sabato 23 maggio 2015

ANEITYUM - TANNA

19:31.58S 169:29.69E

L'isola di Aneityum è l'avamposto meridionale delle isole Vanuatu.
La baia di Anelgowhat, dove abbiamo ancorato, è ben ridossata da 3 quadranti ed aperta solo ad ovest; la barriera corallina e a sud l'isolotto di Inyeug (ribattezzato a beneficio dei turisti Mystery Island) la rendono un ancoraggio sicuro, anche con 25-30 nodi di vento, il massimo che si può desiderare dopo una traversata di 8 giorni.
Abelgowhat è il villaggio principale dell'isola, anche se quasi si stenta a vederlo dal mare, tanto le case sono sparse ed immerse in una vegetazione fittissima. Due fattori ne stanno probabilmente incrementando lo sviluppo: la sosta di grandi navi da crociera a Mistery Island (una volta alla settimana nella buona stagione), e la possibilità offerta ai diportisti di atterrare qui richiedendo in anticipo un permesso temporaneo di ingresso nelle acque territoriali di Vanuatu.
Mistery Island, che andiamo ad esplorare col dinghy, è per buona parte occupata dalla pista di atterraggio su prato dell'aeroporto, ed è una riserva marina, nessuno vi abita. Solo in occasione dell'arrivo della nave da crociera l'isoletta si trasforma in una sorta di attrazione turistica: decine e decine di bancherelle (che noi abbiamo visto spoglie) si riempono di oggetti di artigianato, di frutta esotica e di cibi, in altre vengono proposte immersioni e giri in canoa, altre ancora diventano bar. Non mancano numerosi servizi igienici, allestiti in rudimentali piccole capanne con il tetto di foglie di palma, dislocate ovunque in mezzo alla vegetazione. Tutto questo per le centinaia di passeggeri, scaricati ogni settimana dalla nave da crociera, che ritengono di passare una mezza giornata in una remota isola tropicale. Poveri turisti diremmo noi, ma per la gente del posto è una manna che viene dal cielo: i turisti pagano in moneta sonante, spesso con valuta pregiata, e infatti il piccolissimo villaggio è dotato di una banca (cosa piuttosto rara in Pacifico), in cui lavora un'unica impiegata, ma che è sempre affollata!
In ogni caso, così come l'abbiamo vista noi, cioè deserta, Mystery Island è davvero bella: circondata dalla sua barriera corallina (l'accesso è segnalato da gavitelli rossi e verdi, fino al pontile sul lato NE), ha spiagge bianchissime e acqua trasparente, di cui abbiamo approfittato, dando ufficialmente inizio alla nostra terza stagione tropicale!
Come abbiamo detto Aneityum non è porto d'ingresso alle Vanuatu, ma quando ci sono barche che hanno preannunciato il loro arrivo un piccolo ufficio viene presenziato alternativamente da personale della Dogana o dell'Immigrazione, che viene appositamente inviato dalla capitale Port Vila. Nei nostri giorni di sosta abbiamo visto entrambi gli addetti e abbiamo pagato 10.000 vatu (circa 92 ?) all'agente della dogana (5.000 vatu per la dogana e 5.000 vatu per la quarantena), poi altri 4800 vatu all'agente dell'immigrazione, per il visto sul passaporto valido un mese, di cui dovremo richiedere l'estensione a Port Vila.
La gente del posto è molto cordiale e ben disposta verso gli estranei, difficile incontrare qualcuno che non saluti e che non sorrida. Anche qui l'uragano Pam ha purtroppo lasciato il segno: non vittime, ma case distrutte, tralicci delle telecomunicazioni abbattuti, gravi danni agli orti, alberi sradicati o del tutto spogliati; la gente ne parla commossa ma con grande dignità.
Giovedì 21 maggio, all'alba, salpiamo con destinazione isola di Tanna, e precisamente una baia a cui Cook ha dato il nome della sua nave, Port Resolution; si trova sul lato est di Tanna, a circa 48 miglia. Le previsioni meteo ci danno un vento sui 15 nodi da ESE, ma solo usciti dalla copertura dell'isola ne sentiamo la vera intensità.
A vele spiegate al traverso, Refola vola a 8-9 nodi, le raffiche di apparente arrivano a 22 nodi, una mano alla randa ed un po' di riduzione al genoa, danno più stabilità; a mezzogiorno siamo in prossimità dell'ingresso della baia.
Dalla punta sud che delimita la baia esce un basso fondale roccioso dove frange l'onda, ma non si distingue alcun passaggio; solo dopo aver controllato la traccia che ci hanno inviato Anna e Paolo di Zoomax volgiamo la prua verso terra e poco dopo scorgiamo l'ampia baia aprirsi a SW. Finalmente orientati per l'ingresso, vediamo il mare spianarsi all'interno.
Gettiamo l'ancora su un fondale di 4,3 metri in bassa marea (19°31.586'S 169°29.695'E).
Di seguito a noi arrivano anche gli amici di Libero e Cassiopee, e poiché con la prua orientata al vento sui 120°, siamo al traverso della piccola onda che comunque entra nella baia, per eliminare il fastidioso rollio decidiamo di mettere un'ancora a poppa per tenere la prua orientata verso l'uscita. In questo modo il rollio si riduce al minimo ed il beccheggio quasi non si sente.
