar poco distante: cibo buono, prezzo ragionevole.
Ma oltre a gironzolare abbiamo due cose
importanti da fare: comunicare il nostro arrivo alla Custom (Lilli ha esaurito
i codici di accesso alla app CBP Roam e non riesce ad averne di nuovi) e recarci
in un negozio Metro T-Mobile per pagare i 60 $ dell’abbonamento telefonico (che
non possiamo rinnovare on line perché – come sembra avvenire su molti siti web americani
– vengono accettate solo carte di credito USA). Riusciamo a completare con
successo entrambe le operazioni.
Il 15 giugno è l’ultimo giorno di
permanenza a Charleston. Purtroppo l’effetto combinato di vento e corrente rende
il nostro ancoraggio poco confortevole: ogni barca si muove in direzione e con
tempi diversi, così ogni tanto ci troviamo davvero troppo vicini a quella alla
nostra sinistra. Per un po’ Lilli ed io restiamo di guardia in pozzetto, accendendo
il motore per ristabilire una distanza di sicurezza. Ma il giochino non mi diverte
affatto e così a metà pomeriggio decido di accostare al lunghissimo pontile
esterno del marina, che presenta distributori di carburante ogni 50 metri. L’idea
è di fare rifornimento di gasolio e chiedere se è possibile restare per la
notte, in modo da dormire tranquilli e ripartire presto la mattina dopo.
Le cose, ahimè, vanno un po’
diversamente. Lo spazio libero sul pontile è per noi appena sufficiente; come d’abitudine
affronto la manovra in retromarcia, ma vengo tradito dalla corrente di marea, di
circa 1,5-2 nodi; dopo due tentativi falliti cambio modalità e provo l’approccio
in marcia avanti contro la corrente, ma a causa dello spazio ridotto con il
rollbar della mia poppa sfioro la prua di un megayacht a vela, Christopher,
che da giorni ammiravamo essendo ancorati poco distante. Gli abbiamo fatto un graffio
di una cinquantina di centimetri sotto la falchetta del lato sinistro della
prua; su Refola invece il danno riguarda l’antenna stilo della radio
SSB, che non si spezza in due parti ma poco ci manca. Vabbè, poteva andare
peggio. Lo skipper di Christopher si mostra educato e composto, ci
scambiamo biglietti da visita e riferimenti telefonici, ci farà sapere
l’importo della spesa per i ritocchi a nostro carico.
Nel frattempo apprendiamo che il posto
che occupiamo per il rifornimento è già prenotato per la notte. Dobbiamo
lasciare il pontile e tornare all’ancora. Così facciamo: ci spostiamo di circa mezzo
miglio in direzione sud, verso l’uscita; l’ancoraggio è molto più tranquillo
del precedente.
Questo di Charleston è il primo sinistro
di Refola, dalla sua nascita nel 2004; via mail avvisiamo il
broker dell’accaduto, riservandoci di presentare denuncia formale una volta
saputo l’importo da rimborsare. Staremo a vedere cosa ci sparano…
Inutile farsi prendere dallo sconforto.
Meglio dormirci sopra e prepararci alla partenza di domani mattina per Wrightsville
Beach, a 159 miglia.