La navigazione dalle Vergini Britanniche, Jost Van Dyke, fino alla Repubblica Dominicana è molto piacevole: vento al gran lasco, all’inizio con raffiche a 20 nodi, che poi il giorno seguente cala mediamente tra 8 e 14 nodi. Navigando sempre a vela arriviamo al Marina di Puerto Bahia alle 11.30 di domenica 27 marzo (19°11.678’N 69°21.339’W).
Il Marina di Puerto Bahia è una struttura
moderna che integra un grande resort, due piscine e due ristoranti, oltre a un
piccolo supermarket. Per la comodità dei naviganti (al momento non ci sono più
di 10 barche) ospita pure gli uffici di immigrazione, custom e capitaneria. I
prezzi, naturalmente, sono adeguati a tanto lusso...
Un gentile signore che lavora al Marina ci noleggia la sua auto per 65 US$; ne approfittiamo per fare un giro turistico nella penisola di Samanà, estremità nord orientale della Repubblica Dominicana. Il traffico è abbastanza caotico e le strade non sono in ottime condizioni, con un sacco di buche e lunghi tratti non asfaltati, senza contare i numerosi dossi finalizzati a ridurre la velocità dei numerosi veicoli in circolazione. Visitiamo un paio di lunghe spiagge affacciate sull’Atlantico.
Pranziamo in un bellissimo ristorante stile “open space”: senza pareti verticali, con un altissimo tetto di legno sorretto da possenti colonne intarsiate, a due passi dall’oceano. Cibo buono, prezzo super accettabile.Non perdiamo l’occasione per un rabbocco alla cambusa e completiamo il giro a Sanchez, centro famoso per i camarones (gamberi). Ne acquistiamo 1 chilo per la cena e rientriamo in barca prima del buio.
Mercoledì 30 marzo alle 12.00 lasciamo
Puerto Bahia per una tappa di 120 miglia fino all’Ocean World Marina, sulla
costa settentrionale della Repubblica Dominicana. Dobbiamo aggirare in senso
antiorario la penisola di Samanà: un lungo tratto che siamo costretti a
percorrere a motore, con il vento da E-NE dritto sul naso. Quando modifichiamo
la rotta per NW, con il vento che rimane costante da E-NE, possiamo procedere a
vela, un po’ disturbati per tutta la notte dall’onda di 2-3 metri al
giardinetto.
Alle 11 del mattino di giovedì 31, con
il vento per l’occasione aumentato a 18-22 nodi, imbocchiamo il canale di
accesso all’Ocean World Marina, segnalato da boe rosse e verdi (le rosse da
lasciare a dritta), che presenta alla fine una stretta curva a gomito a
sinistra. Una volta dentro, si è riparati dall’onda che frange incessante
sull’alta muraglia del frangiflutti. Anche qui pochissime barche, meno ancora
che a Puerto Bahia, e anche qui siamo all’interno di un ampio complesso
turistico con alberghi, parco acquatico, piscine e ristoranti.
Noleggiamo un’auto per fare la spesa in
città a Puerto Plata e per ricaricare la bombola del gas, operazione questa che
si rivela alquanto complicata: dobbiamo cambiare l’attacco della bombola e
sostituire il riduttore di pressione. In un negozio che vende ogni genere di
merce troviamo modo di fare tutto e ce la caviamo con una spesa complessiva di
36 US$. Visitiamo il centro storico di Puerto Plata, carino ed accogliente, con
case coloniali e piccole viuzze. Pranziamo a Casa 40, un bistrò gestito da
giovani professionali e preparati e paghiamo 12 € a testa per 4 piatti
originali comprese le bevande.
Fissiamo la partenza per sabato 2
aprile: la destinazione è Grand Turk, capoluogo dell’arcipelago Turk
appartenente alla nazione insulare di Turks & Caicos. Il personale
dell’Ocean World Marina ci avvisa della necessità di fare un tampone, senza
aggiungere altre incombenze. Noi eseguiamo (65 US$ a testa) ed alle 15.00 molliamo
gli ormeggi.