La manovra va a buon fine per Libero e Refola, ma Cassiopee, a causa della rottura di un grillo girevole si trova con il problema di cercare la seconda ancora rimasta sul fondo. L'acqua non è affatto limpida ed i primi tentativi di recupero falliscono. Solo il mattino seguente, con l'aiuto di alcuni pescatori, l'amico Gerard riesce a ritrovare e riportare a bordo l'ancora con i suoi 3 metri di catena.
Nella baia ci sono molti pescatori, sulle caratteristiche canoe con bilanciere ricavate da grossi tronchi d'albero, attrezzati con reti leggere a maglia stretta.
Mi soffermo ad osservare la loro strategia: quando avvistano branchi di pesce di piccolo taglio (circa 15 cm) entrare nella baia, un gruppetto di 2 -3 canoe segue il branco e distende dietro di esso una cinquantina di metri di rete; un altro pescatore si pone davanti al branco che avanza e batte il remo sulla superficie dell'acqua per far cambiare direzione al branco, contemporaneamente le canoe che tengono la rete si chiudono a cerchio per catturare il maggior numero possibile di pesci. A questo punto i pescatori recuperano la rete e adagiano il pescato sul fondo della canoa.
Questa manovra si ripete molte volte nella giornata, fino a quando il sole tramonta, verso le 17.
A poca distanza da Port Resolution si trova il vulcano Yasur, ancora attivo. Infatti sul lato ovest della baia osserviamo numerose fumarole ed le tipiche macchie di zolfo sulle rocce. La guida Lonely Planet afferma che questo è il vulcano più accessibile del mondo: vengono organizzate escursioni a bordo di fuori strada, che portano fino a poche centinaia di metri dal cratere, su cui ci si può "affacciare" da una distanza minima. Il tam tam dei velisti ci aveva suggerito che un certo Stanley, a Port Resolution, era l'uomo da contattare per prendere accordi.
La mattina di venerdì 22 maggio scendiamo a terra sul lato est della baia, sormontato da un alto costone sul quale si trova lo Yacht Club; nell'atterraggio, in bassa marea, bisogna fare attenzione alle numerose formazioni coralline semi affioranti, ma la piccola spiaggetta dove si può lasciare il dinghy è riparata e senza risacca.
Qui troviamo Johnson, che ci porge un caloroso benvenuto e si propone per accompagnarci a visitare lo Yacht Club (ora chiuso per i danni provocati dal ciclone), il villaggio e poco oltre la bellissima spiaggia (White Sand Beach) rivolta ad est sull'oceano. Volentieri accogliamo la sua offerta, tanto più dopo aver scoperto che è il fratello di Stanley, l'uomo che stavamo cercando per la gita al vulcano.
Il villaggio è molto grande, vi vivono quasi 600 persone. Non ci sono case in muratura, ma solo pavimenti in legno rialzati su cui vengono fissati pali che sorreggono tetti di foglie di palma. Persone come sempre gentili e sorridenti, una miriade di bambini di tutte le età.
Dopo il giro di perlustrazione Johnson ci conduce da Stanley, con cui concordiamo per il pomeriggio la visita al vulcano: pagheremo 2.500 vatu a persona per il trasporto e 3.350 vatu a persona per l'ingresso al parco. Al cambio significa circa 50 ? a testa, che comunque spendiamo volentieri visto che queste entrate rappresentano almeno un minimo sostegno per i cinque villaggi dislocati intorno alla baia.
Stanley, che sembra rappresentare le comunità verso i visitatori, ci consegna un piccolo pieghevole dove è raccontata l'antica leggenda sull'origine del vulcano, alcune istruzioni di comportamento da tenere ed un elenco di cose utili da donare, per chi vuole aiutare la gente dei villaggi. Così all'appuntamento delle 16 per l'escursione ogni barca porta qualcosa : cibo, ami da pesca, colori e quaderni per la scuola.
Equipaggiati con torce e leggere giacche a vento, arriviamo sulla bocca del vulcano con il sole tramontato e l'orizzonte ancora chiaro; poco dopo, velocemente, arriva il buio. Dal cratere si sollevano dense nubi di fumo bianco, ma si distingue il rosso della lava incandescente che ribolle come in un grande pentolone, ogni tanto si sente un rombo crescente che sembra venire dalle viscere della terra, cui segue un'esplosione: grossi lapilli di lava si alzano in cielo, sembra di essere alle porte dell'inferno.
Rimaniamo incantati per circa un'ora ad ammirare lo spettacolo, che ci mostra tutta la potenza che può sprigionare un vulcano. È già notte quando saliamo nuovamente sul fuoristrada ed alle 19.30 siamo di nuovo allo Yacht Club. Johnson ci invita (solo gli uomini) ad una riunione per bere la kava con gli amici, ma decliniamo perché l'indomani ci alziamo presto per la partenza.
Non è un addio comunque, ma per noi solo un arrivederci all'anno prossimo: torneremo per vedere appese allo Yacht Club la bandiera italiana ed il guidone del Paterazzo, che abbiamo lasciato.