Alla super alba del 16 marzo 2023 Lilli ed io lasciamo Verona per raggiungere Venezia e volare in Canada, dove abbiamo programmato una breve vacanza prima di tornare da Refola che ci aspetta in Virginia da luglio.
La prima destinazione è Montreal, che ci lascia incantati.
Il soggiorno in Canada è stato bellissimo;
abbiamo speso un sacco di soldi, ma ne valeva la pena.
Il 27 marzo voliamo a Richmond, Virginia,
dove arriviamo alle 11 di sera stanchi e provati; pernottiamo in un motel
adiacente all’aeroporto. Deltaville, la piccola cittadina della Virginia dove
c’è il nostro cantiere, è irraggiungibile con mezzi pubblici: l’unico modo per arrivarci
è utilizzare taxi tipo Uber o Lyft (spesso più economico). Chiamiamo Lyft e in
un’ora e mezza siamo al Stingray Point Boatworks.
La vacanza è decisamente finita. Refola
scenderà in acqua tra una settimana e noi dobbiamo metterci al lavoro per
prepararla come si deve.
E qui cominciano le sorprese: la prima
appena saliti in barca è trovare nel pozzetto, esposti al sole e alla pioggia,
due cuscini e uno schienale del divano della dinette. Lilli è furiosa: non
sappiamo per quanto tempo siano rimasti lì, le coperture azzurre in stoffa sono
sbiadite, l’alcantara sottostante mostra delle macchie scure, per fortuna
l’interno in gomma piuma ha resistito.
La seconda sorpresa ce la riserva il negozio
West Marine, dove avevo ordinato (e pagato) dall’Italia antivegetativa e
primer. Recatici già il primo giorno al negozio per ritirare il materiale,
veniamo avvisati che il primer, semplicemente, non è arrivato! Manifestiamo
tutto il nostro disappunto, si mostrano contriti, ma non sanno darci una data
certa di consegna. C’è il rischio di ritardare il programma di lavoro e con il
varo fissato per lunedì 3 aprile proprio non ce lo possiamo permettere. La cosa
ci lascia in ansia per 24 ore, fino a quando ci avvisano che sono riusciti a
far arrivare il primer.
Ma la sorpresa più brutta è l’ultima: il
furto della nostra gloriosa e bellissima ancora Bugel, in acciaio inox. Gli
uomini del cantiere si limitano ad un laconico “Mi spiace”, poi chiamano la
polizia per fare la denuncia. Arriva uno sceriffo imberbe che ci chiede il
numero di serie dell’ancora. Reso edotto che le ancore non hanno il numero di
serie, seraficamente ci annuncia “Allora sarà difficile trovarla!”. Restiamo
attoniti: in tanti anni, nei cantieri di tutto il mondo, non abbiamo mai avuto
né sentito raccontare esperienze del genere. Increduli giriamo per il cantiere
osservando le altre barche, ovviamente senza trovare nulla. Rassegnati,
iniziamo la ricerca di una nuova ancora. Non è semplice: deve essere
affidabile, adattarsi al musone di Refola e non mandarci sul lastrico! Dopo
24 ore di studi optiamo per una Spade da 35 kg., che ricordavo di aver visto su
Belissima, un altro Amel Super Maramu di nostra conoscenza. Chiamiamo al
telefono Remi, l’armatore, che si trova ai Caraibi: ci conferma che lui ne è
completamente soddisfatto e che non dovuto apportare modifiche al musone. Il
dato è tratto: ordiniamo l’ancora direttamente al produttore, paghiamo circa
2000 US$ e ce la facciamo inviare al marina di Annapolis, dove domenica 9
aprile ci raggiungeranno Umberto e Ornella Milici, storici amici di tante
avventure, e Frank, new entry a bordo di Refola.
Venerdì 7 aprile, con previsioni meteo non proprio favorevoli, molliamo gli ormeggi. Per evitare di toccare il fondo nel canale di uscita (esperienza già fatta quando siamo entrati l’anno scorso), partiamo alle 11 del mattino, in prossimità della alta marea. Non siamo in oceano, ma nell’enorme Chesapeake Bay, grande bacino di acqua dolce (e sporchissima) in cui confluiscono numerosi fiumi grandi e piccoli; sotto un cielo grigio e denso di nubi, abbiamo sul muso un vento da NE sui 25-30 nodi, cui si aggiunge una fastidiosa onda corta e aguzza, da 0,6 a 1 metro.
Il giorno seguente una tappa di 45
miglia ci porta ad Annapolis. Finalmente una bella giornata con un sole caldo,
anche se il vento ci è sempre avverso e siamo costretti al terzo giorno di
motore. Alle 14.30 ormeggiamo al Marina Annapolis Maryland Capital Yacht Club
(38°48.464’N 76°28.607’W), dove l’amico Frank (conosciuto lo scorso ottobre
nella crociera in Grecia organizzata dal mio circolo velico, il Paterazzo) già
ci aspetta.
Lunedì 10 arrivano anche Umberto ed
Ornella e così l’equipaggio del primo mese è completo.
Ad Annapolis completiamo la cambusa e
cerchiamo alcuni ricambi alla West Marine e all’hardware shop; purtroppo il
nostro marina è in posizione piuttosto decentrata e così non abbiamo modo di
visitare il centro come probabilmente meriterebbe. Per due volte ceniamo al
ristorante Boatyard Bar & Grill, simpatico locale dove si mangia bene a
prezzi accettabili.
Martedì 11 aprile arriva finalmente la nostra nuova ancora.
Nella tappa successiva dovremo abbandonare definitivamente la baia di Chesapeake, che ci ha ospitati dal 27 giugno dell’anno scorso, quando arrivammo in Virginia per visitare Hampton e Norfolk. Proseguendo verso nord imboccheremo un canale artificiale denominato C&D Canal (Canale di Chesapeake e Delaware), che collega seguendo una traiettoria O-E la grande baia di Chesapeake con il fiume Delaware. Lungo 14 miglia, largo in media 130 metri e profondo poco più di 10, fu realizzato a partire da un progetto visionario del 17° secolo; la sua effettiva costruzione iniziò nel 1824 e proseguì con ampliamenti successivi per oltre 150 anni, fino a raggiungere le dimensioni attuali, con la costruzione di sei nuovi ponti e l’eliminazione del sistema di chiuse inizialmente predisposto.
Giovedì 13 lasciamo l’ancoraggio di Sassafras
River; il piano di navigazione prevede una breve tappa, di 18 miglia, fino a Chesapeake
City, una piccola cittadina che si trova all’inizio del canale. Quando vi arriviamo,
però, vediamo la minuscola baia ed il pontile entrambi gremiti di piccole barche
a motore. Siamo in bassa marea e il nostro pescaggio di 2,05 metri ci induce a non
rischiare: proseguiamo per altre 12 miglia e raggiungiamo il fiume Delaware.
Passiamo sotto ponti altissimi, circa
140 piedi, al centro del canale il fondale è dragato sui 12 metri; una navigazione
tranquilla senza incroci con imbarcazioni più grandi di noi.
Alle 15,10, dopo 29 miglia di
navigazione, ci immettiamo nel vasto Delaware River. L’ancoraggio non è dei più
affascinanti: acqua scura, dintorni pieni di insediamenti industriali, per
gradire anche una bella centrale nucleare poco distante. Ma il fondale sabbioso,
sui 7-8 metri, garantisce una buona tenuta e nonostante la corrente di marea possiamo
dormire tranquilli, in attesa di raggiungere, domani, Philadelphia (39°34.095N
75°33.710W).