Navighiamo veloci con vento al traverso
e onda sui 2-3 metri; riduciamo la velatura per non arrivare di notte. Alle
9.00 del mattino di domenica 3 aprile caliamo l’ancora davanti al vecchio molo
di Gran Turk (21°26.085N 71°09.066’W).
Messo in acqua il dinghy, Lilli ed io ci
rechiamo a terra per le consuete pratiche d’ingresso, ma ci attende un’amara
sorpresa. L’addetto della dogana ci chiede come prima cosa se abbiamo fatto la
pratica on-line per il permesso sanitario. “No – rispondiamo – ma abbiamo fatto
il test ed è negativo!”. “Mi dispiace – dice lui – tornate in barca e
richiedete il permesso on-line. Quando lo otterrete, e potrebbero volerci due
giorni, tornate qui. Nel frattempo, non potete scendere a terra.” Siamo
avviliti e frustrati: siamo senza connessione perché non abbiamo una sim card
locale, e non possiamo procurarcela perché ci è proibito muoverci a terra. Rientriamo
in barca e a malincuore prendiamo la decisione: rinunciamo alla sosta nelle Turks
& Caicos e ci dirigiamo immediatamente al più vicino porto d’ingresso delle
Bahamas, Mayaguana, dove speriamo di arrivare prima che scada la validità del tampone
fatto in Repubblica Dominicana.
Una notte di riposo e lunedì 4 aprile alle
13.30 ripartiamo per la nuova tappa di 126 miglia. Arriviamo dopo 24 ore, il 5
aprile, ad Abraham’s Bay, sul versante meridionale di Mayaguana. È una vasta
area (4,5 x 1,6 miglia) che di “baia” ha solo di nome, visto che è delimitata
su due lati da una lunga barriera corallina. Entriamo dalla pass di SW, che
offre fondali più generosi, navighiamo a vista su profondità ridotte per circa
1 miglio ed ancoriamo su un fondale sabbioso di circa 4 metri (22°19.913’N
73°01.551W).
È già ora di pranzo ma non possiamo
rimandare le pratiche di ingresso perché la scadenza del nostro tampone è
proprio il 5 aprile. Lilli ed io ci armiamo di coraggio e ci rechiamo a terra col
dinghy. Il motore fuoribordo, nominalmente di 9,8 CV, per problemi di
carburazione ne produce realmente solo 2. Impieghiamo un’ora per percorrere le
3,5 miglia e raggiungere l’agognato molo, cui si accede attraverso un angusto
passaggio malamente segnalato da minuscoli paletti (che infatti noi manchiamo
di scorgere). A seguire, una bella camminata di 20 minuti per trovare gli
uffici governativi. Arriviamo che è quasi orario di chiusura, l’ufficio è pieno
di persone che sono qui dal mattino; dopo qualche quarto d’ora d’attesa ci
viene detto di tornare il mattino successivo alle ore 9. Rassegnati, ci avviamo
verso il dinghy subendo un’ulteriore delusione: il negozietto che dovrebbe
vendere le sim card, in contrasto con gli orari di apertura indicati, è superchiuso.
Quando riusciamo a tornare in barca Lilli per la gioia bacia la tuga di Refola.
La mattina dopo, il 6 aprile alle 7.40,
l’avventura ricomincia. Questa volta siamo attrezzati con borsa stagna e cerate
antispruzzo, e ovviamente non sbagliamo l’imbocco del canale per il molo. Tutto
bene quindi? No. Raggiunto l’ufficio governativo, un’altra doccia fredda: le
pratiche sono ferme perché internet non funziona in tutta l’isola, non si sa
quando verrà ripristinata la linea.
Attendiamo pazienti facendo nel
frattempo amicizia con la gentile signora che ci segue, da noi soprannominata
Yellow Lady. Mentre Lilli non molla la postazione io vado al negozio della
compagnia telefonica BCT (aperto solo al mattino) e compro 2 sim card, una per
noi e l’altra per Angelo e Cristina. In sole 5 ore riusciamo ad ottenere il
permesso di navigazione ed i timbri di ingresso sui passaporti. Felici come
pasque affrontiamo la “traversata” col nostro dinghy-tartaruga ed alle 15.15 siamo
in barca, distrutti dalla fatica ma soddisfatti.
Finalmente ristabiliti i contatti col
mondo, sentiamo Luciano Raspolini, un amico trentino che sta navigando alle Bahamas;
concordiamo di incontrarci entro sabato a George Town sull’Exuma Sound, prima
che arrivi il vento da nord.
Giovedì 7 aprile affrontiamo una tappa
di 154 miglia fino a Conception Island: partiamo alle 9.50 con vento in poppa
piena sui 15-20 nodi; un’altra navigazione notturna e arriviamo l’indomani,
venerdì 8 aprile, alle 12.00.
Mettiamo l’ancora sulla baia ad W
dell’isola, su un fondale di 8 metri di sabbia, acqua trasparente e pulita con
una visibilità eccezionale (23°50.946’N 75°07.417’W).
Ci sono un’altra decina di barche, ma la
baia è molto grande perciò c’è molto spazio; facciamo un bagno tonificante
(l’acqua non è caldissima), vediamo un paio di razze sul fondo muoversi
sospettose, ci gustiamo il tramonto a ovest con un corposo gin-tonic.
Sabato 9 aprile ci spostiamo di 42
miglia a SW; partiamo all’alba per arrivare con una buona luce; all’inizio il
vento che prendiamo al traverso, ancorché debole, ci permette di procedere a
vela con una buona media sui 6 nodi, poi verso metà percorso ci gira in prua e dobbiamo
accendere il motore. Alle 13 affrontiamo la pass di ingresso all’Exuma Sound
seguendo la rotta indicata dalla cartografia Navionics che vediamo sul plotter
esterno. Proseguiamo fino alla zona di ancoraggio di cui Luciano ci ha inviato le
coordinate; alle 14.10 caliamo l’ancora a fianco del Westerly Petrel Blue
di Luciano, su un fondale di 4 metri di sabbia finissima, ottima tenitrice
(23°30.801’N 75°44.998’W).
Nel frattempo il vento è rinforzato da
NW a 20-25 nodi, ma l’ancoraggio con 40 metri di catena tiene bene. Luciano viene
a trovarci e ci regala mille suggerimenti ed utili informazioni: avendo
trascorso qui 3 stagioni, conosce le Bahamas come le sue tasche. Lo invitiamo a
cena con il suo compagno di viaggio per il giorno successivo. Una serata allegra e piacevole.
Lunedì salutiamo Petrel Blue:
Luciano passerà da Cuba per poi terminare la stagione in Guatemala; noi invece
ci tratteniamo ancora un paio di giorni in attesa che il vento cali e giri ad
est.
Salpiamo mercoledì 13 aprile per una
tappa di 40 miglia fino a Big Galliot Cay: sveglia prima dell’alba, consueta abbondante
colazione, ed alle 7.00 tiriamo su l’ancora e percorriamo verso NW il lungo
canale che ci porta in mare aperto, alle 8.00 siamo fuori e mettiamo vela.
Vento da est al giardinetto sui 15-20
nodi e mare sui 2-3 metri ci procurano un rollio rilevante e fastidioso, che
l’equipaggio di Refola regge stoicamente. Alle 12.30 siamo davanti alla
pass, che la cartografia Navionics indica soggetta a forti correnti; la affrontiamo
con rotta 220° ed in effetti troviamo una corrente a favore di circa 2-3 nodi;
aggiriamo, lasciandolo a dritta, un piccolo isolotto e dopo un’ampia
perlustrazione del fondale ancoriamo su un fondo di sabbia dura sui 6-7 metri (23°55.317’N
76°17.326’W).
Il posto è suggestivo, i colori dell’acqua stupendi. Nei: 1) il vento non ci molla mai, mentre una volta ancorati si preferirebbe un po’ di quiete; 2) il mare sembra deserto: a parte una tartaruga gigante, non vediamo un pesce neanche col binocolo. Ma non ci lamentiamo…